Il parere è un approfondimento relativo all’annoso problema del silenzio-assenso in campo ambientale, con particolare riguardo alla fattispecie dell’autorizzazione allo scarico di acque reflue industriali. Una puntuale disamina normativa è qui accompagnata da uno specifico studio giurisprudenziale sull’argomento, con successiva valutazione dell’eventuale responsabilità della P.A. che non procede all’emanazione dell’atto o procede in ritardo, a danno del richiedente.
Stefano Maglia – Silvia Bettineschi, 01/04/2016

Premessa

La recente sentenza della Corte di Cassazione, sez. III Penale, n. 9942 del 10 marzo 2016 (pres. Ramacci, est. Andreazza) ha confermato un principio di diritto, utile a fare chiarezza a molti operatori del settore, con riguardo al caso in cui, a fronte di un’istanza di autorizzazione agli scarichi, l’autorità competente non provveda entro 90 giorni dalla sua ricezione, come stabilito dall’art. 124, comma 7, del D.Lgs. 152/2006.

 

La sentenza Cass. III Pen. 9942/16

Nel caso oggetto della pronuncia, la questione prende le mosse dalla condanna, da parte del Tribunale di Terni, dell’attuale ricorrente, amministratore delegato di una S.p.A., per il reato di cui all’art. 137, comma 1, del D.Lgs. 152/2006, avendo effettuato uno scarico di acque reflue industriali in acque superficiali, senza l’autorizzazione necessaria ai sensi dell’art. 124 del citato Decreto.

Le doglianze lamentate si fondano sull’asserzione per cui, in base all’art. 124, comma 7, del D.Lgs. 152/2006, esisterebbe un meccanismo di silenzio-assenso ove l’autorità non provveda entro 60 giorni dalla ricezione della domanda, intendendosi l’autorizzazione temporaneamente concessa per i successivi 60 giorni.

I giudici della S.C. hanno ritenuto tale motivo di ricorso inammissibile in quanto manifestamente infondato.

Rilevano, infatti, come l’art. 124, comma 7, del D.Lgs. 152/2006 sia stato erroneamente valorizzato, avendo tenuto conto del suo testo originario, che prevedeva sì un meccanismo di silenzio-assenso, sia pure temporaneo, ma che è stato modificato dall’art. 2, comma 12, del D.Lgs. 4/2008. Con tale riforma, prevedendo semplicemente che “l’autorità competente provvede entro novanta giorni dalla ricezione della domanda”, non è più previsto un meccanismo di silenzio-assenso nel caso di inadempimento dell’autorità.

Con riferimento alla fattispecie in esame, evidenziano i giudici, il testo applicabile è quello modificato e attualmente in vigore, in quanto l’accadimento dei fatti risale al 2011.

Pertanto, ne discende il seguente principio di diritto: l’art. 124, comma7, del D.Lgs. 152/2006 è stato modificato dall’art.2, comma 12, del D.Lgs. n. 4 del 2008 nel senso che “l’autorità competente provvede entro novanta giorni dalla ricezione della domanda” senza contemplare più alcun meccanismo di silenzio – assenso legato all’inadempimento dell’autorità: di conseguenza la semplice domanda di autorizzazione allo scarico non opera alcun effetto “liberatorio”, neppure temporaneo, potendo l’attività richiesta essere esercitata unicamente una volta rilasciata l’autorizzazione.

Al fine di analizzare il principio di diritto sopra esposto, occorre premettere una distinzione fondamentale: l’art. 124 del D.Lgs. 152/2006 disciplina al comma 7 e al comma 8 due distinte ipotesi: la prima riguarda l’istanza di autorizzazione proposta ex novo all’autorità competente, la seconda riguarda il caso del rinnovo dell’istanza di autorizzazione.

I giudici della S.C. sono chiari nell’affermare che “l’autorità competente provvede entro novanta giorni dalla ricezione della domanda” senza che sia più contemplato alcun meccanismo di silenzio – assenso legato all’inadempimento dell’autorità, stante la modifica che il D.Lgs. n. 4 del 2008 ha apportato al comma 7 dell’art. 124 del D.Lgs. 152/2006.

