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Ancora sulle acque meteoriche di dilavamento: commento a Cass. Pen. 2832/2015
di Miriam Viviana Balossi
Categoria: Acqua
Le acque meteoriche, che siano venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non sono suscettibili di essere incluse nella categoria delle acque meteoriche di dilavamento. Questo è il principio di diritto che si ricava dalla recente pronuncia della Corte di Cassazione, sez. III penale, n. 2832 del 22 gennaio 2015 (pres. Mannino, est. Orilia), la quale ha peraltro ricordato che le acque meteoriche di dilavamento sono esclusivamente costituite dalle acque piovane che, depositandosi su un suolo impermeabilizzato, dilavano le superfici e non subiscono contaminazioni di sorta con altre sostanze o materiali inquinanti. La fattispecie di cui alla pronuncia prende le mosse dalla condanna da parte del Tribunale penale di primo grado exart. 137, c. 1, D.L.vo 152/06 a carico del titolare di un distributore di carburante per aver effettuato uno scarico di reflui industriali senza la prescritta autorizzazione, con dispersione nel suolo delle acque contaminate da idrocarburi. Il cuore della sentenza è costituito dal concetto di scarico di reflui industriali ed in particolare dall’incidenza delle acque meteoriche che raccolgono sostanze inquinanti provenienti da insediamenti industriali o commerciali. In precedenza, Cass. III Pen. n. 2867 del 22 gennaio 2014 (pres. Teresi, est. Franco) aveva già sottolineato come “nel D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, si fa cenno alle «acque meteoriche di dilavamento» nella Sezione II, Parte III, che è dedicata alla «Tutela, delle acque dall’inquinamento», ma non si fornisce una specifica definizione delle stesse che indirettamente, e in negativo, viene data nell’art. 74. In tale disposizione, dedicata alle definizioni, «le acque meteoriche di dilavamento» non sono definite in modo diretto nel loro contenuto, ma citate nella definizione di un’altra tipologia di acque, e cioè dei reflui industriali (lett. h), allo scopo di delimitarne in negativo il significato”. Ed infatti, l’art. 74, c. 1, lett. h), così dispone: “acque reflue industriali: qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento”. È d’obbligo rammentare che questa formulazione è quella risultante dalla modifica operata dal D.L.vo 4/08, la quale ha escluso il riferimento qualitativo alla tipologia delle acque: infatti, il previgente testo dell’art. 74, lett. h), così recava: “acque reflue industriali: qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalla acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento”. È evidente che l’originaria definizione (ovvero quella ante D.L.vo 4/08) escludeva dalle acque reflue industriali quelle meteoriche di dilavamento, ma precisava che dovevano intendersi per tali anche quelle contaminate da sostanze o materiali “non connessi” con quelli impiegati nello stabilimento: si riteneva, perciò, che quando le acque meteoriche fossero, invece, contaminate da sostanze impiegate nello stabilimento, non dovessero più essere considerate come “acque meteoriche di dilavamento”, con la conseguenza che dovevano essere considerate reflui industriali. Chi scrive concorda con quanto statuito nella pronuncia in commento, laddove si sottolinea come l’eliminazione dell’inciso sia frutto di una precisa scelta del Legislatore e stia ad indicare proprio l’intenzione di escludere qualunque assimilazione di acque contaminate con quelle meteoriche di dilavamento. L’eliminazione dell’inciso, in altre parole, ha ristretto il concetto di “acque meteoriche di dilavamento” in un’ottica di maggior rigore, nel senso di operare una secca distinzione tra la predetta categoria di acque e quelle reflue industriali o quelle reflue domestiche. Una simile considerazione era stata svolta dalla giurisprudenza già nel primo vigore del D.L.vo 152/026: infatti, Cass. III Pen. n. 40191 del 30 ottobre 2007 (pres. Papa, est. Petti) si era ampiamente soffermata sul fatto che “le acque meteoriche di dilavamento, pur essendo riconducibili ad un fenomeno naturale, possono comunque essere interessate dall’attività antropica in modo importante ed interagire con l’ambiente in modo pesantemente negativo; le stesse, infatti, in relazione al luogo dove si riversano e alle modalità con cui vengono raccolte, trasportano spesso sostanze inquinanti nei corpi recettori”, per concludere che “quando queste vengono in qualsiasi modo convogliate nella rete fognaria, si mischiano con le acque reflue domestiche e/o industriali” e, pur non essendo definite né disciplinate, “stante il possibile impatto sull’ambiente quando esse interagivano con altri reflui o con contaminanti derivanti dall’attività antropica, la giurisprudenza