Preveniamo rischi Risolviamo problemi Formiamo competenze
"Mi occupo di diritto ambientale da oltre trent’anni TuttoAmbiente è la guida più autorevole per la formazione e la consulenza ambientale Conta su di noi" Stefano Maglia
La Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) è una procedura che ha lo scopo di individuare, descrivere e valutare, in via preventiva alla realizzazione delle opere, gli effetti sull’ambiente, sulla salute e benessere umano di determinati progetti pubblici o privati, nonché di identificare le misure atte a prevenire, eliminare o rendere minimi gli impatti negativi sull’ambiente, prima che questi si verifichino effettivamente.
I concetti fondamentali alla base della procedura di VIA (già definiti nella Direttiva 85/337/CEEdel Consiglio delle Comunità europee del 27 giugno 1985 ) sono: Prevenzione: analisi di tutti i possibili impatti derivati dalla realizzazione dell’opera/progetto, al fine non solo di salvaguardare ma anche di migliorare la qualità dell’ambiente e della vita; Integrazione: analisi di tutte le componenti ambientali e delle interazioni fra i diversi effetti possibili (effetti cumulativi); Confronto: dialogo e riscontro tra chi progetta e chi autorizza nelle fasi di raccolta, analisi ed impiego di dati scientifici e tecnici;
Partecipazione: apertura del processo di valutazione all’attivo contributo dei cittadini in un’ottica di maggiore trasparenza (pubblicazione della domanda di autorizzazione e possibilità di consultazione).
In particolare la valutazione di impatto ambientale (VIA) dei progetti, così come la VAS, è concepita per assicurare che l’attività antropica sia compatibile con le condizioni per uno sviluppo sostenibile, pertanto comporta la individuazione, la descrizione e la stima degli impatti diretti ed indiretti che un progetto può avere su: – uomo, fauna e flora; – suolo, acqua, aria e clima; – beni materiali e patrimonio culturale; valutando anche l’interazione tra tali fattori, in modo da poter individuare la soluzione progettuale più idonea al perseguimento degli obiettivi di cui al co. 3 dell’art. 4 del D.L.vo n. 152/2006.
Campo di applicazione
La valutazione di impatto ambientale, all’interno della quale si colloca la fase di verifica di assoggettabilità alla VIA stessa come prevede l’art. 19 del D.L.vo n. 152/2006, riguarda i progetti definiti dall’art. 5 come “la realizzazione di lavori di costruzione o di altri impianti od opere e di altri interventi sull’ambiente naturale o sul paesaggio, compresi quelli destinati allo sfruttamento delle risorse del suolo”, quindi nella nozione di progetto rientrano la costruzione e la modifica degli impianti o delle opere interessate riportate negli Allegati II, III e IV alla Parte II del decreto, con le modalità esplicitate nei paragrafi successivi.
Qualora i progetti risultino destinati esclusivamente alla difesa nazionale è possibile la loro esclusione non solo dalla VIA, ma addirittura “dal campo di applicazione del decreto” e ciò è ammesso se l’applicabilità delle disposizioni del D.L.vo n. 152/2006 può pregiudicare gli scopi della difesa nazionale. A tal fine l’autorità competente in sede statale, quindi il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM) valuta “caso per caso” i progetti interessati e l’esclusione è stabilita tramite un apposito decreto interministeriale a firma del MATTM e del Ministero della Difesa (co. 10 dell’art. 6 del D.L.vo n. 152/2006).
Tuttavia la priorità della difesa non rappresenta l’unica possibilità di esclusione. Infatti, il co. 11 dell’art. 6 prevede l’esclusione, anche in questo caso non solo dalla VIA, ma da tutto il D.L.vo n.152/2006, per gli interventi disposti in via d’urgenza ai sensi dei co. 2 e 5 dell’art. 5 della L. n. 225/1992 (“Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile”)[1], per i quali non risulti possibile svolgere la VIA stessa in quanto finalizzati a “salvaguardare l’incolumità delle persone e di mettere in sicurezza gli immobili da un pericolo imminente o a seguito di calamità”. Lo stesso co. 11 stabilisce le condizioni che devono essere soddisfatte affinché gli interventi disposti in via d’urgenza possano essere esclusi dalla VIA; sostanzialmente l’autorità competente deve esaminare se è comunque possibile una forma valutativa alternativa alla VIA, mettere a disposizione del pubblico l’esito delle valutazioni ambientali eventualmente compiute nonché la motivata decisione di esclusione ed informare la Commissione Europea circa le motivazioni di esclusioni e le valutazioni compiute prima del rilascio delle necessarie autorizzazioni.
Relativamente ai progetti soggetti alla valutazione di impatto ambientale, dal punto di vista operativo è opportuno tenere distinte la verifica di assoggettabilità alla VIA dalla VIA vera e propria, in quanto nel Titolo III della Parte II del D.L.vo n. 152/2006 si rinvengono procedure specifiche per ciascuna di esse.
La verifica di assoggettabilità è definita come la procedura che deve essere attivata per “valutare, ove previsto, se progetti possono avere un impatto significativo e negativo sull’ambiente” e devono essere sottoposti alla fase di VIA. Quindi rappresenta una fase propedeutica alla VIA vera e propria.
Secondo quanto stabilito dall’art. 20 del D.L.vo n. 152/2006, la verifica di assoggettabilità alla VIA (nota anche come “screening”) è prevista per:
– i progetti elencati nell’Allegato II alla Parte II che servano esclusivamente o essenzialmente per lo sviluppo ed il collaudo di nuovi metodi o prodotti e non siano utilizzati per più di due anni;
– le modifiche o le estensioni dei progetti riportati nell’Allegato II la cui realizzazione “potenzialmente può produrre effetti negativi e significativi sull’ambiente”;
– i progetti elencati nell’Allegato IV;
– i progetti di cui all’Allegato IV ricadenti all’interno di aree naturali protette, le soglie dimensionali, ove previste, sono ridotte del cinquanta per cento.
L’art. 7 del D.L.vo n. 152/2006 stabilisce che la competenza circa i progetti di cui all’Allegato II è del MATTM, mentre i progetti di cui all’Allegato IV sono di competenza delle autorità alle quali le leggi regionali o delle province autonome abbiano affidato compiti di tutela, protezione e valorizzazione ambientale (vedasi co. 6 dell’art. 7), pertanto nel panorama nazionale vi sono situazioni differenti da Regione a Regione con competenze affidate spesso anche ai Comuni.
L’Allegato IV e le soglie dimensionali in esso stabilite meritano approfondimenti in quanto oggetto di contenziosi e, soprattutto, di procedure di infrazioni comunitarie, quindi occorre comprendere quale sia stata la sua evoluzione normativa a livello comunitario e nazionale. La Direttiva 85/337/CEE, prima direttiva comunitaria in tema di VIA, (recepita in Italia con la L. n. 349/1986 e completata con strumenti attuativi quali il DPCM 377/88, il DPCM 27.12.1988 ed il DPR 16.4.1996) forniva due elenchi di progetti:
– quelli riportati nell’Allegato I della direttiva per i quali era obbligatoria la VIA;
– quelli di cui all’Allegato II (privi di soglie) per i quali gli Stati membri avrebbero potuto stabilire l’obbligo della VIA in funzione delle loro caratteristiche specificando “alcuni tipi di progetti da sottoporre ad una valutazione d’impatto o fissare criteri e/o soglie limite” (vedasi paragrafo 2 dell’art. 4 della Direttiva 87/337/CEE testo storico).
La Direttiva 85/337/CEE non forniva alcuna indicazione per la fissazione delle soglie, pertanto le soglie stabilite dal D.P.R. 16 aprile 1996 (atto di indirizzo e coordinamento alle Regioni atto di indirizzo e coordinamento relativo alle condizioni, criteri e norme tecniche per l’applicazione della procedura d’impatto ambientale ai progetti inclusi nell’Allegato II alla Direttiva del 85/337/CEE, in attuazione del co. 1 dell’art. 40 della L. n. 146/1994 – legge comunitaria 1993) erano conformi alle disposizioni comunitarie. Ma con la Direttiva 97/11/CE, le disposizioni di cui alla direttiva madre vennero modificate, per cui all’art. 4 venne previsto che per valutare l’assoggettabilità alla VIA dei progetti di cui all’Allegato II gli Stati membri avrebbero dovuto procedere:
– esaminandoli “caso per caso”,
– o fissando soglie o criteri tenendo conto dei relativi criteri di selezione riportati nell’Allegato III alla direttiva stessa.
