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Stefano Maglia

Il punto sull’applicazione della Direttiva europea n. 99 del 2008 sugli ecoreati 10 anni dopo

di Stefano Maglia

Categoria: Responsabilità ambientali

Il 26 dicembre 2008 entrò in vigore la Direttiva 2008/99/CE del 19 novembre 2008 in tema di “Tutela penale dell’ambiente”, la quale obbligava “gli Stati Membri a prevedere nella loro legislazione nazionale sanzioni penali in relazione a gravi violazioni delle disposizioni del diritto comunitario in materia di tutela dell’ambiente”, introducendo “regole comuni sui reati consentendo così di usare efficaci metodi d’indagine e di assistenza, all’interno di una Stato membro o tra diversi Stati membri”.

A tal fine si segnala, in particolare, quanto viene esplicitamente espresso nell’art 5: “Gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i reati di cui agli articoli 3 e 4 siano puniti con sanzioni penali efficaci, proporzionate e dissuasive”.

La prima riflessione concerne il contenuto di quei richiamati artt. 3 e 4. Il primo (“Infrazioni”) obbliga “ciascuno stato ad adoperarsi affinchè le seguenti attività, qualora siano illecite e poste in essere intenzionalmente o quanto meno per grave negligenza, costituiscano reati”. Sottolineo non tanto l’elenco delle attività ivi riportate (ed ancor più esplicitate nell’allegato alla Direttiva) ma il “rivoluzionario” riferimento all’elemento soggettivo per la qualificazione come reati, elemento che viene ulteriormente espresso nell’articolo successivo (il 4) che prevede una punizione penale anche in caso di favoreggiamento ed istigazione a commettere tali reati. Su questo punto non v’è chi non veda il sostanziale inadempimento e disinteresse del nostro ordinamento giuridico.

Per quanto concerne poi il fatto che le sanzioni in materia ambientale nel nostro ordinamento siano “efficaci, proporzionate e dissuasive”, anche qui mi permetto di manifestare alcune perplessità, figlie, in buona sostanza, di quella natura prevalentemente formale che hanno le stesse norme italiane in materia ambientale, che si basano sostanzialmente sul divieto di superamento di valori tabellari (a contrariis: fino a che punto è possibile inquinare?) e sulla primaria importanza dell’adempimento autorizzatorio (anche se non si produce alcun danno o pericolo di danno all’ambiente), il cui inadempimento è punito sostanzialmente sempre con una sanzione penale, persino in caso di mero inadempimento di una prescrizione contenuta in un’autorizzazione, ovvero generando quell’obbrobrio giuridico di “amministrativazione del diritto penale” sollevato – e criticato – più volte dalla stessa Suprema Corte di Cassazione. E tutto ciò a fronte di quanto leggiamo nei considerando della citata direttiva (“Un’efficace tutela dell’ambiente esige sanzioni maggiormente dissuasive per le attività che danneggiano l’ambiente”).

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Ciò premesso: le sanzioni previste nell’ambito degli illeciti ambientali nel nostro ordinamento giuridico, ancora “dominate” da illeciti amministrativi e contravvenzionali, si possono ritenere “efficaci, proporzionate e dissuasive”?

In Italia si possono trasportare rifiuti senza formulario ed essere sanzionati con una sanzione amministrativa pecuniaria o non comunicare il verificarsi di un incidente in una azienda sottoposta alla disciplina “Seveso” e rischiare al massimo una contravvenzione o contaminare un terreno e non essere più puniti (sempre con una contravvenzione) per il pericolo di contaminazione, ma solo per non aver provveduto all’obbligo di bonifica, ecc. Gli esempi sarebbero decine. In più, per rimanere ai “reati” ambientali rammento – ma qui non c’è il tempo di approfondire l’argomento – non solo l’istituto dell’oblazione (ex artt. 162 e 162 bis cod. pen.) ma anche quello – già utilizzato più volte in campo ambientale – della tenuità del fatto (art. 131 bis cod pen) e della prescrizione in luogo della sanzione penale (di cui alla Parte VI bis del Dl vo 152/06), che provocano la sostanziale estinzione del reato.

