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Decreto Crescita: incentivi fiscali per pratiche e progetti di Circular Economy

di Deborah De Stefani

Categoria: Generalità

Nel presente contributo verranno esaminate le misure fiscali incentivanti previste dagli artt. 26, 26-bis e 26 ter del Decreto Legge 30 aprile 2019, n. 34 (c.d. “Decreto Crescita”), come convertito con integrazioni e modifiche dalla L. 28 giugno, n. 58, nonché l’analoga misura di cui all’art. 1, comma 73, della Legge 30 dicembre 2018, n. 145 (c.d. “Legge di bilancio 2019”).

 

L’art. 26 D.L. n. 34/2019 dispone la concessione di agevolazioni finanziarie per le imprese del settore manifatturiero che realizzino progetti di ricerca e sviluppo per la riconversione dei processi produttivi al fine di favorire la transizione verso un modello di economia circolare.

 

Ai sensi del disposto di cui al comma 5 del citato articolo, le agevolazioni in parola possono essere erogate sotto forma di contributo diretto alla spesa fino al 20 per cento delle spese e dei costi ammissibili oppure di finanziamento agevolato per una percentuale nominale delle spese e dei costi ammissibili pari al 50 per cento.

Il comma 2 indica i requisiti dei soggetti richiedenti, stabilendo che possono beneficiare delle cennate misure agevolanti “le imprese ed i centri di ricerca che, alla data di presentazione della domanda di agevolazione, soddisfano le seguenti caratteristiche:

a) essere iscritte nel Registro delle imprese e risultare in regola con gli adempimenti di cui all’articolo 9 terzo comma, primo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 7 dicembre 1995, n. 581 [in tema di denuncia al REA, Repertorio delle notizie Economiche e Amministrative];

b) operare in via prevalente nel settore manifatturiero ovvero in quello dei servizi diretti alle imprese manifatturiere;

c) aver approvato e depositato almeno due bilanci;

d) non essere sottoposto a procedura concorsuale e non trovarsi in stato di fallimento, di liquidazione anche volontaria, di amministrazione controllata, di concordato preventivo o in qualsiasi altra situazione equivalente secondo la normativa vigente.”

Quanto ai requisiti e ai contenuti dei progetti di ricerca e sviluppo, il comma 4 prescrive che i medesimi debbano:

a) essere realizzati nell’ambito di una o più unità locali ubicate nel territorio nazionale;

b) prevedere, anche in deroga agli importi minimi previsti per l’utilizzo delle risorse di cui al comma 6, lettera b), spese e costi ammissibili non inferiori a euro 500 mila e non superiori a euro 2 milioni;

c) avere una durata non inferiore a dodici mesi e non superiore a trentasei mesi”.

rifiuti

Inoltre, i progetti di ricerca e sviluppo in discorso devono riguardare lo sviluppo delle tecnologie abilitanti fondamentali Key Enabling Technologies (KETs, tecnologie “ad alta intensità di conoscenza e associate a elevata intensità di ricerca e sviluppo, a cicli di innovazione rapidi, a consistenti spese di investimento e a posti di lavoro altamente qualificati[1]) e possono avere ad oggetto:

1) innovazioni di prodotto e di processo in tema di utilizzo efficiente delle risorse e di trattamento e trasformazione dei rifiuti, compreso il riuso dei materiali in un’ottica di economia circolare o a «rifiuto zero» e di compatibilità ambientale (innovazioni eco-compatibili);

2) progettazione e sperimentazione prototipale di modelli tecnologici integrati finalizzati al rafforzamento dei percorsi di simbiosi industriale, attraverso, ad esempio, la definizione di un approccio sistemico alla riduzione, riciclo e riuso degli scarti alimentari, allo sviluppo di sistemi di ciclo integrato delle acque e al riciclo delle materie prime;

3) sistemi, strumenti e metodologie per lo sviluppo delle tecnologie per la fornitura, l’uso razionale e la sanificazione dell’acqua;

4) strumenti tecnologici innovativi in grado di aumentare il tempo di vita dei prodotti e di efficientare il ciclo produttivo;

5) sperimentazione di nuovi modelli di packaging intelligente (smart packaging) che prevedano anche l’utilizzo di materiali recuperati;

5-bis) sistemi di selezione del materiale multileggero, al fine di aumentare le quote di recupero e di riciclo di materiali piccoli e leggeri”.