La valutazione di impatto ambientale vera e propria
In base a quanto stabilito dai co. 6 e 7 dell’art. 6 la VIA è obbligatoriamente prevista per:
i progetti di cui agli Allegati II e III alla Parte II del D.L.vo n. 152/2006;
i progetti di cui all’Allegato IV, relativi ad opere o interventi di nuova realizzazione, che ricadono, anche parzialmente, all’interno di aree naturali protette come definite dalla L. n. 394/1991;
per i seguenti progetti qualora la procedura di verifica di assoggettabilità alla VIA abbia dimostrato che “possano produrre impatti significativi e negativi sull’ambiente”:
progetti elencati nell’Allegato II che servono esclusivamente o essenzialmente per lo sviluppo ed il collaudo di nuovi metodi o prodotti e non sono utilizzati per più di due anni;
modifiche o estensioni dei progetti elencati nell’Allegato II che possono avere impatti significativi e negativi sull’ambiente;
progetti elencati nell’Allegato IV.
Rispetto allo screening, la VIA prevede un maggior livello di dettaglio delle informazioni che devono essere prodotte all’autorità competente, tant’è che all’art. 21 del D.L.vo n. 152/2006 viene prevista anche una fase, facoltativa, di consultazione tra il proponente, l’autorità competente ed i soggetti competenti in materia ambientale, finalizzata alla definizione del grado di approfondimento delle informazioni, della metodologia da seguirsi necessaria alla redazione dello studio di impatto ambientale (SIA).
Tale fase, conosciuta anche con il termine di “scoping”, viene condotta sulla base del progetto preliminare e dello studio preliminare ambientale, nonché dell’elenco delle autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri nulla osta ed assensi necessari per la costruzione e l’esercizio del progetto, da prodursi prioritariamente in formato elettronico. E’ evidente che per progetti non già sottoposti a verifica di assoggettabilità alla VIA, i documenti previsti devono essere elaborati allo scopo, quindi a prima vista potrebbe risultare un onere aggiuntivo, ma lo scoping presenta vantaggi non trascurabili: il confronto preliminare può prevenire una successiva richiesta di integrazioni od ulteriori approfondimenti ed impegna l’autorità componente a verificare “l’esistenza di eventuali elementi di incompatibilità”, senza però vincolarla alla decisione prevista per la VIA.
La fase di consultazione deve concludersi entro 60 giorni con una espressa pronuncia dell’autorità competente sugli aspetti elencati dal co. 2 dell’art. 21.
Prima di attivarsi per la presentazione dell’istanza, il proponente deve quindi elaborare lo studio di impatto ambientale (SIA) che rappresenta il documento principale riguardante gli aspetti ambientali e gli impatti del progetto. Il co. 3 dell’art. 22 del D.L.vo n. 152/2006 prevede un contenuto minimo per il SIA:
descrizione del progetto e delle sue caratteristiche, analizzando la zona in cui sarà localizzato;
descrizione delle misure previste per evitare, ridurre e possibilmente compensare gli impatti negativi rilevanti;
indicazione dei dati necessari all’individuazione e valutazione dei principali impatti sull’ambiente e sul patrimonio culturale che il progetto può produrre, sia in fase di realizzazione sia in fase di esercizio dell’opera;
descrizione sommaria delle principali alternative prese in esame, compresa l’opzione zero, illustrando le motivazioni della scelta progettuale per quanto attiene l’impatto ambientale;
piano di monitoraggio degli impatti che saranno prodotti.
Indicazioni di maggior dettaglio per la redazione del SIA sono forniti dall’Allegato VII alla Parte II del D.L.vo n. 152/2006, dal quale si desume altresì che il proponente debba effettuare un confronto, sotto il profilo ambientale, delle possibili alternative individuate con il progetto presentato.
Tutte le informazioni devono essere riassunte in una sintesi non tecnica per l’informazione del pubblico meno esperto.
L’istanza deve essere presentata direttamente all’autorità competente che per i progetti di cui all’Allegato II è individuata nel MATTM, mentre per quelli di cui agli Allegati III e IV la competenza è attribuita secondo le disposizioni delle leggi regionali. La domanda deve essere corredata da:
progetto definitivo (ossia il progetto avente un livello di dettaglio analogo a quanto previsto dal co. 4 dell’art. 93 del D.L.vo n. 163/2006[2]);
studio di impatto ambientale;
sintesi non tecnica;
elenco delle autorizzazioni, intese, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati, già acquisiti o da acquisire per la costruzione e l’esercizio dell’opera;
copia informatizzata degli elaborati, conforme agli originali presentati;
copia di un avviso a mezzo stampa (per progetti di competenza statale l’annuncio deve essere pubblicato su un quotidiano a diffusione nazionale e su uno a diffusione regionale, mentre per i progetti di cui agli Allegati III e IV la pubblicazione va effettuata su quotidiani a diffusione regionale o provinciale).
Come nel caso della verifica di assoggettabilità alla VIA, anche nella VIA è garantita la riservatezza industriale o commerciale, consentendo di sottrarre all’accesso del pubblico informazioni riservate (co. 4 dell’art. 9 del D.L.vo n. 152/2006).
La documentazione deve essere depositata non solo presso l’autorità competente, sul cui sito web deve essere data notizia della presentazione dell’istanza (co. 1 art. 24), ma anche presso gli uffici di regioni, province e comuni eventualmente interessati anche parzialmente dagli impatti, pertanto, a differenza di quanto visto per lo screening, per il quale è sufficiente che la documentazione sia depositata presso gli enti in cui il progetto è localizzato, la VIA garantisce una maggior coinvolgimento dei territori interessati, non solo dal progetto, ma anche dagli impatti conseguenti la sua realizzazione. A tal fine è indispensabile che il proponente stimi con scrupolosità i propri impatti, anche al fine di evitare un nuovo deposito della domanda presso uffici di enti inizialmente trascurati ed eventualmente anche una nuova ripubblicazione con una nuova decorrenza dei termini, visto che il co. 3 dell’art. 24 prevede che la pubblicazione indichi una breve descrizione dei “possibili principali impatti ambientali” del progetto.
A garanzia che la documentazione presentata sia completa, il legislatore ha previsto una fase finalizzata alla verifica di completezza sia di quanto presentato, sia dell’avvenuto pagamento degli oneri istruttori previsti dall’art. 33 del D.L.vo n. 152/2006. Questa fase deve compiersi entro 30 giorni dalla presentazione della domanda, trascorsi i quali, se non sono state chieste integrazioni documentali (comportanti l’interruzione dei termini), l’istanza si intende correttamente presentata. Questa prima fase comporta esclusivamente la verifica che alla domanda siano allegati i documenti previsti senza, però, impegnare l’autorità competente ad effettuare una valutazione in merito ai contenuti, cosa che avviene in fase istruttoria. Eventuali integrazioni devono essere presentate entro il termine stabilito dall’autorità competente che non può essere superiore a 30 giorni, prorogabile qualora la documentazione da produrre sia particolarmente complessa. La mancata produzione di quanto richiesto “entro il termine stabilito” va inteso come ritiro dell’istanza. Si è quindi in presenza di una archiviazione ex lege (non prevista per la procedura di verifica di assoggettabilità alla VIA), che non comporta necessariamente una risposta dell’autorità competente, né tantomeno l’avvio delle procedure dell’art. 10-bis della L. n. 241/1990, anche se potrebbe, comunque, risultare opportuna.
La partecipazione pubblica è garantita dalla possibilità di visionare il progetto e presentare osservazioni entro 60 giorni dalla presentazione della domanda. A differenza dello screening, la VIA prevede anche forme di partecipazioni più attive del pubblico, in quanto il co. 6 dell’art. 24 del D.L.vo n. 152/2006 dà la possibilità all’autorità competente di effettuare la consultazione tramite una inchiesta pubblica durante la quale i cittadini possono formulare le proprie osservazioni.
Il proponente potrebbe essere convocato ad un contraddittorio con i soggetti che hanno presentato pareri od osservazioni, contraddittorio che potrebbe essere richiesto anche dal proponente.
Strategicamente, sia l’inchiesta pubblica che il contraddittorio rappresentano una forma di consultazione e confronto moderna e democratica, tipica di una società civile, avente l’obiettivo di far convergere posizioni spesso contrastanti quali sono l’interesse economico e l’opposizione preconcetta, figlia della sindrome di Nimby (“not in my backyard”, non nel mio cortile), al fine di individuare una soluzione il più possibile condivisa e rispettosa dell’ambiente.
