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Come si configurano le acque scaricate da un depuratore?

di Miriam Viviana Balossi

Categoria: Acqua

Nell’ambito del sistema di classificazione delle acque reflue di cui alla Parte III del D.L.vo 152/06, le acque scaricate da un impianto di depurazione integrano un caso particolare, perché non sono espressamente previste tal quali.
In linea di massima, le acque scaricate dal depuratore dovrebbero tendenzialmente rientrare nel novero delle acque reflue urbane, in quanto l’art. 74, lett. i), D.L.vo 152/06 le definisce come le “acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato ”.
Quindi, per il gestore del depuratore pubblico, il sistema sanzionatorio si dovrebbe ricavare dal combinato disposto degli artt. 110, 133 e 137, commi 5, 6 e 7. Le violazioni (mancanza di autorizzazione, superamento limiti tabellari ecc…) alla disciplina dettata dal Legislatore per il depuratore pubblico dovrebbero costituire, di regola, illeciti amministrativi[1].
In realtà, già con la sentenza n. 14245 del 16 dicembre 1999 la Corte di Cassazione aveva affermato che nel caso di un depuratore lo scarico finale va valutato in rapporto alla natura e composizione delle acque scaricate: quindi, “lo scarico del depuratore sarà soggetto al regime delle acque reflue industriali od urbane a seconda della corrispondente tipologia di reflui che ad esso viene convogliato per essere trattato e scaricato … l’esistenza di un depuratore non crea un altro scarico distinto e separato da quello su cui agisce[2]. Nello stesso senso, la sentenza Cass. III Pen. n. 2884 del 12 ottobre 2000 ha precisato che in materia di tutela delle acque dall’inquinamento lo scarico da depuratore non ha una propria differente caratteristica rispetto a quella dei reflui convogliati.
Per rimanere nell’ambito della giurisprudenza in materia, si segnala che la pronuncia Cass. III Pen. n. 23217 del 18 maggio 2004 ha precisato che “le acque reflue urbane altro non sono che le acque delle pubbliche fognature e dei depuratori. Neppure si può assumere astrattamente … che in ragione della preponderanza di reflui industriali lo scarico dovesse qualificarsi come refluo industriale: appunto perché, in mancanza di un’idonea caratterizzazione, permarrebbe, comunque in capo allo stesso la natura di refluo urbano. Certo, astrattamente sarebbe anche configurabile la fattispecie di cui all’art. 59 co. l della legge citata, ma occorre … la prova della prevalenza dei reflui di natura industriale: che presuppone un accertamento in punto di fatto, comunque riconducibile ad un fatto reale e non ipotetico, che avrebbe comportato un preciso onere probatorio dell’Accusa”.
Dopo questa apertura, la S.C. ha poi proceduto, nella sua evoluzione giurisprudenziale, ad equiparare sempre più il depuratore all’insediamento produttivo, ed i suoi reflui a quelli di natura industriale[3]: si ritiene che questa elaborazione sia stata implicitamente recepita anche dal Legislatore, altrimenti non si spiegherebbe quanto previsto dall’art. 137, c. 6, D.L.vo 152/06, che così recita:

Le sanzioni di cui al comma 5 [arresto fino a due anni e ammenda da tremila euro a trentamila euro] si applicano altresì al gestore di impianti di trattamento delle acque reflue urbane che nell’effettuazione dello scarico supera i valori-limite previsti dallo stesso comma[4].
Se, quindi, il divieto di superamento dei valori limite di emissione sanzionato penalmente si applica anche al gestore di un impianto di trattamento di acque reflue urbane, ne discende – implicitamente – che la sua posizione viene ad essere equiparata a quella del titolare di uno scarico industriale[5]. “La norma riduce quindi in modo evidente il rilievo pratico della esatta qualificazione dell’impianto di depurazione pubblico, dato che l’applicazione della sanzione penale viene ad essere direttamente rapportata alla composizione del refluo scaricato (e cioè alla presenza o meno delle sostanze di cui all’art. 137 citato) già direttamente in forza della previsione normativa[6].



[1] A. FRATTINI, Inquinamento idrico: riflessi operativi e di P.G., nell’ambito della sessione di polizia ambientale dell’Expo “Le giornate della polizia locale”, 18 settembre 2008.

L’Autore è magistrato presso la Procura della Repubblica di Salerno.

[2] L. PRATI- G. GALOTTO, Scarichi, inquinamento idrico e difesa del suolo, Ipsoa, p. 53

Da ciò discende anche quanto stabilito recentemente dalla pronuncia TAR Lazio, n. 1819 del 19 febbraio 2013, secondo la quale quando si accerta la presenza di acque reflue industriali all’interno dei reflui urbani, devono essere rispettati i più stringenti parametri di sicurezza previsti dalla Tab. 3 di cui all’All. 5 alla Parte III del D.L.vo 152/06. Conf. anche TAR Lazio, n. 2374 del 6 marzo 2013.

[3] Ex multis, Cass. III Pen., n. 14245 del 16 dicembre 1999.

[4] Quelle riportate sono le sanzioni per il superamento dei valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell’Allegato 5, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto. Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3/A dell’Allegato 5, si applica l’arresto da sei mesi a tre anni e l’ammenda da seimila euro a centoventimila euro.

[5] Peraltro, si segnala che già con la sentenza n. 5796 del 6 febbraio 2008, la S.C. aveva preso posizione in merito, nel senso di ritenere che lo scarico proveniente da un depuratore comunale rientrasse nelle acque reflue industriali.

[6] L. PRATI- G. GALOTTO, Scarichi, inquinamento idrico e difesa del suolo, op. cit., p. 54

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