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Cosa s’intende per “diluizione” nell’ambito della gestione dei rifiuti?
di Giulia Guagnini
Categoria: Rifiuti
Per analizzare il concetto di “diluizione” in relazione alla disciplina giuridica sulla gestione di rifiuti occorre prendere le mosse da un ulteriore nozione, ossia quella di “miscelazione”. In dottrina[1]con il termine “miscelazione” s’intende un’attività di unione e mescolatura dei rifiuti, attuata in modo indistinto, sicché l’effetto dell’operazione sia quello di rendere complessa, se non impossibile, la materiale distinzione tra le varie categorie di rifiuti. È proprio la tendenziale indistinguibilità del composto ottenuto dalla somma dei rifiuti originari la caratteristica che distingue la miscelazione dalle operazioni di smaltimento di cui ai punti D13 e D14, oltre al fatto che le operazioni appena citate si riferiscono esclusivamente alle fasi preliminari allo smaltimento. L’art. 15 del D.L.vo n. 205/2010 ha sostituito interamente l’art. 187 del D.L.vo n. 152/2006, sicché oggi esso dispone che: “1. È vietato miscelare rifiuti pericolosi aventi differenti caratteristiche di pericolosità ovvero rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi. La miscelazione comprende la diluizione di sostanze pericolose”. Il D.L.vo n. 205/2010 non ha peraltro ritenuto di inserire una definizione di “miscelazione di rifiuti”, limitandosi a precisare che nella medesima debba essere ricompresa la “diluizione di sostanze pericolose”. Un riferimento alla “diluizione” dei rifiuti si rinviene anche nell’art. 184, comma 5-ter del D.L.vo n. 152/2006, che prevede che “La declassificazione da rifiuto pericoloso a rifiuto non pericoloso non può essere ottenuta attraverso una diluizione o una miscelazione del rifiuto che comporti una riduzione delle concentrazioni iniziali di sostanze pericolose sotto le soglie che definiscono il carattere pericoloso del rifiuto”, ma anche in questo caso non viene fornita alcuna definizione. Dal punto di vista tecnico ci è stato segnalato che la maggior parte dei rifiuti pericolosi subisce un processo di bioaccumulo negli organismi viventi, in quanto le sostanze tossiche in essi contenute si accumulano all’interno di tali organismi in concentrazioni superiori rispetto a quelle riscontrate nell’ambiente circostante: ad esempio, diluendo delle acque sature di metalli pesanti al fine di abbassarne la concentrazione ai livelli di legge, apparentemente si ottengono dei rifiuti non pericolosi, ma in realtà se riversati nell’ambiente comportano l’accumulo degli inquinanti all’interno dei tessuti degli organismi, provocando una serie di conseguenze negative per l’ambiente. Del resto, la diluizione è un concetto chiave nell’ambito della normativa sulle acque (Parte III del D.L.vo n. 152/2006), seppur a prescindere dalla qualità delle medesime: infatti i valori limite tabellari non possono essere rispettati mediante il ricorso alla diluizione dei reflui, e ciò a garanzia della corretta gestione dei medesimi nonché della tutela della risorsa idrica. Peraltro, in tema di diluizione, è da segnalare una differenza di ratio per quanto concerne la diluizione degli scarichi rispetto a quella dei rifiuti. Infatti, relativamente alla prima, è di tutta evidenza che l’obiettivo che s’intende realizzare tramite il relativo divieto è principalmente quello di non sprecare una risorsa al fine di raggiungere determinate caratteristiche di qualità di un refluo, mentre per quanto attiene la seconda, tale ratio parrebbe prospettabile soltanto nel caso in cui un rifiuto fosse diluito con un bene (cosa in realtà assai rara), mentre con riferimento ad una sorta di diluizione fra rifiuti ovviamente si scivolerebbe solo nei limiti imposti dall’art. 187 in materia di miscelazione. Tutt’al più si potrebbe ipotizzare un’illecita diluizione in caso di dolosa alterazione, ad esempio, delle percentuali di sostanze