Documentazione integrativa può essere presentata sia su iniziativa del proponente anche a seguito delle osservazioni presentate (co. 9 dell’art. 24), sia su richiesta dell’autorità competente (co. 3 dell’art. 26); in ogni caso, sia la proposta del richiedente che la richiesta dell’autorità competente, devono avvenire entro 30 giorni dalla scadenza del termine previsto per la presentazione delle osservazioni (quindi entro 90 giorni dalla presentazione dell’istanza). Tale evenienza allunga i tempi istruttori, che possono dilatarsi ulteriormente qualora l’autorità competente ritenga che le modifiche apportate siano sostanziali (in base alla definizione di cui alla lett. l-bis) del co. 1 dell’art. 5) e, quindi, soggette ad un nuovo deposito con le modalità già descritte; conseguentemente i termini per l’adozione del provvedimento di VIA, di norma stabiliti in 150 giorni dalla presentazione dal co. 1 dell’art. 26, possono protrarsi fino a 330 giorni.
I proponenti devono prestare particolare attenzione alle scadenze fissate per la presentazione della documentazione integrativa stabilite dall’autorità competente, in quanto il co. 3-ter dell’art. 26 prevede che “non si procede all’ulteriore corso della valutazione” qualora non si ottemperi alle richieste. La disposizione non è comunque chiara come quella che prevede il ritiro ex lege dell’istanza in caso di omesso deposito nei termini fissati della documentazione mancante in sede di verifica di completezza (si ricordi il co. 4 dell’art. 23): il fatto che il legislatore nell’art. 26 abbia adottato una formulazione differente (“non ottemperi alle richieste di integrazioni”) potrebbe lasciare aperta la possibilità che l’autorità competente tenga comunque conto di documentazione fornita con un ritardo minimo, ad esempio dell’ordine di alcuni giorni, proseguendo l’istruttoria.
Nel caso di progetti di competenza non statale, qualora l’impatto sia “rilevante” o siano attesi “effetti ambienti negativi e significativi” nel territorio di Regioni confinanti, l’autorità competente deve informare le corrispondenti autorità competenti di tali Regioni (stabilite in base alle loro leggi) ed acquisirne i pareri unitamente a quelle degli enti locali interessati.
In base a quanto previsto dall’art. 31, qualora risulti un conflitto tra autorità competenti regionali circa gli impatti ambientali, il presidente del Consiglio dei Ministri dispone che al progetto si applichino le disposizioni previste per progetti statali: in sostanza si tratta di una avocazione di competenze da parte dello Stato che le rimette in capo al MATTM.
In caso di inquinamento transfrontaliero è previsto che lo Stato toccato venga informato tramite apposita notifica in modo che questo possa esprimere, entro 60 giorni, l’interesse a partecipare alla procedura. Il recente D.L. n. 91/2014, convertito con modifiche dalla L. n. 116/2014 ha previsto che sul sito web dell’autorità competente sia data evidenza della notifica. Qualora lo Stato straniero manifesti l’intenzione di partecipare, le autorità pubbliche ed il pubblico transfrontaliero possono inviare rispettivamente pareri ed osservazioni entro 90 giorni dalla dichiarazione di interesse, ossia entro 150 giorni dalla notifica, rendendo di fatto impraticabile il termine di 150 giorni per la conclusione del procedimento di VIA.
In caso di inerzia dell’autorità competente, il potere sostitutivo può essere esercitato, su espressa richiesta, dal Consiglio dei Ministri che prima deve diffidare l’autorità competente invitandola a concludere entro 20 giorni e poi, in caso di ulteriore inadempienza, conclude il procedimento entro 60 giorni dalla richiesta stessa. Per i progetti di competenza non statale, il potere sostitutivo spetta al Consiglio dei Ministri fino all’entrata in vigore di specifiche norme delle Regioni o delle Province autonome[3]. Così come previsto per la verifica di assoggettabilità a VIA, rimane possibile fare ricorso contro il silenzio dell’autorità competente.
Per quanto attiene l’istruttoria, non è obbligatoriamente prevista la conferenza dei servizi, che tuttavia si ritiene essere il miglior strumento di confronto tra autorità competente, soggetti competenti in materia ambientale e proponente. In mancanza di conferenza dei servizi, l’autorità competente deve acquisire il parere dei soggetti che devono rilasciare autorizzazioni, pareri o altri titoli in materia ambientale, entro i termini stabiliti dal co. 3 dell’art. 25; nel caso di progetti di competenza statale il MATTM deve provvedere all’acquisizione anche del parere delle Regioni interessate.
In caso di mancata espressione dei pareri previsti o in caso di dissenso, l’autorità competente “procede, comunque, ai sensi dell’articolo 26” per pervenire alla decisione finale. A tal proposito, risulta particolarmente evidente che l’indizione di una conferenza dei servizi ai sensi della L. n. 241/1990, ritenuta compatibile alle procedure della Parte II del D.L.vo n. 152/2006 in virtù di quanto disposto dall’art. 9, costituirebbe un importante vantaggio per l’autorità competente, soprattutto per la gestione del dissenso, in quanto, in base al co. 1 dell’art. 14-ter della L. n. 241/1990, il dissenso:
non potrebbe essere espresso al di fuori della conferenza;
dovrebbe essere congruamente motivato e pertinente all’oggetto della conferenza;
dovrebbe fornire precise indicazioni delle modifiche progettuali necessarie per ottenere l’assenso.
Quindi la conferenza dei servizi verrebbe a svolgere un ruolo di confronto fattivo.
Purtroppo non tutte le disposizioni previste dalla L. n. 241/1990 riguardanti la conferenza dei servizi sono applicabili ai procedimenti di VIA. In particolare risulta preclusa, per espressa indicazione del co. 7 dell’art. 14-ter della L. n. 241/1990[4], la possibilità di considerare acquisto per la VIA (così come per la VAS e l’AIA) l’assenso delle amministrazioni “il cui rappresentante, all’esito dei lavori della conferenza, non abbia espresso definitivamente la volontà dell’amministrazione rappresentata”. Conseguentemente, l’autorità competente che non riesca ad ottenere i previsti pareri neppure in conferenza dei servizi è obbligata comunque a procedere ai sensi dell’art. 26 del D.L.vo n. 152/2006.
Qualora si prefiguri l’adozione di un provvedimento negativo, l’autorità competente deve attivare le procedure previste dall’art. 10-bis della L. n. 241/1990 in modo da garantire al proponente di produrre, entro 10 giorni, eventuali osservazioni che possano contenere giustificazioni tali da far ritenere superati gli elementi ostativi.
Il provvedimento di VIA, se favorevole, deve contenere prescrizioni riguardanti l’impatto ambientale non solo durante l’esercizio di un opera, ma anche durante la costruzione e la dismissione della stessa (co. 5 dell’art. 26), riportando le misure di monitoraggio degli impatti (co. 1 dell’art. 28) ed è auspicabile che ricordi l’obbligo, prorogabile, di realizzare i progetti entro 5 anni dalla pubblicazione della decisione finale stabilito dal co. 6 dell’art. 26.
Il monitoraggio degli impatti è basilare per testare la veridicità delle valutazioni effettuate sia in sede di richiesta che in sede istruttoria e, soprattutto, per dare all’autorità competente il potere di apportare modifiche al provvedimento qualora risultino “impatti negativi ulteriori e diversi” ed addirittura di sospendere l’attività in attesa di individuare le azioni correttive applicabili nel caso in cui “possano derivare gravi ripercussioni negative non preventivamente valutate sulla salute pubblica e sull’ambiente” (co. 1-bis dell’art. 28).
Il provvedimento di VIA è vincolante per definizione (lett. o) del co. 1 dell’art. 5 del D.L.vo n. 152/2006) e sostituisce o coordina (vedasi sempre la definizione e il co. 4 dell’art. 26) tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta ed assensi comunque denominati in materia ambientale necessari per la costruzione e l’esercizio dell’opera progettata; nel caso di installazioni soggette a VIA ed AIA l’art. 10 del D.L.vo n. 152/2006 prevede che quando la competenza è statale (installazioni rientranti nell’Allegato XII alla Parte II del decreto) il provvedimento di VIA “fa luogo” dell’AIA, mentre negli altri casi le regioni devono assicurare che il procedimento di AIA sia coordinato nella VIA.
