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Acque di falda contaminate, rifiuti o scarichi? Rassegna di giurisprudenza aggiornata al Consiglio di Stato n. 5868/21
di Miriam Viviana Balossi
Categoria: Acqua
La recente pronuncia del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 5868 del 12 agosto 2021 riporta l’attenzione su un tema molto discusso nel corso degli anni, ovvero quello dell’inquadramento delle acque di falda contaminate e, conseguentemente della loro corretta gestione.
La questione affonda le radici lontano, ancora prima del D.L.vo 22/97 e del D.L.vo 152/99, quando, in assenza di una precisa indicazione normativa, le acque di falda emunte erano sempre considerate quali rifiuti (cfr. Tar Campania, sentenza del 3 maggio 2004, n. 7556).
Allora come oggi, nel corso delle operazioni di bonifica delle falde sotterranee contaminate all’interno dei Siti di Interesse Nazionale (S.I.N.) si ricorre a pozzi di emungimento per estrarre l’acqua e successivamente trattarla, al fine di poterla poi restituire all’ambiente.
Nel corso del tempo, però, l’evoluzione tecnologica ha fatto sentire la mancanza di disposizioni in materia e l’anacronistica classificazione quali rifiuti tout court delle acque emunte.
Si è arrivati così all’emanazione del D.L.vo 152/06, che per la prima volta conteneva una norma dedicata:
Art. 243 Acque di falda
Le acque di falda emunte dalle falde sotterranee, nell’ambito degli interventi di bonifica di un sito, possono essere scaricate, direttamente o dopo essere state utilizzate in cicli produttivi in esercizio nel sito stesso, nel rispetto dei limiti di emissione di acque reflue industriali in acque superficiali di cui al presente decreto.
In deroga a quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 104, ai soli fini della bonifica dell’acquifero, è ammessa la reimmissione, previo trattamento, delle acque sotterranee nella stessa unità geologica da cui le stesse sono state estratte, indicando la tipologia di trattamento, le caratteristiche quali-quantitative delle acque reimmesse, le modalità di reimmissione e le misure di messa in sicurezza della porzione di acquifero interessato dal sistema di estrazione/reimmissione. Le acque reimmesse devono essere state sottoposte ad un trattamento finalizzato alla bonifica dell’acquifero e non devono contenere altre acque di scarico o altre sostanze pericolose diverse, per qualità e quantità, da quelle presenti nelle acque prelevate.
Con l’entrata in vigore di questa nuova disposizione, il giudice amministrativo ne escluse l’applicabilità della disciplina sui rifiuti a favore di quella sugli scarichi idrici.
In tal senso si cita l’ordinanza n. 788 del 7 giugno 2007, in cui il Tar Sicilia (Catania) precisa che “… la prescrizione inerente alla gestione delle acque emunte si basa erroneamente sul presupposto – inammissibile – della qualificazione di queste ultime come rifiuti, dovendosi esse, invece, considerare come acque reflue di provenienza industriale” (conf. Tar Friuli Venezia Giulia, n. 301 del 26 maggio 2008; Tar Calabria, n. 1068 del 23 maggio 2008: Cons. Stato, n. 5256 dell’8 settembre 2009).
Tuttavia, non sono mancate posizioni di diverso avviso: secondo lo stesso Tar Sicilia (Palermo), con la sentenza n. 540 del 20 marzo 2009, l’art. 243 introduce un peculiare regime diversificato per le acque di falda emunte nell’ambito di interventi di bonifica di siti inquinati, di per sé non idoneo tuttavia a parificarne il regime giuridico a quello proprio delle acque reflue, dovendo piuttosto essere individuate quali rifiuti liquidi. O ancora il Tar Lazio (Roma), n. 4214 del 16 maggio 2011, secondo il quale “sembra doversi ritenere che le acque emunte in falda conservino comunque la loro natura di rifiuto speciale, salvo che specifiche ragioni consentano la loro assimilazione alle acque reflue industriali, potendo in tal caso anche le acque emunte in falda beneficiare di un regime giuridico più favorevole”.
