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Dall’art. 35 DL 133/2014 (cd. Sblocca Italia) AL PNGR (si torna all’anno zero)

di Maurizio Sante Minichilli

Categoria: Rifiuti

Mentre Roma discute e si interroga, ancora nel 2022, se vi sia o meno l’esigenza di un rafforzamento dell’impiantistica nazionale per il completamento del ciclo integrato dei rifiuti, come se dopo aver differenziato, riciclato e recuperato materia prima-secondaria non vi siano le uniche due soluzioni alternative, discarica (D1) o termovalorizzazione (D10-R1), ripercorriamo quanto accaduto sul tema dall’entrata in vigore del (dirompente) art. 35 c. 1 DL 133/2014 conv. in L. 164/2014 (cd. Sblocca Italia).

La succitata norma demandava al MATT (oggi MITE) il compito di individuare, con apposito decreto, gli impianti di recupero di energia e di smaltimento dei rifiuti urbani e speciali, esistenti o da realizzare per attuare un sistema integrato e moderno di gestione di tali rifiuti atto a conseguire la sicurezza nazionale nell’autosufficienza e superare le procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore”.

 

La ratio di una norma così tranciante era, evidentemente, quella di sostituirsi all’immobilismo (o sarebbe meglio dire incapacità) di buona parte delle regioni nel prevedere, in seno alle proprie prerogative di pianificazione ambientale, un’adeguata dotazione impiantistica non intermedia, per la chiusura del ciclo dei rifiuti, in ossequio ai principi (del tutto disattesi) di vicinanza ed autosufficienza.

A tale articolo veniva data attuazione (a distanza di 2 anni) con il D.P.C.M. 10.08.2016, il quale individuava il fabbisogno di incenerimento aggiuntivo per ciascuna regione con i seguenti criteri (allegato II):

A = Produzione rifiuti (dato ISPRA anno 2014)

B = Riduzione della quantità di rifiuti secondo il PRGR approvato

C = A – (A*B/100) Produzione di rifiuti (con il raggiungimento degli obiettivi)

D = C*65% (obiettivi di legge)

E = C*35% (raccolta rifiuti indifferenziati)

F = Rifiuti urbani inviati ad incenerimento tal quale (dato ISPRA anno 2014)

G = rifiuti urbani da inviare ad incenerimento tal quale

H = E – F (rifiuti urbani da inviare ad impianti trattamento preliminari)

I = H*65% Rifiuti e combustibili da rifiuti prodotti da impianti preliminari FS + CSS

L = Rifiuti e combustibili da rifiuti prodotti dagli impianti preliminari ed avviati a presso impianti produttivi autorizzati (cementificio)

M = I – L Rifiuti e combustibili da rifiuti prodotti dagli impianti, da incenerire

N = D*10% Scarti della raccolta di rifiuti urbani differenziati

O = F+G+M+N Fabbisogno di incenerimento.

 

A prescindere dalla correttezza dei parametri adottati, dall’elaborazione dei dati scaturiva un fabbisogno nazionale di incenerimento pari a t/a 8.390.761, soddisfatto solo per t/a 6.575.749, con un residuo gap impiantistico di t/a 1.818.334 (a giudizio dello scrivente stimato in difetto), e conseguente previsione di nr. 8 termovalorizzatori (tabella C) ubicati nel Centro Sud Italia.

La Regione Marche, tra quelle interessate all’allocazione, correva ai ripari (per usare un eufemismo) promulgando la L.R. nr. 22/2018 nella quale, agli artt. 1 e 2, escludeva tra le strategie di pianificazione il ricorso alla recupero energetico e quindi all’incenerimento, del CSS e dei rifiuti provenienti da impianti di trattamento.

 

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La Corte Costituzionale con la sentenza n.142/2019 dichiarava siffatta legge incostituzionale in quanto la stessa legge lesiva della competenza legislativa esclusiva dello Stato su tale materia.

