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Deposito temporaneo di rifiuti da attività di manutenzione di reti ed infrastrutture

di Miriam Viviana Balossi

Categoria: Rifiuti

Ripercorrendo i punti salienti inerenti il deposito temporaneo dei rifiuti derivanti da attività di manutenzione di reti ed infrastrutture ex art. 230 D.L.vo 152/06[1], si rammenta che per espressa previsione normativa (art. 230, c. 1) il luogo di produzione dei suddetti rifiuti – che, peraltro, coincide con il luogo di tenuta del registro C/S (art. 230, c. 4) – può coincidere con:

  1. la sede del cantiere che gestisce l’attività manutentiva;
  2. la sede locale del gestore della infrastruttura nelle cui competenze rientra il tratto di infrastruttura interessata dai lavori di manutenzione;
  3. il luogo di concentramento dove il materiale tolto d’opera viene trasportato per la successiva valutazione tecnica, finalizzata all’individuazione del materiale effettivamente, direttamente ed oggettivamente riutilizzabile, senza essere sottoposto ad alcun trattamento.

Molto spesso accade che il manutentore realizzi altrove il deposito temporaneo di materiali che sa già essere rifiuti: in tal caso, ad avviso di chi scrive, l’ipotesi a cui far riferimento è la numero 2. Infatti, la prima va scartata in quanto è noto in partenza che in quella sede non verrà effettuato il deposito temporaneo, la terza non è da prendere in considerazione perché si è già a priori a conoscenza che i materiali prodotti dalle operazioni di manutenzione su reti ed infrastrutture costituiscono rifiuti per i quali non è ipotizzabile il riutilizzo[2].
Ciò premesso, la dottrina prevalente è concorde[3] sul fatto che il produttore dei rifiuti, il quale deve essere identificato con il manutentore ai sensi dell’art. 183, c. 1, lett. f) del D.L.vo 152/06[4], può legittimamente realizzare un deposito temporaneo[5] nel luogo di produzione dei rifiuti che – per effetto della fictio iuris concessa dall’art. 230 – può essere identificato con gli anzidetti siti individuati ex lege[6].
Se di norma il luogo di produzione dei rifiuti coincide fisicamente e giuridicamente con quello di deposito temporaneo, sicché non si verifica l’ipotesi del trasporto di rifiuti e conseguentemente non si pongono interrogativi circa i documenti che lo devono accompagnare, nella fattispecie di cui all’art. 230 la situazione è più articolata e la norma non definisce con chiarezza se il trasporto dei rifiuti deve essere accompagnato da appositi documenti o meno.
Al riguardo si possono ipotizzare i seguenti adempimenti:

  1. documento di trasporto (D.D.T.): però non si tratta di merci, bensì di rifiuti, ed in caso di controllo l’utilizzo del D.D.T. per un trasporto di rifiuti sarebbe oggetto di sanzione ex art. 258, c. 4;
  2. scheda SISTRI area movimentazione: il manuale operativo SISTRI, facendo riferimento proprio al trasporto dei rifiuti da manutenzione, chiarisce che il trasporto dei medesimi dal luogo di svolgimento della manutenzione alla sede / domicilio del soggetto che svolge tale attività deve essere accompagnato dalla schema area movimentazione scaricata in bianco dal Sistema e compilata dal manutentore. Ad oggi, però, il sistema SISTRI non è ancora operativo, per cui questa opzione non può essere presa in considerazione[7];
  3. nessun documento: potrebbe essere un’ipotesi plausibile nel caso in cui si attenda la “successiva valutazione tecnica[8] – nella fattispecie superflua, ma quest’opzione genera criticità in caso di controllo su strada (e sanzioni come al precedente punto 1);
  4. formulario di trasporto rifiuti: quest’ultima ipotesi che – ad avviso di chi scrive – è quella da preferire, è supportata da alcune riflessioni che emergono non tanto dalle disposizioni normative, bensì dall’interpretazione che la dottrina svolge su queste ultime. Innanzitutto, premesso che nella fattispecie si tratta di rifiuti che non abbisognano della valutazione tecnica, si rammenta che l’unico documento base, previsto dalla legge per la disciplina del trasporto, è il formulario[9]. In secondo luogo, tra le esclusioni di cui all’art. 193, c. 5, non rientrano i rifiuti da manutenzione. Da ultimo, alcune P.A. consigliano la compilazione del fir (e l’annotazione che trattasi di rifiuti provenienti da attività di manutenzione) al fine di evitare eventuali sanzioni in caso di controlli durante il trasporto.

