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Affidamento in house servizi ambientali e controllo analogo congiunto

di Maurizio Sante Minichilli

Categoria: Generalità

Con l’entrata in vigore del D.Lgs. 201/2022, in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica e del D.Lgs. 36/2023, cioè del nuovo codice dei Contratti Pubblici, la materia degli affidamenti in house, tra cui quella dei servizi ambientali, ha trovato una rinvigorita legittimazione, con la procedimentalizzazione, alternativa alla gara pubblica, dell’affidamento diretto in favore della partecipata oppure alla gara a doppio oggetto per la costituzione di una società mista.

 

Tale riforma, pur consentendo all’Ente una discrezionalità nelle varie fasi dell’istituzione, della regolazione e della scelta delle modalità di gestione del servizio pubblico essenziale, demarca una precisa necessità di motivazione dettagliata con l’intento di garantire il corretto utilizzo delle risorse pubbliche, unitamente al rispetto dei principi fondamentali di efficacia ed efficienza nell’attività della P.A., in un contesto derogatorio pur rispettoso delle regole comunitarie (e nazionali) su concorrenza e mercato.

 

Com’è noto è stata la CGUE, con la sentenza CE 19.11.1999, causa C-107/98 Teckal c/Comune di Viano, ad enucleare per la prima volta i requisiti del soggetto affidatario in house, successivamente recepiti dalla Direttiva Appalti 2014/24/UE, trasfusa nell’art. 5 D.Lgs. 50/2016 (oggi art. 7 D.Lgs. 36/2023), la quale stabilisce che un appalto od una concessione aggiudicati da un’amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore ad una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato non rientra nell’ambito di applicazione del codice appalti quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

  1. a) l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore esercita sulla persona giuridica di che trattasi un controllo analogo a quello applicato ai propri servizi;
  2. b) oltre l’80% dell’attività della persona giuridica controllata è effettuata nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione o dall’ente aggiudicatore di cui trattasi;
  3. c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di quelle che non comportino controllo o potere di veto previste dalla legislazione nazionale, in conformità ai trattati, e che non esercitino un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.

 

In coerenza con tale previsione, il D.Lgs. 175/2016 (T.U. in materia di società a partecipazione pubblica) fornisce una descrizione dell’istituto in esame all’art. 2/comma 1 lett.ra o) e stabilisce che le società in house possono essere costituite per lo svolgimento delle attività indicate nell’art. 4/comma 4 e ricevere affidamenti diretti di contratti pubblici dalle amministrazioni, secondo quanto disciplinato al successivo art. 16, allorquando vi sia un controllo analogo congiunto degli affidanti, definito sulla base di precisi meccanismi di governance (clausole statutarie in deroga alle disposizioni ex art. 2380-bis e 2409-novies c.c., attribuzione di particolari diritti ex art. 2468 c.c., appositi patti parasociali di durata non superiore a 5 anni in deroga all’art. 2341-bis c.c.), requisiti minimi di fatturato (80%) nello svolgimento dei compiti ad esse affidate dall’ente pubblico o dagli enti pubblici soci.

 

In buona sostanza il controllo analogo consiste in una “influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della società controllata (art. 2/comma 1 D.Lgs. 175/2016)”.

 

L’affidamento diretto ad una società in house è consentito, in particolare, a condizione che vi sia tra socio pubblico controllante e società controllata una relazione, non di terzietà, ma interorganica e non intersoggettiva. Ovvero è necessario che tale relazione intercorra tra soci affidanti e società, non anche tra la società ed altri suoi soci (non affidanti o non ancora affidanti), rispetto ai quali la società sarebbe effettivamente terza (CGUE sent. 6.02.2020 cause C-89/19 e C-91/19).

 

Sin dalla sentenza CGUE Tekal apripista, il Giudice Comunitario ha ammesso che il controllo analogo può essere esercitato in forma congiunta (veggasi sent. 13.11.2008 causa C-324/07 SA) rendendosi necessario dotare i soci di appositi strumenti, stante l’inadeguatezza di quelli vigenti del codice civile, che ne consentano l’interferenza in maniera penetrante nella gestione della società.