 

Dunque, a parere di chi scrive, potrebbero rientrare nella categoria di progetti di cui al n.1) le innovazioni e le integrazioni del ciclo produttivo, progettate e realizzate allo specifico fine di rendere gli scarti che dal processo produttivo stesso si originano conformi e idonei al loro riutilizzo come sottoprodotti in altri circuiti produttivi.

 

In merito occorre ricordare la norma di cui all’art. 6 del decreto ministeriale del Ministero dell’ambiente 13 ottobre 2016, n. 264[2], con cui si cerca di risolvere, perlomeno in parte, le criticità originate da un’interpretazione giurisprudenziale molto rigida del requisito della “normale pratica industriale” di cui all’art. 184-bis lett. c) D.Lvo n. 152/06, a causa della quale l’istituto del sottoprodotto ha avuto un campo di applicazione alquanto ridotto e non ha potuto produrre appieno gli effetti positivi che gli sono propri nell’ottica della diffusione di pratiche di riuso e risparmio delle risorse e di prevenzione dei rifiuti.

 

La norma poc’anzi richiamata, infatti, dispone che “rientrano, in ogni caso, nella normale pratica industriale le attività e le operazioni che costituiscono parte integrante del ciclo di produzione del residuo, anche se progettate e realizzate allo specifico fine di rendere le caratteristiche ambientali o sanitarie della sostanza o dell’oggetto idonee a consentire e favorire, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e a non portare ad impatti complessivi negativi sull’ambiente”.

Pertanto, ad oggi, la modifica dei processi produttivi al fine di intervenire sulle caratteristiche degli scarti allo scopo di riutilizzarli come sottoprodotti riceve un trattamento normativo di favore, in quanto tali attività vengono ricomprese ex lege all’interno della normale pratica industriale, e potrebbe altresì essere oggetto delle misure agevolanti previste dall’art. 26 del c.d. “Decreto Crescita”.

Tuttavia, deve segnalarsi che al momento le dette misure non sono ancora effettive, in quanto non è stato finora emanato il decreto del Ministero dello sviluppo economico, con il quale, a norma del comma 1, sono “stabiliti i criteri, le condizioni e le procedure per la concessione ed erogazione delle agevolazioni finanziarie”.

 

L’art. 26-bis concerne, invece, il riutilizzo degli imballaggi, prevedendo che “l’impresa venditrice della merce può riconoscere all’impresa acquirente un abbuono, a valere sul prezzo dei successivi acquisti, in misura pari al 25 per cento del prezzo dell’imballaggio contenente la merce stessa ed esposto in fattura. L’abbuono è riconosciuto all’atto della resa dell’imballaggio stesso, da effettuare non oltre un mese dall’acquisto. All’impresa venditrice che riutilizza gli imballaggi usati di cui al periodo precedente ovvero che effettua la raccolta differenziata degli stessi ai fini del successivo avvio al riciclo è riconosciuto un credito d’imposta di importo pari al doppio dell’importo degli abbuoni riconosciuti all’impresa acquirente, ancorché da questa non utilizzati”.

 

La norma trascritta dovrebbe trovare applicazione solo per i rapporti contrattuali di compravendita di merci imballate tra soggetti che operino nell’esercizio della propria attività economica imprenditoriale, rimanendo esclusi i contratti di compravendita conclusi tra un’impresa e i privati cittadini consumatori, ovvero le persone fisiche che agiscono al di fuori e indipendentemente da qualsiasi attività o finalità di natura professionale, all’unico scopo di soddisfare le proprie necessità di consumo privato di individuo[3].

 

Il comma 2 descrive poi la suddetta misura fiscale del credito d’imposta, il quale è concesso “fino all’importo massimo annuale di euro 10.000 per ciascun beneficiario, nel limite complessivo di 10 milioni di euro per l’anno 2020”. Inoltre “non concorre alla formazione del reddito né della base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive e non rileva ai fini del rapporto di cui agli articoli 61[4] e 109, comma 5[5], del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917”.

Il credito d’imposta “è utilizzabile a decorrere dal 1° gennaio del periodo d’imposta successivo a quello in cui sono stati riutilizzati gli imballaggi ovvero è stata effettuata la raccolta differenziata ai fini del successivo avvio al riciclo degli imballaggi medesimi, per i quali è stato riconosciuto l’abbuono all’impresa acquirente, ancorché da questa non utilizzato”.

