Il parere offre un quadro di riferimento per la corretta gestione dei SOA, fornendo indicazioni circa la normativa di riferimento - che si colloca tra quella rifiuti e quella SOA -, ivi compreso il regime nazionale delle esclusioni dalla disciplina dei rifiuti, l’attività della giurisprudenza che ha regolato il rapporto tra le due discipline, nonché la disamina delle linee guida interministeriali in argomento.
Stefano Maglia, 03/06/2014

Premessa

Sotto il profilo normativo la definizione di S.O.A. è contenuta nella disciplina comunitaria oggi vigente, ovvero il Regolamento Ce 21 ottobre 2009, n. 1069 (entrato in vigore il 4 dicembre 2009[1]) a sostituzione del precedente Regolamento n. 1774/2002 e nel suo regolamento di attuazione, il Regolamento 25 febbraio 2011 n. 142 (applicabile a decorrere dal 4 marzo 2011) e sue successive modifiche, contenute nei più recenti Regolamenti Ue n. 1097/2012/Ue (del 13 dicembre 2012), n. Regolamento 294/2013/Ue (del 26 aprile 2013) e Regolamento 592/2014/Ue del 3 giugno 2014[2].

 

Secondo l’art. 3 del Regolamento n. 1069/2009 sono S.O.A.: “corpi interi o parti di animali, prodotti di origine animale o altri prodotti ottenuti da animali, non destinati al consumo umano, ivi compresi gli ovociti, gli embrioni e lo sperma”.

 

È fondamentale precisare che tale Regolamento dispone esclusivamente “norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale e ai prodotti derivati non destinati al consumo umano”, ovvero, come affermato dai giudici italiani e comunitari a più riprese[3], nella regolazione dei S.O.A. coesistono due discipline, una sanitaria ed una ambientale, quest’ultima applicabile allorquando i S.O.A. possano configurarsi come rifiuti.

A scapito quindi di ogni presunzione di specialità della disciplina del Regolamento 1069/2009, le due discipline (ambientale e sanitaria) sono concorrenti, ovvero devono essere applicate entrambe.

L’ art. 1 (oggetto) del Regolamento precisa, infatti, che le motivazioni di tutela inerenti la gestione dei S.O.A. e dei prodotti derivati sono volte ad “evitare o ridurre al minimo i rischi per la salute pubblica e degli animali derivanti da tali prodotti, nonché, in particolare, di tutelare la sicurezza della catena alimentare e dei mangimi”, nulla a che vedere quindi con i profili di tutela ambientale – da tener presenti – nel momento in cui tali S.O.A. possano, ai sensi della disciplina Comunitaria (Direttiva n. 2008/98/Ce) e nazionale (D. L.vo n. 152/2006 Parte IV) essere considerati rifiuti.

 

Il regime nazionale delle esclusioni dalla disciplina rifiuti

In ordine all’applicazione della disciplina ambientale è fondamentale, a livello nazionale, richiamare il D. L.vo n. 152/2006, nella sua parte IV, in particolare l’art. 185.

Tale norma, rubricata “Esclusioni dall’ambito di applicazione”, solo per effetto dell’art. 13 del D. L.vo 205/2010 (ovvero dal 26 dicembre 2010) ha assunto il contenuto ad oggi vigente, riproducendo esattamente il contenuto dell’art. 2 comma 2 lett. b) della vigente Direttiva europea sui rifiuti, ovvero la Direttiva n. 2008/98/Ce.

Al comma 1 l’art. 185 prevede che: “Non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del presente decreto: … f) le materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b) …”; a sua volta il comma 2 inserisce una esclusione “condizionata” ovvero sottoposta al limite dell’esistenza di “…altre disposizioni normative comunitarie, ivi incluse le rispettive norme nazionali di recepimento” per:

b) i sottoprodotti di origine animale, compresi i prodotti trasformati, contemplati dal regolamento (CE) n. 1774/2002, eccetto quelli destinati all’incenerimento, allo smaltimento in discarica o all’utilizzo in un impianto di produzione di biogas o di compostaggio;

c) le carcasse di animali morti per cause diverse dalla macellazione, compresi gli animali abbattuti per eradicare epizoozie, e smaltite in conformità del regolamento (CE) n. 1774/2002[4].