 

Tuttavia è d’uopo tenere a mente il divieto introdotto dall’art. 11/comma 9 lett.ra d) D.Lgs. 175/2016 di “istituire organi diversi da quelli previsti dalle norme generali in tema di società”, il quale inibirebbe ai soci di istituire organi speciali per poter esercitare il controllo congiunto.

 

Tale dubbio è stato ampiamente chiarito dalla G.A. (C.d.S. sent. 30.04.2018 n. 2599 e 16.07.2020 n. 8028) la quale ha escluso vi sia un divieto, dal momento che questi è disciplinato nelle società a controllo pubblico, ex art. 11, e non ripetuto nell’art. 16, proprio per le società in house, la cui disciplina appare, pertanto, speciale e derogatoria.

 

Prima di approfondire il tema dei meccanismi (e del relativo funzionamento) di governance, è opportuno precisare che la deroga ai principi di evidenza pubblica, con il ricorso all’in house providing richiede (oggi più che mai), di specificare le ragioni del mancato ricorso al mercato aperto ed i vantaggi che da ciò ne potrebbero derivare, rappresentando l’opzione su piano dei costi e dei benefici per la collettività e l’Amministrazione, a prescindere dalla sottoposizione o meno alla soglia di rilevanza comunitaria nell’affidamento.

 

Tale scelta costituisce una peculiarità del legislatore nazionale, non rinvenendosi una corrispondente nell’omologo comunitario la cui precisazione al punto 5 del considerando Dir. 24/2014/EU è nitida:” nessuna disposizione della direttiva obbliga gli Stati membri ad affidare a terzi o ad esternalizzare la prestazione di servizi che l’Amministrazione desidera prestare essa stessa”.

 

Evidentemente per il legislatore italiano (non a torto) non è indifferente acchè un servizio pubblico essenziale venga efficientemente svolto ricorrendo al mercato e non gestendolo in proprio, costituendo l’outsourcing la regola e l’in-house l’eccezione.

 

In tale prospettiva si colloca anche la ratio dell’art. 5 D.Lgs. 175/2016 la quale pone in capo all’Amministrazione l’onere di motivare in modo analitico la scelta di costituire una società in house o di acquisire partecipazioni in essa, rappresentando la coerenza della decisione in rapporto ai principi di economicità, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa.

 

Nel D.Lgs. 201/2022 rinveniamo i principi e le regole in grado di assicurare l’operatività del sistema nel settore delle società in house. Nello specifico pur legittimando la discrezionalità dell’Ente nelle varie fasi dell’istituzione, della regolazione e della scelta delle modalità di gestione del servizio pubblico, viene riproposta la necessità della motivazione dettagliata della scelta, con l’intento di garantire un più corretto utilizzo delle risorse.

 

Da questo punto di vista la P.A. deve aver chiari e ponderati tutti gli elementi che concorrono a determinare la migliore realizzazione del pubblico interesse attraverso l’attivazione del proprio servizio essenziale.

 

Per gli affidamenti di importo superiore alla soglia di rilevanza comunitaria, il legislatore ha previsto un onere motivazionale aggravato richiedendo che venga dato:” espressamente conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato ai fini di un’efficiente gestione del servizio, illustrando anche sula base degli atti e degli indicatori di cui agli artt. 7,8 e 9 (D.Lgs. 201/2022), i benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, con riguardo agli investimenti, alla qualità del servizio, ai costi dei servizi per gli utenti, all’impatto sulla finanza pubblica, nonché agli obiettivi di universalità, socialità, tutela dell’ambiente ed accessibilità dei servizi, anche in relazione ai risultati conseguiti in eventuali pregresse gestioni in house, tenendo conto dei dati e delle informazioni risultanti dalle verifiche periodiche di cui all’art. 30”.