In particolare, la Consulta ribadiva che tra le competenze che lo Stato si è riservato “assume un rilievo centrale quella afferente l’individuazione degli impianti di recupero e di smaltimento ritenuti di preminente interesse nazionale, da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese procedendo secondo finalità di riequilibrio socioeconomico fra le aree del territorio nazionale. (art. 195, comma 1 lett.ra f) D.Lgs. 152/2006).

In realtà si può discettare – come poi avvenuto – sull’iter normativo adottato (DPCM) dal Governo in assenza di alcun confronto con gli EE.LL. (al tavolo della Conferenza Stato Regioni) ed in mancanza di una preventiva VAS.

Ci provava anche la Regione Basilicata con L.R. nr. 35/2018 stabilendo, ex art. 17, l’improcedibilità di istanze contrarie alle previsioni del P.R.G.R.

Anche qui la Consulta, con sentenza nr. 231/2019, dichiarava l’incostituzionalità dell’art. 17/comma 7, in quanto il legislatore regionale, disciplinando espressamente la procedibilità delle sole istanze per gli impianti di recupero di materia, legittimava il rigetto di quelle relative ad altre forme di recupero dei rifiuti previste nella gerarchia indicata dall’art. 179 TUA in particolare, nella specie, al recupero di energia, violando così anche l’art. 35 del d.l. n. 133 del 2014 (Sblocca Italia).

 

Proseguiva la Corte costituzionale precisando che “autorizzare solo gli impianti di recupero di materia, la cui attività determini una minima produzione di scarti e che siano dedicati nella loro quasi totalità alla soddisfazione dei fabbisogni regionali, avrebbe prodotto un duplice effetto complessivamente negativo sugli obiettivi, sia nazionali, sia regionali.

Da un lato, infatti, si sarebbe aggravato il fabbisogno e il conseguente deficit d’incenerimento (indicato nello Sblocca Italia ed ancor più specificatamente nel DPCM 2016), scaricato su altre Regioni o colmato dal ricorso alla discarica; dall’altro lato, ovviamente, si finiva con l’escludere, o comunque limitare drasticamente, il trattamento dei rifiuti provenienti dalle altre Regioni.”.

 

Miglior sorte (si fa per dire) aveva il ricorso promosso dinnanzi al TAR Lazio da alcune associazioni ambientaliste per la declaratoria di illegittimità dell’art. 35 e del DPCM 10.08.2016 al punto da indurre lo stesso a sospendere il giudizio (ordinanza n. 4574/2018) investendo in via pregiudiziale la C.G.U.E. sulle questioni seguenti questioni:”

  • dica la CGUE se gli artt. 4 e 13 della Direttiva 2008/98/CE, unitamente ai “considerando” 6, 8, 28 e 31, ostano a una normativa interna primaria e alla sua correlata normativa secondaria di attuazione – quali l’art. 35, comma 1, d.l. n. 133/2014, – laddove qualificano solo gli impianti di incenerimento ivi considerati secondo l’illustrazione degli Allegati e delle Tabelle di cui al d.p.c.m. quali infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, che attuano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati e che garantiscono la sicurezza nazionale nell’autosufficienza, dato che una simile qualificazione non è stata parimenti riconosciuta dal legislatore interno agli impianti volti al trattamento dei rifiuti a fini di riciclo e riuso, pur essendo tali due modalità preminenti nella gerarchia dei rifiuti di cui alla richiamata Direttiva” (in buona sostanza il TAR non considera in alcun modo la valenza ed applicabilità dell’art. 195 c. 1 lett.ra f D.Lgs. 152/2006);
  • in subordine, dica la Corte di Giustizia UE se gli articoli 4 e 13 della Direttiva 2008/98/CE ostano a una normativa interna primaria e alla sua correlata normativa secondaria di attuazione – quali l’art. 35, comma 1, d.l. n. 133/2014, e il d.p.c.m. 10.8.2016 – laddove qualificano gli impianti di incenerimento di rifiuti urbani quali infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, allo scopo di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore, oltre che al fine di limitare il conferimento di rifiuti in discarica;
  • dica la Corte di Giustizia UE se gli articoli 2, 3, 4, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12 della Direttiva 2001/42/CE, anche in combinato disposto tra loro, ostino all’applicazione di una normativa interna primaria e alla sua correlata normativa secondaria di attuazione – quali l’art. 35, comma 1, d.l. n. 133/2014, come convertito in l. n. 164/2014, e il d.p.c.m. 10.8.2016, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 233 del 5.10.2016 – la quale prevede che il Presidente del Consiglio dei Ministri possa con proprio decreto rideterminare in aumento la capacità degli impianti di incenerimento in essere nonché determinare il numero, la capacità e la localizzazione regionale degli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo determinato, con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, senza che tale normativa interna preveda che, in fase di predisposizione di tale piano emergente dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, si applichi la disciplina di valutazione ambientale strategica così come prevista dalla richiamata Direttiva 2001/42/CE”.

