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"Mi occupo di diritto ambientale da oltre trent’anni TuttoAmbiente è la guida più autorevole per la formazione e la consulenza ambientale Conta su di noi" Stefano Maglia
Deposito temporaneo e conseguenze penali di cui all’Art. 256 D.Lgs. 152/06
di Annarita Bressan
Categoria: Rifiuti
Il deposito temporaneo è l’attività di raggruppamento dei rifiuti ai fini del trasporto degli stessi in un impianto di recupero e/o smaltimento effettuato prima della raccolta ai sensi dell’art. 185 bis.
La definizione è stata mutata nel 2020, con il dlgs 116/2020 che ha introdotto all’art. 183 bb la definizione di “deposito temporaneo prima della raccolta”, a fronte del più semplice “deposito temporaneo” contenuto nella 152/06, prevedendo altresì una norma apposita sulla sua regolamentazione, l’art. 185 bis.
La sostanza comunque non cambia, si tratta delle operazioni “preliminari” alle fasi dello smaltimento o recupero, attraverso l’accumulo dei rifiuti in un’area apposita- all’interno dell’area di produzione dei rifiuti stessi- per garantire il successivo trasporto in un impianto allo scopo del recupero o dello smaltimento. In sostanza si tratta della fase prodromica a quello che sarà poi la vera e propria “gestione” dei rifiuti.
Per questo motivo il legislatore ha riservato un trattamento eccezionale all’istituto in questione, esentandolo dalla richiesta di autorizzazione, in considerazione del fatto che esistono piccole imprese caratterizzate da modesta produzione di rifiuti e che sarebbero appesantite nella gestione dei rifiuti se fossero sottoposte agli obblighi ordinari, oltre al fatto che sicuramente l’impatto sull’ambiente di un’operazione che non ha ancora a che fare con il momento della gestione dei rifiuti, è considerevolmente minore e dunque non necessita dei controlli ordinari legati alla richiesta di autorizzazione.
Appare dunque di particolare rilievo l’analisi delle problematiche interpretative della normativa se solo pensiamo che tutte le attività umane e produttive producono scarti che occorre raggruppare e successivamente avviare allo smaltimento o al recupero, e se si considera che il deposito temporaneo è in sostanza un’attività “libera”. E’ pertanto essenziale muoversi con il rigoroso rispetto delle condizioni poste, al fine di non incorrere nelle responsabilità derivanti dalla violazione delle previsioni normative, che possono essere anche piuttosto pesanti, come vedremo in seguito.
QUALI SONO LE CONDIZIONI PER IL DEPOSITO TEMPORANEO?
Le condizioni previste per il deposito temporaneo impongono all’azienda obblighi piuttosto semplici
1. La raccolta deve avvenire nel luogo di produzione dei rifiuti o in un’area funzionalmente collegata alla stessa, purché sia nella disponibilità dell’azienda;
2. Divieto di miscelazione dei rifiuti, di cui all’art. 187, vale a dire che occorre raccogliere i rifiuti per categorie omogenee. Dunque occorre che il produttore individui i rifiuti attraverso i codici CER e li accumuli per categorie omogenee, con particolare attenzione ai rifiuti pericolosi che devono essere trattati seguendo le regole prescritte per il loro imballaggio ed etichettature;
3. Lo sgombero dei rifiuti può avvenire in due modalità alternative, a scelta del produttore, secondo il criterio:
a) temporale vale a dire al massimo ogni tre mesi occorre sgomberare l’area occupata, indipendentemente dalla quantità. b) quantitativo vale a dire che al raggiungimento di un massimo di 30 metri cubi di rifiuti- dei quali massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi- l’area deve essere . In ogni caso, anche se non viene raggiunto il limite quantitativo, il deposito non può avere durata superiore all’anno.
