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"Mi occupo di diritto ambientale da oltre trent’anni TuttoAmbiente è la guida più autorevole per la formazione e la consulenza ambientale Conta su di noi" Stefano Maglia
Ma è possibile che gli allevamenti siano davvero così nefasti per la salute del pianeta? O si tratta di una delle solite posizioni ideologiche delle Ong ambientaliste/complottiste, come quelle che abbiamo già analizzato in altri articoli riportati alla fine di questo?
Una delle fonti di dati che gli Stati e gli enti multinazionali usano per la definizione delle loro politiche contro il cambiamento climatico è la ditta aerospaziale americana GHGSat, che opera sedici satelliti dotati di una speciale tecnologia a visione multispettrale con la quale riesce a individuare anche “piccole” fonti (qualche centinaio di metri cubi al giorno) di emissioni di metano in atmosfera.
Secondo il Rapporto 2023 di GHGSat l’Unione Europea emette solo il 5% del metano globale (sottinteso: il metano rilevabile dal satellite, cioè emissioni concentrate in un punto o in un’area geografica molto ristretta). I principali emettitori rilevabili dal satellite si trovano negli Usa, in Medio Oriente e in Asia (Foto 1).
Foto 1: Emissioni di CH4 per aree geografiche nel 2023
(Fonte foto: GHGSat)
È comprensibile e doveroso che la Ce faccia comunque la sua parte, ma in che misura contribuiscono gli allevamenti al suddetto 5% di emissioni di competenza europea? Praticamente nulla, come si può apprezzare dalla Foto 2, nella quale le emissioni zootecniche rilevabili dal satellite sono accorpate sotto la voce “altri”, in grigio.
In tutti i continenti, i principali emettitori di metano rilevabili dal satellite sono l’industria petrolifera e le discariche di rifiuti. Sempre secondo il punto di vista di GHGSat, le emissioni del settore zootecnico riguardano principalmente gli allevamenti feedlot. Questo perché i satelliti, per quanto evoluta sia la loro tecnologia, riescono a individuare solo fonti di emissioni concentrate, come un feedlot in California che si estende su un’area lunga ben 10 chilometri e contiene circa 120mila capi. Le emissioni degli allevamenti nostrani, ben più piccoli di quelli statunitensi, non sono rilevabili con questa tecnologia. Per quanto i dati del Rapporto in questione sembrino indicare che le emissioni degli allevamenti sono l’ennesima fake news ecologista, dobbiamo ammettere che tali dati danno solo un’immagine parziale del problema, in quanto soggetti ai limiti di sensibilità della strumentazione satellitare.
Foto 2: Emissioni di metano per settori nel 2023
(Fonte foto: GHGSat)
Le emissioni di gas serra imputabili all’agricoltura provengono dagli inventari nazionali. Gli Stati e gli enti come la Ce si avvalgono di metodologie (1) definite dall’Intergovernmental Panel for Climate Change (Ipcc). Il capitolo 4 (2) del suddetto manuale si riferisce specificamente al conteggio delle emissioni agricole, delle quali però le emissioni degli allevamenti sono solo una frazione.
Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta analizzando diverse fonti per ottenere una visione panoramica del problema.
Secondo le infografiche pubblicate sul sito dell’Europarlamento, le emissioni di metano rappresentano solo il 10% del totale europeo, ma la pagina in questione non fornisce indicazioni su quale sia la distribuzione delle emissioni agricole per fonte né da dove provengano i dati. Sorge spontaneo chiedersi se l’Europarlamento pubblichi le infografiche con lo scopo di informare i cittadini per guidarli verso scelte consapevoli, o piuttosto per manipolarli fornendo solo informazioni parziali a favore dell’ideologia green vegan imperante nell’amministrazione von der Leyen. Infatti, le infografiche riportano la dicitura “esclusi uso del suolo, cambiamenti uso del suolo e silvicoltura (LULUCF)”. Quindi, l’informazione che trasmettono è dichiaratamente incompleta, e abbiamo il diritto di pensare che sia addirittura manipolatoria, come vedremo in seguito.