Il legislatore non ha ben precisato cosa intendesse con “sostituisce o coordina”, in quanto la sostituzione di un’autorizzazione determinerebbe una nuova forma giuridica di titolo ambientale, mentre un semplice coordinamento implicherebbe un’unica istruttoria per tutti i titoli necessari, ognuno dei quali manterrebbe il suo status. La procedura di VIA, per come è impostata nella normativa nazionale, non può essere intesa come una nuova autorizzazione, in quanto prima di tutto non viene indicata una sua durata e secondariamente nell’art. 29, relativo alle sanzioni, sono fatte salve quelle delle norme vigenti (a differenza dell’AIA per la quale sono individuate sanzioni specifiche).
Sempre in merito a quanto disposto dal co. 4 dell’art. 26, va ricordato che per impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti soggetti all’autorizzazione ex art. 208 del D.L.vo n. 152/2006 (eventualmente sostituita dall’AIA), lo stesso art. 208 prevede che, se l’impianto è soggetto a VIA, l’istruttoria rimane sospesa fino alla pronuncia di VIA stessa, il che significherebbe che l’autorizzazione ex art. 208 debba essere rilasciata successivamente alla decisione di VIA; l’autorizzazione ex art. 208, invece, in virtù di quanto previsto dal co. 6 di tale articolo, rappresenta sicuramente una forma autorizzativa che “sostituisce ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali” non solo in materia ambientale, innescando un circolo vizioso.
Qualora si sia in presenza di opere la cui approvazione abbia per legge l’effetto di variante (uno di questi casi è rappresentato appunto dall’autorizzazione ex art. 208), il co. 12 dell’art. 6 prevede che per i loro progetti si possa espletare esclusivamente la procedura di VIA e non si debba procedere alla VAS, in quanto la procedura di VIA persegue finalità analoghe a quelle della VAS, rispetto alla quale, peraltro, consente di valutare gli impatti ambientali ad un livello di dettaglio sicuramente più accurato rispetto a quello della VAS stessa.
In generale, il fatto che si possa essere in presenza di autorizzazioni comprese e coordinate nel procedimento di VIA, comporta che tali autorizzazioni mantengano le scadenze previste dalle disposizioni settoriali, con il conseguente obbligo di rinnovo periodico. A tal proposito è importante ricordare che il co. 8-bis dell’art. 14-ter della L. n. 241/1990 prevede che “I termini di validità di tutti i pareri, autorizzazioni, concessioni, nulla osta o atti di assenso comunque denominati acquisiti nell’ambito della Conferenza di Servizi, decorrono a far data dall’adozione del provvedimento finale”.
Così come viene data pubblicità alla presentazione della domanda di VIA, devono essere espletate idonee misure di pubblicità anche per quanto attiene la decisione secondo quanto disposto dall’art. 27: il proponente deve provvedere a far pubblicare un estratto della decisione stessa sulla G.U. per i progetti di competenza statale o sul BUR negli altri casi, mentre l’autorità competente deve pubblicarlo per intero sul proprio sito web.
In realtà, il D.L.vo n. 152/2006 non riporta un adempimento che invece è previsto dal co. 10 dell’art. 14-ter della L. n. 241/1990[5], che obbliga il proponente a far pubblicare un estratto della decisione anche su un quotidiano a diffusione nazionale per progetti di competenza statale ed a diffusione regionale negli altri casi. Tale disposizione, va quindi considerata integrativa di quelle riportate nell’art. 27 del D.L.vo n. 152/2006.
Le forme di pubblicità, non si limitano al provvedimento, in quanto l’art. 28 stabilisce che gli esiti del monitoraggio siano pubblicati sui siti web delle autorità competenti, procedenti (nel caso il proponente fosse pubblico) e delle agenzie competenti al controllo.
Prospettive future
Entro il 16 maggio 2017 l’ltalia deve recepire nell’ordinamento giuridico nazionale la Direttiva 2014/52/UE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, che modifica la Direttiva 2011/92/UE.
In forza dell’art. 14 della legge di delegazione europea n. 114/2015 il Governo è in procinto di adottare un corposo decreto legislativo che apporterà significative modifiche alla legislazione di settore, in particolare alla Parte Seconda (Vas, Via e Ippc) del D. Lgs. n. 152/06. Tratto da Gestione Ambientale, di Stefano Maglia, Paolo Pipere, Luca Prati, Leonardo Benedusi, Edizioni TuttoAmbiente, 2015.
[1] Co. 2 e 5 dell’art. 5 della L. n. 225/1992: “2. Per l’attuazione degli interventi da effettuare durante lo stato di emergenza dichiarato a seguito degli eventi di cui all’articolo 2, co. 1, lettera c), si provvede anche a mezzo di ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, nei limiti e secondo i criteri indicati nel decreto di dichiarazione dello stato di emergenza e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico.
Le ordinanze sono emanate, acquisita l’intesa delle regioni territorialmente interessate, dal Capo del Dipartimento della protezione civile, salvo che sia diversamente stabilito con la deliberazione dello stato di emergenza di cui al co. 1. L’attuazione delle ordinanze e’ curata in ogni caso dal Capo del Dipartimento della protezione civile. Fermo restando quanto previsto al co. 1, con le ordinanze si dispone, nel limite delle risorse disponibili, in ordine:
a) all’organizzazione ed all’effettuazione dei servizi di soccorso e di assistenza alla popolazione interessata dall’evento;
b) al ripristino della funzionalità dei servizi pubblici e delle infrastrutture di reti strategiche, entro i limiti delle risorse finanziarie disponibili;
c) alla realizzazione di interventi, anche strutturali, per la riduzione del rischio residuo strettamente connesso all’evento, entro i limiti delle risorse finanziarie disponibili e comunque finalizzate prioritariamente alla tutela della pubblica e privata incolumità;
d) alla ricognizione dei fabbisogni per il ripristino delle strutture e delle infrastrutture, pubbliche e private, danneggiate, nonché dei danni subiti dalle attività economiche e produttive, dai beni culturali e dal patrimonio edilizio, da porre in essere sulla base di procedure definite con la medesima o altra ordinanza;
e) all’avvio dell’attuazione delle prime misure per far fronte alle esigenze urgenti di cui alla lettera d), entro i limiti delle risorse finanziarie disponibili e secondo le direttive dettate con delibera del Consiglio dei ministri, sentita la Regione interessata.
Le ordinanze emanate in deroga alle leggi vigenti devono contenere l’indicazione delle principali norme a cui si intende derogare e devono essere motivate”.
[2] Art.. 93, co. 4, D.L..vo n. 163/2006: “Il progetto definitivo individua compiutamente i lavori da realizzare, nel rispetto delle esigenze, dei criteri, dei vincoli, degli indirizzi e delle indicazioni stabiliti nel progetto preliminare e contiene tutti gli elementi necessari ai fini del rilascio delle prescritte autorizzazioni e approvazioni. Esso consiste in una relazione descrittiva dei criteri utilizzati per le scelte progettuali, nonché delle caratteristiche dei materiali prescelti e dell’inserimento delle opere sul territorio; nello studio di impatto ambientale ove previsto; in disegni generali nelle opportune scale descrittivi delle principali caratteristiche delle opere, e delle soluzioni architettoniche, delle superfici e dei volumi da realizzare, compresi quelli per l’individuazione del tipo di fondazione; negli studi e indagini preliminari occorrenti con riguardo alla natura e alle caratteristiche dell’opera; nei calcoli preliminari delle strutture e degli impianti; in un disciplinare descrittivo degli elementi prestazionali, tecnici ed economici previsti in progetto nonché in un computo metrico estimativo. Gli studi e le indagini occorrenti, quali quelli di tipo geognostico,idrologico, sismico, agronomico, biologico, chimico, i rilievi e i sondaggi, sono condotti fino ad un livello tale da consentire i calcoli preliminari delle strutture e degli impianti e lo sviluppo del computo metrico estimativo”.
[3] A titolo esemplificativo, si veda l’art. 23 della L.R. n. 9/1999 e s.m.i. della Regione Emilia Romagna e l’art. 10 della L.R. n. 5/2010 e s.m.i. della Regione Lombardia.
[4] Art. 14-ter, co. 7, L. n. 241/1990: “Si considera acquisito l’assenso dell’amministrazione, ivi comprese quelle preposte alla tutela della salute e della pubblica incolumità, alla tutela paesaggistico-territoriale e alla tutela ambientale, esclusi i provvedimenti in materia di VIA, VAS e AIA, il cui rappresentante, all’esito dei lavori della conferenza, non abbia espresso definitivamente la volontà dell’amministrazione rappresentata”.