 

Il TAR Lazio , inoltre, motivava l’ordinanza con un richiamo alla “Comunicazione COM(2017)/34 del 26.1.2017 della Commissione Europea al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni” concernente “Il ruolo della termovalorizzazione nell’economia circolare”.

In questa, si legge che “la quantità dei rifiuti non differenziati utilizzati come materia prima nei processi di termovalorizzazione dovrebbe diminuire a seguito degli obblighi di raccolta differenziata e dei più ambiziosi obiettivi di riciclaggio dell’UE”.

Inoltre, sempre secondo la citata comunicazione della Commissione, alcuni Stati membri dell’Unione Europea dipendono in misura eccessiva dall’incenerimento dei rifiuti urbani e “tassi così elevati di incenerimento non sono coerenti con obiettivi di riciclaggio più ambiziosi.

Aggiungeva il TAR Lazio che per ovviare a questo problema la Commissione Europea raccomanda agli Stati membri alcune misure quali:

  • introdurre o aumentare le imposte sull’incenerimento, specialmente per i processi a basso recupero di energia, garantendo al contempo che le imposte sulle discariche siano più elevate;
  • abolire gradualmente i regimi di sostegno per l’incenerimento dei rifiuti e, se del caso, reindirizzare gli aiuti verso processi che occupano posti più alti nella gerarchia dei rifiuti;
  • introdurre una moratoria sui nuovi impianti e smantellare quelli più vecchi e meno efficienti.”.

 

Sempre secondo il Giudice Amministrativo, a ciò doveva “aggiungersi che la prevalenza allo smaltimento dei rifiuti tramite incenerimento potrebbe porsi in violazione anche dei principi di “precauzione” e di minore impatto sulla salute umana e sull’ambiente, di cui all’art. 13 della Direttiva 2008/98/CE”.

A sostegno del rilievo del principio di precauzione e del minore impatto sulla salute umana e sull’ambiente, il TAR Lazio, richiamava la sentenza della Sezione Sesta della Corte di Giustizia UE, 15.10.2014, in C-323/13 la quale, con riferimento agli obblighi derivanti dall’articolo 13 della direttiva 2008/98, ovvero di disporre che gli Stati membri adottino le misure necessarie per garantire che la gestione dei rifiuti sia effettuata senza danneggiare la salute umana né recare pregiudizio all’ambiente, andava letta secondo l’obiettivo di ridurre al minimo le conseguenze negative della produzione e della gestione dei rifiuti per la salute umana e per l’ambiente, con l’obbligo degli Stati membri di assicurarsi che i trattamenti a cui sono sottoposti i rifiuti permettano di ridurne il più possibile le ripercussioni negative sull’ambiente e sulla salute umana.”

