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È possibile sottoporre a trattamento un sottoprodotto prima di reimmetterlo in un ciclo produttivo?
di Stefano Maglia
Categoria: Rifiuti
La nozione di “trattamento”, utile al fine di comprendere i limiti della nozione di rifiuto, ha da sempre comportato delle problematiche circa la delimitazione in termini certi dei suoi confini, fin dalla definizione di rifiuto di cui all’art. 14 della L. 178/02, la quale parlava di trattamento senza specificarne il contenuto. Per cui l’unica definizione rinvenibile era quella contenuta nel D.L.vo 36/03, relativo alle discariche, all’art. 2, lettera h), che definisce trattamento: “i processi fisici, termici, chimici o biologici, incluse le operazioni di cernita, che modificano le caratteristiche dei rifiuti, allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa, di facilitarne il trasporto, di agevolare il recupero o di favorirne lo smaltimento in condizioni di sicurezza”.
A livello europeo, è solo con la nuova Direttiva sui rifiuti del 2008 che viene introdotta all’art. 3, par. 14, la definizione di trattamento in termini di “operazioni di recupero o smaltimento, inclusa la preparazione prima del recupero o dello smaltimento”.
L’attuale definizione contenuta nell’art. 183, c. 1, lett. s), D.L.vo n. 152/2006 ripropone fedelmente quella contenuta nella direttiva rifiuti.
Sul punto, tuttavia, vi è da segnalare che la giurisprudenza europea e nazionale ha inteso sempre più tale nozione nel senso di non precludere qualsiasi attività sul materiale.
Sulla questione la citata Comunicazione interpretativa (punto 3.3.2.), pur evidenziando come in alcuni casi sia difficile da valutare, è però chiara nel porre all’attenzione dell’interprete gli aspetti imprescindibili da considerare: “la catena del valore di un sottoprodotto prevede spesso una serie di operazioni necessarie per poter rendere il materiale riutilizzabile. Dopo la produzione, esso può essere lavato, seccato, raffinato o omogeneizzato, lo si può dotare di caratteristiche particolari o aggiungervi altre sostanze necessarie al riutilizzo, può essere oggetto di controlli di qualità ecc.”.
E prosegue:
“Alcune operazioni sono condotte nel luogo di produzione del fabbricante, altre presso l’utilizzatore successivo, altre ancora sono effettuate da intermediari. Nella parte in cui tali operazioni sono parte integrante del processo di produzione … non impediscono che il materiale sia considerato un sottoprodotto”.
D’altro canto, la stessa Comunicazione, facendo proprio riferimento ad una pronuncia della CGCE (Causa C-457/02, Niselli, ordinanza dell’11 novembre 2004), aggiunge che “l’operazione cui viene sottoposto un materiale, che si tratti o meno di un’operazione di trattamento dei rifiuti di cui agli allegati II A e II B della direttiva quadro sui rifiuti, non consente di pronunciarsi sulla natura di un materiale. Conclusione del tutto logica, in quanto molti dei metodi di trattamento o smaltimento indicati nei suddetti allegati possono applicarsi perfettamente anche ad un prodotto”.
In particolare ora nella definizione di sottoprodotto che si ritrova nella Dir. 2008/98/CE e nel D.L.vo n. 152/2006 si legge che “la sostanza o l’oggetto può essere utilizzata/o direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale”. Per quanto il provvedimento europeo non chiarisce cosa debba intendersi per “normale pratica industriale”, non ritrovandosi la relativa definizione tra quelle contenute all’art. 3, dal disposto della norma di cui all’art. 5 e dagli obiettivi che informano l’intera Direttiva può desumersi che si intende come tale ogni trattamento utile applicabile ai residui, affinché gli stessi possano essere oggetto, quali sottoprodotti, di un utilizzo legale soddisfacendo i requisiti imposti dall’ordinamento ai fini della protezione della salute e dell’ambiente e non portando impatti complessivi negativi.
Sul significato di “trasformazioni preliminari”, la Cassazione Penale, nella sentenza n. 9483 del 3 marzo 2008, dichiara che la definizione di “sottoprodotto” contenuta nell’art. 183, lett. n) del D.L.vo 152/06 (il riferimento era alla previgente formulazione, ma quasi corrispondente a quella attuale) ricomprende anche il residuo produttivo commercializzato a favore di terzi per essere utilizzato in un ciclo produttivo diverso da quello di origine senza trasformazioni preliminari e cioè senza trattamenti che mutino l’identità merceologica del materiale, facendo perdere al sottoprodotto la sua identità.
