Inquinamento luminoso: rientra nell’AIA?
AIA discrezionalità amministrativa Inquinamento luminosoStefano Maglia, Linda Maestri, 02/05/2018
L’inquinamento luminoso
Il D.L.vo 152/2006 definisce l’inquinamento all’art. 5 (comma 1, lett. i-ter), quale l’introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana, di sostanze, vibrazioni, calore o rumore o più in generale di agenti fisici o chimici, nell’aria, nell’acqua o nel suolo, che potrebbero nuocere alla salute umana o alla qualità dell’ambiente, causare il deterioramento dei beni materiali, oppure danni o perturbazioni a valori ricreativi dell’ambiente o ad altri suoi legittimi usi.
Gli astronomi definiscono l’inquinamento luminoso come la “luce artificiale che illumina dove non è richiesta né necessaria”[1]. La luce artificiale costituisce, quindi, la fonte dell’inquinamento luminoso, fenomeno che impatta sulla salute umana e sull’ambiente: si parla di produzione di diossido di carbonio, di impatto sulla biodiversità, in termini di perdita di orientamento e alterazione del ciclo naturale “giorno-notte”, causa di modificazioni nel ciclo di fotosintesi e disorientamento delle specie migratorie, e di inutile spreco di energia.
Considerando che l’Autorizzazione Integrata Ambientale persegue un approccio integrato all’inquinamento, allo scopo di minimizzare l’inquinamento di aria, acqua e terreno, ottenendo un efficace impiego dell’energia tramite l’applicazione delle migliori tecniche disponibili, le prescrizioni in materia di inquinamento luminoso risultano essere, a tutti gli effetti, tematica ambientale da introdurre nell’ambito di un’AIA.
Rilascio, riesame e integrazione dell’AIA: il ruolo della Conferenza di Servizi
L’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) trova riferimento normativo nazionale nella Parte Seconda del D.L.vo 152/2006, che la definisce, all’art. 5, quale “provvedimento che autorizza l’esercizio di una installazione rientrante fra quelle di cui all’articolo 4, comma 4, lettera c), o di parte di essa a determinate condizioni che devono garantire che l’installazione sia conforme ai requisiti di cui al Titolo III-bis ai fini dell’individuazione delle soluzioni più idonee al perseguimento degli obiettivi di cui all’articolo 4, comma 4, lettera c)”.
Le modalità di presentazione, ottenimento, rinnovo e riesame dell’AIA sono dettagliatamente disciplinate dagli articoli 29-ter, quater e octies del citato D.L.vo 152/2006. Ai sensi dell’art. 29-quater, relativo alla procedura di rilascio dell’autorizzazione, l’istruttoria prescritta ai fini del rilascio prevede il ricorso ad apposita Conferenza di Servizi, opportunamente convocata da parte dell’Autorità competente al rilascio del provvedimento, “alla quale sono invitate le amministrazioni competenti in materia ambientale e comunque, nel caso di impianti di competenza statale, i Ministeri dell’interno, del lavoro e delle politiche sociali, della salute e dello sviluppo economico, oltre al soggetto richiedente l’autorizzazione, nonché, per le installazioni di competenza regionale, le altre amministrazioni competenti per il rilascio dei titoli abilitativi richiesti contestualmente al rilascio dell’AIA” (comma 5).
La medesima procedura è prevista, dall’art. 29-octies, per il procedimento di riesame. L’autorità competente, infatti, riesamina periodicamente l’AIA, confermando o aggiornando le condizioni in essa stabilite. Tale procedimento dovrà rispettare le modalità delineate al citato art. 29-quater, quindi, con annessa Conferenza di servizi, e al comma 4 dell’art. 29-ter, il quale dispone che qualora la documentazione allegata alla domanda di AIA risulti incompleta, l’Autorità competente “potrà chiedere apposite integrazioni, indicando un termine non inferiore a trenta giorni per la presentazione della documentazione integrativa. In tal caso i termini del procedimento si intendono interrotti fino alla presentazione della documentazione integrativa. Qualora entro il termine indicato il proponente non depositi la documentazione completa degli elementi mancanti, l’istanza si intende ritirata[2]”.
La Conferenza di servizi deve essere convocata, pertanto, sia nell’ambito del procedimento di rilascio dell’AIA, sia in caso di riesame della stessa.
