Top

Preveniamo rischi Risolviamo problemi Formiamo competenze

"Mi occupo di diritto ambientale da oltre trent’anni
TuttoAmbiente è la guida più autorevole per la formazione e la consulenza ambientale
Conta su di noi"
Stefano Maglia

Campionamento ed analisi per la classificazione rifiuti pericolosi (codici a specchio) tra giurisprudenza nazionale e comunitaria

di Maurizio Sante Minichilli

Categoria: Rifiuti

Nell’ambito della attività di gestione organizzata per il trattamento, recupero e smaltimento di rifiuti, tema rilevante è costituito dal campionamento ed analisi ai fini dekla classificazione di quelle tipologie di rifiuti le cui voci, cd. a specchio, impongono al produttore di operare con metodiche e procedure cautelative non solo in ottemperanza al principio di precauzione ma anche a tutela della propria integrità aziendale rispetto ad eventuali gravami giudiziari penali, in alcuni casi “oltremodo” perniciosi, per lo stesso patrimonio ed avviamento.

Le disposizioni in materia, contenute nel D.Lgs. 03.04.2006 n. 152, precisamente nell’art. 184, il quale disciplina la classificazione dei rifiuti distinguendoli, in base all’origine, in rifiuti urbani e speciali, a sua volta suddistinti, in base alle loro caratteristiche, in rifiuti pericolosi e non pericolosi, hanno subito negli anni diverse modifiche.

In principio esso contemplava, al comma 4, l’istituzione, da effettuarsi con D.M., di un elenco dei rifiuti in conformità all’art. 1/c. 1 lett.ra a) della direttiva 75/442/CE ed all’art. 1/par. 4 della direttiva 91/689/CE di cui alla Decisione della Commissione 2000/532/CE del 3.05.2000 stabilendo che, fino all’emanazione di tale decreto, continuassero ad applicarsi le disposizioni di cui alla direttiva D.M. MATT (oggi MI.TE) del 9.04.2006, come riportato nell’allegato D alla parte IV dello stesso D.Lgs. 152/2006.

Classificava, inoltre, come pericolosi i rifiuti non domestici indicati espressamente come tali, con apposito asterisco, nell’elenco di cui all’allegato D alla parte IV del D.Lgs. 152/2006 sulla base degli allegati G, H ed I della stessa parte quarta.

 

 

Con l’entrata in vigore del D.Lgs. 03.12.2010 n. 205 recante:”Disposizioni di attuazione della direttiva 2008/98/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19.11.2008 relativa ai rifiuti che abroga alcune direttive” i commi 4 e 5 dell’art. 184 venivano modificati individuando i rifiuti pericolosi come quelli recanti le caratteristiche di cui all’allegato I della parte IV D.Lgs. 152/2006 e chiarendo che l’elenco dei rifiuti di cui all’allegato D alla parte IV del medesimo decreto includeva i rifiuti pericolosi tenendo conto dell’origine e della composizione dei rifiuti e, ove necessario, dei valori limiti di concentrazione delle sostanze pericolose precisando, altresì, che esso era vincolante per quanto concerne la determinazione dei rifiuti da considerare pericolosi e che l’inclusione di una sostanza o di un oggetto nell’elenco non significava che esso fosse un rifiuto in tutti i casi, ferma restando la definizione di cui all’art. 183.

Detta norma demandava ad un D.M. MATT l’adozione di specifiche linee guida per facilitare l’applicazione della classificazione dei rifiuti introdotta agli allegati D ed I.

Seguiva il D.L. 28.12.2012 n. 2, convertito in L. 24.03.2012 n. 28, nel quale veniva aggiornato il punto 5 dell’allegato D del TUA con il seguente testo:”Se un rifiuto è identificato come pericoloso mediante riferimento specifico o generico a sostanze pericolose, esso è classificato come pericoloso solo se le sostanze raggiungono determinate concentrazioni (ad es, percentuale in peso), tali da conferire al rifiuto in questione una o più delle proprietà di cui all’allegato I. Per le caratteristiche da H3 ad H8, H10 e H11, di cui all’allegato I, si applica quanto previsto al punto 3.4 del presente allegato. Per le caratteristiche H1, H2, H9, H12, H13 ed H14 di cui all’allegato I, la Decisione 2000/532/CE non prevede al momento alcuna specifica. Nelle more dell’adozione da parte del MATT di uno specifico decreto che stabilisca la procedura tecnica per l’attribuzione della caratteristica H14, sentito il parere dell’ISPRA, essa viene attribuita ai rifiuti secondo le modalità dell’accordo ADR per la classe 9 – M6 ed M7 -.”