aveva avuto modo di occuparsene in più riprese, inquadrandole come “scarico” e stabilendone talora la sottoposizione al regime, anche penale, degli scarichi industriali”. Quindi, già all’epoca la giurisprudenza era concorde nel ritenere che “le acque meteoriche e di dilavamento (si considerano acque di dilavamento solo quelle meteoriche che cadono su superfici impermeabili essendo queste le uniche che possono essere dilavate), non erano in se stesse considerate “scarico” … Tuttavia, se un’acqua meteorica andava a “lavare”, anche se in modo non preordinato e sistematico (quindi discontinuo), un’area soggetta ad attività produttiva anche passiva, e trasportava con sé elementi residuali di tale attività, cessava la natura pura e semplice di acqua meteorica e l’acqua diventava in qualche modo uno scarico vero e proprio e quindi era assoggettato naturalmente alla disciplina degli “scarichi” con la conseguente necessità dell’autorizzazione. In tal caso, infatti, l’acqua perdeva la caratteristica unica ed esclusiva di acqua meteorica ed andava a fondersi con gli elementi reflui (sistematici o episodici) dell’azienda, fungendo da vettore improprio per la convogliabilità diretta verso il corpo ricettore”. Peraltro, non si trascuri un ulteriore passaggio giuridico, in realtà una mera ipotesi che necessita di un riscontro oggettivo: “potrebbe essere configurabile un eventuale abbandono di rifiuti liquidi qualora dovesse emergere che le acque meteoriche di dilavamento mescolandosi con il carburante producevano rifiuti liquidi, dei quali la ditta intendeva disfarsi, riconducibili all’attività svolta su quel piazzale dalla società” (così Cass. III Pen. n. 40191/07). A ben guardare, ancora prima dell’entrata in vigore del D.L.vo 152/06 la giurisprudenza della S.C. si era espressa nel senso che “escludere però le immissioni effettuate senza un sistema stabile di deflusso dal concetto di scarico non significa che qualsiasi immissione diversa da quella effettuata per mezzo di uno scarico … debba considerarsi lecita. Le acque meteoriche o quelle di lavaggio venendo in contatto con materie inquinanti possono dal luogo a veri e propri rifiuti liquidi” (letteralmente Cass. III Pen. n. 34377 del 27 settembre 2005, pres. Zumbo, est. Petti). Ancora, ed in aggiunta a quanto sopra, si potrebbe riflettere sull’eventuale configurabilità del reato di cui all’art. 674 Cod. Pen. (getto pericoloso di cose), qualora la contaminazione delle acque da parte dei residui trascinati durante il passaggio delle acque stesse abbiano attitudine a molestare od offendere le persone. A tal fine, però, deve sussistere la “prova della idoneità in concreto dell’acqua mista ai residui di molestare o offendere le persone” ovvero la “prova sulla sussistenza degli elementi costitutivi del reato in questione e di qualsiasi lesione del bene giuridico tutelato dall’art. 674 cod. pen., che è rappresentato dalla pubblica incolumità” (così Cass. III Pen. n. 2867/14). In conclusione sull’argomento, Cass. III Pen. n. 2832/15 ribadisce che le acque meteoriche di dilavamento sono costituite dalle acque piovane che, depositandosi su un suolo impermeabilizzato, dilavano le superfici ed attingono indirettamente i corpi, di conseguenza, per “acque meteoriche di dilavamento” si intendono solo quelle acque che cadendo al suolo per effetto di precipitazioni atmosferiche non subiscono contaminazioni di sorta con altre sostanze o materiali inquinanti. Inoltre, una tale impostazione esclude logicamente ogni interferenza con la competenza regionale fissata dall’art. 113 D. L.vo 152/2006, perché essa ha ad oggetto, per espresso dettato normativo, le acque meteoriche di dilavamento, le acque di prima pioggia e le acque di lavaggio di aree esterne. A quest’ultimo proposito si rammenta che il suddetto art. 113 prevede, al c. 1, che le regioni, ai fini della prevenzione di rischi idraulici ed ambientali, stabiliscano e disciplinino: a) le forme di controllo degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie separate (cioè adibite a raccogliere esclusivamente acque meteoriche); b) i casi in cui può essere richiesto che le immissioni delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate tramite altre condotte separate (diverse dalle reti fognarie separate) siano sottoposte a particolari prescrizioni, ivi compresa l’eventuale autorizzazione. Questi sono gli unici casi in cui le acque meteoriche sono soggette al D.L.vo 152/06: infatti, il successivo c. 2 prevede che fuori di dette ipotesi “le acque meteoriche non sono soggette a vincoli o prescrizioni derivanti dalla parte terza del presente decreto” (e quindi, ove non siano commiste ad altri reflui prodotti dall’attività antropica, non costituiscono uno “scarico” soggetto alla disciplina del D.L.vo 152/06).