Dall’altra sponda dell’Atlantico, l’Environmental Protection Agency (Epa) fornisce informazioni più dettagliate e scientificamente fondate rispetto al Parlamento Europeo. Secondo uno studio condotto dal 1999 al 2022 (3), le emissioni di gas serra agricole del 2022 rappresentavano il 9,2% del totale delle attività umane (Tabella ES-3), una percentuale non molto diversa da quella riportata nelle infografiche dell’Europarlamento. Questo 9,2% corrisponde a 593.4 M tonnellate equivalenti di CO2. L’informazione che lo studio americano fornisce – mentre i politici europei la nascondono deliberatamente – è l’effetto di assorbimento di CO2, detto carbon sink, dell’agricoltura, appunto il fantomatico LULUCF. Il carbon sink statunitense vale -854.2 M tonnellate equivalenti di CO2. Quindi, il settore agricolo assorbe e fissa più CO2 di quanta ne emette. Per la cronaca: la differenza compensa anche il 68% delle emissioni del comparto industriale americano.
Un altro aspetto da evidenziare sulla maggiore trasparenza informativa dell’Epa rispetto all’Europarlamento è che la Tabella 5.3 del citato studio arriva al livello di dettagliare le emissioni enteriche delle popolazioni bovine, suine, ovicaprine, equine e perfino gli emblematici bisonti selvatici. Le emissioni enteriche nel 2022 sono state calcolate in 192,6 M tonnellate equivalenti di CO2 e quelle relative alla gestione dei reflui, ovvero il 32,4% e l’11,1% rispettivamente. La Foto 3 mostra in dettaglio la distribuzione delle emissioni per sorgente. Da sottolineare un dettaglio importante: le emissioni enteriche ammontano a 192,6 M tonnellate equivalenti di CO2, quelle derivanti dalla scorretta gestione del letame valgono 64,7 M tonnellate equivalenti di CO2; infine, le emissioni di NO2 derivanti dalla decomposizione dei fertilizzanti azotati nel suolo sono 290,8 M tonnellate equivalenti di CO2. Le emissioni enteriche si potrebbero dunque compensare, se non completamente almeno in parte, promuovendo l’adozione diffusa dei digestori anaerobici e la sostituzione dei fertilizzanti chimici con il digestato.
Foto 3: Emissioni di gas serra negli Usa nel 2022
(Fonte foto: Dati Epa, Tabella 5-1 dello studio citato, elaborazione grafica di Mario A. Rosato – AgroNotizie®)
Assodato il fatto che le emissioni degli allevamenti, seppur dell’ordine di milioni di tonnellate di CO2 equivalenti, rappresentano solo una minuscola percentuale del totale imputabile alle attività umane, è evidente che una tassazione come quella introdotta dal Governo danese è iniqua, nonché basata su basi scientifiche poco solide. Le emissioni enteriche dei ruminanti, e in minor misura dei suini, vengono stimate in base a due tipi di prove: in vitro e in vivo.
Nel primo caso, un campione di rumine viene collocato in un reattore assieme ad un campione di mangime, e il gas prodotto dalla fermentazione misurato con un’apposita strumentazione (Foto 4). Nel secondo caso, gli animali vengono posizionati in box ermetici, nei quali viene monitorata la composizione dell’aria in entrata e in uscita, nonché la quantità di mangime consumato durante un periodo di 24-48 ore. In ogni caso, i risultati sono molto variabili, dipendendo dalla specie di animale, dall’età, dal foraggio somministrato, dalla granulometria, dallo stato metabolico (vitello lattante, vacca gestante, vacca asciutta), dal peso vivo, da eventuali additivi al mangime che bloccano la produzione di CH4. L’Ipcc riconosce due metodi, uno dei quali più accurato ma più dispendioso in termini di informazioni statistiche da ricavare, per cui gli Stati adottano in genere l’approccio tabellare del primo metodo, detto Tier 1. Così facendo, il valore calcolato ha un’incertezza di oltre il 10%.