Si succedeva la L. 11.08.2014 n. 116, di conversione del D.L. 24.06.2014 n. 91, la quale all’art. 13/c. 5 lett.ra b-bis introduceva un’ulteriore modifica dell’allegato D, alle premesse:”

  1. La classificazione dei rifiuti è effettuata dal produttore assegnando ad essi il competente CER, applicando le disposizioni contenute nella decisione 2000/532/CE.
  2. Se un rifiuto è classificato con codice CER pericoloso “assoluto”, esso è pericoloso senza alcuna ulteriore specificazione. Le proprietà di pericolo, definite da H1 ad H15, possedute dal rifiuto, devono essere determinate al fine di procedere alla sua gestione.
  3. Se un rifiuto è classificato con CER non pericoloso “assoluto” esso e non pericoloso senza ulteriore specificazione.
  4. Se un rifiuto è classificato con codici CER speculari, uno pericoloso ed uno non pericoloso, per stabilire se è pericoloso o non pericoloso debbono essere determinate le proprietà di pericolo che esso possiede. Le indagini da svolgere per determinare le proprietà di pericolo che un rifiuto possiede sono le seguenti: a) individuare i composti presenti nel rifiuto attraverso: la scheda informativa del produttore; la conoscenza del processo chimico; il campionamento e l’analisi del rifiuto; b) determinare i pericoli connessi a tali composti attraverso: la normativa europea sulla etichettature delle sostanze e dei preparati pericolosi; le fonti informative europee ed internazionali; la scheda di sicurezza dei prodotti da cui deriva il rifiuto; c) stabilire se le concentrazioni dei composti contenuti comportino che il rifiuto presenti delle caratteristiche di pericolo mediante comparazione delle concentrazioni rilevate all’analisi chimica, con il limite soglia per le frasi di rischio specifiche dei componenti, ovvero effettuazione dei test per verificare se il rifiuto ha determinate proprietà di pericolo.
  5. Se i componenti di un rifiuto sono rilevati dalle analisi chimiche solo in modo aspecifico, e non sono perciò noti i composti specifici che lo costituiscono, per individuare le caratteristiche di pericolo del rifiuto devono essere presi come riferimento i composti peggiori, in applicazione del principio di precauzione.
  6. Quando le sostanze presenti in un rifiuto non sono note o non sono determinate con le modalità stabilite nei commi precedenti, ovvero le caratteristiche di pericolo non possono essere determinate, il rifiuto si classifica come pericoloso.
  7. La classificazione in ogni caso avviene prima che il rifiuto sia allontanato dal luogo di produzione”.

 

 

Seguiva il D.L. 20.06.2017 n. 91, convertito in L. 03.08.2017 n. 123, il quale all’art. 9/c. 1 disponeva che i nr. da 1 a 7 della premessa all’introduzione dell’allegato D alla parte IV del D.Lgs. 03.04.2006 n. 152 fossero sostituiti dal seguente testo:” 1. La classificazione dei rifiuti è effettuata dal produttore assegnando ad essi il competente codice CER ed applicando le disposizioni contenute nella decisione 2014/955/UE e nel regolamento Commissione (UE) n. 1357/2014 del 18.12.2014”.

Ultimo aggiornamento si rinviene nel D.Lgs. 03.09.2020 n. 116 (Attuazione della direttiva (UE) 2018/851 che modifica la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti e attuazione della direttiva (UE) 2018/852 che modifica la direttiva 1994/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio) il quale all’art. 9 ha riscritto interamente, sostituendolo con il previgente, allegato D alla parte IV del D.Lgs. 152/2006, cui si rimanda la disamina.