 

La disposizione è attualmente applicabile, ovviamente tenendo conto che il richiamato Regolamento n. 1774/2002 è stato successivamente abrogato dall’art. 54 del Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 1069/2009 con effetto dal 4 marzo 2011, perciò i riferimenti al regolamento (CE) n. 1774/2002 si intendono oggi riferiti al vigente regolamento e si leggono secondo la tavola di concordanza di cui all’Allegato al Reg. 1069/2009.

 

Dal punto di vista normativo, quindi, i S.O.A., compresi i prodotti trasformati, non rientrano nel campo di applicazione della Parte IV (non si considerano rifiuti) se ed in quanto disciplinati da altre disposizioni normative anche comunitarie, di tipo ambientale, che però, ad oggi, non esistono, poiché quelle note in materia di S.O.A., ovvero i Regolamenti Ue, hanno contenuto esclusivamente sanitario, ma se destinati allo smaltimento per incenerimento o in discarica, o anche “all’utilizzo in un impianto di produzione di biogas o compostaggio” devono essere considerati rifiuti e quindi rientrano nel campo di applicazione della relativa disciplina, nonostante (o meglio anche alla luce della) la classificazione degli stessi contenuta nel Regolamento n. 1069/2009.

 

Resta da precisare, sotto i profili ambientali, che l’inclusione nella disciplina di cui alla Parte IV del D.Lgs. 152/2006 non vuol dire automaticamente che i materiali siano riconducibili al novero dei rifiuti, in quanto nella stessa Parte IV si ritrovano regolamentati anche i “sottoprodotti”[5].

 

In tal caso, occorrerà allora verificare se quei sottoprodotti di origine animale abbiano tutti quei requisiti richiesti dalla nuova disposizione di cui all’art. 184-bis del D.Lgs. 152/2006, ovvero:

  1. la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;
  2. è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;
  3. la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
  4. l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.

 

In caso contrario i sottoprodotti di origine animale saranno a tutti gli effetti dei rifiuti e troveranno la loro regolamentazione nella Parte IV del D.L.vo 152/06, e saranno soggetti a tutti quegli obblighi che la medesima disciplina prescrive per la loro gestione. In particolare, per quanto riguarda la fase attinente al loro trasporto, l’utilizzo del FIR e/o del SISTRI[6].

 

Le sentenze che hanno regolato il rapporto tra la disciplina rifiuti e i S.O.A.

Come anticipato, la Corte di Cassazione, già sotto la vigenza della pregressa normativa per la gestione dei “rifiuti di origine animale” (D. L.vo 508/1992) e per i rifiuti in generale (D. L.vo 22/97) aveva sostenuto che le due (ambientale e sanitaria) discipline dovevano ritenersi concorrenti[7].

Fu il Regolamento 1774/2002 ad introdurre la nozione di “sottoprodotto di origine animale” in sostituzione di quella di “rifiuti di origine animale”, senza in alcun modo incidere sui rapporti tra le due discipline.

Del resto, considerare il Regolamento 1774/2002 quale disciplina speciale derogatoria delle norme generali sulla disciplina dei rifiuti avrebbe voluto dire, in contrasto con la normativa e la giurisprudenza comunitarie, introdurre restrizioni alla nozione di rifiuto. Sono invece le norme derogatorie alla disciplina sui rifiuti che vanno interpretate in senso restrittivo, proprio per evitare che vi siano “fughe” dall’ambito di applicazione di tale importantissima normativa[8].