 

Anche il nuovo codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 36/2023) innova gli affidamenti in house introducendo all’art. 7, in continuità con le soprarichiamate discipline pregresse, il principio di auto-organizzazione della P.A., sulla base del quale questa è libera di decidere se autoprodurre la prestazione, rivolgersi al mercato o, per esempio, cooperare con altre PP.AA. con un partenariato pubblico-privato. Da questo punto di vista il nuovo codice, non ripropone la disciplina di cui all’art. 192 D.Lgs. 50/2016, secondo il presupposto che l’affidamento in house costituisce una deroga ai principi unionali ed a quelli contenuti nelle direttive in materie di appalti di rango comunitario, ma assurge a istituto alternativo (se non preminente visto il nr. di affidamento servizi in essere), la cui legittimazione comunitaria è rinvenibile negli art. 17 direttiva n. 2014/23/UE (aggiudicazione contratti di concessione), art. 12 Direttiva 2014/24 (appalti pubblici) ed art. 28 Direttiva 2014/25/UE (procedure d’appalto degli enti rogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali).

 

Per il D.Lgs. 36/2023, laddove il servizio venga reso a vantaggio della collettività, la motivazione della scelta in house è da ricercare nei maggiori vantaggi conseguibili, in termini non solo di convenienza economica ma anche di migliore funzionalità per la collettività.

 

Ciò detto, per quanto attiene al controllo analogo la CGUE ammette che, al fine di assicurarne il funzionamento, possa essere esercitato in forma congiunta (sent. 13.11.2008 causa C-324/07), ed a tal fine sia necessario dotare i soci di appositi strumenti che ne consentano l’interferenza in maniera penetrante nella gestione della società.

 

La CGUE ha riconosciuto quali validi strumenti per l’esercizio del controllo analogo congiunto, unitamente ai patti parasociali (sent. 29.11.2012 cause C-182-11 e 183-11), organi speciali come i Comitati Unitari ed i Comitati Tecnici (sent. 10.09.2009 causa C-537/07) a condizione che:

 

  1. a) in essi ogni socio pubblico abbia un proprio rappresentante e che le deliberazioni siano assunte con maggioranze formate per unità;
  2. b) che siano previsti poteri di controllo e di gestione tali da restringere l’autonomia decisionale del consiglio di amministrazione imponendo indirizzi e prescrizioni, nonché prevedendo poteri consultivi preventivi.

 

A tal proposito il C.d.S. (Sent. 30.04.2018 n. 2599 e 15.12.2020 n. 8028) ha ritenuto che il Comitato Assembleare, costituito al dichiarato fine di disciplinare la collaborazione tra i soci per l’esercizio del controllo analogo, ove dotato di poteri vincolanti nei confronti del C.d.A., costituisca una rilevante deroga ai meccanismi tipici di funzionamento della società di capitale, in grado di assicurare ai soci pubblici, collettivamente considerati, un’influenza determinante ed un controllo effettivo sulla gestione dell’ente partecipato.

 

Nella giurisprudenza europea (a cui ha fatto eco quella nazionale) il controllo analogo consiste in una forma di eterodirezione della società, tale per cui i poteri di governance non appartengono agli organi amministrativi, ma al socio controllante il quale si impone ai primi con le proprie decisioni (sent. 13.10.2005 causa C-458/03); al contrario della logica societaria tipica del codice civile, ove agli amministratori sono attribuiti poteri (e responsabilità) nella gestione dell’impresa sociale, finalizzati al perseguimento dell’oggetto sociale, in modo autonomo rispetto alla proprietà alla quale, tramite assemblea dei soci, è riservato unicamente il controllo sull’operato degli amministratori (salvo decisioni che comportino modifica sostanziale dell’oggetto sociale).