Merita una breve rappresentazione quelle che sono state, al di là delle pronunce giurisprudenziali succedutesi, le due posizioni dottrinali contrapposte, espresse nel corso degli anni prima dell’entrata in vigore della L. 116/2014, di cui la prima riteneva occorrente che, nel caso di codici speculari, la pericolosità andasse accertata mediante analisi (ed aggiungo campionamenti) appropriati, mentre l’altro indirizzo reputava tale pericolosità presunta, salvo la possibilità di escluderla mediante indagini dimostrative dell’assenza di pericolo (tesi successivamente definite, in più consessi, la prima come “della probabilità” e la seconda “della certezza”), la prima ispiratasi al principio comunitario dello sviluppo sostenibile e dell’economia circolare, mentre la seconda a quello di precauzione.

La tenzone (a discapito dei malcapitati destinatari delle azioni penali nel frattempo venutesi a generare) è proseguita anche dopo l’entrata in vigore della L. 116/2014 la quale, avendo fissato le modalità di caratterizzazione dei rifiuti ai fini della loro classificazione, ha urtato quanti, alfieri della pericolosità presunta, hanno tratto convinzione della corretta interpretazione della Decisione 2000/532/CE stigmatizzando come, dopo 15 anni dalla decisione, lo Stato Italiano non avesse fatto altro che prevedere, per la classificazione dei rifiuti una procedura che altri Stati membri avevano già recepito addirittura in semplici manuali tecnici, citando a tal proposito quello del Regno Unito “Hazardous waste, interpretation of the definition and classification of hazardous waste (Technica Giudance WM2)”.

I fautori della tesi avversa hanno rimarcato come la L. 116/2014, oltre ad essere produttiva di effetti negativi sugli operatori del settore, fosse dal punto di vista tecnico inattuabile dal momento che la dimostrazione della non pericolosità del rifiuto si risolverebbe in una “probatio diabolica” stante l’impossibilità di pervenire ad una prova contraria effettivamente esaustiva, costringendo così il produttore a classificare sempre il rifiuto come pericoloso.

Ulteriore argomento di discussione, per questi ultimi, è stato sollevato con l’emanazione della Decisione 2014/955/UE e del regolamento (UE) n. 1357/2014, rilevandosi la sopravvenuta incompatibilità di quanto disposto dalla L. 116/2014 con i nuovi provvedimenti comunitari rifacendosi anche ad una nota MATT 28.09.2015 prot. 11845 la quale rimarcava la piena applicazione del regolamento e della decisione a far data dal giugno 2015, con conseguente inapplicabilità degli allegati D ed I del D.Lgs. 152/2006 se in contrasto con le disposizioni comunitarie.

In particolare il Ministero specificava che, per quanto concerne l’allegato D, continuavano ad applicarsi soltanto i punti 6 e 7 del paragrafo intitolato “Introduzione” costituendo recepimento di una disposizione comunitaria introdotta con l’art. 7/par. 2 e 3 della Dir. 2008/98/CE ancora vigente.

Infine la querelle è proseguita con l’emanazione del D.L. 91/2017, il quale nel sostituire l’allegato D alla parte IV D.Lgs. 152/2006, ha fatto ritenere confermato, dai fautori della cd. “tesi della probabilità” l’incompatibilità delle norme previgenti con la disciplina comunitaria, rispetto ai fautori della tesi avversa i quali hanno evidenziato come le nuove disposizioni abrogative non hanno dettato alcun diverso criterio di classificazione dei rifiuti, limitandosi a richiamare le norme comunitarie rispetto alle quali un diverso criterio di classificazione (precisamente quello “probabilistico) risulterebbe incompatibile, anche considerando il profilo costituzionale della norma (D.L. 91/2017) collocata (come sovente accade) in una misura legislativa del tutto avulsa da quella sulla disciplina dei rifiuti (Disposizioni urgenti per la crescita nel Mezzogiorno).