[5] Art. 14-ter, co. 10, L. n. 241/1990: “Il provvedimento finale concernente opere sottoposte a VIA è pubblicato, a cura del proponente, unitamente all’estratto della predetta VIA, nella Gazzetta Ufficiale o nel Bollettino regionale in caso di VIA regionale e in un quotidiano a diffusione nazionale. Dalla data della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale decorrono i termini per eventuali impugnazioni in sede giurisdizionaleda parte dei soggetti interessati”.
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Cos’è la valutazione di impatto ambientale (VIA)?
di Leonardo Benedusi
La Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) è una procedura che ha lo scopo di individuare, descrivere e valutare, in via preventiva alla realizzazione delle opere, gli effetti sull’ambiente, sulla salute e benessere umano di determinati progetti pubblici o privati, nonché di identificare le misure atte a prevenire, eliminare o rendere minimi gli impatti negativi sull’ambiente, prima che questi si verifichino effettivamente.
I concetti fondamentali alla base della procedura di VIA (già definiti nella Direttiva 85/337/CEEdel Consiglio delle Comunità europee del 27 giugno 1985 ) sono:
Prevenzione: analisi di tutti i possibili impatti derivati dalla realizzazione dell’opera/progetto, al fine non solo di salvaguardare ma anche di migliorare la qualità dell’ambiente e della vita;
Integrazione: analisi di tutte le componenti ambientali e delle interazioni fra i diversi effetti possibili (effetti cumulativi);
Confronto: dialogo e riscontro tra chi progetta e chi autorizza nelle fasi di raccolta, analisi ed impiego di dati scientifici e tecnici;
Partecipazione: apertura del processo di valutazione all’attivo contributo dei cittadini in un’ottica di maggiore trasparenza (pubblicazione della domanda di autorizzazione e possibilità di consultazione).
In particolare la valutazione di impatto ambientale (VIA) dei progetti, così come la VAS, è concepita per assicurare che l’attività antropica sia compatibile con le condizioni per uno sviluppo sostenibile, pertanto comporta la individuazione, la descrizione e la stima degli impatti diretti ed indiretti che un progetto può avere su:
– uomo, fauna e flora;
– suolo, acqua, aria e clima;
– beni materiali e patrimonio culturale;
valutando anche l’interazione tra tali fattori, in modo da poter individuare la soluzione progettuale più idonea al perseguimento degli obiettivi di cui al co. 3 dell’art. 4 del D.L.vo n. 152/2006.
Campo di applicazione
La valutazione di impatto ambientale, all’interno della quale si colloca la fase di verifica di assoggettabilità alla VIA stessa come prevede l’art. 19 del D.L.vo n. 152/2006, riguarda i progetti definiti dall’art. 5 come “la realizzazione di lavori di costruzione o di altri impianti od opere e di altri interventi sull’ambiente naturale o sul paesaggio, compresi quelli destinati allo sfruttamento delle risorse del suolo”, quindi nella nozione di progetto rientrano la costruzione e la modifica degli impianti o delle opere interessate riportate negli Allegati II, III e IV alla Parte II del decreto, con le modalità esplicitate nei paragrafi successivi.
Qualora i progetti risultino destinati esclusivamente alla difesa nazionale è possibile la loro esclusione non solo dalla VIA, ma addirittura “dal campo di applicazione del decreto” e ciò è ammesso se l’applicabilità delle disposizioni del D.L.vo n. 152/2006 può pregiudicare gli scopi della difesa nazionale. A tal fine l’autorità competente in sede statale, quindi il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM) valuta “caso per caso” i progetti interessati e l’esclusione è stabilita tramite un apposito decreto interministeriale a firma del MATTM e del Ministero della Difesa (co. 10 dell’art. 6 del D.L.vo n. 152/2006).
Tuttavia la priorità della difesa non rappresenta l’unica possibilità di esclusione. Infatti, il co. 11 dell’art. 6 prevede l’esclusione, anche in questo caso non solo dalla VIA, ma da tutto il D.L.vo n.152/2006, per gli interventi disposti in via d’urgenza ai sensi dei co. 2 e 5 dell’art. 5 della L. n. 225/1992 (“Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile”)[1], per i quali non risulti possibile svolgere la VIA stessa in quanto finalizzati a “salvaguardare l’incolumità delle persone e di mettere in sicurezza gli immobili da un pericolo imminente o a seguito di calamità”. Lo stesso co. 11 stabilisce le condizioni che devono essere soddisfatte affinché gli interventi disposti in via d’urgenza possano essere esclusi dalla VIA; sostanzialmente l’autorità competente deve esaminare se è comunque possibile una forma valutativa alternativa alla VIA, mettere a disposizione del pubblico l’esito delle valutazioni ambientali eventualmente compiute nonché la motivata decisione di esclusione ed informare la Commissione Europea circa le motivazioni di esclusioni e le valutazioni compiute prima del rilascio delle necessarie autorizzazioni.
Relativamente ai progetti soggetti alla valutazione di impatto ambientale, dal punto di vista operativo è opportuno tenere distinte la verifica di assoggettabilità alla VIA dalla VIA vera e propria, in quanto nel Titolo III della Parte II del D.L.vo n. 152/2006 si rinvengono procedure specifiche per ciascuna di esse.
La verifica di assoggettabilità alla VIA
[UPDATE Ottobre 2020]: il “Decreto Semplificazioni” ha portato delle novità in ambito assoggettabilità che è possibile conoscere leggendo il nostro commento dedicato: Modifiche alla verifica di assoggettabilità a VIA nel “Decreto Semplificazioni”
La verifica di assoggettabilità è definita come la procedura che deve essere attivata per “valutare, ove previsto, se progetti possono avere un impatto significativo e negativo sull’ambiente” e devono essere sottoposti alla fase di VIA. Quindi rappresenta una fase propedeutica alla VIA vera e propria.
Secondo quanto stabilito dall’art. 20 del D.L.vo n. 152/2006, la verifica di assoggettabilità alla VIA (nota anche come “screening”) è prevista per:
– i progetti elencati nell’Allegato II alla Parte II che servano esclusivamente o essenzialmente per lo sviluppo ed il collaudo di nuovi metodi o prodotti e non siano utilizzati per più di due anni;
– le modifiche o le estensioni dei progetti riportati nell’Allegato II la cui realizzazione “potenzialmente può produrre effetti negativi e significativi sull’ambiente”;
– i progetti elencati nell’Allegato IV;
– i progetti di cui all’Allegato IV ricadenti all’interno di aree naturali protette, le soglie dimensionali, ove previste, sono ridotte del cinquanta per cento.
L’art. 7 del D.L.vo n. 152/2006 stabilisce che la competenza circa i progetti di cui all’Allegato II è del MATTM, mentre i progetti di cui all’Allegato IV sono di competenza delle autorità alle quali le leggi regionali o delle province autonome abbiano affidato compiti di tutela, protezione e valorizzazione ambientale (vedasi co. 6 dell’art. 7), pertanto nel panorama nazionale vi sono situazioni differenti da Regione a Regione con competenze affidate spesso anche ai Comuni.
L’Allegato IV e le soglie dimensionali in esso stabilite meritano approfondimenti in quanto oggetto di contenziosi e, soprattutto, di procedure di infrazioni comunitarie, quindi occorre comprendere quale sia stata la sua evoluzione normativa a livello comunitario e nazionale. La Direttiva 85/337/CEE, prima direttiva comunitaria in tema di VIA, (recepita in Italia con la L. n. 349/1986 e completata con strumenti attuativi quali il DPCM 377/88, il DPCM 27.12.1988 ed il DPR 16.4.1996) forniva due elenchi di progetti:
– quelli riportati nell’Allegato I della direttiva per i quali era obbligatoria la VIA;
– quelli di cui all’Allegato II (privi di soglie) per i quali gli Stati membri avrebbero potuto stabilire l’obbligo della VIA in funzione delle loro caratteristiche specificando “alcuni tipi di progetti da sottoporre ad una valutazione d’impatto o fissare criteri e/o soglie limite” (vedasi paragrafo 2 dell’art. 4 della Direttiva 87/337/CEE testo storico).