4. È obbligatoria la tenuta del registro cronologico di carico e scarico di cui all’art. 190, D.L.vo 152/2006 da parte di imprese ed enti produttori iniziali di rifiuti pericolosi e imprese ed enti produttori iniziali [che hanno più di 10 dipendenti] di rifiuti non pericolosidi cui all’articolo 184, comma 3, lettere c) , d) e g) [ossia rifiuti prodotti nell’ambito delle lavorazioni industriali, nell’ambito delle lavorazioni artigianali, rifiuti derivanti dall’attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue, nonché i rifiuti da abbattimento di fumi, dalle fosse settiche e dalle reti fognarie].
MESSA IN RISERVA e DEPOSITO PRELIMINARE
Per capire correttamente l’ambito operativo del deposito temporaneo occorre precisare che taluni depositi di rifiuti, effettuati dalle imprese o dai singoli come depositi temporanei, e quindi senza autorizzazione, in realtà tali non sono, trattandosi di vera e propria gestione dei rifiuti, con la conseguente applicazione delle sanzioni penali di cui al 256, I comma.
Ci riferiamo al caso della messa in riserva e del deposito preliminare. Nel primo caso si tratta di deposito effettuato al di fuori dell’area di produzione, al fine di recupero dei materiali; nel secondo il raggruppamento avviene sempre fuori dall’area di produzione, allo scopo del successivo smaltimento.
In entrambi i casi la mancanza di autorizzazione comporta l’applicazione delle sanzioni del comma 1 art. 256, che prevede “chiunque effettua un’attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione…è punito con : l’arresto da tre mesi ad un anno o con l’ammenda da da 2.600 a 26.000,00 in caso di rifiuti non pericolosi; l’arresto da sei mesi a due anni e l’ammenda da 2.600,00 a 26.000,00 se si tratta di rifiuti pericolosi.”
Chiaramente la sanzione è più grave nel caso di rifiuti pericolosi, oltre a prevedere il cumulo tra sanzione interdittiva e sanzione pecuniaria. Bene precisare che l’uso di “chiunque” indica la imputabilità del fatto illecito sia a privati cittadini che ad imprese.
DEPOSITO INCONTROLLATO E ABBANDONO DI RIFIUTI. PROBLEMI DI PROVA
La domanda quindi è: cosa succede quando il deposito temporaneo viene effettuato in violazione delle condizioni previste dall’art. 185?
In questi casi l’accumulo dei rifiuti non viene compiuto per successive operazioni di smaltimento o di recupero e il legislatore punisce l’illecito comportamento con sanzioni amministrativa pecuniaria da trecento euro a tremila euro, nel caso di privato-ex art. 255 dlgs 152/06-; con sanzioni penali il comportamento posto in essere da imprese o enti.
I reati configurabili possono essere il deposito incontrollato e l’abbandono di rifiuti, di cui al
II comma art. 256, oltre alla configurabilità della discarica abusiva prevista dal III comma.
Il comma 2 dell’art. 256 specifica che” le pene di cui al comma I si applicano ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all’art. 192 commi 1 e 2”.
Ma quando abbiamo abbandono di rifiuti e quando deposito incontrollato?
Il tenore letterale della norma fa propendere per l’episodicità dell’abbandono a fronte di un comportamento ripetuto nel tempo del deposito incontrollato Tuttavia tale interpretazione limitata alla frequenza del rilascio non sembra più sufficiente alla qualificazione dell’illecito, secondo la giurisprudenza ultima.
Il discrimine tra le due fattispecie può essere individuato nel “controllo” da parte del produttore . Vale a dire che mentre nel deposito incontrollato il produttore deposita i rifiuti in modo casuale, mischiando i rifiuti, non rispettando le condizioni previste dalla normativa, ma lo fa sempre nell’ambito dell’attività svolta, senza volersene disfare ma magari riservandosi successivamente di provvedere in vista di una successiva fase di recupero o smaltimento, come farebbe propendere anche l’uso del termine “deposito” che richiama le operazioni di gestione dei rifiuti; nel caso invece di abbandono la volontà è proprio quella di disfarsi dei rifiuti, di abbandonarli senza più alcun controllo sugli stessi, i rifiuti fuoriescono dalla sfera del suo controllo perché l’intenzione è quella di liberarsene.(1)
E’ evidente che la distinzione tra le due fattispecie può essere non facile. La norma incriminatrice le accomuna sotto l’aspetto sanzionatorio ma la distinzione diventa rilevante nell’applicazione della prescrizione. Perché se il reato è istantaneo -come nell’abbandono- la prescrizione comincerà a decorrere dalla data della commissione del fatto, dal singolo rilascio del rifiuto; mentre nel caso di deposito incontrollato il reato è permanente, dunque il trascorrere del tempo sposta in avanti il calcolo della prescrizione del reato.