Antefatto ai pronunciamenti giurisprudenziali che hanno affrontato e definito il perimetro interpretativo ed applicativo della norma, risale alle note (alle cronache) vicende giudiziarie penali che hanno visto diversi produttori di rifiuti, provenienti dal trattamento biomeccanico di origine urbana, destinatari di misure cautelari patrimoniali ed interdittive da parte del G.I.P. presso il Tribunale di Roma, riformate dal Giudice del Riesame con ordinanza del 28.02.2017 nel verso favorevole agli indagati (revoca sequestro preventivo d’impianto, di somme di denaro e/o azioni e quote varie e della nomina del commissario giudiziale) ed impugnati dalla Procura di Roma dinnanzi alla Corte di Cassazione la quale, supponendo un ragionevole incertezza interpretativa nell’ambito dell’operatività delle disposizioni comunitarie rispetto agli interventi del legislatore nazionale, con ordinanza nr. 37460/2017 del 31.07.2017 ha sollevato dinnanzi alla CGUE, ai mente di quanto all’art. 267 TFUE, i seguenti quesiti:”

  1. a) se l’allegato alla decisione 2014/955/UE ed il regolamento UE n. 1357/2014 vadano o meno interpretati, con riferimento alla classificazione dei rifiuti con voci speculari, nel senso che il produttore del rifiuto, quanto non è nota la composizione, debba procedere alla previa caratterizzazione ed in quali eventuali limiti;
  2. b) se la ricerca delle sostanze pericolose debba essere fatta in base a metodiche uniformi e predeterminate;
  3. c) se la ricerca delle sostanze pericolose debba basarsi su una verifica accurata e rappresentativa che tenga conto della composizione del rifiuto, se già nota o individuata in fase di caratterizzazione, o se invece la ricerca delle sostanze pericolose possa essere effettuata secondo criteri probabilistici considerando quelle che potrebbero essere ragionevolmente presenti nel rifiuto;
  4. d) se, nel dubbio o nell’impossibilità di provvedere con certezza all’individuazione della presenza o meno di sostanze pericolose nel rifiuto, questo debba o meno essere comunque classificato e trattato come rifiuto pericoloso in applicazione del principio di precauzione.”

La sentenza C.G.U.E. del 28.03.2019 (cause riunite C-487/17, C-488/17 e C-489/17 Pres. Lenaerts, Rel. Biltgen), in evasione alla questione pregiudiziale, ha formulato i seguenti principi di riferimento in tema di classificazione dei rifiuti con codici a specchio:”

= punto 38) Ai sensi dell’art. 3/punto 2 della direttiva 2008/98 costituisce rifiuto pericoloso quello che presenta una o più caratteristiche di pericolo di cui all’allegato III. Tale direttiva assoggetta la gestione di rifiuti pericolosi a condizioni specifiche concernenti la loro tracciabilità, il loro imballaggio e la loro etichettatura, il divieto di miscelarli con altri rifiuti pericolosi o con altri rifiuti, sostanze o materie, nonché il fatto che i rifiuti pericolosi possono essere trattati esclusivamente in impianti appositamente designati che abbiano ottenuto un’autorizzazione speciale.

= punto 39) Come risulta dall’art. 7/par. 1 della dir. 2008/98, al fine di determinare se un rifiuto rientri nell’elenco di rifiuti stabilito dalla decisione 2000/532, che è vincolante per quanto concerne la determinazione dei rifiuti da considerare pericolosi, occorre tener conto “dell’origine e della composizione dei rifiuti e, ove necessario, dei valori limiti di concentrazione delle sostanze pericolose” poiché questi ultimi consentono di verificare se un rifiuto presenti una o più caratteristiche di pericolo di cui all’allegato III di tale direttiva.

= punto 40) Pertanto, qualora la composizione di un rifiuto, cui potrebbero essere attribuiti codici speculari, non sia immediatamente nota spetta al suo detentore, in quanto responsabile della sua gestione, raccogliere le informazioni idonee a consentirgli di acquisire una conoscenza sufficiente di detta composizione e, in tal modo, di attribuire a tale rifiuto un codice appropriato.

= punto 41) In mancanza di tali informazioni il detentore rischia di venir meno ai suoi obblighi in quanto responsabile della gestione, qualora successivamente risulti che tale rifiuto sia stato trattato come non pericoloso, malgrado presentasse una o più delle caratteristiche di pericolo di cui all’allegato III della direttiva 2008/98.