Ciò nonostante, non si nasconde che sussistono alcune difficoltà nella compilazione che sono difficilmente superabili: ad esempio, il D.M. 145/98 prevede che nella casella “destinatario” sia indicata l’impresa che effettua il recupero o lo smaltimento (ma nell’ipotesi in considerazione il destinatario è pur sempre il produttore[10]), poi deve essere indicato se il rifiuto è destinato a recupero o smaltimento (ma in realtà va a deposito temporaneo), infine il destinatario dei rifiuti deve dichiarare se ha respinto o accettato il carico, in che quantità, in che data e a che ora, oltre alla sua firma (informazioni mancanti nella fattispecie).
Sul punto, si riporta l’importante principio stabilito dalla sentenza Cass. III Pen. n. 17460 del 10 maggio 2012, secondo la quale “non può affermarsi la decorrenza della gestione dei rifiuti in senso tecnico solo dopo l’inizio del deposito temporaneo … perché non vi è stata alcuna movimentazione all’interno di uno stesso compendio nel luogo reale di produzione dei rifiuti, bensì trasferimento comportante instradamento da tale luogo a quello giuridico di produzione. In tale situazione il trasporto in sé va considerato già attività di gestione di rifiuti” (fattispecie relativa proprio al trasporto di rifiuti derivanti da attività di manutenzione di reti ed infrastrutture).

Per quanto concerne, invece, il soggetto che effettua il trasporto dei rifiuti dal luogo di manutenzione a quello di deposito temporaneo, si hanno tre ipotesi:

  1. la manutenzione viene svolta da un manutentore diverso dalla società incaricata, il quale trasporta altresì i rifiuti da lui stesso prodotti (nulla quaestio, perché produttore-trasportatore-destinatario coincidono);
  2. la manutenzione ed il trasporto vengono svolte dalla medesima società che ha l’incarico (anche in questo caso, nulla quaestio);
  3. la manutenzione viene svolta dalla società incaricata, ma il trasporto viene effettuato da un soggetto terzo regolarmente iscritto all’Albo che conferisce i rifiuti presso un sito di deposito temporaneo presso la sede dell’anzidetta società. Questa terza ipotesi suscita non pochi problemi. Premesso che la soluzione più lineare sarebbe quella che prevede il trasporto diretto a recupero o smaltimento, senza passare attraverso il deposito temporaneo, giacché è noto in partenza che trattasi di rifiuti per cui la valutazione tecnica è superflua, a maggior ragione in questo caso bisogna ricorrere al formulario durante il trasporto: altrimenti sarebbe difficile giustificare a quale titolo si stanno trasportando dei rifiuti a deposito temporaneo a cura dello stesso produttore. Non bisogna, poi, dimenticare che questo formulario si deve interfacciare – con non poche difficoltà – con il registro di C/S del deposito temporaneo[11]. Per espressa previsione normativa (art. 183, c. 1, lett. bb), i requisiti la cui mancanza fanno venir meno l’ipotesi del deposito temporaneo sono altri (quantità, tempi, etc …), sicché si ritiene che in linea teorica, nel silenzio della legge, il trasporto a cura di un terzo non comprometta il flusso di gestione dei rifiuti sopra descritto (sempre che il trasportatore sia regolarmente iscritto all’Albo, accompagni il trasporto con il formulario – e, se possibile, da copia dell’aggiudicazione della gara d’appalto – e annoti che i rifiuti provengono dalla manutenzione di reti ed infrastrutture svolta dalla società incaricata), ma vada comunque a minare la sussistenza del deposito temporaneo. Ciò in quanto, a ns. avviso, quest’ultimo costituisce già di per sé un’ipotesi eccezionale e derogatoria alla tradizionale gestione dei rifiuti disciplinata dal D.L.vo 152/06, e su questa deroga l’art. 230 ne instaura un’altra senza, però, contemplarne i dettagli gestionali e documentali che possano dar conto della legittimità delle operazioni svolte. Il fatto che il medesimo soggetto svolga manutenzione, trasporto e deposito temporaneo assicura, per lo meno, una continuità fisica e giuridica che nella fattispecie del terzo trasportatore viene indubbiamente meno. Si tratta di un’attività rischiosa[12] che non può sfuggire a chi, a titolo cautelativo e precauzionale, vuole tutelare la propria attività professionale.