pericolose contenute in un campione di rifiuti al fine, in caso di voci a specchio, di poterlo classificare come non pericoloso invece che come pericoloso, oppure con un codice CER compatibile con le autorizzazioni in essere. Il concetto di “diluizione” è stato d’altra parte mutuato dalla Direttiva 2008/98/CE, che all’art. 18 stabilisce: “Gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che i rifiuti pericolosi non siano miscelati con altre categorie di rifiuti pericolosi o con altri rifiuti, sostanze o materiali. La miscelazione comprende la diluizione di sostanze pericolose”. Nemmeno nella Direttiva in questione si riviene una definizione di miscelazione o di diluizione. Tuttavia, all’interno del documento “Guidance on the interpretation of key provisions of Directive 2008/98/EC on waste” del giugno 2012 sono contenute alcune precisazioni che, sebbene non giuridicamente vincolanti, possono costituire indicazioni valide al fine di meglio specificare il concetto di “diluizione”. In particolare, il par. 5.2 prevede che “Dilution could be understood as including mixing with the aim of lowering concentration levels of hazardous agents present in the waste” (ossia, la diluizione potrebbe essere intesa come un concetto che include quello di miscelazione, con l’obiettivo di diminuire i livelli di concentrazione di agenti pericolosi presenti nei rifiuti). Il documento prosegue precisando che “the ban on the mixing of hazardous waste in Article 18(1) WFD and the requirements for derogation in Article 18(2) WFD apply irrespective of the aggregation state of the waste in question and the reasons — if any — for the person or institution to undertake the mixing of waste. On the basis of this understanding, ‘blending’ and ‘dilution‘ would be sub-categories of mixing for which no specific provisions are foreseen and which are mainly introduced for clarification purposes”. Secondo i tecnici europei, quindi, il divieto di miscelazione di rifiuti contenuto nell’art. 18 della Direttiva 2008/98/CE e le relative disposizioni in deroga si applicherebbero indipendentemente dallo stato di aggregazione dei rifiuti in questione, nonché dalle motivazioni – se esistenti – del soggetto che ha effettuato la miscelazione. Sulla base di ciò, pertanto, la diluizione assurgerebbe a “sottocategoria” della miscelazione, per la quale non sono previste disposizioni specifiche: tale concetto sarebbe quindi stato introdotto solo a scopo di chiarimento del generale divieto di miscelazione. Parte della dottrina approfondisce ulteriormente il ragionamento sul concetto di “diluizione”, rilevando che “Se la diluizione si può ottenere non solo miscelando due rifiuti allo stato liquido (concetto che parrebbe già riconducibile alla prima parte della definizione) quanto aggiungendo semplicemente acqua a sostanze pericolose, si verrebbe a delineare, più che una precisazione, una vera e propria estensione del concetto di miscelazione, atteso che la precedente versione della norma portava ad individuare quest’ultima nell’unione di due sostanze che – già autonomamente considerate – avrebbero dovuto essere qualificate come rifiuto, e non con la semplice commistione di acqua a rifiuti. Non più, quindi, miscelazione solo a fronte di immissione di rifiuti oleosi, ad esempio, con altri rifiuti liquidi (anche non pericolosi), o quando gli stessi abbiano “contaminato” rifiuti solidi a loro volta non pericolosi, ma anche a fronte della semplice dispersione di sostanze liquide “pericolose” in acqua. Non è chiaro, tuttavia, come debba essere “percentualmente” valutata la diluizione”[2].
[1] Si veda in tal senso, per una trattazione sulla miscelazione: – S. Maglia, II nuovo manuale pratico dei rifiuti, CELT, 2004, cap. 8, p. 119 e ss; – P. Ficco, La gestione dei rifiuti, Edizioni Ambiente, 2004. [2]C. PARODI, Le nuove indicazioni sulla miscelazionedei rifiuti, in Ambiente&Sicurezza, 8 marzo 2011, n. 4, pagg. 31 e ss..