= punto 42) esistono diversi metodi per raccogliere le informazioni necessarie relative alla composizione dei rifiuti, che consentono pertanto di individuare l’eventuale presenza di sostenze pericolose nonché di una o più caratteristiche di pericolo di cui all’allegato III della direttiva 2008/98.

= punto 43) Oltre ai metodi indicati nella rubrica intitolata “Metodi di prova” di cui al detto allegato III, il detentore dei rifiuti può, in particolare, riferirsi:

– alle informazioni sul processo chimico o sul processo di fabbricazione che “generano rifiuti”, ad esempio schede di dati di sicurezza, etichette del prodotto o schede di prodotto;

– alle banche dati sulle analisi dei rifiuti disponibili a livello

– al campionamento ed all’analisi chimica dei rifiuti.

= punto 44) Per quanto riguarda il campionamento e l’analisi chimica, tali metodi devono offrire garanzia di efficacia e rappresentatività.

= punto 45) Sebbene l’analisi chimica di un rifiuto debba consentire al suo detentore di acquisire conoscenza sufficiente della sua composizione, nessuna disposizione normativa dell’Unione Europea può essere interpretata nel verso che dette analisi consistano nel verificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa, cosicchè il detentore del rifiuto sia tenuto a rovesciare una presunzione di pericolosità di tale rifiuto (ergo caducazione del principio di certezza !!!).

= punto 46) Dall’art. 4/par. 2 Dir. 2008/98 emerge chiaramente che gli stati membri devono, nel conformarsi al principio di gerarchia dei rifiuti, adottare le misure appropriate volte ad incoraggiare le soluzioni che assicurino il miglior risultato ambientale complessivo, tenendo conto della fattibilità tecnica e praticabilità economica, in modo che le disposizioni della normativa comunitaria non impongano al detentore di un rifiuto obblighi irragionevoli, sia dal punto di vista tecnico che economico. Dall’altro lato (conformemente all’allegato “valutazione e classificazione punto 2 decisione Comm. UE 2000/532) la classificazione di un rifiuto, che può rientrare in codici speculari in quanto “rifiuto pericoloso” è opportuna solo quando tale rifiuto contiene sostanze pericolose che gli conferiscono una o più caratteristiche di pericolo nel rifiuto in esame. Ne consegue che il detentore, pur non essendo obbligato a verificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa nel rifiuto in esame, ha tuttavia l’obbligo di ricercare quelle che possano ragionevolmente trovarvisi, e non ha pertanto alcun margine di discrezionalità.”

 

 

Il principio di ragionevolezza trova conferma nella comunicazione della Commissione 9.04.2018, contenente orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti la quale, pur non essendo formalmente applicabile per il passato, costituisce un riferimento di carattere interpretativo (punto 47).

Ragionevolezza che, tuttavia non vuol dire discrezionalità o scelta arbitraria: infatti la CGUE individua (punti 49, 50 e 51) le modalità di valutazione della caratteristiche di pericolo del rifiuto cui il detentore deve provvedere, richiamando l’allegato III della direttiva 2008/98 e la decisione 2000/532 precisando (punto 52) che, anche se il legislatore comunitario non ha ancora armonizzato i metodi di analisi e di prova, ciò nonostante rinvia al regolamento n. 440/2008 ed alle note pertinenti CEN, nonché, dall’altro, ai metodi di prova ed alle linee guida riconosciuti a livello internazionale e che (punto 53) tale rinvio, secondo quanto risulta dalla rubrica intitolata “Metodi di Prova” dell’allegato III della direttiva 2008/98 non esclude che possano essere presi in considerazione anche metodi di prova sviluppati a livello internazionale, a condizione che siano riconosciuti a livello internazionale.