Anche su questo aspetto tuttavia la giurisprudenza ha molto dibattuto, arrivando ad una sentenza recentissima in cui la Cassazione sembra specificare un concetto più complesso che possiamo così sintetizzare: un deposito irregolare di rifiuti, che per la evidente volontà di disfarsene definitivamente da parte dell’autore, si esaurisce in un abbandono integra il reato istantaneo (con eventuali effetti permanenti) mentre se il detentore continua a conservare il potere di intervento e controllo, anche e soprattutto in previsione di fasi ulteriori per lo smaltimento o il recupero, si può ipotizzare un reato permanente.
Come distinguere allora i casi di abbandono da quelli di deposito incontrollato quando ci troviamo di fronte a cumuli di rifiuti apparentemente abbandonati su un terreno?
La valutazione spetterà al giudice del merito. La giurisprudenza ha negli anni fornito una serie di indicatori da considerare quali ad esempio: l’occasionalità o meno del fatto, facendo propendere verso il deposito incontrollato quando venga rinvenuta una certa organizzazione tesa ad una gestione dei rifiuti che mal si concilia con una volontà dismissiva; l’episodicità della condotta, può senz’altro condure a valutare il reato come abbandono; ancora, la pertinenza dei rifiuti rispetto all’attività svolta dall’autore della condotta; l’adibizione reiterata di un unico sito quale punto di rilascio dei rifiuti.
In sostanza si può concludere che per ipotizzare quale tipo di reato si configuri, si dovrebbe far riferimento al “tempo di attesa ragionevole” decorso il quale la mancata effettiva rimozione dei rifiuti permette di qualificare la situazione come abbandono e non deposito incontrollato, con la conseguenza che la prescrizione comincerà a decorrere dal momento del rilascio del rifiuto. Certamente la valutazione presenta notevoli difficoltà interpretative, tuttavia occorrerà andare alla ricerca di tutti i criteri indicativi che dimostrino obiettivamente la condizione di effettiva temporaneità dell’accumulo di rifiuti, a cominciare dalla loro natura e dalle caratteristiche dell’ammasso, valorizzando ogni ulteriore elemento da cui si possa desumere l’esistenza di un iniziale progetto di dismissione dei rifiuti.(2)
LA DISCARICA ABUSIVA
Venendo all’altra ipotesi di reato prevista dall’art. 256, il comma 3 sanziona la discarica abusiva, prevedendo – per chiunque realizzi o gestisca una discarica non autorizzata -l’arresto da sei mesi a due anni e ammenda da euro 2.600 a euro 26.000, che salgono da uno a tre anni e ammenda da euro 5.200 a euro 52.000 in caso in cui la discarica sia destinata anche in arte allo smaltimento dei rifiuti pericolosi.
In questi casi ci troviamo di fronte ad una accumulo di rifiuti per effetto di una condotta di abbandono di rifiuti ripetuta nel tempo in una determinata area, trasformata di fatto in deposito o ricettacolo con carattere di definitività in considerazione delle ingenti quantità degli stessi e dello spazio occupato, con conseguente degrado, anche solo tendenziale, dello stato dei luoghi ed essendo del tutto irrilevante la circostanza che manchino attività di trasformazione, recupero o riciclo proprie di una discarica autorizzata.