La Direttiva 85/337/CEE non forniva alcuna indicazione per la fissazione delle soglie, pertanto le soglie stabilite dal D.P.R. 16 aprile 1996 (atto di indirizzo e coordinamento alle Regioni atto di indirizzo e coordinamento relativo alle condizioni, criteri e norme tecniche per l’applicazione della procedura d’impatto ambientale ai progetti inclusi nell’Allegato II alla Direttiva del 85/337/CEE, in attuazione del co. 1 dell’art. 40 della L. n. 146/1994 – legge comunitaria 1993) erano conformi alle disposizioni comunitarie. Ma con la Direttiva 97/11/CE, le disposizioni di cui alla direttiva madre vennero modificate, per cui all’art. 4 venne previsto che per valutare l’assoggettabilità alla VIA dei progetti di cui all’Allegato II gli Stati membri avrebbero dovuto procedere:
– esaminandoli “caso per caso”,
– o fissando soglie o criteri tenendo conto dei relativi criteri di selezione riportati nell’Allegato III alla direttiva stessa.
La valutazione di impatto ambientale vera e propria
In base a quanto stabilito dai co. 6 e 7 dell’art. 6 la VIA è obbligatoriamente prevista per:
i progetti di cui agli Allegati II e III alla Parte II del D.L.vo n. 152/2006;
i progetti di cui all’Allegato IV, relativi ad opere o interventi di nuova realizzazione, che ricadono, anche parzialmente, all’interno di aree naturali protette come definite dalla L. n. 394/1991;
per i seguenti progetti qualora la procedura di verifica di assoggettabilità alla VIA abbia dimostrato che “possano produrre impatti significativi e negativi sull’ambiente”:
progetti elencati nell’Allegato II che servono esclusivamente o essenzialmente per lo sviluppo ed il collaudo di nuovi metodi o prodotti e non sono utilizzati per più di due anni;
modifiche o estensioni dei progetti elencati nell’Allegato II che possono avere impatti significativi e negativi sull’ambiente;
progetti elencati nell’Allegato IV.
Rispetto allo screening, la VIA prevede un maggior livello di dettaglio delle informazioni che devono essere prodotte all’autorità competente, tant’è che all’art. 21 del D.L.vo n. 152/2006 viene prevista anche una fase, facoltativa, di consultazione tra il proponente, l’autorità competente ed i soggetti competenti in materia ambientale, finalizzata alla definizione del grado di approfondimento delle informazioni, della metodologia da seguirsi necessaria alla redazione dello studio di impatto ambientale (SIA).
Tale fase, conosciuta anche con il termine di “scoping”, viene condotta sulla base del progetto preliminare e dello studio preliminare ambientale, nonché dell’elenco delle autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri nulla osta ed assensi necessari per la costruzione e l’esercizio del progetto, da prodursi prioritariamente in formato elettronico. E’ evidente che per progetti non già sottoposti a verifica di assoggettabilità alla VIA, i documenti previsti devono essere elaborati allo scopo, quindi a prima vista potrebbe risultare un onere aggiuntivo, ma lo scoping presenta vantaggi non trascurabili: il confronto preliminare può prevenire una successiva richiesta di integrazioni od ulteriori approfondimenti ed impegna l’autorità componente a verificare “l’esistenza di eventuali elementi di incompatibilità”, senza però vincolarla alla decisione prevista per la VIA.
La fase di consultazione deve concludersi entro 60 giorni con una espressa pronuncia dell’autorità competente sugli aspetti elencati dal co. 2 dell’art. 21.
Prima di attivarsi per la presentazione dell’istanza, il proponente deve quindi elaborare lo studio di impatto ambientale (SIA) che rappresenta il documento principale riguardante gli aspetti ambientali e gli impatti del progetto. Il co. 3 dell’art. 22 del D.L.vo n. 152/2006 prevede un contenuto minimo per il SIA:
descrizione del progetto e delle sue caratteristiche, analizzando la zona in cui sarà localizzato;
descrizione delle misure previste per evitare, ridurre e possibilmente compensare gli impatti negativi rilevanti;
indicazione dei dati necessari all’individuazione e valutazione dei principali impatti sull’ambiente e sul patrimonio culturale che il progetto può produrre, sia in fase di realizzazione sia in fase di esercizio dell’opera;
descrizione sommaria delle principali alternative prese in esame, compresa l’opzione zero, illustrando le motivazioni della scelta progettuale per quanto attiene l’impatto ambientale;
piano di monitoraggio degli impatti che saranno prodotti.
Indicazioni di maggior dettaglio per la redazione del SIA sono forniti dall’Allegato VII alla Parte II del D.L.vo n. 152/2006, dal quale si desume altresì che il proponente debba effettuare un confronto, sotto il profilo ambientale, delle possibili alternative individuate con il progetto presentato.
Tutte le informazioni devono essere riassunte in una sintesi non tecnica per l’informazione del pubblico meno esperto.
L’istanza deve essere presentata direttamente all’autorità competente che per i progetti di cui all’Allegato II è individuata nel MATTM, mentre per quelli di cui agli Allegati III e IV la competenza è attribuita secondo le disposizioni delle leggi regionali. La domanda deve essere corredata da:
progetto definitivo (ossia il progetto avente un livello di dettaglio analogo a quanto previsto dal co. 4 dell’art. 93 del D.L.vo n. 163/2006[2]);
studio di impatto ambientale;
sintesi non tecnica;
elenco delle autorizzazioni, intese, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati, già acquisiti o da acquisire per la costruzione e l’esercizio dell’opera;
copia informatizzata degli elaborati, conforme agli originali presentati;
copia di un avviso a mezzo stampa (per progetti di competenza statale l’annuncio deve essere pubblicato su un quotidiano a diffusione nazionale e su uno a diffusione regionale, mentre per i progetti di cui agli Allegati III e IV la pubblicazione va effettuata su quotidiani a diffusione regionale o provinciale).
Come nel caso della verifica di assoggettabilità alla VIA, anche nella VIA è garantita la riservatezza industriale o commerciale, consentendo di sottrarre all’accesso del pubblico informazioni riservate (co. 4 dell’art. 9 del D.L.vo n. 152/2006).
La documentazione deve essere depositata non solo presso l’autorità competente, sul cui sito web deve essere data notizia della presentazione dell’istanza (co. 1 art. 24), ma anche presso gli uffici di regioni, province e comuni eventualmente interessati anche parzialmente dagli impatti, pertanto, a differenza di quanto visto per lo screening, per il quale è sufficiente che la documentazione sia depositata presso gli enti in cui il progetto è localizzato, la VIA garantisce una maggior coinvolgimento dei territori interessati, non solo dal progetto, ma anche dagli impatti conseguenti la sua realizzazione. A tal fine è indispensabile che il proponente stimi con scrupolosità i propri impatti, anche al fine di evitare un nuovo deposito della domanda presso uffici di enti inizialmente trascurati ed eventualmente anche una nuova ripubblicazione con una nuova decorrenza dei termini, visto che il co. 3 dell’art. 24 prevede che la pubblicazione indichi una breve descrizione dei “possibili principali impatti ambientali” del progetto.
A garanzia che la documentazione presentata sia completa, il legislatore ha previsto una fase finalizzata alla verifica di completezza sia di quanto presentato, sia dell’avvenuto pagamento degli oneri istruttori previsti dall’art. 33 del D.L.vo n. 152/2006. Questa fase deve compiersi entro 30 giorni dalla presentazione della domanda, trascorsi i quali, se non sono state chieste integrazioni documentali (comportanti l’interruzione dei termini), l’istanza si intende correttamente presentata. Questa prima fase comporta esclusivamente la verifica che alla domanda siano allegati i documenti previsti senza, però, impegnare l’autorità competente ad effettuare una valutazione in merito ai contenuti, cosa che avviene in fase istruttoria. Eventuali integrazioni devono essere presentate entro il termine stabilito dall’autorità competente che non può essere superiore a 30 giorni, prorogabile qualora la documentazione da produrre sia particolarmente complessa. La mancata produzione di quanto richiesto “entro il termine stabilito” va inteso come ritiro dell’istanza. Si è quindi in presenza di una archiviazione ex lege (non prevista per la procedura di verifica di assoggettabilità alla VIA), che non comporta necessariamente una risposta dell’autorità competente, né tantomeno l’avvio delle procedure dell’art. 10-bis della L. n. 241/1990, anche se potrebbe, comunque, risultare opportuna.
La partecipazione pubblica è garantita dalla possibilità di visionare il progetto e presentare osservazioni entro 60 giorni dalla presentazione della domanda. A differenza dello screening, la VIA prevede anche forme di partecipazioni più attive del pubblico, in quanto il co. 6 dell’art. 24 del D.L.vo n. 152/2006 dà la possibilità all’autorità competente di effettuare la consultazione tramite una inchiesta pubblica durante la quale i cittadini possono formulare le proprie osservazioni.