Conclude la CGUE con il seguente dispositivo:”

1) l’allegato III della direttiva 2008/98/CE, come modificata dal reg. UE 1357/2014, nonché l’allegato della decisione UE 2000/532/CE (istituzione elenco di rifiuti pericolosi) come modificato dalla decisione Commissione 2014/955/UE, devono essere interpretati, per il caso di rifiuti con codici a specchio, allorquando la composizione non è immediatamente nota, nel verso che il detentore deve ricercare le sostanze pericolose che possano ragionevolmente trovarvisi onde stabilire se tale rifiuto presenti caratteristiche di pericolo, ed a tal fine può utilizzare campionamenti, analisi chimiche e prove previste dal regolamento CE n. 440/2008 (oggi modificato dal reg. UE 2019/1390) che istituisce i metodi di prova concernenti la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH – Registration, Evaluation, Authorisations and Restriction Chemicals) o qualsiasi altro campionamento, analisi chimica e prova riconosciuti a livello internazionale;

2) Il principio di precauzione dev’essere interpretato nel senso che, qualora dopo una valutazione dei rischi quanto più completa possibile, tenuto conto delle circostanze specifiche, il detentore del rifiuto, nell’impossibilità pratica di determinare la presenza di sostanze pericolose o di valutare le caratteristiche di pericolo che detto rifiuto presenta, quest’ultimo debba essere classificato come pericoloso.”

Sulla scorta del suddetto pronunciamento del giudice comunitario la Cassazione Penale, con tre sentenze gemelle del 21.11.2019 (n. 47288 – 47289 e 47290) ha ritenuto che entrambe le soluzioni interpretative fossero errate:

– sia quella del Tribunale del Riesame di Roma il quale, aderendo alla tesi della difesa, aveva dedotto l’impossibilità di operare tecnicamente un’analisi attestante la pericolosità dei rifiuti, e ciò sulla base di una interpretazione della norma ritenuta errata, la quale suppone come la qualificazione del rifiuto debba essere effettuata non soltanto attraverso la valutazione della scheda del produttore e la conoscenza del processo chimico, ma anche attraverso analisi chimiche esaustive del rifiuto volte ad escludere il superamento delle concentrazioni limite di riferimento, attraverso l’individuazione analitica del 99,9% delle componenti del rifiuto autorizzato;

– sia quella del Pubblico Ministero (ricorrente in Cassazione) il quale invece, sulla scorta del principio di precauzione, ed in ragione della normativa di settore sopra richiamata, ha invece ritenuto la qualificazione dei rifiuti non pericolosi, dagli indagati effettuata “in forza di analisi quantitative e qualitative” non esaustive” fornite da alcuni laboratori “con la consapevolezza della loro parzialità”.

La S.C., alla luce delle indicazioni fornite dalla C.G.U.E., ha ritenuto doversi, certamente escludere, la “presunzione di pericolosità” sulla base di quanto al punto 45 (nessuna norma dell’Unione prevede che le analisi certificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa), ma ha anche preso le distanze dalla tesi avversa ovvero di accollare agli inquirenti l’onere di dimostrare l’impianto accusatorio, quando invece compete al detentore del rifiuto (e non dunque soltanto al produttore), nella circostanza in cui la composizione di un rifiuto potenzialmente pericolosa non sia immediatamente nota, l’onere di raccogliere le informazioni idonee a consentirgli di acquisire una conoscenza sufficiente di detta composizione e, in tal modo, attribuire al rifiuto un codice appropriato.

In tal senso la Corte di Cassazione, sulla scorta dei principi enunciati dal Giudice Comunitario, ha ribadito l’impossibilità di imporre al detentore del rifiuto irragionevoli obblighi sia dal punto di vista tecnico ed economico, salvo che questi non costituiscano il pretesto per aggirare le precise indicazioni di qualificazione del rifiuto, dovendo essere chiaro che, se la sua composizione non è immediatamente nota (circostanza che rende evidentemente non necessaria un’analisi), il detentore deve raccogliere informazioni tali da consentirgli una “sufficiente conoscenza di tale composizione con la conseguente attribuzione di un codice appropriato. In tal senso l’analisi dei rifiuti “a specchio” deve riguardare non solo le sostanze che, in base al processo produttivo, è possibile possano conferire al rifiuto stesso caratteristica di pericolo, riduttiva rispetto al più ampio perimetro (di ragionevolezza) stabilito dalla CGUE.