 

Sulla scorta di queste motivazioni Cass. Pen, sez III, sentenza 4 dicembre 2008, n. 45057 – dopo una lunga disamina della disciplina normativa applicabile ad un caso di gestione di S.O.A. (CER 020202 e 020203) tra cui in particolare le carogne – arrivò ad affermare che: “Le carogne sono escluse dalla disciplina generale sui rifiuti solo in quanto regolate da altre disposizioni normative che assicurano tutela ambientale e sanitaria. Il regolamento Ce 1774/2002 assicura solo una tutela sanitaria per le carogne e per i sottoprodotti di origine animale, perciò la materia delle carogne – in quanto tali – è sempre inclusa nella disciplina generale sui rifiuti [ndr, la sentenza è pronunciata in un periodo in cui le carogne sono escluse dal campo di applicazione della disciplina rifiuti ex art. 185 (modificato dal D. L.vo n. 4/2008) “in quanto regolate da altre disposizioni normative che assicurano tutela ambientale e sanitaria” ed è stato abrogato il comma 2 dell’art. 185 che si riferiva al Regolamento n. 1774/2002]”; possono essere sottratte a tale corpo normativo “…solo se ed in quanto siano configurabili come sottoprodotti del processo di macellazione (più propriamente scarti di macellazione e non carogne) destinati al riutilizzo certo e senza trasformazioni preliminari e senza pregiudizio per l’ambiente”. Il riutilizzo cui si riferisce la sentenza è specificato in riferimento al fatto che: “… il produttore non intende disfarsi di essi (e perciò non possono essere classificati come rifiuti) ma li commercializza a condizioni a lui favorevoli”.

La giurisprudenza formatasi sotto il regolamento (Ce) 1774/2002 (ora abrogato) mantiene tutta la sua importanza in ragione della continuità normativa con il Regolamento n 1069/2009 (ora vigente).

 

Peraltro, l’orientamento giurisprudenziale non è mutato in vigenza delle nuove disposizioni comunitarie.

Dello stesso tenore la successiva pronuncia di Cass. Pen. sez. III, 24 marzo 2009, n. 12844 – relativa ad un caso di mala gestione di farine animali.

I giudici in questo caso richiamarono anche le disposizioni comunitarie contenute nella Direttiva n. 2008/98/CE (nuova direttiva in materia di rifiuti), sottolineando che questa: “…non risulta avere affatto modificato gli enunciati principi di diritto che regolano il concorso tra la disciplina sanitaria della gestione dei sottoprodotti di origine animale e la normativa in materia di rifiuti, mantenendo la esclusione del principio di specialità”.

È infatti proprio l’art. 2, punto 2, della citata Direttiva, recepito nell’art. 185 D. L.vo 152/2006, a disporre che: “Sono esclusi dall‘ambito di applicazione della presente direttiva nella misura in cui sono contemplati da altra normativa comunitaria: “lett. b) “sottoprodotti di origine animale, compresi i prodotti trasformati contemplati dal Regolamento CE a 1774/2002, eccetto quelli destinati all‘incenerimento, allo smaltimento in discarica o all‘utilizzo in un impianto di produzione di biogas odi compostaggio.”

E’ agevole, quindi rilevare – proseguono i giudici – che: “la deroga in favore di altra normativa comunitaria è riferita alla materia disciplinata dalla stessa (nella specie profili sanitari e di polizia veterinaria) e che l’esclusione dall’ambito dei rifiuti, in ogni caso, non riguarda i sottoprodotti di origine animale destinati alle varie forme di smaltimento citate dalla norma (incenerimento, smaltimento in discarica, utilizzo in un impianto di produzione di biogas o di compostaggio) e, cioè, quegli scarti di origine animale che devono essere qualificati rifiuti in base alla nozione dettata in materia dalla corrispondente normativa”.

 

In questa prospettiva si collocano anche le tre sentenze più recenti in materia.

Cassazione Penale – Sez. III sentenza n. 2710 del 23 gennaio 2012 ha affermato che “Gli scarti di origine animali sono sottratti all’applicazione della normativa in materia di rifiuti, ed esclusivamente soggetti al Regolamento CE n. 1774/2002, solo se sono effettivamente qualificabili come sottoprodotti, ai sensi dell’art. 184 bis del D.L.vo. n. 152/2006, mentre in ogni altro caso in cui il produttore se ne sia disfatto per destinarli allo smaltimento restano soggetti alla disciplina del Testo Unico in materia ambientale”; e così anche Cass. Pen, sez. III, 9 febbraio 2012, n. 5032: “la legge esclude che i materiali che potrebbero essere qualificati come S.O.A. ai sensi del Regolamento n. 1774/2002 siano tali allorché lo stesso produttore li abbia destinati allo smaltimento e a maggior ragione se li abbia di fatto smaltiti”.