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Cosa s’intende per “diluizione” nell’ambito della gestione dei rifiuti?
di Giulia Guagnini
Per analizzare il concetto di “diluizione” in relazione alla disciplina giuridica sulla gestione di rifiuti occorre prendere le mosse da un ulteriore nozione, ossia quella di “miscelazione”.
In dottrina[1]con il termine “miscelazione” s’intende un’attività di unione e mescolatura dei rifiuti, attuata in modo indistinto, sicché l’effetto dell’operazione sia quello di rendere complessa, se non impossibile, la materiale distinzione tra le varie categorie di rifiuti.
È proprio la tendenziale indistinguibilità del composto ottenuto dalla somma dei rifiuti originari la caratteristica che distingue la miscelazione dalle operazioni di smaltimento di cui ai punti D13 e D14, oltre al fatto che le operazioni appena citate si riferiscono esclusivamente alle fasi preliminari allo smaltimento.
L’art. 15 del D.L.vo n. 205/2010 ha sostituito interamente l’art. 187 del D.L.vo n. 152/2006, sicché oggi esso dispone che: “1. È vietato miscelare rifiuti pericolosi aventi differenti caratteristiche di pericolosità ovvero rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi. La miscelazione comprende la diluizione di sostanze pericolose”.
Il D.L.vo n. 205/2010 non ha peraltro ritenuto di inserire una definizione di “miscelazione di rifiuti”, limitandosi a precisare che nella medesima debba essere ricompresa la “diluizione di sostanze pericolose”.
Un riferimento alla “diluizione” dei rifiuti si rinviene anche nell’art. 184, comma 5-ter del D.L.vo n. 152/2006, che prevede che “La declassificazione da rifiuto pericoloso a rifiuto non pericoloso non può essere ottenuta attraverso una diluizione o una miscelazione del rifiuto che comporti una riduzione delle concentrazioni iniziali di sostanze pericolose sotto le soglie che definiscono il carattere pericoloso del rifiuto”, ma anche in questo caso non viene fornita alcuna definizione.
Dal punto di vista tecnico ci è stato segnalato che la maggior parte dei rifiuti pericolosi subisce un processo di bioaccumulo negli organismi viventi, in quanto le sostanze tossiche in essi contenute si accumulano all’interno di tali organismi in concentrazioni superiori rispetto a quelle riscontrate nell’ambiente circostante: ad esempio, diluendo delle acque sature di metalli pesanti al fine di abbassarne la concentrazione ai livelli di legge, apparentemente si ottengono dei rifiuti non pericolosi, ma in realtà se riversati nell’ambiente comportano l’accumulo degli inquinanti all’interno dei tessuti degli organismi, provocando una serie di conseguenze negative per l’ambiente.
Del resto, la diluizione è un concetto chiave nell’ambito della normativa sulle acque (Parte III del D.L.vo n. 152/2006), seppur a prescindere dalla qualità delle medesime: infatti i valori limite tabellari non possono essere rispettati mediante il ricorso alla diluizione dei reflui, e ciò a garanzia della corretta gestione dei medesimi nonché della tutela della risorsa idrica.
Peraltro, in tema di diluizione, è da segnalare una differenza di ratio per quanto concerne la diluizione degli scarichi rispetto a quella dei rifiuti. Infatti, relativamente alla prima, è di tutta evidenza che l’obiettivo che s’intende realizzare tramite il relativo divieto è principalmente quello di non sprecare una risorsa al fine di raggiungere determinate caratteristiche di qualità di un refluo, mentre per quanto attiene la seconda, tale ratio parrebbe prospettabile soltanto nel caso in cui un rifiuto fosse diluito con un bene (cosa in realtà assai rara), mentre con riferimento ad una sorta di diluizione fra rifiuti ovviamente si scivolerebbe solo nei limiti imposti dall’art. 187 in materia di miscelazione. Tutt’al più si potrebbe ipotizzare un’illecita diluizione in caso di dolosa alterazione, ad esempio, delle percentuali di sostanze pericolose contenute in un campione di rifiuti al fine, in caso di voci a specchio, di poterlo classificare come non pericoloso invece che come pericoloso, oppure con un codice CER compatibile con le autorizzazioni in essere.