Sono dunque elementi caratterizzanti della condotta criminosa, che la distinguono dall’abbandono di rifiuti: la modalità della condotta, vale a dire che nell’abbandono sussiste una occasionalità ovvero una estemporaneità del comportamento, ovvero un mero collocamento dei rifiuti in un determinato luogo senza che vi sia attività preliminare o successiva al conferimento, sufficiente ad individuare l’illecito; mentre nella discarica abusiva vi è una continuità della condotta, una ripetizione del comportamento illecito, una sorta di abitualità nell’organizzazione tesa all’accumulo dei rifiuti in una determinata area che denota la volontà di gestire la discarica illecitamente.
La quantità di rifiuti e la dimensione dell’area occupata sono altri elementi distintivi tra le due fattispecie in quanto nella discarica abusiva occorre un ingente quantitativo di rifiuti per la sua configurazione e un’area di dimensioni notevoli, mentre è configurabile il deposito incontrollato anche in presenza di esigua quantità di rifiuti.(3)
Su questi elementi occorre basare dunque la distinzione tra i reati di abbandono-deposito incontrollato di cui al II comma, da quello ben più grave della discarica abusiva.
Anzi, occorre evidenziare che uno stoccaggio o un deposito temporaneo protratti oltre i limiti temporali –da uno a tre anni- possono essere assimilati ad una discarica abusiva, ex lege. Se infatti andiamo ad esaminare la definizione di discarica fornita dall’art. 2, comma 1 del dlgs 36/2003 si legge che per discarica si intende anche “…qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno. Sono esclusi da tale definizione solo gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento, e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o lo stoccaggio di rifiutiin attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno” (4)
L’ELEMENTO SOGGETTIVO DEI REATI DI CUI ALL’ART. 256 II COMMA
Venendo al tema dell’elemento soggettivo dei reati appena analizzati, ci si chiede quale criterio seguire nella individuazione del soggetto operante.
A ben guardare, infatti, l’art. 256 al II comma, pone sanzioni più pesanti per i titolari di imprese che abbandonino o depositino in modo incontrollato i rifiuti. La ragione è evidente: l’impatto ambientale dei rifiuti prodotti da un’attività commerciale o comunque produttive è senz’altro maggiore rispetto alla produzione di rifiuti di un soggetto privato. Ma è sufficiente il dato formale vengono considerate dalla norma? Il dato letterale si riferisce semplicemente alle imprese e ai responsabili di enti e dunque sembrerebbe far riferimento al mero dato formale di qualificazione giuridica della impresa.
La giurisprudenza in realtà ha ampliato la portata della norma, stabilendo la necessità di guardare sia al dato formale che quello sostanziale dell’attività svolta, con la conseguenza che sarà applicabile il
II comma dell’art. 256 anche nel caso di attività che -pur non essendo formalmente qualificate come imprese- di fatto svolgano attività d’impresa ai sensi dell’art. 2082 c.c., ovvero di ente con personalità giuridica o operante di fatto. (5)
L’individuazione in concreto dell’attività imprenditoriale, da parte del giudice, potrà far riferimento a vari elementi indicatori quali ad esempio: l’utilizzo di mezzi e modalità che eccedono quelli normalmente nella disponibilità del privato; la natura e provenienza dei materiali; la quantità e qualità dei soggetti che hanno posto in essere la condotta.
Sarà onere del giudice valutare non solo il dato formale riferito alla qualifica soggettiva dell’impresa ma anche il tipo e la quantità di rifiuti oggetto dell’abbandono o del deposito incontrollato, andando a valutare se la qualità e quantità degli stessi possano comportare un impatto ambientale compromettente, alla luce della presunzione di minor incidenza sull’ambiente dell’abbandono di rifiuti da parte di soggetti che non svolgono attività imprenditoriale.
NOTE
1) Pen n.1131/21; Cass. Pen n.24989/20; Cass. Pen n.41524/2017; Cass Pen. n. 3304/2016; Cass Pen n. 7160/2017; Cass. Pen. n. 4181/2018; Cass. Pen. n. 8549/2018;
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Deposito temporaneo e conseguenze penali di cui all’Art. 256 D.Lgs. 152/06
di Annarita Bressan
Il deposito temporaneo è l’attività di raggruppamento dei rifiuti ai fini del trasporto degli stessi in un impianto di recupero e/o smaltimento effettuato prima della raccolta ai sensi dell’art. 185 bis.
