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Stefano Maglia

La classificazione dei rifiuti da DPI utilizzati negli ambienti di lavoro

di Paolo Pipere

Categoria: Rifiuti

In questi giorni è stato scritto che i rifiuti costituiti da DPI usati provenienti da unità produttive non devono essere classificati con il codice CER/EER 18.01.03* perché questo codice deve essere attribuito solo ed esclusivamente a “rifiuti prodotti dal settore sanitario e veterinario o da attività di ricerca collegate”.

 

Prima di tutto è necessario precisare che il problema si pone:

  • esclusivamente nel periodo in cui vi è il rischio che i dispositivi di protezione individuale possano essere stati utilizzati, e contaminati, da persone asintomatiche ma in grado di trasmettere un’infezione, in questo caso il corona virus che provoca il COVID-19;
  • in regioni diverse dalla Lombardia, dal Veneto e dall’Emilia Romagna, perché in queste regioni sono state emanate ordinanze che hanno introdotto deroghe straordinarie e temporanee alle norme altrimenti applicabili.

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L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) nella recente pubblicazione Indicazioni ad interim sull’igiene degli alimenti durante l’epidemia da virus SARS-CoV-2 (19 aprile 2020) ha precisato che:

 

La trasmissione del SARS-CoV-2, avviene prevalentemente mediante il contatto interumano tra persona e persona, attraverso l’inalazione di micro-goccioline (droplets), di dimensioni uguali o maggiori di 5 μm di diametro generate dalla tosse o starnuti di un soggetto infetto. Tali droplets generalmente si propagano per brevi distanze, e possono direttamente raggiungere le mucose nasali od orali o le congiuntive di soggetti suscettibili nelle immediate vicinanze, oppure depositarsi su oggetti o superfici. Se gli oggetti e le superfici vengono contaminati da droplets o direttamente da secrezioni respiratorie (saliva, secrezioni nasali, espettorato), il virus si può trasmettere indirettamente, attraverso il contatto delle mani contaminate con bocca, naso e occhi”.

 

Il rischio che le mascherine, i guanti e gli indumenti protettivi possano essere veicoli di trasmissione del contagio deve essere quindi valutato, anche se non è ancora noto per quanti giorni possa sussistere.

E’ perciò indispensabile applicare il principio di precauzione: “che è uno dei fondamenti della politica di tutela perseguita dall’Unione in campo ambientale, posto che dalla giurisprudenza della Corte risulta che una misura di tutela quale la classificazione di un rifiuto come pericoloso s’impone soltanto qualora, dopo una valutazione dei rischi quanto più possibile completa tenuto conto delle circostanze specifiche del caso di specie, sussistano elementi obiettivi che dimostrano che una siffatta classificazione è necessaria” [sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Decima Sezione) 28 marzo 2019 – cause riunite da C-487/17 a C-489/17].

 

Deve essere osservato, infine, che il Regolamento europeo sulla classificazione dei rifiuti n. 1357/2014 dispone che: “l’attribuzione della caratteristica di pericolo HP 9 [infettivo] è valutata in base alle norme stabilite nei documenti di riferimento o nella legislazione degli Stati membri. Non vi sono quindi norme europee sovraordinate in materia e, pertanto, devono essere applicate le nome nazionali.

Nei precedenti articoli sul tema ho già citato la norma speciale che disciplina la gestione dei rifiuti speciali (cioè prodotti in “locali e luoghi diversi da quelli adibiti a civile abitazione”) pericolosi a rischio infettivo: il Decreto del Presidente della Repubblica n. 254 del 2003.

Il criterio della specialità (lex specialis derogat generali) comporta l’applicazione della norma speciale (il DPR 254/2003) e non di quella generale (il D.Lgs. 152/2006) e la prima dispone, all’articolo 15 – Gestione di altri rifiuti speciali, che:

“1. I rifiuti speciali, prodotti al di fuori delle strutture sanitarie, che come rischio risultano analoghi ai rifiuti pericolosi a rischio infettivo, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera d), devono essere gestiti con le stesse modalità dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo. Sono esclusi gli assorbenti igienici”.

I rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo sono definiti, dall’articolo 2. comma 1, lettera d), del DPR 254/2003 come:

i seguenti rifiuti sanitari individuati dalle voci 18.01.03 e 18.02.02″.

 

I rifiuti sanitari individuati dalla voce 18.02.02 dell’elenco europeo dei rifiuti di cui alla Decisione 2000/532/CE, come modificata dalla Decisione 2014/955/UE, appartengono alla classe “rifiuti legati alle attività di ricerca, diagnosi, trattamento e prevenzione delle malattie degli animali“, per questo motivo non v’è alcun dubbio che ai rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo per l’uomo debba essere attribuito il codice: 18 01 03* rifiuti che devono essere raccolti e smaltiti applicando precauzioni particolari per evitare infezioni.

 

L’argomento sarà approfondito nel webinar organizzato da Tutto ambiente il 5 maggio 2020. Informazioni e iscrizioni a questo LINK

 

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