 

Analogamente a quanto già visto per le agevolazioni di cui all’art. 26, anche le norme di cui all’art. 26-bis non sono di immediata applicazione. Il comma 3 dell’articolo in commento, infatti, rinvia a un “decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”, con il quale verranno stabilite “le disposizioni per l’attuazione dei commi 1 e 2 e le modalità per assicurare il rispetto dei limiti di spesa ivi previsti”.

La legge di conversione del c.d. “Decreto Crescita”, ossia la Legge 28 giugno 2019, n. 58, è entrata in vigore il 30 giugno scorso. Il termine dei novanta giorni, quindi, scadrà in data 30 settembre 2019 e, dalle ricerche effettuate, non risulta che il Ministero dell’Ambiente abbia già provveduto.

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Da ultimo, le norme di cui all’art. 26-ter del c.d. “Decreto Crescita” e all’art. 1 comma 73 della c.d. “Legge di bilancio 2019” prevedono il riconoscimento di un credito d’imposta per le imprese che acquistino beni realizzati con materiali provenienti da trattamenti di riciclo di rifiuti.

In particolare l’art. 26-ter comma 1 prevede che “per l’anno 2020 è riconosciuto un contributo pari al 25 per cento del costo di acquisto di:

a) semilavorati e prodotti finiti derivanti, per almeno il 75 per cento della loro composizione, dal riciclaggio di rifiuti o di rottami.

b) compost di qualità derivante dal trattamento della frazione organica differenziata dei rifiuti”.

Per le imprese e i soggetti titolari di reddito di lavoro autonomo acquirenti dei predetti beni, ai sensi del comma 2 del citato articolo, il contributo è elargito “sotto forma di credito d’imposta, fino ad un importo massimo annuale di euro 10.000 per ciascun beneficiario, nel limite complessivo di 10 milioni di euro per l’anno 2020. Il credito d’imposta spessa a condizione che i beni acquistati siano effettivamente impiegati nell’esercizio dell’attività economica o professionale e non è cumulabile con il credito d’imposta di cui all’articolo 1, comma 73, della legge 30 dicembre 2018, n. 145”.

 

Quest’ultima norma, contenuta appunto nella c.d. “Legge di bilancio 2019”, sancisce che “al fine di incrementare il riciclaggio delle plastiche miste e degli scarti non pericolosi dei processi di produzione industriale e della lavorazione di selezione e di recupero dei rifiuti solidi urbani, in alternativa all’avvio al recupero energetico, nonché al fine di ridurre l’impatto ambientale degli imballaggi e il livello di rifiuti non riciclabili derivanti da materiali da imballaggio, a tutte le imprese che acquistano prodotti realizzati con materiali provenienti dalla raccolta differenziata degli imballaggi in plastica ovvero che acquistano imballaggi biodegradabili e compostabili secondo la normativa UNI EN 13432:2002 o derivati dalla raccolta differenziata della carta e dell’alluminio è riconosciuto, per ciascuno degli anni 2019 e 2020, un credito d’imposta nella misura del 36 per cento delle spese sostenute e documentate per i predetti acquisti”.

In virtù del disposto del successivo comma 74, l’importo massimo annuale è “di euro 20.000 per ciascun beneficiario, nel limite massimo complessivo di un milione di euro annui per gli anni 2020 e 2021”.

Eccetto il diverso importo massimo annuale, il credito di imposta previsto dalla c.d. “Legge di Bilancio 2019” e il credito d’imposta per l’acquisto di semilavorati e prodotti finiti da riciclo o compost di qualità da rifiuti organici di cui all’art. 26-ter del c.d. “Decreto Crescita” ricevono la medesima regolamentazione già vista con riferimento alla misura fiscale premiale di cui all’art. 26-bis: sono indicati nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui sono riconosciuti, non concorrono alla formazione del reddito e della base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive e non rilevano ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del Testo Unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, sono utilizzabili a decorrere dal 1° gennaio del periodo d’imposta successivo a quello di riconoscimento del credito, senza l’applicazione del limite di cui al comma 53 dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 244[6].

 

Al pari delle altre misure incentivanti già descritte, anche per l’attuazione di quelle appena illustrate è necessario attendere l’emanazione di decreti ministeriali, con i quali siano definiti i requisiti tecnici e le certificazioni idonee ad attestare la natura ecosostenibile dei prodotti e degli imballaggi secondo la vigente normativa europea e nazionale, nonché i criteri e le modalità di applicazione e di fruizione del credito d’imposta.