Da ultimo, Cass. Pen., sez. III, sentenza n. 25364 del 27 giugno 2012 ha riconfermato che: “Gli scarti di origine animali sono sottratti all’applicazione della normativa in materia di rifiuti ed esclusivamente soggetti al Regolamento CE n. 1774/2002 solo se sono effettivamente qualificabili come sottoprodotti, ai sensi dell’art. 184 bis del D.L.vo. n. 152/2006, diversamente in ogni altro caso in cui il produttore se ne sia disfatto per destinarli allo smaltimento restano soggetti alla disciplina dettata da tale ultimo decreto”.

 

La disciplina del trasporto e le Linee Guida Italiane

Fermi i principi ormai acquisiti nell’ordinamento nazionale circa la classificazione dei S.O.A. come rifiuti ai sensi della Parte IV del D.L.vo 152/06 allorquando destinati: “…all’incenerimento, allo smaltimento in discarica o all’utilizzo in un impianto di produzione di biogas o di compostaggio” le conseguenze operative di tale classificazione sono, da tempo, oggetto di interpretazioni talora contrastanti.

Ci si riferisce alla questione del trasporto dei S.O.A. ed alla necessità di individuare una documentazione corretta di accompagnamento, dalla partenza dei materiali al punto di arrivo, considerando che spesso, la destinazione non è diretta a smaltimento/recupero, ma passa per siti di trasformazione o depositi/magazzini di transito.

 

Partiamo dal presupposto che il trasporto dei S.O.A. e dei prodotti derivati ex Regolamento 1069/2009 deve essere esclusivamente accompagnato dal documento commerciale (e certificato sanitario) di cui al Regolamento stesso (art. 21) e specificato al Reg. Ue 142/2011 (art. 17).

Il trasporto dei S.O.A. destinati a smaltimento/recupero deve invece seguire le regole del trasporto rifiuti.

 

Occorre però aver anche presente che l’interpretazione in ordine alla vigenza dell’art. 193 del D.L.vo 152/06 – che disciplina la documentazione di accompagnamento del trasporto rifiuti – sta conoscendo, negli ultimi anni, vicende alterne, per effetto dei continui rinvii della piena operatività del SISTRI[9] [10].

Tale norma, nella versione ante riforma del D. L.vo 205/2010 (quindi nella versione ante piena operatività del sistema di tracciabilità dei rifiuti, ovvero quella da ritenersi attualmente vigente) consente un trasporto senza formulario e con semplice documento di accompagnamento di cui al Regolamento 1069/2009. Il comma 10 di tale articolo, infatti, così dispone: “Il documento commerciale, di cui all’articolo 7 del regolamento (CE) n. 1774/2002 [si legga Reg. n. 1069/2009] del Parlamento europeo e del Consiglio, per gli operatori soggetti all’obbligo della tenuta dei registri di carico e scarico di cui all’articolo 190, sostituisce a tutti gli effetti il formulario di identificazione di cui al comma 1”.

 

Una simile formulazione non si ritrova più però nella versione dell’art. 193 riformata dal D. L.vo 205/2010 che troverà piena vigenza nel momento in cui anche il SISTRI troverà piena attuazione.

La sovrapposizione di quadri normativi diversi ha creato (e sta creando) non pochi problemi sul territorio sia per gli operatori sia per gli organi di controllo, e proprio per questi motivi, il Legislatore italiano avrebbe chiesto direttamente chiarimenti a livello europeo. Mai pervenuti, almeno non formalmente.

 

Di conseguenza, sul punto, sono intervenute, le Linee Guida interministeriali (del Ministero dell’Ambiente delle politiche agricole e della salute), licenziate dalla Conferenza Unificata Stato – Regioni il 7 febbraio 2013.

Tale documento, di carattere non vincolante ma esclusivamente interpretativo, è di indirizzo e coordinamento per gli operatori del settore, allo scopo di “… garantire sull’intero territorio nazionale l’uniformità applicativa del Regolamento Ce n. 1069/2009 e del suo Regolamento di attuazione…” (premessa alle Linee Guida), e non può quindi mai essere applicato se in contrasto con norme giuridiche vigenti e di rango primario, come nel caso di specie.