 

La società in house, in quanto sottoposta a controllo analogo, viaggia su regole e procedure diverse da quelle delle società di capitali di diritto comune. Ed invero l’art. 16/comma 2 lett.ra a) D.Lgs. 175 consente loro di derogare alle disposizioni dell’art. 2380-bis c.c., relative ai poteri degli amministratori nel sistema societario ordinario, e dell’art. 2409-nonies c.c., che disciplina i medesimi poteri in caso di sistema dualistico (ov’è presente un consiglio di gestione ed uno di sorveglianza), e va intesa quale deroga all’ordinario sistema di gestione della società per azioni incentrata sul rapporto tra consiglio di amministrazione/assemblea sociale.

 

Nel caso di in house pluripartecipata (e, dunque, dell’autonomia privata dei soci partecipanti) lo Statuto può assegnare il potere gestorio ad organi assembleari diversi dal consiglio di amministrazione configurando, così, un peculiare sistema di amministrazione e controllo della società in house, nel quale gli amministratori sono privi di poteri decisionali propri, che derivano, invece, da altri organi della società, o che, comunque, non esercitano in piena autonomia rispetto ad essi.

 

A tal fine per avere condivisione (soprattutto allorquando vi sono partecipazioni cd. pulviscolari di enti locali) è, allora, necessaria la presenza di un organo all’interno del quale la volontà comune possa avere forma vincolante per gli organi amministrativi e che non sia l’assemblea dei soci, per la prevalenza che i soci di maggioranza vi esercitano secondo le ordinarie regole deliberative (principio di maggioranza azionaria) e per la predominanza, nelle deliberazioni ivi assunte, dell’interesse al risultato economico della società.

 

Tale può essere un organo assembleare speciale, quale il Comitato unitario per il controllo analogo e/o i Comitati tecnici di controllo per ciascuna Divisione.

 

Può altresì verificarsi la possibilità che una società in house sia partecipata contestualmente da soci pubblici affidanti il servizio di interesse generale e soci pubblici non affidanti e che, dunque, all’interno del suo statuto siano distinte due categorie di soci pubblici, i soci affidanti e i soci non affidanti con il riconoscimento solamente ai primi di strumenti per l’esercizio del controllo analogo. Secondo l’indirizzo giurisprudenziale della CGUE (sent. 6.02.2020 cause C-89/19 e C-91/19) nulla osta acchè vi siano soci pubblici con detenzione priva di poteri di controllo, fermo restando che, detti poteri dovranno essere acquisiti per poter effettuare l’affidamento diretto.

 

Altresì i patti parasociali, cui i Comuni affidanti possono aderire, vanno a costituire un valido strumento di esercizio del controllo analogo per la possibilità di coordinamento e raccordo tra le diverse posizioni dei soci aderenti e di orientamento delle decisioni assembleari.

Nello specifico settore dei servizi ambientali (ormai pacificamente ricompreso tra quelli pubblici locali di rilevanza economica), il tratto peculiare concerne il sistema di tariffazione (sulla base dei criteri MTR-ARERA) applicato dall’Ente Locale all’utenza destinataria, ed il cui introito (defalcati gli oneri di gestione indiretta) va a costituire il corrispettivo erogato alla partecipata in house.

 

Ordunque, a mio sommesso avviso, i vari corollari che contraddistinguono le ragioni per affidare il servizio integrato nella gestione rifiuti non ad operatore individuato con procedura di evidenza pubblica ma direttamente ad soggetto pubblico eterodiretto (qualità, economicità, efficienza, efficacia del servizio ex art. 14/comma 2 D.Lgs. 201/2022) non tengono conto di una latente antinomia tra l’interesse dell’affidante e quello dell’affidatario; mi spiego, la Stazione Appaltante nell’esigere le migliori prestazioni possibili dall’affidatario, persegue, fra gli altri, l’interesse legittimo alla possibile compressione dei costi (per quanto oggi glielo consenta la disciplina ARERA con le varie MTR succedutesi), il cui riflesso è dato da una tariffa il più possibile contenuta per un utenza che, oltre ad usufruire del servizio, costituisce in gran parte elettorato attivo nei cui confronti gli stessi amministratori decidono annualmente le tariffe da applicare.

