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Confluenza di scarichi industriali dello stesso stabilimento: è diluizione?

di Miriam Viviana Balossi

Categoria: Acqua

La tematica della diluizione delle acque reflue industriali, strettamente connessa a quella del rispetto dei limiti tabellari, è stata affrontata in più occasioni: nel presente contributo ci si soffermerà su un aspetto particolare, ovvero sull’eventualità che la confluenza di plurimi scarichi industriali – provenienti dal medesimo stabilimento – realizzino (o forse no?) una diluizione di fatto.

 

Il divieto di diluizione, già presente all’art. 9, c. 4 della L. 10 maggio 1976, n. 319 (c.d. Legge Merli)[1], poi riproposto nell’art. 28, c. 5, del D.L.vo 11 maggio 1999, n. 152[2], è oggi contenuto nell’art. 101, c. 5 del D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152[3], il quale dispone che “i valori limite di emissione non possono in alcun caso essere conseguiti mediante diluizione con acque prelevate esclusivamente allo scopo”. L’art. 74, c. 1, lett. oo), nel definire i valori limite di emissione precisa che “i valori limite di emissione delle sostanze si applicano di norma nel punto di fuoriuscita delle emissioni dall’impianto, senza tener conto dell’eventuale diluizione”.

 

Il divieto di diluizione è sempre stato considerato un principio fondamentale nel campo della tutela delle acque dall’inquinamento: se così non fosse, infatti, la possibilità di diluire i reflui con un alto potenziale inquinante con acqua pulita permetterebbe di aggirare i parametri stabiliti dal legislatore (e porterebbe ad un dispendioso utilizzo di grandi quantità di acqua pulita)[4].

 

Il fatto che l’art. 101, c. 5 sopra riportato precisi che le acque sono “prelevate esclusivamente allo scopo” lascia supporre che, sotteso alla diluizione, sussista un intento fraudolento: in altre parole, verrebbe forzatamente raggiunta la conformità del refluo ai valori tabellari tramite l’apposito prelievo di acque pulite che, se non ci fosse questa esigenza, non sarebbe nemmeno necessario.

 

L’art. 101, c. 5, poi, prosegue disponendo che “non è comunque consentito diluire con acque di raffreddamento, di lavaggio o prelevate esclusivamente allo scopo gli scarichi parziali di cui al comma 4[5], prima del trattamento degli stessi per adeguarli ai limiti previsti dalla parte terza dal presente decreto …”.

 

Questa previsione, in particolare laddove distingue “acque di raffreddamento, di lavaggio o prelevate esclusivamente allo scopo”, pare contrapporre le acque di raffreddamento e lavaggio, che assolvono ad una finalità produttiva, a quelle prelevate esclusivamente allo scopo di diluire i reflui contenenti sostanze pericolose, le quali non hanno uno scopo tecnico. Resta inteso, però, che un’acqua di raffreddamento o di lavaggio potrebbe costituire un’acqua prelevata esclusivamente allo scopo di diluizione, qualora venga attinta in misura maggiore rispetto alle esigenze dell’attività produttiva.

 

In merito al divieto di diluizione, la giurisprudenza ne ha sempre fatto un’applicazione restrittiva : ad esempio, la sentenza della Corte di Cassazione, sez. III penale, n. 5032 del 26 aprile 1988, ha ritenuto che l’art. 9 della L. 319/76 abbia introdotto un generale ed assoluto divieto di diluizione per tutti gli scarichi[6].

 

I principi fissati dalla Suprema Corte sono stati anche recepiti dalla giurisprudenza di merito, la quale “pur non riconoscendo la natura assoluta ed inderogabile del divieto di diluizione … [ha ammesso] la validità delle argomentazioni della Suprema Corte con le quali vengono individuate, tra le acque che il comma quarto dell’articolo 9 non consente di utilizzare per la diluizione, tutte quelle che non sono strettamente connesse con il ciclo produttivo e sono prodotte da attività accessorie o complementari[7]. A tale proposito si segnala la sentenza della Pretura di Monza, sez. Desio, n. 662 del 19 luglio 1996, la quale ribadisce che il divieto di diluizione è generale ed assoluto così come riconosciuto dalla Suprema Corte, e comprende non solo le acque prelevate al solo fine di effettuare la diluizione, ma anche quelle che non vengono direttamente utilizzate nel processo produttivo (tra le quali vengono indicate, a titolo esemplificativo, quelle di raffreddamento, di lavaggio, meteoriche e dei servizi). Nel caso di specie, la pronuncia ha preso in esame le caratteristiche dei singoli reflui che formavano lo scarico finale oggetto del procedimento, giungendo così ad accertare che le acque analizzate e confluenti nello scarico finale dovevano considerarsi come acque strettamente connesse al processo produttivo, escludendo l’illecita diluizione dei reflui.