Le indicazioni ministeriali in ordine al trasporto prevedono che: “… se i S.O.A. ed i prodotti derivati sono destinati ad essere smaltiti come rifiuti, il documento commerciale normalmente utilizzato nel trasporto deve essere sostituito dalla documentazione prevista dalla normativa ambientale…” (art. 8).

 

Il successivo articolo 10 indica che lo smaltimento come rifiuti dei S.O.A. e prodotti derivati di categoria 1, 2 e 3, deve essere effettuato secondo le modalità previste dalla normativa ambientale in particolare avuto riguardo a mezzi di trasporto, formulario rifiuti o sistema SISTRI nei casi in cui i S.O.A. siano destinati a: impianti di incenerimento e coincenerimento (con o senza trattamento preliminare o sterilizzazione a pressione e marcatura permanente), discariche autorizzate con la specifica delle diverse tipologie di S.O.A.

È interessante notare che nella prima versione – in bozza – delle Linee Guida, vi era la formulazione di un secondo comma all’art. 10 (eliminata nella versione definitiva) secondo cui: “I S.O.A. o prodotti derivati di qualunque categoria, comprese le carcasse di animali morti, nelle eventuali fasi successive alla raccolta dal luogo di produzione (magazzinaggio, trasformazione in impianti riconosciuti ai sensi del Regolamento UE n. 1069/2009) sono da considerarsi ancora sottoprodotti di origine animale e pertanto sottostanno agli obblighi previsti dal Regolamento, trasporto compreso”.

Tale comma, come detto, non compare più nella versione definitiva delle Linee Guida, oggi in uso.

 

 

Possiamo quindi affermare che, in linea con l’orientamento giurisprudenziale consolidato, le Linee Guida sembrano confermare che non in tutti i casi i S.O.A. devono considerarsi rifiuti e rispettare la disciplina della Parte IV del D.L.vo 152/06 “ma solo se destinati a incenerimento e coincenerimento o a discarica”; non è chiaro però se tale regola si debba ritenere applicabile nei soli casi in cui il produttore avvii i S.O.A. direttamente a smaltimento finale oppure – per effetto dell’eliminazione del comma 2 dell’art. 10 – anche quando vi sia un sito intermedio di deposito prima del definitivo smaltimento.

In tale ultimo caso imponendo al produttore un controllo – oltre le sue possibilità operative – sull’intera catena dei S.O.A., anche post trattamenti intermedi[11].

Un altro limite delle Linee Guida in odine al trasporto è quello di prescrivere l’utilizzo del FIR/SISTRI per lo “smaltimento” genericamente identificato come “incenerimento, discarica e coincenerimento”, quindi con il difetto di individuare una operazione come quella di “coincenerimento” esclusivamente come smaltimento mentre potrebbe anche essere di recupero, ma soprattutto con il forte limite di non contemplare l’opzione – che invece il Regolamento Ue prevede – dell’utilizzo dei S.O.A. come combustibile (ad es: per impianti di biogas).

 

Conclusioni

Le Linee Guida, nazionali ed a maggior ragione regionali, non sono altro che indicazioni operative prive di valore giuridico cogente per gli operatori, la scelta del produttore di S.O.A. per la corretta gestione degli stessi, compreso il trasporto, deve orientarsi secondo i principi nazionali vigenti.

Il riferimento normativo principale quindi resta l’art. 185 del D.L.vo 152/06 secondo cui i S.O.A. devono essere gestiti come rifiuti solo nei casi in cui siano avviati a incenerimento, smaltimento in discarica, impianti di biogas e compostaggio.

 

La norma – di precisa trasposizione europea – deve essere interpretata letteralmente e restrittivamente, trattandosi di una eccezione alla disciplina generale, quindi i siti intermedi (magazzini di deposito o di trasformazione dei S.O.A.) cui i S.O.A. sono avviati dai produttori non sono interessati dall’applicazione del secondo capoverso dell’art. 185, cioè sono a tutti gli effetti S.O.A. che come tali vanno trasportati sono con DDT ex reg. Ue n. 1069/2009.