 

La Corte di Giustizia decideva sulle questioni pregiudiziali sollevate dal TAR Lazio nella causa C-305/18, e statuiva che:”

  • Il principio della «gerarchia dei rifiuti», quale espresso all’articolo 4 della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive, e letto alla luce dell’articolo 13 di tale direttiva, deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che qualifica gli impianti di incenerimento dei rifiuti come «infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale», purché tale normativa sia compatibile con le altre disposizioni di detta direttiva che prevedono obblighi più specifici;
  • l’articolo 2, lettera a), l’articolo 3, paragrafo 1, e l’articolo 3, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente, devono essere interpretati nel senso che una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, costituita da una normativa di base e da una normativa di esecuzione, che determina in aumento la capacità degli impianti di incenerimento dei rifiuti esistenti e che prevede la realizzazione di nuovi impianti di tale natura, rientra nella nozione di «piani e programmi», ai sensi di tale direttiva, qualora possa avere effetti significativi sull’ambiente e deve, di conseguenza, essere soggetta ad una valutazione ambientale preventiva.”

 

Il TAR Lazio, con sentenza nr. 10088 del 06.10.2020, all’esito del pronunciamento della CGUE giudizio C-305/2018 in esito alla rimessione della questione pregiudiziale concernente la corretta applicazione del diritto comunitario, accoglieva il ricorso per l’annullamento del DPCM 10.08.2016, per la parte che non prevede l’espletamento di preventiva VAS statale, motivando che,” se pure è legittimo qualificare gli impianti in questione come di rilevanza strategica nazionale ai fini di soluzione temporanea di una patologica situazione sulla gestione dei rifiuti, data dalla prevalenza dello smaltimento in discarica, riguardante tutto il territorio nazionale senza per questo abdicare al principio di “gerarchia dei rifiuti” – come illustrato a proposito del primo motivo di ricorso – doveva essere attivata la procedura di assoggettabilità alla VAS prima dell’emanazione del DPCM attuativo impugnato e non lasciare alla diversa Valutazione regionale postuma l’incombenza relativa”

Nel mentre, l’art. 35 c. 1 è stato superato dalle modifiche del D.Lgs. 3.09.2020 n. 116, il quale con l’introduzione dell’art. 198-bis del D.Lgs. 152/2006 ha previsto l’introduzione del PNGR quale strumento strumento strategico di indirizzo per le Regioni e le Province autonome nella pianificazione della gestione dei rifiuti.

Detto strumento fissa i macro-obiettivi, definisce i criteri e le linee strategiche cui le Regioni e le Province autonome si attengono nell’elaborazione dei Piani regionali di gestione dei rifiuti.

 

Tale programma rappresenta una delle riforme strutturali per l’attuazione del PNRR, prevista nella Missione 2 – Rivoluzione verde e transizione ecologica, componente 1 – Economia circolare ed agricoltura sostenibile (M2C1) per rafforzare e sviluppare le infrastrutture con nuovi impianti di trattamento rifiuti e colmare il divario territoriale delle regioni Centro e Sud (isole comprese) dandosi i seguenti obiettivi:

  • entro il 31 dicembre 2023 la differenza tra la media nazionale e la regione con i peggiori risultati nella raccolta differenziata dovrà a 20 punti percentuali, considerando una base di partenza del 22,8%;
  • entro il 31 dicembre 2024 la variazione tra la media della raccolta differenziata delle tre Regioni più virtuose e la medesima media delle tre Regioni meno virtuose dovrà ridursi del 20%;
  • entro il 31 dicembre 2023 si raggiunga una riduzione delle discariche irregolari in procedura di infrazione NIF 2003/2007 da 33 a 7;
  • entro il 31 dicembre 2023 si raggiunga una riduzione delle discariche irregolari in procedura di infrazione NIF 2011/2215 da 34 a 14.

 

Il MITE ha pubblicato in data 16.03.2022 avviso pubblico di comunicazione avvio procedura consultazione VAS assegnando, a mente di quanto disposto dall’art. 14 D.Lgs. 152/2006 i termini per la presa visione dei documenti (visionabili on-line) e formulazione di osservazioni a cura di tutti i portatori di interesse (scad. 30.04.2022).