Successivamente l’art. 243 è stato poi sostituito dall’art. 41, comma 1 del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni nella L. 9 agosto 2013, n. 98, sicché la versione vigente oggi così dispone:
Art. 243 – (Gestione delle acque sotterranee emunte)
Al fine di impedire e arrestare l’inquinamento delle acque sotterranee nei siti contaminati, oltre ad adottare le necessarie misure di messa in sicurezza e di prevenzione dell’inquinamento delle acque, anche tramite conterminazione idraulica con emungimento e trattamento, devono essere individuate e adottate le migliori tecniche disponibili per eliminare, anche mediante trattamento secondo quanto previsto dall’articolo 242, o isolare le fonti di contaminazione dirette e indirette; in caso di emungimento e trattamento delle acque sotterranee deve essere valutata la possibilità tecnica di utilizzazione delle acque emunte nei cicli produttivi in esercizio nel sito, in conformità alle finalità generali e agli obiettivi di conservazione e risparmio delle risorse idriche stabiliti nella parte terza.
Il ricorso al barrieramento fisico è consentito solo nel caso in cui non sia possibile conseguire altrimenti gli obiettivi di cui al comma 1 secondo le modalità dallo stesso previste.
Ove non si proceda ai sensi dei commi 1 e 2, l’immissione di acque emunte in corpi idrici superficiali o in fognatura deve avvenire previo trattamento depurativo da effettuare presso un apposito impianto di trattamento delle acque di falda o presso gli impianti di trattamento delle acque reflue industriali esistenti e in esercizio in loco, che risultino tecnicamente idonei.
Le acque emunte convogliate tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il punto di prelievo di tali acque con il punto di immissione delle stesse, previo trattamento di depurazione, in corpo ricettore, sono assimilate alle acque reflue industriali che provengono da uno scarico e come tali soggette al regime di cui alla parte terza.
In deroga a quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 104, ai soli fini della bonifica, è ammessa la reimmissione, previo trattamento, delle acque sotterranee nello stesso acquifero da cui sono emunte. A tal fine il progetto di cui all’articolo 242 deve indicare la tipologia di trattamento, le caratteristiche qualitative e quantitative delle acque reimmesse, le modalità di reimmissione e le misure di controllo e monitoraggio della porzione di acquifero interessata; le acque emunte possono essere reimmesse anche mediante reiterati cicli di emungimento, trattamento e reimmissione, e non devono contenere altre acque di scarico né altre sostanze ad eccezione di sostanze necessarie per la bonifica espressamente autorizzate, con particolare riferimento alle quantità utilizzabili e alle modalità d’impiego.
Il trattamento delle acque emunte, da effettuarsi anche in caso di utilizzazione nei cicli produttivi in esercizio nel sito, deve garantire un’effettiva riduzione della massa delle sostanze inquinanti scaricate in corpo ricettore, al fine di evitare il mero trasferimento della contaminazione presente nelle acque sotterranee ai corpi idrici superficiali. Al fine di garantire la tempestività degli interventi di messa in sicurezza di emergenza e di prevenzione, i termini per il rilascio dell’autorizzazione allo scarico sono dimezzati.
Dopo questo intervento normativo, il cui cuore è chiaramente rappresentato dal c. 4, ulteriore giurisprudenza amministrativa si è succeduta negli anni.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5857 del 6 dicembre 2013 ha mutato la sua precedente posizione del 2009, affermando che “è quindi da disattendere l’assunto … tendente ad escludere a priori, ai sensi dell’art. 243 d.lgs. 152/06, la riconduzione delle acque emunte in attività di disinquinamento della falda dal regime proprio dei rifiuti liquidi: al contrario, l’individuazione del regime normativo concretamente applicabile non può non tenere conto della particolare natura dell’oggetto dell’attività posta in essere, siccome individuati dal legislatore quali rifiuti liquidi, come emerge dalla classificazione attraverso i codici CER allegati al decreto”. A tal proposito merita di essere precisato quanto segue: innanzitutto, la collocazione dell’art. 243 nella Parte IV non è certo un criterio interpretativo utile a qualificare la acque emunte quali rifiuti; in secondo luogo, la nozione di rifiuto non dipende affatto dalla presenza di un codice EER; infine, il collegio ha deciso su un ricorso presentato prima della modifica sopraccitata e applicando la vecchia versione dell’art. 243.
