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Stefano Maglia

Come è possibile individuare il corretto momento consumativo del reato di omessa bonifica?

di Stefano Maglia

Categoria: Bonifiche

La responsabilità per gli obblighi di bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale ha dato luogo, in vigenza del decreto Ronchi, a diverse opzioni interpretative sul momento consumativo del reato e sugli effetti penali conseguenti, che comunque oggi possono ritenersi ancora valide.
Alcune tesi dottrinali hanno configurato la contravvenzione di omessa bonifica come un reato a condotta mista, oppure quale due ipotesi contravvenzionali con una causa di non punibilità derivante dal provvedere alla bonifica secondo il procedimento previsto dall’art. 17, ovvero infine, come reato di pericolo presunto che si consuma ove il soggetto non proceda al corretto adempimento dell’obbligo di bonifica con le cadenza procedimentalizzate dalla norma.
Tale ultima ricostruzione è quella maggiormente condivisa anche dalla giurisprudenza, che ha sottolineato come essa sia maggiormente coerente anzitutto con il sistema complessivo della bonifica – nel quale si ravvisa una preferenza per gli adempimenti di messa in sicurezza e bonifica dei siti contaminati, ricollegata ad un rafforzamento penalistico dell’effettività delle misure integratorie del bene offeso, oltreché con i principi comunitari e nazionali in tema di danno ambientale.
In tal senso si è anzitutto espressa la giurisprudenza amministrativa, interpretando l’obbligo di attivarsi per la bonifica dei siti inquinati in termini retroattivi, poiché il combinato disposto dell’art. 17 del decreto Ronchi e degli obblighi di cui al D.M. n. 471/99: “è diretto a risanare qualunque sito inquinato, purché sia tale al momento dell’entrata in vigore del decreto legislativo: infatti la situazione d’inquinamento va considerata come fenomeno permanente fintanto che non venga riportata nei limiti di accettabilità”.
Secondo i giudici amministrativi la disciplina sulle bonifiche deve ritenersi operativa al momento dell’entrata in vigore del D.L.vo 22/97 e soprattutto ritenersi riferita a qualsiasi episodio di contaminazione che venga accertato dall’autorità competente, dalla sua vigenza in poi.
Anche la terza sezione della Corte di Cassazione penale ha condiviso la tesi della giurisprudenza amministrativa e, nell’ambito di un procedimento riguardante il reato previsto dall’art. 51bis del D.L.vo 22/97, ha aderito all’orientamento dottrinario secondo cui il reato in questione avrebbe natura di reato omissivo di pericolo presunto: “…che si consuma ove il soggetto non proceda all’adempimento dell’obbligo di bonifica secondo le cadenze fissate dall’art. 17 del medesimo decreto. L’inquinamento o il pericolo concreto di inquinamento debbono essere inquadrati nei “presupposti di fatto” e non negli elementi essenziali del reato; questo consente l’applicazione della predetta norma anche a situazioni di inquinamento verificatesi in epoca anteriore all’emanazione del regolamento recato dal D.M. 471/1999”.
La Corte ha da ciò ricavato la possibilità di applicazione della norma di cui all’art. 51 bis anche a situazioni verificatesi in epoca anteriore all’emanazione del regolamento 471/99 e ciò, non solo nell’ipotesi in cui il soggetto venga diffidato dal comune ai sensi dell’art. 17, ma ogniqualvolta sia rimasto inerte pur conoscendo o dovendo conoscere l’obbligo di attivarsi per la bonifica del sito.

*Tratto da “La gestione dei rifiuti dalla A alla Z, III ed – 350 problemi, 350 soluzioni“, Stefano Maglia, 2012.

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