Altro che efficaci, proporzionate e dissuasive! In certi casi siamo più vicini all’indulgenza plenaria!

E tornando alla Dir. 99/2008, nell’art. 6 si puntualizza ulteriormente che “Gli Stati membri provvedono affinché le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili dei reati di cui agli articoli 3 e 4 quando siano stati commessi a loro vantaggio”.

Alla luce di questo obbligo di “responsabilizzazione ambientale” delle persone giuridiche il nostro ordinamento ha risposto integrando (con colpevole ritardo, solo 10 anni dopo) l’elenco dei reati presupposto di cui al DLvo n. 231/2001 (“Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche…”) con una serie di “reati ambientali” inseriti – per la prima volta – dal 16 agosto del 2011 dal DLvo 121/2011, c.d. “231 ambiente”.

Troviamo qui risposta ai principi ed ai desiderata della Dir. 99? Niente affatto: gravi reati di natura sostanziale sono ignorati (per esempio la citata contravvenzione della “disciplina Seveso”, da ultimo modificata dal DLvo 105/2015), mentre la fanno da padrone ancora la stragrande maggioranza di reati di natura formale (uno per tutti: il citato inadempimento di una prescrizione contenuta in un’autorizzazione ex art. 256, c.4, Dlvo 152/06, c.d. Testo Unico Ambientale).

Tutto ciò amaramente premesso, si può affermare che è finalmente cambiato qualcosa con la L. 68/2015 sugli “ecoreati” (in vigore dal 29 maggio 2015), la quale non solo ha introdotto una serie di delitti ambientali nello stesso Codice penale (nuovo Titolo VI-bis : “Dei delitti contro l’ambiente”), ma ha addirittura aggiunto una nuova parte (VI bis) al DL.vo 152/06 (c.d. Testo Unico Ambientale), dedicata alla “Disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela dell’ambiente”?

Mentre per quanto riguarda quest’ultimo aspetto – sul quale ancora si dibatte per individuarne con definitiva chiarezza l’ambito di applicazione – mi permetto di rimandare agli “Indirizzi per l’applicazione della procedura di estinzione delle contravvenzioni ambientali ex parte VI bis DLvo 152/06” elaborati dall’ ISPRA, sullo straordinario e significativo inserimento nel codice penale di 12 delitti ambientali contenuti in un medesimo Titolo, ci sarebbe tantissimo da dire.

Visto il tempo e lo spazio a disposizione mi limiterò pertanto a segnalare solo alcuni spunti di riflessione:

    1. Innanzitutto, vorrei segnalare un fondamentale documento, ovvero la Relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti sulla verifica dell’attuazione della L. 68/2015, che riporta già i “numeri” relativi alla prima applicazione di questa legge;

 

    1. Specialmente i reati più gravi (e più “pubblicizzati”), ovvero quelli di “Inquinamento ambientale” e “Disastro ambientale” sono caratterizzati da una terminologia che lascia spazio ad una pericolosa ed amplissima discrezionalità interpretativa: “compromissione, deterioramento, significativi, misurabili, abusivamente, estese, ecc”. Sul punto segnalo che la giurisprudenza di Cassazione è già intervenuta più volte (per tutte v. Cass. Pen, sez. III, 3 novembre 2016, n. 46170) per iniziarne a definire i contorni. Insomma solo il tempo dirà quanto potrà essere davvero efficace questa riforma;

 

  1. Tutto ciò premesso, qual è dunque il punto dell’applicazione della Dir. 98 10 anni dopo? E’ di tutta evidenza che sarebbe assai utile ed interessante una valutazione comparata con quanto e come sia stata recepita dagli altri Stati europei, ma sicuramente per quanto riguarda l’Italia il cammino è ancora lungo, e irto di ostacoli, il più invalicabile dei quali è sicuramente la scarsa attenzione e competenza del nostro Legislatore ambientale[1].

Piacenza, 23.04.2018

[1] Dalla Conferenza internazionale ICEF, svoltasi a Roma, il 20 aprile 2018, ed avente ad oggetto “Governance ambientale e città sostenibili”.

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