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È possibile sottoporre a trattamento un sottoprodotto prima di reimmetterlo in un ciclo produttivo?
di Stefano Maglia
La nozione di “trattamento”, utile al fine di comprendere i limiti della nozione di rifiuto, ha da sempre comportato delle problematiche circa la delimitazione in termini certi dei suoi confini, fin dalla definizione di rifiuto di cui all’art. 14 della L. 178/02, la quale parlava di trattamento senza specificarne il contenuto. Per cui l’unica definizione rinvenibile era quella contenuta nel D.L.vo 36/03, relativo alle discariche, all’art. 2, lettera h), che definisce trattamento: “i processi fisici, termici, chimici o biologici, incluse le operazioni di cernita, che modificano le caratteristiche dei rifiuti, allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa, di facilitarne il trasporto, di agevolare il recupero o di favorirne lo smaltimento in condizioni di sicurezza”.
A livello europeo, è solo con la nuova Direttiva sui rifiuti del 2008 che viene introdotta all’art. 3, par. 14, la definizione di trattamento in termini di “operazioni di recupero o smaltimento, inclusa la preparazione prima del recupero o dello smaltimento”.
L’attuale definizione contenuta nell’art. 183, c. 1, lett. s), D.L.vo n. 152/2006 ripropone fedelmente quella contenuta nella direttiva rifiuti.
Sul punto, tuttavia, vi è da segnalare che la giurisprudenza europea e nazionale ha inteso sempre più tale nozione nel senso di non precludere qualsiasi attività sul materiale.
Sulla questione la citata Comunicazione interpretativa (punto 3.3.2.), pur evidenziando come in alcuni casi sia difficile da valutare, è però chiara nel porre all’attenzione dell’interprete gli aspetti imprescindibili da considerare: “la catena del valore di un sottoprodotto prevede spesso una serie di operazioni necessarie per poter rendere il materiale riutilizzabile. Dopo la produzione, esso può essere lavato, seccato, raffinato o omogeneizzato, lo si può dotare di caratteristiche particolari o aggiungervi altre sostanze necessarie al riutilizzo, può essere oggetto di controlli di qualità ecc.”.
E prosegue:
“Alcune operazioni sono condotte nel luogo di produzione del fabbricante, altre presso l’utilizzatore successivo, altre ancora sono effettuate da intermediari. Nella parte in cui tali operazioni sono parte integrante del processo di produzione … non impediscono che il materiale sia considerato un sottoprodotto”.
D’altro canto, la stessa Comunicazione, facendo proprio riferimento ad una pronuncia della CGCE (Causa C-457/02, Niselli, ordinanza dell’11 novembre 2004), aggiunge che “l’operazione cui viene sottoposto un materiale, che si tratti o meno di un’operazione di trattamento dei rifiuti di cui agli allegati II A e II B della direttiva quadro sui rifiuti, non consente di pronunciarsi sulla natura di un materiale. Conclusione del tutto logica, in quanto molti dei metodi di trattamento o smaltimento indicati nei suddetti allegati possono applicarsi perfettamente anche ad un prodotto”.
In particolare ora nella definizione di sottoprodotto che si ritrova nella Dir. 2008/98/CE e nel D.L.vo n. 152/2006 si legge che “la sostanza o l’oggetto può essere utilizzata/o direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale”. Per quanto il provvedimento europeo non chiarisce cosa debba intendersi per “normale pratica industriale”, non ritrovandosi la relativa definizione tra quelle contenute all’art. 3, dal disposto della norma di cui all’art. 5 e dagli obiettivi che informano l’intera Direttiva può desumersi che si intende come tale ogni trattamento utile applicabile ai residui, affinché gli stessi possano essere oggetto, quali sottoprodotti, di un utilizzo legale soddisfacendo i requisiti imposti dall’ordinamento ai fini della protezione della salute e dell’ambiente e non portando impatti complessivi negativi.
Sul significato di “trasformazioni preliminari”, la Cassazione Penale, nella sentenza n. 9483 del 3 marzo 2008, dichiara che la definizione di “sottoprodotto” contenuta nell’art. 183, lett. n) del D.L.vo 152/06 (il riferimento era alla previgente formulazione, ma quasi corrispondente a quella attuale) ricomprende anche il residuo produttivo commercializzato a favore di terzi per essere utilizzato in un ciclo produttivo diverso da quello di origine senza trasformazioni preliminari e cioè senza trattamenti che mutino l’identità merceologica del materiale, facendo perdere al sottoprodotto la sua identità.
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