Il proponente potrebbe essere convocato ad un contraddittorio con i soggetti che hanno presentato pareri od osservazioni, contraddittorio che potrebbe essere richiesto anche dal proponente.
Strategicamente, sia l’inchiesta pubblica che il contraddittorio rappresentano una forma di consultazione e confronto moderna e democratica, tipica di una società civile, avente l’obiettivo di far convergere posizioni spesso contrastanti quali sono l’interesse economico e l’opposizione preconcetta, figlia della sindrome di Nimby (“not in my backyard”, non nel mio cortile), al fine di individuare una soluzione il più possibile condivisa e rispettosa dell’ambiente.
Documentazione integrativa può essere presentata sia su iniziativa del proponente anche a seguito delle osservazioni presentate (co. 9 dell’art. 24), sia su richiesta dell’autorità competente (co. 3 dell’art. 26); in ogni caso, sia la proposta del richiedente che la richiesta dell’autorità competente, devono avvenire entro 30 giorni dalla scadenza del termine previsto per la presentazione delle osservazioni (quindi entro 90 giorni dalla presentazione dell’istanza). Tale evenienza allunga i tempi istruttori, che possono dilatarsi ulteriormente qualora l’autorità competente ritenga che le modifiche apportate siano sostanziali (in base alla definizione di cui alla lett. l-bis) del co. 1 dell’art. 5) e, quindi, soggette ad un nuovo deposito con le modalità già descritte; conseguentemente i termini per l’adozione del provvedimento di VIA, di norma stabiliti in 150 giorni dalla presentazione dal co. 1 dell’art. 26, possono protrarsi fino a 330 giorni.
I proponenti devono prestare particolare attenzione alle scadenze fissate per la presentazione della documentazione integrativa stabilite dall’autorità competente, in quanto il co. 3-ter dell’art. 26 prevede che “non si procede all’ulteriore corso della valutazione” qualora non si ottemperi alle richieste. La disposizione non è comunque chiara come quella che prevede il ritiro ex lege dell’istanza in caso di omesso deposito nei termini fissati della documentazione mancante in sede di verifica di completezza (si ricordi il co. 4 dell’art. 23): il fatto che il legislatore nell’art. 26 abbia adottato una formulazione differente (“non ottemperi alle richieste di integrazioni”) potrebbe lasciare aperta la possibilità che l’autorità competente tenga comunque conto di documentazione fornita con un ritardo minimo, ad esempio dell’ordine di alcuni giorni, proseguendo l’istruttoria.
Nel caso di progetti di competenza non statale, qualora l’impatto sia “rilevante” o siano attesi “effetti ambienti negativi e significativi” nel territorio di Regioni confinanti, l’autorità competente deve informare le corrispondenti autorità competenti di tali Regioni (stabilite in base alle loro leggi) ed acquisirne i pareri unitamente a quelle degli enti locali interessati.
In base a quanto previsto dall’art. 31, qualora risulti un conflitto tra autorità competenti regionali circa gli impatti ambientali, il presidente del Consiglio dei Ministri dispone che al progetto si applichino le disposizioni previste per progetti statali: in sostanza si tratta di una avocazione di competenze da parte dello Stato che le rimette in capo al MATTM.
In caso di inquinamento transfrontaliero è previsto che lo Stato toccato venga informato tramite apposita notifica in modo che questo possa esprimere, entro 60 giorni, l’interesse a partecipare alla procedura. Il recente D.L. n. 91/2014, convertito con modifiche dalla L. n. 116/2014 ha previsto che sul sito web dell’autorità competente sia data evidenza della notifica. Qualora lo Stato straniero manifesti l’intenzione di partecipare, le autorità pubbliche ed il pubblico transfrontaliero possono inviare rispettivamente pareri ed osservazioni entro 90 giorni dalla dichiarazione di interesse, ossia entro 150 giorni dalla notifica, rendendo di fatto impraticabile il termine di 150 giorni per la conclusione del procedimento di VIA.
In caso di inerzia dell’autorità competente, il potere sostitutivo può essere esercitato, su espressa richiesta, dal Consiglio dei Ministri che prima deve diffidare l’autorità competente invitandola a concludere entro 20 giorni e poi, in caso di ulteriore inadempienza, conclude il procedimento entro 60 giorni dalla richiesta stessa. Per i progetti di competenza non statale, il potere sostitutivo spetta al Consiglio dei Ministri fino all’entrata in vigore di specifiche norme delle Regioni o delle Province autonome[3]. Così come previsto per la verifica di assoggettabilità a VIA, rimane possibile fare ricorso contro il silenzio dell’autorità competente.
Per quanto attiene l’istruttoria, non è obbligatoriamente prevista la conferenza dei servizi, che tuttavia si ritiene essere il miglior strumento di confronto tra autorità competente, soggetti competenti in materia ambientale e proponente. In mancanza di conferenza dei servizi, l’autorità competente deve acquisire il parere dei soggetti che devono rilasciare autorizzazioni, pareri o altri titoli in materia ambientale, entro i termini stabiliti dal co. 3 dell’art. 25; nel caso di progetti di competenza statale il MATTM deve provvedere all’acquisizione anche del parere delle Regioni interessate.
In caso di mancata espressione dei pareri previsti o in caso di dissenso, l’autorità competente “procede, comunque, ai sensi dell’articolo 26” per pervenire alla decisione finale. A tal proposito, risulta particolarmente evidente che l’indizione di una conferenza dei servizi ai sensi della L. n. 241/1990, ritenuta compatibile alle procedure della Parte II del D.L.vo n. 152/2006 in virtù di quanto disposto dall’art. 9, costituirebbe un importante vantaggio per l’autorità competente, soprattutto per la gestione del dissenso, in quanto, in base al co. 1 dell’art. 14-ter della L. n. 241/1990, il dissenso:
non potrebbe essere espresso al di fuori della conferenza;
dovrebbe essere congruamente motivato e pertinente all’oggetto della conferenza;
dovrebbe fornire precise indicazioni delle modifiche progettuali necessarie per ottenere l’assenso.
Quindi la conferenza dei servizi verrebbe a svolgere un ruolo di confronto fattivo.
Purtroppo non tutte le disposizioni previste dalla L. n. 241/1990 riguardanti la conferenza dei servizi sono applicabili ai procedimenti di VIA. In particolare risulta preclusa, per espressa indicazione del co. 7 dell’art. 14-ter della L. n. 241/1990[4], la possibilità di considerare acquisto per la VIA (così come per la VAS e l’AIA) l’assenso delle amministrazioni “il cui rappresentante, all’esito dei lavori della conferenza, non abbia espresso definitivamente la volontà dell’amministrazione rappresentata”. Conseguentemente, l’autorità competente che non riesca ad ottenere i previsti pareri neppure in conferenza dei servizi è obbligata comunque a procedere ai sensi dell’art. 26 del D.L.vo n. 152/2006.
Qualora si prefiguri l’adozione di un provvedimento negativo, l’autorità competente deve attivare le procedure previste dall’art. 10-bis della L. n. 241/1990 in modo da garantire al proponente di produrre, entro 10 giorni, eventuali osservazioni che possano contenere giustificazioni tali da far ritenere superati gli elementi ostativi.
Il provvedimento di VIA, se favorevole, deve contenere prescrizioni riguardanti l’impatto ambientale non solo durante l’esercizio di un opera, ma anche durante la costruzione e la dismissione della stessa (co. 5 dell’art. 26), riportando le misure di monitoraggio degli impatti (co. 1 dell’art. 28) ed è auspicabile che ricordi l’obbligo, prorogabile, di realizzare i progetti entro 5 anni dalla pubblicazione della decisione finale stabilito dal co. 6 dell’art. 26.
Il monitoraggio degli impatti è basilare per testare la veridicità delle valutazioni effettuate sia in sede di richiesta che in sede istruttoria e, soprattutto, per dare all’autorità competente il potere di apportare modifiche al provvedimento qualora risultino “impatti negativi ulteriori e diversi” ed addirittura di sospendere l’attività in attesa di individuare le azioni correttive applicabili nel caso in cui “possano derivare gravi ripercussioni negative non preventivamente valutate sulla salute pubblica e sull’ambiente” (co. 1-bis dell’art. 28).