Il concetto di “diluizione” è stato d’altra parte mutuato dalla Direttiva 2008/98/CE, che all’art. 18 stabilisce: “Gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che i rifiuti pericolosi non siano miscelati con altre categorie di rifiuti pericolosi o con altri rifiuti, sostanze o materiali. La miscelazione comprende la diluizione di sostanze pericolose”.
Nemmeno nella Direttiva in questione si riviene una definizione di miscelazione o di diluizione. Tuttavia, all’interno del documento “Guidance on the interpretation of key provisions of Directive 2008/98/EC on waste” del giugno 2012 sono contenute alcune precisazioni che, sebbene non giuridicamente vincolanti, possono costituire indicazioni valide al fine di meglio specificare il concetto di “diluizione”.
In particolare, il par. 5.2 prevede che “Dilution could be understood as including mixing with the aim of lowering concentration levels of hazardous agents present in the waste” (ossia, la diluizione potrebbe essere intesa come un concetto che include quello di miscelazione, con l’obiettivo di diminuire i livelli di concentrazione di agenti pericolosi presenti nei rifiuti). Il documento prosegue precisando che “the ban on the mixing of hazardous waste in Article 18(1) WFD and the requirements for derogation in Article 18(2) WFD apply irrespective of the aggregation state of the waste in question and the reasons — if any — for the person or institution to undertake the mixing of waste. On the basis of this understanding, ‘blending’ and ‘dilution‘ would be sub-categories of mixing for which no specific provisions are foreseen and which are mainly introduced for clarification purposes”. Secondo i tecnici europei, quindi, il divieto di miscelazione di rifiuti contenuto nell’art. 18 della Direttiva 2008/98/CE e le relative disposizioni in deroga si applicherebbero indipendentemente dallo stato di aggregazione dei rifiuti in questione, nonché dalle motivazioni – se esistenti – del soggetto che ha effettuato la miscelazione. Sulla base di ciò, pertanto, la diluizione assurgerebbe a “sottocategoria” della miscelazione, per la quale non sono previste disposizioni specifiche: tale concetto sarebbe quindi stato introdotto solo a scopo di chiarimento del generale divieto di miscelazione.
Parte della dottrina approfondisce ulteriormente il ragionamento sul concetto di “diluizione”, rilevando che “Se la diluizione si può ottenere non solo miscelando due rifiuti allo stato liquido (concetto che parrebbe già riconducibile alla prima parte della definizione) quanto aggiungendo semplicemente acqua a sostanze pericolose, si verrebbe a delineare, più che una precisazione, una vera e propria estensione del concetto di miscelazione, atteso che la precedente versione della norma portava ad individuare quest’ultima nell’unione di due sostanze che – già autonomamente considerate – avrebbero dovuto essere qualificate come rifiuto, e non con la semplice commistione di acqua a rifiuti. Non più, quindi, miscelazione solo a fronte di immissione di rifiuti oleosi, ad esempio, con altri rifiuti liquidi (anche non pericolosi), o quando gli stessi abbiano “contaminato” rifiuti solidi a loro volta non pericolosi, ma anche a fronte della semplice dispersione di sostanze liquide “pericolose” in acqua. Non è chiaro, tuttavia, come debba essere “percentualmente” valutata la diluizione”[2].
[1] Si veda in tal senso, per una trattazione sulla miscelazione:
– S. Maglia, II nuovo manuale pratico dei rifiuti, CELT, 2004, cap. 8, p. 119 e ss;
– P. Ficco, La gestione dei rifiuti, Edizioni Ambiente, 2004.
[2] C. PARODI, Le nuove indicazioni sulla miscelazione dei rifiuti, in Ambiente&Sicurezza, 8 marzo 2011, n. 4, pagg. 31 e ss..
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