 

A seguito dell’entrata in vigore del D.L.vo 152/99, la S.C. è tornata sul tema pronunciandosi – comunque – in maniera ancora conforme: la sentenza della Corte di Cassazione Penale, n. 11006 del 27 settembre 1999, infatti, ha stabilito che il divieto di diluizione “deve essere interpretato quale principio generale ed assoluto in materia di regolamentazione degli scarichi. Tanto si evince non soltanto dall’espressione “in ogni caso”, ma anche sulla base di ragioni logiche, poiché il divieto mira ad assicurare due risultati: un risultato certo attraverso la rappresentatività e rispondenza dei limiti accertati a quelli legati in relazione alla reale natura del contenuto dello scarico; una più efficace protezione della qualità dei corpi recettori, che costituisce obiettivo ancor più evidente nelle nuove disposizioni del D.L.vo n. 152/99”.

 

Successivamente, il TAR Veneto, con la sentenza del 20 ottobre 2009, n. 2624, ha puntualizzato “che il rispetto dei limiti tabellari di scarico non deve essere conseguito mediante la diluizione sia che essa avvenga con acque prelevate esclusivamente per questo scopo, sia che avvenga con acque di raffreddamento e di lavaggio”. In altre parole, secondo il giudice amministrativo la diluizione resta proibita e non è mai consentito ad un’industria raggiungere i limiti tabellari miscelando le acque del ciclo di lavorazione con altri scarichi, pur se provenienti dallo stesso insediamento produttivo[8].

 

Quindi, in relazione al rischio che si configuri un’ipotesi di diluizione delle acque reflue industriali per effetto non dell’intento fraudolento di acque prelevata a tale scopo, bensì della confluenza con altri scarichi industriali, si osserva quanto segue.

 

Sotto il profilo giuridico, si deve dar conto che a fronte di un divieto normativo di diluizione delle acque caratterizzato da un intento fraudolento, di cui all’art. 101, c. 5, del D.L.vo 152/06, la giurisprudenza – fin dai tempi della Legge Merli – ne ha sempre dato un’applicazione restrittiva, affermando che la diluizione è proibita e non è mai consentito raggiungere i limiti tabellari miscelando le acque del ciclo di lavorazione con altri scarichi, pur se provenienti dallo stesso insediamento produttivo.

 

Nonostante l’inottemperanza al divieto di diluizione non risulti essere assistita da sanzione, si ritiene che debba essere sempre valutata con attenzione la singola fattispecie concreta. In linea di principio, infatti, non si può escludere in assoluto la sussistenza di situazioni che non contravvengano al divieto di diluizione, perché in tali casi non si tratta di acque prelevate allo scopo e con intento fraudolento: flussi diversi di acque reflue industriali potrebbero, per ipotesi, confluire insieme per motivi tecnici di utilità non individuabile a priori, ad esempio riducendo il carico idraulico del depuratore aziendale ed aumentandone l’efficienza – ferma restando la possibilità operativa di campionare ogni singolo flusso di acque per avere evidenza delle caratteristiche analitiche prima che giungano allo scarico finale.

 

[1] Norme per la tutela delle acque dall’inquinamento.

Pubblicata in G.U. n. 141 del 29 maggio 1976.

[2] Decreto legislativo recante disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole.

Pubblicato in G.U. n. 124 del 29 maggio 1999 – S.O. n. 101.

[3] Norme in materia ambientale.

Pubblicato in G.U. n. 88 del 14 aprile 2006 – S.O., ed in vigore dal 29 aprile 2006.

[4] Si vedano:

  • V. BALOSSI – E. SASSI, la gestione degli scarichi. Aspetti giuridici e tecnici, Irnerio editore, p. 43
  • PRATI – G. GALOTTO, Scarichi, inquinamento idrico e difesa del suolo, WKI, p. 67

[5] Art. 101, c. 4:

L’autorità competente per il controllo è autorizzata ad effettuare tutte le ispezioni che ritenga necessarie per l’accertamento delle condizioni che danno luogo alla formazione degli scarichi. Essa può richiedere che scarichi parziali contenenti le sostanze di cui ai numeri 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 12, 15, 16, 17 e 18 della tabella 5 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto subiscano un trattamento particolare prima della loro confluenza nello scarico generale”.

[6] Sul punto, si segnalano:

  • GIAMPIETRO, Limiti di accettabilità agli scarichi, divieto di diluizione e obiettivi di qualità dei corpi idrici: dalla legge Merli al d.p.r. 24 maggio 1988 n. 217, in Cass. Pen., 1989, p. 1154;
  • AMENDOLA, Legge Merli e diluizione degli scarichi, in Riv. Giur. Ambiente, 1988, p. 325;
  • BUTTI, Decisioni “d’assalto” della Cassazione e tutela effettiva dell’ambiente, in Riv. Trim. dir. Pen. Economia, 1993, p. 767

[7] L. RAMACCI, Brevi osservazioni in tema di divieto di diluizione degli scarichi, in Rivista Penale, 1999.

[8] Così M. SANTOLOCI – V. VATTANI, Scarichi & Scarichi, Diritto all’ambiente edizioni, 2014, p. 28

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