Pronunciamento dirimente o equidistante rispetto a posizioni contrapposte ? E’ difficile formulare un giudizio tranciante in quanto la complessità del tema attiene anche, e sopratutto, agli elementi probatori che, evidentemente, sono risultati carenti in sede cautelare da parte degli attori processuali, al punto da determinarne l’annullamento con rinvio dell’ordinanza del riesame Trib. Roma da parte della Cassazione. Non irrilevante è da considerare l’ultimo passaggio indicato dalla S.C.. riguardo la verifica, in ordine al fumus del reato ipotizzato, dell’elemento soggettivo del reato, purché di immediata evidenza, ovvero se il detentore abbia posto in essere dei comportamenti in tema di campionamento ed analisi dei rifiuti, non corretti ma comunque scusabili anche alla luce di un dettato normativo tutt’altro che chiarificatorio.

Nel rassegnare le conclusioni, non posso esimermi dal formulare le seguenti considerazioni che, auspico, possano essere utili al dibattito (ritengo) ancora in corso:

– in tema di classificazione dei rifiuto, e specificatamente per quelli cd. ”a specchio”, l’elemento dirimente ai fini della corretta condotta del produttore, e delle azioni delegate (campionamento ed analisi rifiuto) attiene anche e sopratutto alle modalità di formazione e prelievo delle aliquote, alla massa gestita (ed ai flussi periodici in ingresso ed uscita), ai criteri di stoccaggio, alle modalità di pretrattamento, cernita e selezione prodromici all’attribuzione del codice. A tal fine rilevo come l’assunto (teorico) di poter accertare la provenienza di un rifiuto sia tutt’altro che agevole allorquando vi siano più passaggi di detenzione (ad esempio da mero R13 ad R12, da D15 a D14 ecc..) e lavorazione, sopratutto per le famiglie EER 19;

– il principio di certezza, sul quale la CGUE ha finalmente steso un velo pietoso , è stato un assunto giuridico del tutto avulso dal contesto in cui questi avrebbe dovuto essere applicato, non considerando e (per certi versi) non conoscendo le complessità in termini dimensionali, di flussi, di processo, di lavorazione e di uscita delle piattaforme di stoccaggio, selezione trattamento e/o smaltimento rifiuti, prevedendosi una probatio diabolica in capo al detentore di dover dimostrare l’assenza di sostanze pericolose sul 99,9% di rifiuti trattati al punto da indurre la CGUE (punto 46) a richiamare gli Stati membri (l’Italia in prima fila) nel tener conto della fattibilità tecnica e della praticabilità economica, in modo che le disposizioni non siano interpretate nel verso di pretendere dal detentore del rifiuto obblighi irragionevoli, sia dal punto di vista tecnico che economico;

– la ricerca di sostanze pericolose, ragionevolmente da rinvenirsi in rifiuti eterogenei (quali ad esempio il 191212 di matrice urbana od assimilabile), non considera la variegata prevedibilità di conferimenti accidentali di rifiuti pericolosi urbani (pile, batterie scadute, toner, RAEE pericolosi ecc..);

– ovviamente anche il produttore/detentore del rifiuto vede meglio chiarito il perimetro delle sue incombenze in tema di classificazione del rifiuto, ed a tal fine viene chiamato ad una scrupolosa (e professionale) osservanza delle condotte virtuose (raccolta informazioni idonee, provenienza del rifiuto, scheda di sicurezza, campionamento rappresentativo ed analisi conformi metodiche validate a livello internazionale secondo quanto al reg. UE 440/2008 come modificato dal reg. UE 2019/1390).

Il tutto, secondo i migliori auspici che tra produttore/detentore ed organi di controllo (Agenzie Regionali per l’Ambiente debitamente potenziate) vengano implementati quei sistemi di verifica, di audit idonei a prevenire condotte (a volte incolpevolmente) delittuose, a tutela di una filiera tutt’altro che completa, ma che costituisce l’ossatura del ciclo integrato dei rifiuti e degli obiettivi di economia circolare che, gradualmente ed a fatica, si stanno perseguendo.

 

Piacenza, 01/08/2022

Torna all'elenco completo

© Riproduzione riservata