In conclusione, premesso che trattasi di una fattispecie non specificamente regolata dalla normativa vigente la quale, come si è dimostrato nella pagine precedenti, è carente sotto diversi profili, ad avviso di chi scrive – sulla scorta della dottrina e dalla giurisprudenza ampiamente riportate – in linea teorica il trasporto dei rifiuti da manutenzione di reti ed infrastrutture, svolto dalla società incaricata, a cura del terzo non compromette il flusso di gestione dei rifiuti, ma mina il deposito temporaneo per i motivi anzidetti. In ogni caso, resta inteso che il documento più idoneo per accompagnare il trasporto dei suddetti rifiuti – in attesa di un auspicabile intervento normativo ad hoc – rimane pur sempre il formulario.

 


[1] Per approfondimenti, si vedano:

– S. MAGLIA – G. GALOTTO – A. SILLANI, Il testo unico ambientale commentato dagli esperti, Irnerio Editore, p. 49 ss.

– P. PIPERE – S. MAGLIA – M. MEDUGNO – D. CARISSIMI, La nuova gestione dei rifiuti dopo il D.L.vo 205/2010, Irnerio Editore, p. 116 ss.

[2] Sul punto, vedasi Cass. III Pen., n. 9856 del 4 marzo 2009, secondo la quale il deposito temporaneo di rifiuti deve essere effettuato presso il luogo di produzione dei rifiuti stessi (art. 183, c. 1, lett. m) D.L.vo 152/06). A tale regola generale è stata introdotta un’eccezione dall’art. 230 del D.L.vo 152/06, secondo il cui il disposto per i rifiuti derivanti da attività di manutenzione alle infrastrutture effettuata direttamente dal gestore dell’infrastruttura a rete e degli impianti per l’erogazione di forniture e servizi di interesse pubblico il luogo di deposito temporaneo può coincidere con quello di concentramento dei rifiuti, ove gli stessi vengono trasportati per la successive valutazione tecnica, finalizzata all’individuazione del materiale effettivamente, direttamente ed oggettivamente riutilizzabile, senza essere sottoposto ad alcun trattamento. Ne consegue che detta eccezione non trova applicazione nel caso di rifiuti oggettivamente non riutilizzabili.
Cfr. inoltre:

S. MAGLIA, La gestione dei rifiuti dalla A alla Z, III edizione, Irnerio Editore, p. 97 ss.

G. TAPETTO, Rifiuti da manutenzione e da attività sanitarie tra 152/2006 e Sistri, in http://www. ambientediritto.it

P. FIMIANI, Manutenzione delle infrastrutture: la Cassazione si occupa dei rifiuti, in Ambiente&Sicurezza, ed. Il Sole 24 Ore, n. 23 dell’11 dicembre 2007, p. 105 ss.