Il riferimento al suddetto specifico comma consente di dedurre che solo per la specifica fattispecie di istanza di autorizzazione proposta ex novo può dirsi venuto meno il meccanismo del silenzio-assenso.

Un’attenta analisi del successivo comma 8 consente di pervenire ad un diverso giudizio in merito alle istanze di rinnovo. Si legge, infatti, che “Salvo quanto previsto dal decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, l’autorizzazione è valida per quattro anni dal momento del rilascio. Un anno prima della scadenza ne deve essere chiesto il rinnovo. Lo scarico può essere provvisoriamente mantenuto in funzione nel rispetto delle prescrizioni contenute nella precedente autorizzazione, fino all’adozione di un nuovo provvedimento, se la domanda di rinnovo è stata tempestivamente presentata. Per gli scarichi contenenti sostanze pericolose di cui all’articolo 108, il rinnovo deve essere concesso in modo espresso entro e non oltre sei mesi dalla data di scadenza; trascorso inutilmente tale termine, lo scarico dovrà cessare immediatamente. La disciplina regionale di cui al comma 3 può prevedere per specifiche tipologie di scarichi di acque reflue domestiche, ove soggetti ad autorizzazione, forme di rinnovo tacito della medesima”.

Emergono tre ipotesi:

– se la domanda di rinnovo è stata tempestivamente presentata, fino all’adozione del nuovo provvedimento è possibile mantenere in funzione lo scarico, nel rispetto delle prescrizioni contenute nella precedente autorizzazione;

– per gli scarichi che contengono le sostanze pericolose di cui all’art. 108, se entro sei mesi dalla data di scadenza il rinnovo non è concesso, lo scarico dovrà immediatamente cessare;

– le Regioni possono prevedere per specifiche tipologie di scarichi di acque reflue domestiche forme di rinnovo tacito della domanda.

 

Per quanto d’interesse ai presenti fini, particolare rilievo assume la prima fattispecie che consente di ritenere non applicabile al caso di istanza di rinnovo dell’autorizzazione il principio di diritto enunciato dai giudici della S.C. nella sentenza in oggetto, valevole soltanto, come espressamente specificato, per il comma 7 e, quindi, per l’istanza di autorizzazione proposta ex novo all’autorità competente.

Al fine di una completa trattazione della questione resta da chiedersi cosa succede nel caso in cui un’azienda si trovi in una situazione pregiudizievole, in quanto, proponendo istanza di autorizzazione ex novo all’autorità competente, quest’ultima non risponda e, ai sensi di quanto statuito dall’art. 124, comma 7, D.L.vo 152/06 e chiarito dai giudici della S.C., l’attività richiesta non possa essere esercitata.

In particolare, ci si domanda quale responsabilità possa avere la P.A. coinvolta.

A tal proposito, si rammenta quanto stabilito dalla L. 241/90, che ha sancito l’inesistenza dell’istituto del silenzio-assenso nella disciplina ambientale. L’art. 20, infatti, prevede che:

1. Fatta salva l’applicazione dell’articolo 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, …

4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l’immigrazione, l’asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, oltre ai casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali, ed ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza…”.

 

Cosa succede in caso di omessa emanazione dell’atto o suo ritardo?

L’art. 2, c. 9 – 9 bis della L. 241/90 (introdotto dal D.L. 5/2012), prevede:

9. La mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente.

9-bis. L’organo di governo individua, nell’ambito delle figure apicali dell’amministrazione, il soggetto cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia. Nell’ipotesi di omessa individuazione il potere sostitutivo si considera attribuito al dirigente generale o, in mancanza, al dirigente preposto all’ufficio o in mancanza al funzionario di più elevato livello presente nell’amministrazione”.