La definizione è stata mutata nel 2020, con il dlgs 116/2020 che ha introdotto all’art. 183 bb la definizione di “deposito temporaneo prima della raccolta”, a fronte del più semplice “deposito temporaneo” contenuto nella 152/06, prevedendo altresì una norma apposita sulla sua regolamentazione, l’art. 185 bis.
La sostanza comunque non cambia, si tratta delle operazioni “preliminari” alle fasi dello smaltimento o recupero, attraverso l’accumulo dei rifiuti in un’area apposita- all’interno dell’area di produzione dei rifiuti stessi- per garantire il successivo trasporto in un impianto allo scopo del recupero o dello smaltimento. In sostanza si tratta della fase prodromica a quello che sarà poi la vera e propria “gestione” dei rifiuti.
Per questo motivo il legislatore ha riservato un trattamento eccezionale all’istituto in questione, esentandolo dalla richiesta di autorizzazione, in considerazione del fatto che esistono piccole imprese caratterizzate da modesta produzione di rifiuti e che sarebbero appesantite nella gestione dei rifiuti se fossero sottoposte agli obblighi ordinari, oltre al fatto che sicuramente l’impatto sull’ambiente di un’operazione che non ha ancora a che fare con il momento della gestione dei rifiuti, è considerevolmente minore e dunque non necessita dei controlli ordinari legati alla richiesta di autorizzazione.
Appare dunque di particolare rilievo l’analisi delle problematiche interpretative della normativa se solo pensiamo che tutte le attività umane e produttive producono scarti che occorre raggruppare e successivamente avviare allo smaltimento o al recupero, e se si considera che il deposito temporaneo è in sostanza un’attività “libera”. E’ pertanto essenziale muoversi con il rigoroso rispetto delle condizioni poste, al fine di non incorrere nelle responsabilità derivanti dalla violazione delle previsioni normative, che possono essere anche piuttosto pesanti, come vedremo in seguito.
QUALI SONO LE CONDIZIONI PER IL DEPOSITO TEMPORANEO?
Le condizioni previste per il deposito temporaneo impongono all’azienda obblighi piuttosto semplici
1. La raccolta deve avvenire nel luogo di produzione dei rifiuti o in un’area funzionalmente collegata alla stessa, purché sia nella disponibilità dell’azienda;
2. Divieto di miscelazione dei rifiuti, di cui all’art. 187, vale a dire che occorre raccogliere i rifiuti per categorie omogenee. Dunque occorre che il produttore individui i rifiuti attraverso i codici CER e li accumuli per categorie omogenee, con particolare attenzione ai rifiuti pericolosi che devono essere trattati seguendo le regole prescritte per il loro imballaggio ed etichettature;
3. Lo sgombero dei rifiuti può avvenire in due modalità alternative, a scelta del produttore, secondo il criterio:
a) temporale vale a dire al massimo ogni tre mesi occorre sgomberare l’area occupata, indipendentemente dalla quantità.
b) quantitativo vale a dire che al raggiungimento di un massimo di 30 metri cubi di rifiuti- dei quali massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi- l’area deve essere . In ogni caso, anche se non viene raggiunto il limite quantitativo, il deposito non può avere durata superiore all’anno.
4. È obbligatoria la tenuta del registro cronologico di carico e scarico di cui all’art. 190, D.L.vo 152/2006 da parte di imprese ed enti produttori iniziali di rifiuti pericolosi e imprese ed enti produttori iniziali [che hanno più di 10 dipendenti] di rifiuti non pericolosi di cui all’articolo 184, comma 3, lettere c) , d) e g) [ossia rifiuti prodotti nell’ambito delle lavorazioni industriali, nell’ambito delle lavorazioni artigianali, rifiuti derivanti dall’attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue, nonché i rifiuti da abbattimento di fumi, dalle fosse settiche e dalle reti fognarie].