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Ancora sulle acque meteoriche di dilavamento: commento a Cass. Pen. 2832/2015
di Miriam Viviana Balossi
Le acque meteoriche, che siano venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non sono suscettibili di essere incluse nella categoria delle acque meteoriche di dilavamento.
Questo è il principio di diritto che si ricava dalla recente pronuncia della Corte di Cassazione, sez. III penale, n. 2832 del 22 gennaio 2015 (pres. Mannino, est. Orilia), la quale ha peraltro ricordato che le acque meteoriche di dilavamento sono esclusivamente costituite dalle acque piovane che, depositandosi su un suolo impermeabilizzato, dilavano le superfici e non subiscono contaminazioni di sorta con altre sostanze o materiali inquinanti.
La fattispecie di cui alla pronuncia prende le mosse dalla condanna da parte del Tribunale penale di primo grado exart. 137, c. 1, D.L.vo 152/06 a carico del titolare di un distributore di carburante per aver effettuato uno scarico di reflui industriali senza la prescritta autorizzazione, con dispersione nel suolo delle acque contaminate da idrocarburi. Il cuore della sentenza è costituito dal concetto di scarico di reflui industriali ed in particolare dall’incidenza delle acque meteoriche che raccolgono sostanze inquinanti provenienti da insediamenti industriali o commerciali.
In precedenza, Cass. III Pen. n. 2867 del 22 gennaio 2014 (pres. Teresi, est. Franco) aveva già sottolineato come “nel D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, si fa cenno alle «acque meteoriche di dilavamento» nella Sezione II, Parte III, che è dedicata alla «Tutela, delle acque dall’inquinamento», ma non si fornisce una specifica definizione delle stesse che indirettamente, e in negativo, viene data nell’art. 74. In tale disposizione, dedicata alle definizioni, «le acque meteoriche di dilavamento» non sono definite in modo diretto nel loro contenuto, ma citate nella definizione di un’altra tipologia di acque, e cioè dei reflui industriali (lett. h), allo scopo di delimitarne in negativo il significato”.
Ed infatti, l’art. 74, c. 1, lett. h), così dispone: “acque reflue industriali: qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento”.
È d’obbligo rammentare che questa formulazione è quella risultante dalla modifica operata dal D.L.vo 4/08, la quale ha escluso il riferimento qualitativo alla tipologia delle acque: infatti, il previgente testo dell’art. 74, lett. h), così recava: “acque reflue industriali: qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalla acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento”.
È evidente che l’originaria definizione (ovvero quella ante D.L.vo 4/08) escludeva dalle acque reflue industriali quelle meteoriche di dilavamento, ma precisava che dovevano intendersi per tali anche quelle contaminate da sostanze o materiali “non connessi” con quelli impiegati nello stabilimento: si riteneva, perciò, che quando le acque meteoriche fossero, invece, contaminate da sostanze impiegate nello stabilimento, non dovessero più essere considerate come “acque meteoriche di dilavamento”, con la conseguenza che dovevano essere considerate reflui industriali.
Chi scrive concorda con quanto statuito nella pronuncia in commento, laddove si sottolinea come l’eliminazione dell’inciso sia frutto di una precisa scelta del Legislatore e stia ad indicare proprio l’intenzione di escludere qualunque assimilazione di acque contaminate con quelle meteoriche di dilavamento. L’eliminazione dell’inciso, in altre parole, ha ristretto il concetto di “acque meteoriche di dilavamento” in un’ottica di maggior rigore, nel senso di operare una secca distinzione tra la predetta categoria di acque e quelle reflue industriali o quelle reflue domestiche.
Una simile considerazione era stata svolta dalla giurisprudenza già nel primo vigore del D.L.vo 152/026: infatti, Cass. III Pen. n. 40191 del 30 ottobre 2007 (pres. Papa, est. Petti) si era ampiamente soffermata sul fatto che “le acque meteoriche di dilavamento, pur essendo riconducibili ad un fenomeno naturale, possono comunque essere interessate dall’attività antropica in modo importante ed interagire con l’ambiente in modo pesantemente negativo; le stesse, infatti, in relazione al luogo dove si riversano e alle modalità con cui vengono raccolte, trasportano spesso sostanze inquinanti nei corpi recettori”, per concludere che “quando queste vengono in qualsiasi modo convogliate nella rete fognaria, si mischiano con le acque reflue domestiche e/o industriali” e, pur non essendo definite né disciplinate, “stante il possibile impatto sull’ambiente quando esse interagivano con altri reflui o con contaminanti derivanti dall’attività antropica, la giurisprudenza aveva avuto modo di occuparsene in più riprese, inquadrandole come “scarico” e stabilendone talora la sottoposizione al regime, anche penale, degli scarichi industriali”. Quindi, già all’epoca la giurisprudenza era concorde nel ritenere che “le acque meteoriche e di dilavamento (si considerano acque di dilavamento solo quelle meteoriche che cadono su superfici impermeabili essendo queste le uniche che possono essere dilavate), non erano in se stesse considerate “scarico” … Tuttavia, se un’acqua meteorica andava a “lavare”, anche se in modo non preordinato e sistematico (quindi discontinuo), un’area soggetta ad attività produttiva anche passiva, e trasportava con sé elementi residuali di tale attività, cessava la natura pura e semplice di acqua meteorica e l’acqua diventava in qualche modo uno scarico vero e proprio e quindi era assoggettato naturalmente alla disciplina degli “scarichi” con la conseguente necessità dell’autorizzazione. In tal caso, infatti, l’acqua perdeva la caratteristica unica ed esclusiva di acqua meteorica ed andava a fondersi con gli elementi reflui (sistematici o episodici) dell’azienda, fungendo da vettore improprio per la convogliabilità diretta verso il corpo ricettore”.