Da ultimo, si segnala la nuova sentenza del Consiglio di Stato, n. 5868 del 12 agosto 2021. In questa sede, i giudici hanno respinto il ricorso della società appellante che aveva già impugnato avanti al Tar Campania il provvedimento della Conferenza di Servizi di approvazione di un progetto di bonifica delle acque di falda contaminate da metalli, ma contemporaneamente poneva la condizione che il loro scarico in corpo idrico superficiale dovesse rispettare i più rigidi limiti della Tab. 2, All. 5 alla Parte III del D.L.vo 152/06, anziché quelli meno rigidi di cui alla Tab. 3. Secondo i giudici, l’art. 243 richiede che le acque di falda trattate debbano “rispettare i limiti previsti dalla tabella 3 (meno restrittivi) se sono convogliate al corpo ricettore con un sistema stabile di collegamento senza soluzione di continuità, ovvero privo di interruzioni”. Nel caso in questione, tuttavia, la descrizione progettuale era piuttosto generica e non consentiva di definire il sistema tecnico di canalizzazione utilizzato, né, tantomeno, la tipologia del manufatto di scarico. Stando così le cose, il Consiglio di Stato ha ritenuto che l’Amministrazione abbia legittimamente esercitato la discrezionalità tecnica, giungendo all’applicazione dei criteri più rigorosi, dal momento che “la società non ha fornito elementi progettuali specifici, oggettivamente valutabili e apprezzabili, dai quali inferire l’esistenza di un sistema di canalizzazione continuo, diretto e ininterrotto”. Infatti, la società deve presentare un progetto completo, “non potendo disinteressarsi – essa per prima, essendo suo precipuo interesse – degli aspetti operativi dello stabile collegamento, e del pari non potendo ‘scaricare’ sulla progettazione esecutiva la responsabilità dell’individuazione, a monte, del sistema tecnico più idoneo e rispettoso della normativa di settore”.
In caso contrario, si ammetterebbe la possibilità di valutare positivamente in fase iniziale dei progetti che poi, all’atto pratico della progettazione esecutiva, potrebbero presentare mancanze così gravi da mettere a repentaglio il rispetto della normativa di settore.
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Acque di falda contaminate, rifiuti o scarichi? Rassegna di giurisprudenza aggiornata al Consiglio di Stato n. 5868/21
di Miriam Viviana Balossi
La recente pronuncia del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 5868 del 12 agosto 2021 riporta l’attenzione su un tema molto discusso nel corso degli anni, ovvero quello dell’inquadramento delle acque di falda contaminate e, conseguentemente della loro corretta gestione.
La questione affonda le radici lontano, ancora prima del D.L.vo 22/97 e del D.L.vo 152/99, quando, in assenza di una precisa indicazione normativa, le acque di falda emunte erano sempre considerate quali rifiuti (cfr. Tar Campania, sentenza del 3 maggio 2004, n. 7556).
Allora come oggi, nel corso delle operazioni di bonifica delle falde sotterranee contaminate all’interno dei Siti di Interesse Nazionale (S.I.N.) si ricorre a pozzi di emungimento per estrarre l’acqua e successivamente trattarla, al fine di poterla poi restituire all’ambiente.
Nel corso del tempo, però, l’evoluzione tecnologica ha fatto sentire la mancanza di disposizioni in materia e l’anacronistica classificazione quali rifiuti tout court delle acque emunte.
Si è arrivati così all’emanazione del D.L.vo 152/06, che per la prima volta conteneva una norma dedicata:
Art. 243 Acque di falda
Con l’entrata in vigore di questa nuova disposizione, il giudice amministrativo ne escluse l’applicabilità della disciplina sui rifiuti a favore di quella sugli scarichi idrici.
In tal senso si cita l’ordinanza n. 788 del 7 giugno 2007, in cui il Tar Sicilia (Catania) precisa che “… la prescrizione inerente alla gestione delle acque emunte si basa erroneamente sul presupposto – inammissibile – della qualificazione di queste ultime come rifiuti, dovendosi esse, invece, considerare come acque reflue di provenienza industriale” (conf. Tar Friuli Venezia Giulia, n. 301 del 26 maggio 2008; Tar Calabria, n. 1068 del 23 maggio 2008: Cons. Stato, n. 5256 dell’8 settembre 2009).