L’iter (su cui non ci dilunghiamo) è regolato dalla parte II del D.Lgs. 03.04.2006 n. 152, così come così come modificata e integrata dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 e dal D. Lgs. 29 giugno 2010, n. 128.

 

Quello che preme evidenziare è il portato della proposta di PNGR, ovvero se, al di là della ricognizione aggiornata (sulla base dei dati ISPRA) delle produzioni di rifiuti urbani e speciali, livelli di raccolta differenziata per regioni, macroaree, dell’impiantistica funzionante (non sulla carta) nella filiera integrata di gestione dei rifiuti, quali siano gli strumenti di cui il Programma intende dotarsi per il perseguimento degli obiettivi fissati, ma per essere più precisi, se l’art. 35 D.L. 133/2014 e più in generale l’art. 195 comma 1 lett.ra f) del D.Lgs. 152/2006 (individuazione degli impianti di recupero e smaltimento rifiuti di preminente interesse nazionale, la cui titolarità è in capo allo Stato secondo quanto confermato dalla CGUE nella sentenza C-305/2018) siano ancora attuali o superati.

La risposta (negativa) la troviamo nel capitolo 10 ovvero con il richiamo all’art. 198-bis comma 2 lett.ra d) D.Lgs. 152/2006, il quale indica criteri generali per l’individuazione delle macroaree da definire tramite accordi fra regioni nel rispetto dei principi di autosufficienza e prossimità contenuti nell’art. 182-bis D.Lgs. 152/2006, disponendo che lo smaltimento dei rifiuti e il recupero dei rifiuti urbani non differenziati siano attuati con il ricorso ad una rete integrata e adeguata di impianti tenendo conto delle migliori tecniche disponibili (BAT) e del rapporto tra i costi e i benefici complessivi, al fine di:

  1. realizzare l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e dei rifiuti del loro trattamento in ambiti territoriali ottimali;
  2. permettere lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani indifferenziati in uno degli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione o raccolta, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi, tenendo conto del contesto geografico o della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti;
  3. utilizzare i metodi e le tecnologie più idonei a garantire un alto grado di protezione dell’ambiente e della salute pubblica.

 

Non si rinviene alcun meccanismo surrogatorio in caso di inerzia delle regioni le quali, al contrario, hanno dato riprova negli anni trascorsi di aver approvato dei PNGR confliggenti con la riserva di legge o, nel migliore dei casi, votate unicamente all’impedire la realizzazione di nuovi impianti sui propri territori.

Unico (blando) deterrente si rinviene (pag. 64) nella parte in cui è riportato che la rispondenza dei Piani Regionali alla normativa comunitaria costituisce condizione abilitante per l’accesso ai fondi comunitari e di coesione nazionale (non si comprende se solo con riferimento alla misura M2C1 oppure in generale).

 

In conclusione dal 2014 una normativa nazionale (che ad oggi non risulta abrogata) ed un DPCM (emendato solo per il mancato assoggettamento a VAS statale, contrariamente a quanto sostengono i suoi detrattori) avevano indicato, forse con taglio (eccessivamente) muscolare, un percorso da seguire per superare l’enorme divario impiantistico tra le macro aree regionali del Centro, Sud ed Isole, per giungere a distanza di 8 anni ad un PNGR che nella sintesi ci riporta all’anno zero (per questo il titolo) ovvero ad una formale (e per questo ineccepibile) attività di rimando del Governo alle Regioni per la redazione (o l’aggiornamento) dei rispettivi PRGR secondo quanto previsto all’art. 198-bis D.Lgs. 152/2006, come introdotto dall’art. 2/comma 1 del D.Lgs. 3.09.2020 n. 116.

Non ci resta che attendere (con rassegnazione e ragionevole scetticismo) che le regioni non virtuose si adoperino per attuare quanto contenuto nel PNGR.

 

Piacenza, 16 maggio 2022

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