Il provvedimento di VIA è vincolante per definizione (lett. o) del co. 1 dell’art. 5 del D.L.vo n. 152/2006) e sostituisce o coordina (vedasi sempre la definizione e il co. 4 dell’art. 26) tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta ed assensi comunque denominati in materia ambientale necessari per la costruzione e l’esercizio dell’opera progettata; nel caso di installazioni soggette a VIA ed AIA l’art. 10 del D.L.vo n. 152/2006 prevede che quando la competenza è statale (installazioni rientranti nell’Allegato XII alla Parte II del decreto) il provvedimento di VIA “fa luogo” dell’AIA, mentre negli altri casi le regioni devono assicurare che il procedimento di AIA sia coordinato nella VIA.
Il legislatore non ha ben precisato cosa intendesse con “sostituisce o coordina”, in quanto la sostituzione di un’autorizzazione determinerebbe una nuova forma giuridica di titolo ambientale, mentre un semplice coordinamento implicherebbe un’unica istruttoria per tutti i titoli necessari, ognuno dei quali manterrebbe il suo status. La procedura di VIA, per come è impostata nella normativa nazionale, non può essere intesa come una nuova autorizzazione, in quanto prima di tutto non viene indicata una sua durata e secondariamente nell’art. 29, relativo alle sanzioni, sono fatte salve quelle delle norme vigenti (a differenza dell’AIA per la quale sono individuate sanzioni specifiche).
Sempre in merito a quanto disposto dal co. 4 dell’art. 26, va ricordato che per impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti soggetti all’autorizzazione ex art. 208 del D.L.vo n. 152/2006 (eventualmente sostituita dall’AIA), lo stesso art. 208 prevede che, se l’impianto è soggetto a VIA, l’istruttoria rimane sospesa fino alla pronuncia di VIA stessa, il che significherebbe che l’autorizzazione ex art. 208 debba essere rilasciata successivamente alla decisione di VIA; l’autorizzazione ex art. 208, invece, in virtù di quanto previsto dal co. 6 di tale articolo, rappresenta sicuramente una forma autorizzativa che “sostituisce ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali” non solo in materia ambientale, innescando un circolo vizioso.
Qualora si sia in presenza di opere la cui approvazione abbia per legge l’effetto di variante (uno di questi casi è rappresentato appunto dall’autorizzazione ex art. 208), il co. 12 dell’art. 6 prevede che per i loro progetti si possa espletare esclusivamente la procedura di VIA e non si debba procedere alla VAS, in quanto la procedura di VIA persegue finalità analoghe a quelle della VAS, rispetto alla quale, peraltro, consente di valutare gli impatti ambientali ad un livello di dettaglio sicuramente più accurato rispetto a quello della VAS stessa.
In generale, il fatto che si possa essere in presenza di autorizzazioni comprese e coordinate nel procedimento di VIA, comporta che tali autorizzazioni mantengano le scadenze previste dalle disposizioni settoriali, con il conseguente obbligo di rinnovo periodico. A tal proposito è importante ricordare che il co. 8-bis dell’art. 14-ter della L. n. 241/1990 prevede che “I termini di validità di tutti i pareri, autorizzazioni, concessioni, nulla osta o atti di assenso comunque denominati acquisiti nell’ambito della Conferenza di Servizi, decorrono a far data dall’adozione del provvedimento finale”.
Così come viene data pubblicità alla presentazione della domanda di VIA, devono essere espletate idonee misure di pubblicità anche per quanto attiene la decisione secondo quanto disposto dall’art. 27: il proponente deve provvedere a far pubblicare un estratto della decisione stessa sulla G.U. per i progetti di competenza statale o sul BUR negli altri casi, mentre l’autorità competente deve pubblicarlo per intero sul proprio sito web.
In realtà, il D.L.vo n. 152/2006 non riporta un adempimento che invece è previsto dal co. 10 dell’art. 14-ter della L. n. 241/1990[5], che obbliga il proponente a far pubblicare un estratto della decisione anche su un quotidiano a diffusione nazionale per progetti di competenza statale ed a diffusione regionale negli altri casi. Tale disposizione, va quindi considerata integrativa di quelle riportate nell’art. 27 del D.L.vo n. 152/2006.
Le forme di pubblicità, non si limitano al provvedimento, in quanto l’art. 28 stabilisce che gli esiti del monitoraggio siano pubblicati sui siti web delle autorità competenti, procedenti (nel caso il proponente fosse pubblico) e delle agenzie competenti al controllo.
Prospettive future
Entro il 16 maggio 2017 l’ltalia deve recepire nell’ordinamento giuridico nazionale la Direttiva 2014/52/UE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, che modifica la Direttiva 2011/92/UE.
In forza dell’art. 14 della legge di delegazione europea n. 114/2015 il Governo è in procinto di adottare un corposo decreto legislativo che apporterà significative modifiche alla legislazione di settore, in particolare alla Parte Seconda (Vas, Via e Ippc) del D. Lgs. n. 152/06.
Tratto da Gestione Ambientale, di Stefano Maglia, Paolo Pipere, Luca Prati, Leonardo Benedusi, Edizioni TuttoAmbiente, 2015.
[1] Co. 2 e 5 dell’art. 5 della L. n. 225/1992: “2. Per l’attuazione degli interventi da effettuare durante lo stato di emergenza dichiarato a seguito degli eventi di cui all’articolo 2, co. 1, lettera c), si provvede anche a mezzo di ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, nei limiti e secondo i criteri indicati nel decreto di dichiarazione dello stato di emergenza e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico.
Le ordinanze sono emanate, acquisita l’intesa delle regioni territorialmente interessate, dal Capo del Dipartimento della protezione civile, salvo che sia diversamente stabilito con la deliberazione dello stato di emergenza di cui al co. 1. L’attuazione delle ordinanze e’ curata in ogni caso dal Capo del Dipartimento della protezione civile. Fermo restando quanto previsto al co. 1, con le ordinanze si dispone, nel limite delle risorse disponibili, in ordine:
[2] Art.. 93, co. 4, D.L..vo n. 163/2006: “Il progetto definitivo individua compiutamente i lavori da realizzare, nel rispetto delle esigenze, dei criteri, dei vincoli, degli indirizzi e delle indicazioni stabiliti nel progetto preliminare e contiene tutti gli elementi necessari ai fini del rilascio delle prescritte autorizzazioni e approvazioni. Esso consiste in una relazione descrittiva dei criteri utilizzati per le scelte progettuali, nonché delle caratteristiche dei materiali prescelti e dell’inserimento delle opere sul territorio; nello studio di impatto ambientale ove previsto; in disegni generali nelle opportune scale descrittivi delle principali caratteristiche delle opere, e delle soluzioni architettoniche, delle superfici e dei volumi da realizzare, compresi quelli per l’individuazione del tipo di fondazione; negli studi e indagini preliminari occorrenti con riguardo alla natura e alle caratteristiche dell’opera; nei calcoli preliminari delle strutture e degli impianti; in un disciplinare descrittivo degli elementi prestazionali, tecnici ed economici previsti in progetto nonché in un computo metrico estimativo. Gli studi e le indagini occorrenti, quali quelli di tipo geognostico, idrologico, sismico, agronomico, biologico, chimico, i rilievi e i sondaggi, sono condotti fino ad un livello tale da consentire i calcoli preliminari delle strutture e degli impianti e lo sviluppo del computo metrico estimativo”.
[3] A titolo esemplificativo, si veda l’art. 23 della L.R. n. 9/1999 e s.m.i. della Regione Emilia Romagna e l’art. 10 della L.R. n. 5/2010 e s.m.i. della Regione Lombardia.
[4] Art. 14-ter, co. 7, L. n. 241/1990: “Si considera acquisito l’assenso dell’amministrazione, ivi comprese quelle preposte alla tutela della salute e della pubblica incolumità, alla tutela paesaggistico-territoriale e alla tutela ambientale, esclusi i provvedimenti in materia di VIA, VAS e AIA, il cui rappresentante, all’esito dei lavori della conferenza, non abbia espresso definitivamente la volontà dell’amministrazione rappresentata”.
[5] Art. 14-ter, co. 10, L. n. 241/1990: “Il provvedimento finale concernente opere sottoposte a VIA è pubblicato, a cura del proponente, unitamente all’estratto della predetta VIA, nella Gazzetta Ufficiale o nel Bollettino regionale in caso di VIA regionale e in un quotidiano a diffusione nazionale. Dalla data della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale decorrono i termini per eventuali impugnazioni in sede giurisdizionale da parte dei soggetti interessati”.
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