Peraltro, non si trascuri un ulteriore passaggio giuridico, in realtà una mera ipotesi che necessita di un riscontro oggettivo: “potrebbe essere configurabile un eventuale abbandono di rifiuti liquidi qualora dovesse emergere che le acque meteoriche di dilavamento mescolandosi con il carburante producevano rifiuti liquidi, dei quali la ditta intendeva disfarsi, riconducibili all’attività svolta su quel piazzale dalla società” (così Cass. III Pen. n. 40191/07). A ben guardare, ancora prima dell’entrata in vigore del D.L.vo 152/06 la giurisprudenza della S.C. si era espressa nel senso che “escludere però le immissioni effettuate senza un sistema stabile di deflusso dal concetto di scarico non significa che qualsiasi immissione diversa da quella effettuata per mezzo di uno scarico … debba considerarsi lecita. Le acque meteoriche o quelle di lavaggio venendo in contatto con materie inquinanti possono dal luogo a veri e propri rifiuti liquidi” (letteralmente Cass. III Pen. n. 34377 del 27 settembre 2005, pres. Zumbo, est. Petti).
Ancora, ed in aggiunta a quanto sopra, si potrebbe riflettere sull’eventuale configurabilità del reato di cui all’art. 674 Cod. Pen. (getto pericoloso di cose), qualora la contaminazione delle acque da parte dei residui trascinati durante il passaggio delle acque stesse abbiano attitudine a molestare od offendere le persone. A tal fine, però, deve sussistere la “prova della idoneità in concreto dell’acqua mista ai residui di molestare o offendere le persone” ovvero la “prova sulla sussistenza degli elementi costitutivi del reato in questione e di qualsiasi lesione del bene giuridico tutelato dall’art. 674 cod. pen., che è rappresentato dalla pubblica incolumità” (così Cass. III Pen. n. 2867/14).
In conclusione sull’argomento, Cass. III Pen. n. 2832/15 ribadisce che le acque meteoriche di dilavamento sono costituite dalle acque piovane che, depositandosi su un suolo impermeabilizzato, dilavano le superfici ed attingono indirettamente i corpi, di conseguenza, per “acque meteoriche di dilavamento” si intendono solo quelle acque che cadendo al suolo per effetto di precipitazioni atmosferiche non subiscono contaminazioni di sorta con altre sostanze o materiali inquinanti. Inoltre, una tale impostazione esclude logicamente ogni interferenza con la competenza regionale fissata dall’art. 113 D. L.vo 152/2006, perché essa ha ad oggetto, per espresso dettato normativo, le acque meteoriche di dilavamento, le acque di prima pioggia e le acque di lavaggio di aree esterne. A quest’ultimo proposito si rammenta che il suddetto art. 113 prevede, al c. 1, che le regioni, ai fini della prevenzione di rischi idraulici ed ambientali, stabiliscano e disciplinino: a) le forme di controllo degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie separate (cioè adibite a raccogliere esclusivamente acque meteoriche); b) i casi in cui può essere richiesto che le immissioni delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate tramite altre condotte separate (diverse dalle reti fognarie separate) siano sottoposte a particolari prescrizioni, ivi compresa l’eventuale autorizzazione. Questi sono gli unici casi in cui le acque meteoriche sono soggette al D.L.vo 152/06: infatti, il successivo c. 2 prevede che fuori di dette ipotesi “le acque meteoriche non sono soggette a vincoli o prescrizioni derivanti dalla parte terza del presente decreto” (e quindi, ove non siano commiste ad altri reflui prodotti dall’attività antropica, non costituiscono uno “scarico” soggetto alla disciplina del D.L.vo 152/06).
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