MESSA IN RISERVA e DEPOSITO PRELIMINARE
Per capire correttamente l’ambito operativo del deposito temporaneo occorre precisare che taluni depositi di rifiuti, effettuati dalle imprese o dai singoli come depositi temporanei, e quindi senza autorizzazione, in realtà tali non sono, trattandosi di vera e propria gestione dei rifiuti, con la conseguente applicazione delle sanzioni penali di cui al 256, I comma.
Ci riferiamo al caso della messa in riserva e del deposito preliminare. Nel primo caso si tratta di deposito effettuato al di fuori dell’area di produzione, al fine di recupero dei materiali; nel secondo il raggruppamento avviene sempre fuori dall’area di produzione, allo scopo del successivo smaltimento.
In entrambi i casi la mancanza di autorizzazione comporta l’applicazione delle sanzioni del comma 1 art. 256, che prevede “chiunque effettua un’attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione…è punito con : l’arresto da tre mesi ad un anno o con l’ammenda da da 2.600 a 26.000,00 in caso di rifiuti non pericolosi; l’arresto da sei mesi a due anni e l’ammenda da 2.600,00 a 26.000,00 se si tratta di rifiuti pericolosi.”
Chiaramente la sanzione è più grave nel caso di rifiuti pericolosi, oltre a prevedere il cumulo tra sanzione interdittiva e sanzione pecuniaria. Bene precisare che l’uso di “chiunque” indica la imputabilità del fatto illecito sia a privati cittadini che ad imprese.
DEPOSITO INCONTROLLATO E ABBANDONO DI RIFIUTI. PROBLEMI DI PROVA
La domanda quindi è: cosa succede quando il deposito temporaneo viene effettuato in violazione delle condizioni previste dall’art. 185?
In questi casi l’accumulo dei rifiuti non viene compiuto per successive operazioni di smaltimento o di recupero e il legislatore punisce l’illecito comportamento con sanzioni amministrativa pecuniaria da trecento euro a tremila euro, nel caso di privato-ex art. 255 dlgs 152/06-; con sanzioni penali il comportamento posto in essere da imprese o enti.
I reati configurabili possono essere il deposito incontrollato e l’abbandono di rifiuti, di cui al
II comma art. 256, oltre alla configurabilità della discarica abusiva prevista dal III comma.
Il comma 2 dell’art. 256 specifica che” le pene di cui al comma I si applicano ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all’art. 192 commi 1 e 2”.
Ma quando abbiamo abbandono di rifiuti e quando deposito incontrollato?
Il tenore letterale della norma fa propendere per l’episodicità dell’abbandono a fronte di un comportamento ripetuto nel tempo del deposito incontrollato Tuttavia tale interpretazione limitata alla frequenza del rilascio non sembra più sufficiente alla qualificazione dell’illecito, secondo la giurisprudenza ultima.
Il discrimine tra le due fattispecie può essere individuato nel “controllo” da parte del produttore . Vale a dire che mentre nel deposito incontrollato il produttore deposita i rifiuti in modo casuale, mischiando i rifiuti, non rispettando le condizioni previste dalla normativa, ma lo fa sempre nell’ambito dell’attività svolta, senza volersene disfare ma magari riservandosi successivamente di provvedere in vista di una successiva fase di recupero o smaltimento, come farebbe propendere anche l’uso del termine “deposito” che richiama le operazioni di gestione dei rifiuti; nel caso invece di abbandono la volontà è proprio quella di disfarsi dei rifiuti, di abbandonarli senza più alcun controllo sugli stessi, i rifiuti fuoriescono dalla sfera del suo controllo perché l’intenzione è quella di liberarsene.(1)
E’ evidente che la distinzione tra le due fattispecie può essere non facile. La norma incriminatrice le accomuna sotto l’aspetto sanzionatorio ma la distinzione diventa rilevante nell’applicazione della prescrizione. Perché se il reato è istantaneo -come nell’abbandono- la prescrizione comincerà a decorrere dalla data della commissione del fatto, dal singolo rilascio del rifiuto; mentre nel caso di deposito incontrollato il reato è permanente, dunque il trascorrere del tempo sposta in avanti il calcolo della prescrizione del reato.