Oltre a ciò, il D.L. n. 69 del 21 giugno 2013 recante Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia (cd. “Decreto Fare”), in vigore dal 22 giugno 2013, si segnala in materia perché all’art. 28 si occupa dell’indennizzo da ritardo nella conclusione del procedimento. La norma prevede che la P.A. procedente, o quella responsabile del ritardo e i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative (art. 1, c. 1 ter, L. 241/90), in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento amministrativo iniziato ad istanza di parte, per il quale sussiste l’obbligo di pronunciarsi – ad esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato – corrispondono all’interessato, a titolo di indennizzo per il ritardo, una somma pari a 30 € per ogni giorno di ritardo, a decorrere dalla data di scadenza del termine del procedimento, e comunque complessivamente non superiore a 2.000 €. L’art. 28 rappresenta, dunque, una disposizione innovativa che permette all’impresa la possibilità di attivarsi per chiedere l’indennizzo (non il risarcimento) da ritardo, mentre parallelamente si può procedere al TAR per ottenere il provvedimento, nonché per accertare la responsabilità del funzionario pubblico. Si rammenta, però, che deve necessariamente trattarsi di un procedimento ad istanza di parte per cui la legge prevede l’obbligo di pronunciarsi[1].

Per completezza, ci si sofferma anche sul tema del risarcimento del danno ingiusto, premettendo che la P.A. ha l’obbligo di concludere il procedimento amministrativo in attuazione dei principi di buon andamento, ragionevolezza e proporzionalità.

È opportuno precisare, però, che mentre l’indennizzo per il ritardo nell’emanazione del provvedimento ha ad oggetto una somma forfetizzata e definita dal Legislatore ed occorra provare solo il ritardo, il risarcimento del danno, invece, ha ad oggetto il ristoro integrale del pregiudizio patito, inteso sia come danno emergente (diminuzione patrimoniale) che come lucro cessante (mancato guadagno), ed occorre anche la prova dell’elemento soggettivo e del nesso causale[2].

Si rammenta, infatti, che l’art. 2-bis della L. 241/90 recita:

“1. Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’art. 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.

1-bis. Fatto salvo quanto previsto dal comma 1 e ad esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato e dei concorsi pubblici, in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento ad istanza di parte, per il quale sussiste l’obbligo di pronunziarsi, l’istante ha diritto di ottenere un indennizzo per il mero ritardo alle condizioni e con le modalità stabilite dalla legge o, sulla base della legge, da un regolamento emanato ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400. In tal caso le somme corrisposte o da corrispondere a titolo di indennizzo sono detratte dal risarcimento”.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza 7 marzo 2013, n. 1406, ha evidenziato che in merito alla “richiesta di accertamento del danno da ritardo ovvero del danno derivante dalla tardiva emanazione di un provvedimento favorevole, … l’ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono, in linea di principio, presumersi “iuris tantum”, in esclusiva relazione al ritardo nell’adozione del provvedimento amministrativo favorevole, ma il danneggiato deve, in ossequio dell’ex articolo 2697 c.c., provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda”.

Quindi, l’eventuale inosservanza del termine di conclusione procedimentale comporterebbe, in termini generali, il risarcimento del danno ingiusto qualora – con dimostrazione del nesso di causalità – questo consegua all’inosservanza colposa o dolosa della P.A.; nonché, laddove previsto, il riconoscimento di un indennizzo, il titolo a ricevere il quale (nelle condizioni previste dalla legge) sorge per il solo fatto del superamento del termine.

 

Conclusioni

La sentenza in oggetto non fa altro che confermare una situazione giuridica ben chiara sin dal 2008, ovvero che non bisogna fare alcuna confusione tra le fattispecie di silenzio della Pubblica Amministrazione in caso di richiesta di rinnovo (comma 8 dell’art. 124 D.Lgs. 152/2006) e le distinte fattispecie di silenzio della Pubblica Amministrazione in caso di prima richiesta di autorizzazione (comma 7 dell’art. 124 D.Lgs. 152/2006). Soltanto per queste ultime vale il principio di inesistenza dell’istituto del silenzio-assenso nella disciplina ambientale, sancito dalla L. 241/90.

 

Note

 

[1] Per approfondimenti, si veda S. MAGLIA, Gestione ambientale. Manuale operativo, Irnerio Editore, 2015, p. 417

[2] Per approfondimenti, si vedano:

– E. MICHETTI, Ritardo della P.A. nella conclusione del procedimento amministrativo: il Consiglio di Stato precisa quando è possibile chiedere il risarcimento del danno o l’indennizzo da ritardo, in www.gazzettaamministrativa.it;

– M.G. FUMAROLA, Ritardi nella conclusione del procedimento amministrativo e responsabilità della P.A., in www.filodritto.com