 

Siamo certi che l’Ente Locale imponga alla sua propagine partecipata una remunerazione del servizio che copra non solo i costi riferiti alle attività svolte (raccolta, spazzamento, smaltimento/recupero r.s.u. e prestazioni accessorie), ma anche le spese fisse (pro quota) non contraibili, gli ammortamenti (ad esempio dei beni strumentali), ed in ultimo gli investimenti impiantistici (ove realizzati)? Vi è garanzia che le logiche di organizzazione del personale, di allocazione delle risorse di efficiente gestione degli smaltimenti/recupero r.s.u. (ivi inclusi gli impianti minimi) siano impermeabili a contaminazioni più care alla pubblica amministrazione che all’efficienza aziendale ?

 

In buona sostanza, ad avviso dello scrivente, non vi è alcun automatismo nè coincidenza tra l’interesse pubblico perseguito dell’Ente affidatario e quello del gestore in house di perseguire (sempre e comunque) l’equilibrio non solo economico nella propria struttura costi-ricavi ma altresì quello finanziario (allorquando, non di rado, i suoi flussi di cassa sono di gran lunga deficitari a causa delle dinamiche contabili e gestionali dell’Ente controllante).

 

Si pensi ad esempio alle svariate società in house che nel corso degli anni hanno praticato ai propri soci tariffe assolutamente fuori mercato, comprimendo (se non disapplicando) ammortamenti e costi postumi di smaltimento, quali ad esempio le gestioni post-chiusura degli smaltimenti in D1 in discariche di proprietà del gestore (se può essere di qualche conforto non è una prerogativa solo italiana, basti pensare alle note vicende dell’inceneritore di Amsterdam, di proprietà e gestito dalla AEB società pubblica interamente partecipata dal Comune stesso, il cui forte indebitamento, determinato da ridotte tariffe di smaltimento r.s.u., insufficienti investimenti impiantistici, problemi organizzativi e gestionali, ha costretto l’Ente ad avviare un processo di dismissione integrale, attualmente in atto).

 

Tanto più che il meccanismo di controllo analogo congiunto, secondo quanto disciplinato dal legislatore unionale e nazionale, rafforzato dalla corrispondente giurisprudenza, legittima il funzionamento di organi societari paralleli con potere di veto e controllo, esercitabili anche dal socio cd. “pulviscolare”, quale presupposto per l’affidamento diretto, non di rado contraddistinti dal beneficio dell’Ente a detrimento del gestore in house.

 

L’evidenza, per quanto nella mia parziale conoscenza, di un non isolato panorama nelle società in house in crisi economico-finanziaria, rende opportuna (se non necessaria) una puntuale mappatura sull’intero territorio nazionale dello stato di salute di tali soggetti (quantomeno riferiti al settore ambientale), al fine di potersi sincerare se questo sistema di scelta del soggetto controllato a cui affidare direttamente il proprio servizio, ancora costituisce una valida alternativa al mercato ed alle sue regole di concorrenza e competitività.

 

Del resto il mercato dei servizi ambientali è in fase di profonda evoluzione sia per gli obiettivi fortemente stringenti disegnati dal legislatore comunitario nella riduzione degli smaltimenti a vantaggio dell’effettivo recupero, sia per le dinamiche fortemente competitive (a livello nazionale ed UE) sui corrispettivi per i rifiuti speciali gestiti dai consorzi di filiera; ciò determinerà inevitabilmente sempre maggiori processi di concentrazione tra primari operatori leader nel settore, in una logica di efficiente competizione nell’acquisizione ed erogazione del servizio, rendendo in prospettiva ancor più anacronistica la persistenza di quelle (locali) società pubbliche fortemente indebitate ed arroccate al beneficio della privativa, incapaci di adattarsi ad un cambiamento che comunque, inevitabilmente, arriverà travolgendole e portandosi dietro (in un modo o nell’altro), i propri shareholders.

 

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