L’art. 26-ter comma 5 D.L. n. 34/2019 prescrive che “con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono definiti i requisiti tecnici e le certificazioni idonee ad attestare la natura e le tipologie di materie e prodotti oggetto di agevolazione nonché i criteri e le modalità di applicazione e fruizione dei crediti d’imposta di cui al presente articolo, anche al fine di assicurare il rispetto dei limiti di spesa di cui ai commi 2 e 3”.L’art. 1 comma 76 L. n. 145/2018, con parole pressoché identiche, prevede che sempre “con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definiti i requisiti tecnici e le certificazioni idonee ad attestare la natura ecosostenibile dei prodotti e degli imballaggi secondo la vigente normativa europea e nazionale, nonché i criteri e le modalità di applicazione e di fruizione del credito d’imposta di cui ai commi da 73 a 75, anche al fine di assicurare il rispetto dei limiti di spesa annui di cui al comma 74”.

Mentre il termine di 90 giorni per il decreto attuativo delle disposizioni di cui all’art. 26-ter scade il prossimo 30 settembre, il termine di cui all’art. 1 comma 76 è invece scaduto all’inizio dell’aprile scorso. In entrambi i casi, a che risulta, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare non ha ancora provveduto all’emanazione della disciplina di rango secondario di sua competenza.

 

A tal proposito corre l’obbligo di evidenziare che non infrequentemente il termine per l’emanazione di norme attuative di rango secondario viene disatteso e che il vuoto normativo, con il relativo effetto paralizzante, si protrae così per lungo tempo. D’altra parte, lo scrivente intende manifestare il proprio auspicio affinché le interessanti misure di incentivazione per la realizzazione di operazioni, strategie e progetti al fine di stimolare e favorire l’implementazione di modelli di economia circolare siano presto effettive e siano di aiuto per tutti gli operatori che credono davvero in un uso più efficiente ed etico delle risorse e nella tutela dell’ambiente.

Piacenza, 18.09.2019

 

 

 

 

[1] Definizione data dalla Commissione nella Comunicazione “Preparing for our future: Developing a common strategy for key enabling technologies in th EU”, COM(2009)512, 30 settembre 2009.

[2]Decreto ministeriale 13 ottobre 2016, n. 264, Regolamento recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 38 del 15 febbraio 2017, in vigore dal 02 marzo 2017.

[3] Sul punto si richiamano le definizioni di imprenditore di cui all’art. 2082 c.c. (E’ imprenditore chi esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi), di professionista di cui all’art. 3 comma 1 lett. c) D.Lvo 6 settembre 2005, n. 206 (la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario), nonché di consumatore di cui all’art. 3 comma 1 lett. a) del predetto decreto (la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta).

[4]Art. 61 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 – “Gli interessi passivi inerenti all’esercizio d’impresa sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa o che non vi concorrono in quanto esclusi e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi. 2. La parte di interessi passivi non deducibile ai sensi del comma 1 del presente articolo non dà diritto alla detrazione dall’imposta prevista alle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 15”.

[5]Art. 109 comma 5 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 – “Le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi. Se si riferiscono indistintamente ad attività o beni produttivi di proventi computabili e ad attività o beni produttivi di proventi non computabili in quanto esenti nella determinazione del reddito sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa o che non vi concorrono in quanto esclusi e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi. Le plusvalenze di cui all’articolo 87, non rilevano ai fini dell’applicazione del periodo precedente. Fermo restando quanto previsto dai periodi precedenti, le spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazioni di alimenti e bevande, diverse da quelle di cui al comma 3 dell’articolo 95, sono deducibili nella misura del 75 per cento”.

[6] Art. 1 comma 53 L. n. 244/2007- “A partire dal 1° gennaio 2008, anche in deroga alle disposizioni previste dalle singole leggi istitutive, i crediti d’imposta da indicare nel quadro RU della dichiarazione dei redditi possono essere utilizzati nel limite annuale di 250.000 euro. L’ammontare eccedente è riportato in avanti anche oltre il limite temporale eventualmente previsto dalle singole leggi istitutive ed è comunque compensabile per l’intero importo residuo a partire dal terzo anno successivo a quello in cui si genera l’eccedenza. Il tetto previsto dal presente comma non si applica al credito d’imposta di cui all’articolo 1, comma 280, della legge 27 dicembre 2006, n. 296; il tetto previsto dal presente comma non si applica al credito d’imposta di cui all’articolo 1, comma 271, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, a partire dalla data del 1° gennaio 2010”.

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