Tuttavia, non sono mancate posizioni di diverso avviso: secondo lo stesso Tar Sicilia (Palermo), con la sentenza n. 540 del 20 marzo 2009, l’art. 243 introduce un peculiare regime diversificato per le acque di falda emunte nell’ambito di interventi di bonifica di siti inquinati, di per sé non idoneo tuttavia a parificarne il regime giuridico a quello proprio delle acque reflue, dovendo piuttosto essere individuate quali rifiuti liquidi. O ancora il Tar Lazio (Roma), n. 4214 del 16 maggio 2011, secondo il quale “sembra doversi ritenere che le acque emunte in falda conservino comunque la loro natura di rifiuto speciale, salvo che specifiche ragioni consentano la loro assimilazione alle acque reflue industriali, potendo in tal caso anche le acque emunte in falda beneficiare di un regime giuridico più favorevole”.
Successivamente l’art. 243 è stato poi sostituito dall’art. 41, comma 1 del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni nella L. 9 agosto 2013, n. 98, sicché la versione vigente oggi così dispone:
Art. 243 – (Gestione delle acque sotterranee emunte)
Dopo questo intervento normativo, il cui cuore è chiaramente rappresentato dal c. 4, ulteriore giurisprudenza amministrativa si è succeduta negli anni.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5857 del 6 dicembre 2013 ha mutato la sua precedente posizione del 2009, affermando che “è quindi da disattendere l’assunto … tendente ad escludere a priori, ai sensi dell’art. 243 d.lgs. 152/06, la riconduzione delle acque emunte in attività di disinquinamento della falda dal regime proprio dei rifiuti liquidi: al contrario, l’individuazione del regime normativo concretamente applicabile non può non tenere conto della particolare natura dell’oggetto dell’attività posta in essere, siccome individuati dal legislatore quali rifiuti liquidi, come emerge dalla classificazione attraverso i codici CER allegati al decreto”. A tal proposito merita di essere precisato quanto segue: innanzitutto, la collocazione dell’art. 243 nella Parte IV non è certo un criterio interpretativo utile a qualificare la acque emunte quali rifiuti; in secondo luogo, la nozione di rifiuto non dipende affatto dalla presenza di un codice EER; infine, il collegio ha deciso su un ricorso presentato prima della modifica sopraccitata e applicando la vecchia versione dell’art. 243.
Da ultimo, si segnala la nuova sentenza del Consiglio di Stato, n. 5868 del 12 agosto 2021. In questa sede, i giudici hanno respinto il ricorso della società appellante che aveva già impugnato avanti al Tar Campania il provvedimento della Conferenza di Servizi di approvazione di un progetto di bonifica delle acque di falda contaminate da metalli, ma contemporaneamente poneva la condizione che il loro scarico in corpo idrico superficiale dovesse rispettare i più rigidi limiti della Tab. 2, All. 5 alla Parte III del D.L.vo 152/06, anziché quelli meno rigidi di cui alla Tab. 3. Secondo i giudici, l’art. 243 richiede che le acque di falda trattate debbano “rispettare i limiti previsti dalla tabella 3 (meno restrittivi) se sono convogliate al corpo ricettore con un sistema stabile di collegamento senza soluzione di continuità, ovvero privo di interruzioni”. Nel caso in questione, tuttavia, la descrizione progettuale era piuttosto generica e non consentiva di definire il sistema tecnico di canalizzazione utilizzato, né, tantomeno, la tipologia del manufatto di scarico. Stando così le cose, il Consiglio di Stato ha ritenuto che l’Amministrazione abbia legittimamente esercitato la discrezionalità tecnica, giungendo all’applicazione dei criteri più rigorosi, dal momento che “la società non ha fornito elementi progettuali specifici, oggettivamente valutabili e apprezzabili, dai quali inferire l’esistenza di un sistema di canalizzazione continuo, diretto e ininterrotto”. Infatti, la società deve presentare un progetto completo, “non potendo disinteressarsi – essa per prima, essendo suo precipuo interesse – degli aspetti operativi dello stabile collegamento, e del pari non potendo ‘scaricare’ sulla progettazione esecutiva la responsabilità dell’individuazione, a monte, del sistema tecnico più idoneo e rispettoso della normativa di settore”.
In caso contrario, si ammetterebbe la possibilità di valutare positivamente in fase iniziale dei progetti che poi, all’atto pratico della progettazione esecutiva, potrebbero presentare mancanze così gravi da mettere a repentaglio il rispetto della normativa di settore.
Piacenza, 24 settembre 2021
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