Diverso è, invece, il caso dell’integrazione d’ufficio. Ai sensi del comma 9 dell’art. 29-sexies del citato decreto 152/2006, l’AIA “può contenere ulteriori condizioni specifiche ai fini del presente decreto, giudicate opportune dell’autorità competente”, tra le quali la norma cita “il raggiungimento di determinate ulteriori prestazioni ambientali in tempi fissati, impegnando il gestore ad individuare le tecniche da implementare a tal fine. In tale ultimo caso, fermo restando l’obbligo di comunicare i miglioramenti progettati, le disposizioni di cui all’articolo 29-nonies non si applicano alle modifiche strettamente necessarie ad adeguare la funzionalità degli impianti alle prescrizioni dell’autorizzazione integrata ambientale”.
Non si tratta, infatti, di un procedimento di riesame alla luce di nuove BAT (best available techniques, cioè migliori tecniche disponibili) o diverse condizioni del sito, bensì dell’introduzione di ulteriori condizioni giudicate opportune ai fini del decreto 152/2006, ferma restando, conformemente al disposto dell’art. 29-sexies, la garanzia di valori limite di emissione non meno rigorosi di quelli fissati dalla normativa vigente nel territorio ove è ubicata l’installazione, sempre applicando le migliori tecniche disponibili e programmando gli appositi controlli.
Nell’ipotesi sopra descritta di introduzione di ulteriori condizioni giudicate opportune, pertanto, l’Autorità competente non risulta essere tenuta alla convocazione della Conferenza di Servizi: di conseguenza, in sede di aggiornamento dell’AIA, ritenuto opportuno sulla base delle prescrizioni vigenti, nel caso di specie, a livello regionale in materia di inquinamento luminoso, la Regione/Provincia che ritenga di integrare l’AIA esistente con nuove prescrizioni è a ciò legittimata.
Quale limite incontra la discrezionalità dell’Autorità competente in sede autorizzatoria?
Posta tale legittimazione formale in capo all’Autorità competente, rimane comunque possibile valutare il profilo della legittimità sostanziale dell’integrazione così apportata, che risponde ai criteri di proporzionalità e fattibilità tecnica ed economica. Il giudizio di opportunità di cui sopra rientra, infatti, nell’ambito della discrezionalità che il nostro ordinamento riconosce in capo all’organo amministrativo, al fine della migliore cura degli interessi protetti, il cui esercizio è vincolato nell’interesse pubblico fissato dalla legge.
In campo ambientale, in particolare, la discrezionalità amministrativa risulta giustificata dalla necessità di adeguare la tutela “alla varietà di situazioni eventualmente incidenti sull’ambiente e alle caratteristiche, anche tecnicamente complesse, delle strutture, produttive e non, che operano in tali contesti”[3]. Tuttavia, la discrezionalità amministrativa, seppur finalizzata ad una più appropriata e specifica tutela preventiva, presenta notevoli rischi in termini di restrizione dell’iniziativa economica: la severità delle prescrizioni può comportare pesanti ripercussioni sull’attività del gestore, tali da pregiudicare l’effettivo esercizio della stessa[4]. A tal proposito, la giurisprudenza ha, nel tempo, elaborato i predetti criteri di proporzionalità e fattibilità tecnica ed economica quali guide dell’agire amministrativo: prescrizioni ritenute “del tutto inusuali, tecnicamente inapplicabili, pur allo stato della scienza e della pratica di specie stessa con probabilità di pervenire anche a risultati ed analisi non definitori, fuorvianti e perplessi”, sono state giudicate con i termini di “sproporzionalità e non inerenza”, in quanto “fuori luogo ed eccessivamente comprimenti l’iniziativa privata anche sotto il profilo economico”[5]. Su tali basi, è stato poi espresso un principio di portata generale, secondo il quale “l’ampiezza delle prescrizioni, sia quelle dell’autorizzazione che quelle altrimenti imposte, non può sconfinare nell’arbitrio, sicché ove la prescrizione non sia in alcun modo ricollegabile alle esigenze di precauzione e di controllo sottese all’investitura del potere di autorizzazione in capo all’amministrazione pubblica, il provvedimento sarà affetto da eccesso di potere”.