[3] Per completezza, si segnala anche la posizione minoritaria e contraria secondo la quale “se il deposito temporaneo è prima della gestione, come si può ipotizzare che un trasporto avvenga a metà tra la produzione del rifiuto e il deposito temporaneo? Questo non è concepibile … quindi una previsione normativa od autorizzatoria amministrativa che preveda il deposito temporaneo extra aziendale non solo viene in urto con la normativa specifica su tale principio, ma crea una forma anomala di trasporto … Fermo restando il criterio sistematico nazionale e internazionale secondo cui tale deposito non può essere classificato come deposito temporaneo ma comunque in ogni caso come forma di stoccaggio, e quindi fatta salva a livello formale e sostanziale sia la terminologia che la procedura normativa, si può comunque ragionevolmente ritenere che in sede normativa la medesima pubblica amministrazione che gestisce le forme autorizzatorie per lo stoccaggio, crei una sottospecie di stoccaggio, molto alleggerito sotto il profilo gestionale” (M. SANTOLOCI, Il trasporto dei rifiuti, Buffetti Editore, p. 13 ss.; M. SANTOLOCI – V. VATTANI, Rifiuti solidi e liquidi: trasporto, stoccaggio, depositi & dintorni … percorso tra nuove regole e prassi di fatto alla luce del testo unico ambientale, Diritto all’Ambiente Edizioni, p. 49 ss.).

[4] In quanto è “il soggetto la cui attività produce rifiuti (produttore iniziale)”. Cfr. S. MAGLIA, La gestione dei rifiuti dalla A alla Z, op. cit., p. 96 ss.

[5] In ordine al fatto che ciò rappresenti una deroga al disposto dell’art. 183 – definizione di deposito temporaneo -, cfr. L. RAMACCI, La nuova disciplina dei rifiuti, CELT, p. 165

[6] Cfr. S. MAGLIA – A. DI GIROLAMO, Rifiuti derivanti dall’attività di manutenzione e Sistri: cosa è cambiato, in Rivista Ambiente & Sviluppo, n. 7/2011, p. 610 ss.
Al riguardo, si segnala anche quanto stabilito dalla sentenza della Corte di Cassazione Penale, sez. III, n. 28204 del 18 luglio 2011 in cui si legge testualmente che “se è vero che il luogo rilevante ai fini della nozione di deposito temporaneo non è circoscritto al solo luogo di produzione, potendosi eventualmente estendere ad altro sito nella disponibilità dell’impresa, è però necessario che vi sia un collegamento funzionale con quello ove la produzione avviene”.

[7] Per ulteriori approfondimenti, si veda S. MAGLIA – A. DI GIROLAMO, Rifiuti derivanti dall’attività di manutenzione e Sistri: cosa è cambiato, op. cit.

[8] Si vedano:

G. TAPETTO, Rifiuti da manutenzione e da attività sanitarie tra 152/2006 e Sistri, in http://www. ambientediritto.it

R. BERTUZZI, La gestione dei rifiuti da manutenzione delle strade, in http://www.ambienterosa.net

[9]Cfr. M. SANTOLOCI, Il trasporto dei rifiuti, op. cit., p. 16 ss.

[10] E, di norma, il produttore non possiede apposita autorizzazione al recupero o allo smaltimento di rifiuti.

[11] Art. 208, c. 17: “Fatti salvi l’obbligo di tenuta dei registri di carico e scarico da parte dei soggetti di cui all’articolo 190 ed il divieto di miscelazione di cui all’articolo 187, le disposizioni del presente articolo non si applicano al deposito temporaneo effettuato nel rispetto delle condizioni stabilite dall’articolo 183, comma 1, lettera m)”.

[12] Si veda M. SANTOLOCI, Il trasporto dei rifiuti, op. cit., p. 13 ss.: “se è già iniziata una vera e propria attività di trasporto, appare inevitabile che quello che viene raggiunto come sito di destinazione, anche da parte di piccoli operatori, è per forza di cose uno stoccaggio … si ritiene che l’autorità amministrativa possa di fatto … [legalizzare] in qualche modo quello che di fatto è un deposito trasferito, ma che ufficialmente resta pur sempre una forma di stoccaggio”.

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