Anche su questo aspetto tuttavia la giurisprudenza ha molto dibattuto, arrivando ad una sentenza recentissima in cui la Cassazione sembra specificare un concetto più complesso che possiamo così sintetizzare: un deposito irregolare di rifiuti, che per la evidente volontà di disfarsene definitivamente da parte dell’autore, si esaurisce in un abbandono integra il reato istantaneo (con eventuali effetti permanenti) mentre se il detentore continua a conservare il potere di intervento e controllo, anche e soprattutto in previsione di fasi ulteriori per lo smaltimento o il recupero, si può ipotizzare un reato permanente.
Come distinguere allora i casi di abbandono da quelli di deposito incontrollato quando ci troviamo di fronte a cumuli di rifiuti apparentemente abbandonati su un terreno?
La valutazione spetterà al giudice del merito. La giurisprudenza ha negli anni fornito una serie di indicatori da considerare quali ad esempio: l’occasionalità o meno del fatto, facendo propendere verso il deposito incontrollato quando venga rinvenuta una certa organizzazione tesa ad una gestione dei rifiuti che mal si concilia con una volontà dismissiva; l’episodicità della condotta, può senz’altro condure a valutare il reato come abbandono; ancora, la pertinenza dei rifiuti rispetto all’attività svolta dall’autore della condotta; l’adibizione reiterata di un unico sito quale punto di rilascio dei rifiuti.
In sostanza si può concludere che per ipotizzare quale tipo di reato si configuri, si dovrebbe far riferimento al “tempo di attesa ragionevole” decorso il quale la mancata effettiva rimozione dei rifiuti permette di qualificare la situazione come abbandono e non deposito incontrollato, con la conseguenza che la prescrizione comincerà a decorrere dal momento del rilascio del rifiuto. Certamente la valutazione presenta notevoli difficoltà interpretative, tuttavia occorrerà andare alla ricerca di tutti i criteri indicativi che dimostrino obiettivamente la condizione di effettiva temporaneità dell’accumulo di rifiuti, a cominciare dalla loro natura e dalle caratteristiche dell’ammasso, valorizzando ogni ulteriore elemento da cui si possa desumere l’esistenza di un iniziale progetto di dismissione dei rifiuti.(2)
LA DISCARICA ABUSIVA
Venendo all’altra ipotesi di reato prevista dall’art. 256, il comma 3 sanziona la discarica abusiva, prevedendo – per chiunque realizzi o gestisca una discarica non autorizzata -l’arresto da sei mesi a due anni e ammenda da euro 2.600 a euro 26.000, che salgono da uno a tre anni e ammenda da euro 5.200 a euro 52.000 in caso in cui la discarica sia destinata anche in arte allo smaltimento dei rifiuti pericolosi.
In questi casi ci troviamo di fronte ad una accumulo di rifiuti per effetto di una condotta di abbandono di rifiuti ripetuta nel tempo in una determinata area, trasformata di fatto in deposito o ricettacolo con carattere di definitività in considerazione delle ingenti quantità degli stessi e dello spazio occupato, con conseguente degrado, anche solo tendenziale, dello stato dei luoghi ed essendo del tutto irrilevante la circostanza che manchino attività di trasformazione, recupero o riciclo proprie di una discarica autorizzata.
Sono dunque elementi caratterizzanti della condotta criminosa, che la distinguono dall’abbandono di rifiuti: la modalità della condotta, vale a dire che nell’abbandono sussiste una occasionalità ovvero una estemporaneità del comportamento, ovvero un mero collocamento dei rifiuti in un determinato luogo senza che vi sia attività preliminare o successiva al conferimento, sufficiente ad individuare l’illecito; mentre nella discarica abusiva vi è una continuità della condotta, una ripetizione del comportamento illecito, una sorta di abitualità nell’organizzazione tesa all’accumulo dei rifiuti in una determinata area che denota la volontà di gestire la discarica illecitamente.