Il discrimine tra una prescrizione legittima ed una illegittima perché viziata da eccesso di potere è dato, dunque, dalla proporzionalità tra le esigenze di controllo e precauzione, che governano la materia ambientale, e la praticabilità, in termini di fattibilità tecnica ed economica rispetto allo svolgimento dell’attività sottoposta ad autorizzazione.
Quali sanzioni per l’inosservanza di una prescrizione così inserita?
L’inosservanza delle prescrizioni contenute in un’autorizzazione è punita, in via generale, dall’art. 279 del citato decreto 152/2006, il quale stabilisce, al comma 2-bis[6], che “chi, nell’esercizio di uno stabilimento, viola le prescrizioni stabilite dall’autorizzazione, dagli allegati I, II, III o V alla Parte Quinta, dai piani e dai programmi o dalla normativa di cui all’articolo 271 o le prescrizioni altrimenti imposte dall’autorità competente è soggetto ad una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 10.000 euro, alla cui irrogazione provvede l’autorità competente. Se le prescrizioni violate sono contenute nell’autorizzazione integrata ambientale si applicano le sanzioni previste dalla normativa che disciplina tale autorizzazione”.
Nel caso di specie, quindi, trattandosi di prescrizioni contenute nell’autorizzazione integrata ambientale, il riferimento è all’art. 29-quattuordecies. Di conseguenza, al mancato adempimento delle prescrizioni dell’AIA segue l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria “da 1.500 euro a 15.000 euro nei confronti di colui che pur essendo in possesso dell’autorizzazione integrata ambientale non ne osserva le prescrizioni o quelle imposte dall’ autorità competente”. Trattasi, peraltro, di un illecito formale, nel senso che l’illiceità è già insita nell’inosservanza della prescrizione, a prescindere dagli effetti sostanziali che ne potrebbero derivare, quale l’effettivo danno ai valori ambientali.
Conclusioni
Con riferimento allo specifico quesito proposto, chi scrive ritiene che l’inquinamento luminoso derivante dall’esercizio di un impianto industriale sia da considerare, a tutti gli effetti, materia rientrante nell’ambito di un’AIA, proprio in ragione dell’approccio integrato all’inquinamento al quale tale autorizzazione è deputata. L’integrazione di un’AIA mediante l’introduzione di prescrizioni volte a regolamentare l’utilizzo delle luci artificiali, fonte di tale inquinamento, può avvenire anche d’ufficio in quanto, ai sensi dell’art. 29-sexies del D.L.vo 152/2006, l’AIA “può contenere ulteriori condizioni specifiche ai fini del presente decreto, giudicate opportune dell’autorità competente”. Infatti, diversamente dai procedimenti di rilascio e riesame, per i quali è prevista la convocazione di apposita Conferenza di Servizi, in sede di aggiornamento dell’AIA, ritenuto opportuno sulla base delle prescrizioni vigenti, nel caso di specie, a livello regionale in materia di inquinamento luminoso, la Regione/Provincia che ritenga di integrare l’AIA esistente con nuove prescrizioni è a ciò legittimata. Affermata la legittimità formale di tale integrazione, è, tuttavia, possibile il vaglio della legittimità sostanziale del suo contenuto, ossia la proporzionalità tra le esigenze di controllo e precauzione ad essa sottese e la sua praticabilità, in termini di fattibilità tecnica ed economica rispetto allo svolgimento dell’attività sottoposta ad autorizzazione. Infine, quanto al profilo sanzionatorio, la mera inosservanza delle prescrizioni contenute in un’AIA è punita, ai sensi dell’art. 29-quattuordecies del citato decreto, con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.500 euro a 15.000 euro, a prescindere dalla sussistenza di un effettivo danno ai valori ambientali.
Note:
[1] Fonte: International Astronomical Union (IAU), Unione Internazionale degli Astronomi (https://www.iau.org/ ).
[2] “E’ fatta salva la facoltà per il proponente di richiedere una proroga del termine per la presentazione della documentazione integrativa in ragione della complessità della documentazione da presentare”.
[3] Così la Sezione III della Cassazione Penale, n. 34517 del 14 luglio 2017.
[4] S. Maglia – L. Maestri, “Prescrizioni ambientali: qual è il limite discrezionale della P.A.?”, pubblicato su www.tuttoambiente.it .
[5] Così il TAR Lombardia, sezione di Brescia, n. 207 del 1° marzo 2013.
[6] Comma inserito dal D.L.vo 15 novembre 2017, n. 183.