La corretta interpretazione dell’art. 193 del D.L.vo 152/06 – altra norma di rango nazionale e quindi senz’altro superiore alle indicazioni delle linee guida – porta a ritenere che ancora oggi, e fino alla piena operatività del SISTRI, il DDT ex Reg. 1069/2009 sia sostitutivo del FIR.

 

Note

 

[1] Art. 56: “Il presente regolamento entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea” [14 novembre 2009].

[2] La disciplina sanzionatoria per la violazione delle norme comunitarie sui S.O.A. è contenuta nel D. L.vo n. 186 del 1 ottobre 2012.

[3] Si veda il paragrafo successivo.

[4] La definizione di carcassa è data dal Regolamento Ce 853/2004, Allegato I, punto 1.9: “”carcassa”: il corpo di un animale dopo il macello e la tolettatura”, rientrano tra i materiali di Categoria 3, di cui all’art. 10 del Regolamento n. 1069/2009.

[5] In ordine alla disciplina dei sottoprodotti si veda: A. POSTIGLIONE e S. MAGLIA: “Diritto e gestione dell’ambiente” II edizione, 2013, pagg. 186 e ss; nonché S. MAGLIA: “La gestione dei rifiuti dalla A alla Z” III edizione, 2012, voce “sottoprodotti”, pagg. 212 e ss.

[6] Più oltre si specificherà in che termini si trovano oggi le due discipline.

[7] Si vedano: Cass. Pen. sez. III, sentenza 23 aprile 2002 n. 8520, oltre a: Cass. Pen. Sez. III, 5 maggio 2004, n. 26851, Cass. Pen., sez. III, 27 marzo 2007, n. 21095, Cass. Pen. sez. I, 26 gennaio 2007, n. 21676.

[8] Così, Cass. Pen. sentenza n. 45057/2008.

[9] Sul punto si rinvia ai numerosi commenti in tema di S. MAGLIA, tra cui: “Nuovo D.M. SISTRI: ancora ridotto il numero degli obbligati” pubblicato il 29 aprile 2014 sul sito www.tuttoambiente.it; nonché, del medesimo autore: “Qual è il testo vigente dell’art. 188 T.U.A. sugli obblighi del produttore di rifiuti?” sempre on line dal 29 aprile 2014.

[10] Senza considerare che non tutti gli operatori del mercato dei S.O.A. sono interessati al sistema SISTRI che, allo stato, è fondamentalmente riservato alla gestione dei soli rifiuti pericolosi. Non esiste oggi un documento che indichi se le caratteristiche di pericolo dei S.O.A. – di cui al Regolamento UE, quindi dettate secondo ragioni sanitarie – possano considerarsi equipollenti a quelle previste per i rifiuti.

[11] Si deve sottolineare in merito che già i “considerando” nr. 21 e 22 del regolamento n. 1069/2009 sottolineano la necessità, per motivi di certezza del diritto e di controllo dei rischi potenziali, di determinare il punto di partenza nel ciclo di vita dei S.O.A. a partire dal quale di applicano le prescrizioni del Reg. (CE) n. 1069/2009 ed il punto finale per quei prodotti che non hanno più pertinenza per la sicurezza della catena dei mangimi, e l’art. 4 del Regolamento dispone: “Non appena gli operatori generano sottoprodotti animali o prodotti derivati che rientrano nell’ambito di applicazione del presente regolamento, essi li identificano e provvedono affinché siano trattati in conformità del presente regolamento (punto di partenza)”, inoltre il comma 2 precisa: “In tutte le fasi della raccolta, del trasporto, della manipolazione, del trattamento, della trasformazione, della lavorazione, del magazzinaggio, dell’immissione sul mercato, della distribuzione, dell’impiego e dello smaltimento nell’ambito delle imprese sotto il loro controllo, gli operatori provvedono affinché i sottoprodotti di origine animale e i prodotti derivati rispettino le prescrizioni del presente regolamento pertinenti con le loro attività”. Il che significa che la “natura originaria di S.O.A.”, definita dal produttore degli stessi, condiziona l’intera gestione degli stessi, fino alla fine vita per smaltimento.