La quantità di rifiuti e la dimensione dell’area occupata sono altri elementi distintivi tra le due fattispecie in quanto nella discarica abusiva occorre un ingente quantitativo di rifiuti per la sua configurazione e un’area di dimensioni notevoli, mentre è configurabile il deposito incontrollato anche in presenza di esigua quantità di rifiuti.(3)
Su questi elementi occorre basare dunque la distinzione tra i reati di abbandono-deposito incontrollato di cui al II comma, da quello ben più grave della discarica abusiva.
Anzi, occorre evidenziare che uno stoccaggio o un deposito temporaneo protratti oltre i limiti temporali –da uno a tre anni- possono essere assimilati ad una discarica abusiva, ex lege. Se infatti andiamo ad esaminare la definizione di discarica fornita dall’art. 2, comma 1 del dlgs 36/2003 si legge che per discarica si intende anche “…qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno. Sono esclusi da tale definizione solo gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento, e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o lo stoccaggio di rifiutiin attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno” (4)
L’ELEMENTO SOGGETTIVO DEI REATI DI CUI ALL’ART. 256 II COMMA
Venendo al tema dell’elemento soggettivo dei reati appena analizzati, ci si chiede quale criterio seguire nella individuazione del soggetto operante.
A ben guardare, infatti, l’art. 256 al II comma, pone sanzioni più pesanti per i titolari di imprese che abbandonino o depositino in modo incontrollato i rifiuti. La ragione è evidente: l’impatto ambientale dei rifiuti prodotti da un’attività commerciale o comunque produttive è senz’altro maggiore rispetto alla produzione di rifiuti di un soggetto privato. Ma è sufficiente il dato formale vengono considerate dalla norma? Il dato letterale si riferisce semplicemente alle imprese e ai responsabili di enti e dunque sembrerebbe far riferimento al mero dato formale di qualificazione giuridica della impresa.
La giurisprudenza in realtà ha ampliato la portata della norma, stabilendo la necessità di guardare sia al dato formale che quello sostanziale dell’attività svolta, con la conseguenza che sarà applicabile il
II comma dell’art. 256 anche nel caso di attività che -pur non essendo formalmente qualificate come imprese- di fatto svolgano attività d’impresa ai sensi dell’art. 2082 c.c., ovvero di ente con personalità giuridica o operante di fatto. (5)
L’individuazione in concreto dell’attività imprenditoriale, da parte del giudice, potrà far riferimento a vari elementi indicatori quali ad esempio: l’utilizzo di mezzi e modalità che eccedono quelli normalmente nella disponibilità del privato; la natura e provenienza dei materiali; la quantità e qualità dei soggetti che hanno posto in essere la condotta.
Sarà onere del giudice valutare non solo il dato formale riferito alla qualifica soggettiva dell’impresa ma anche il tipo e la quantità di rifiuti oggetto dell’abbandono o del deposito incontrollato, andando a valutare se la qualità e quantità degli stessi possano comportare un impatto ambientale compromettente, alla luce della presunzione di minor incidenza sull’ambiente dell’abbandono di rifiuti da parte di soggetti che non svolgono attività imprenditoriale.
NOTE
1) Pen n.1131/21; Cass. Pen n.24989/20; Cass. Pen n.41524/2017; Cass Pen. n. 3304/2016; Cass Pen n. 7160/2017; Cass. Pen. n. 4181/2018; Cass. Pen. n. 8549/2018;
2) Pen 51422/2014 ; Cass. Pen n. 7386/2014; Cass. Pen. N.6149/2020;
3) Pen. n. 17387/21; Cass. Pen. n.44516/19; Cass. Pen. n..3943/2014;
4) Cass pen 13817/2021) . Cass. Pen n.15575/2020;
%9 Cass, n. 30123/2012; Cass. Pen n. 26406/2013; Cass. Pen n. 5601/2020.
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