Foto 4: Il sistema Gas Endeavour Animal Nutrition per l’analisi della produzione di metano ruminale
(Fonte foto: Riprodotta per cortesia di BPC Instruments AB)
Oltre all’incertezza metodologica, il conteggio delle emissioni secondo la metodologia Tier 1 più aggiornata (4) assume che nelle condizioni di allevamento in Europa una vacca da latte produce 117 chilogrammi di CH4/anno, mentre tutte le altre categorie di bovini 57 chilogrammi CH4/anno. Oltre all’errore di logica che comporta assumere che tutti i bovini emettono la stessa quantità di metano, l’applicazione di una tassa “sulle emissioni di CO2 equivalenti” apre una seconda forma di incertezza, che si traduce in una potenziale ingiustizia: qual è il fattore di equivalenza che si deve assumere per il calcolo? L’effetto serra equivalente del metano dipende dal periodo di tempo che si considera. Esso varia da settantadue volte il potere climalterante della CO2 se si considerano venti anni, scendendo a ventuno-venticinque volte se si considera un secolo. Nei calcoli degli inventari nazionali si adotta il fattore venticinque, ma se le frange più estremiste dovessero far passare “l’ipotesi più restrittiva”, per gli allevatori sarebbe un disastro: a 40 euro/tonnellata di CO2 equivalente, la ipotetica tassa da pagare sarebbe:
Imax = 0,117 tonnellate CH4/anno x 72 x 40 euro/tonnellata = 351 euro/capo.anno
Se si adottasse invece il fattore Ipcc a cento anni, il risultato sarebbe comunque esoso:
Imin = 0,117 tonnellate CH4/anno x 25 x 40 euro/tonnellata = 117 euro/capo.anno
L’iniquità di una tale tassa sulle emissioni animali sarebbe ancora peggiore se il regolamento di applicazione non dovesse contemplare i fattori mitiganti, scoraggiando di fatto l’adozione di buone pratiche, quali:
Utilizzo di additivi per mangimi che bloccano o riducono drasticamente le emissioni di CH4.
Installazione di impianti di biogas, o conferimento delle deiezioni a tali impianti, evitando le emissioni associate alla gestione del letame e liquami e nel contempo risparmiando le emissioni associate al consumo di combustibili fossili.
Sostituzione di fertilizzanti chimici con digestato o letame, evitando così le emissioni associate alla produzione e al trasporto dei primi.
Carbonicoltura (siepi e fasce tampone forestali con lo scopo di catturare CO2 atmosferica, utilizzo di biochar come ammendante).
Concludiamo con qualche ragionamento sulla possibile incostituzionalità in Italia di una ipotetica carbon tax come quella danese. L’articolo 53 della nostra Costituzione recita: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
Le emissioni di CO2 equivalente degli allevamenti nel 2021 secondo i dati Ispra rappresentano il 68% del comparto agricolo, che a sua volta rappresenta il 7,5% del totale nazionale (410.000.000 tonnellate equivalenti di CO2). Vale a dire che, stando ai dati ufficiali italiani calcolati con la metodologia Ipcc, le emissioni degli allevamenti (nel 2021) erano: Ea = 410.000.000 x 7,5% x 68% = 20.910.000 tonnellate equivalenti CO2/anno. Poiché la Costituzione dice che tutti sono tenuti a contribuire secondo il principio di progressività, non è ammissibile che solo gli allevatori paghino per le emissioni di CH4 e gli altri settori emettitori no. A titolo d’esempio, dovrebbero essere soggetti al pagamento della stessa tassa anche: • I rotoli di carta igienica. Il consumo pro capite di carta igienica in Italia è di 6,3 chilogrammi/anno. Mediamente, il tenore di solidi volatili (SV) è del 92%. Il potenziale metanigeno della carta igienica, misurato più volte dall’autore dell’articolo, varia fra 380 e 400 Nm3/tonnellate SV, ovvero fra 0,2714 e 0,2857 tonnellate CH4/tonnellate SV. Le emissioni equivalenti imputabili al consumo di carta igienica in Italia sono dunque comprese nell’intervallo: Emin = 58.997.201 abitanti x 0,0063 tonnellate/anno x 0,92 x 0,2714 x 25 tonnellate equivalenti CO2/tonnellate CH4 = 1.325.780 tonnellate equivalenti CO2/anno Emax = 58.997.201 abitanti x 0,0063 tonnellate/a x 0,92 x 0,2857 x 25 tonnellate equivalenti CO2/tonnellate CH4 = 1.395.635 tonnellate equivalenti CO2/anno. • Le emissioni associate alle deiezioni umane, almeno di quei 7.300.000 abitanti che non sono allacciati alle fognature (dato Istat), si possono quantificare in: Ed.u. = 7.300.0000 x 0,038 tonnellate SV/anno x 0,321 tonnellate CH4/tonnellate SV x 25 = 2.226.135 tonnellate CO2 equivalenti/anno. La tassa dovrebbe essere a carico dei comuni che non hanno provveduto a dotarsi di impianti di trattamento delle acque fognarie. • I detentori di trituratori di rifiuti da cucina, detti “dissipatori”, che sono vietati in alcune regioni ma diffusi in altre dove “l’emergenza rifiuti” è ormai cronica. Il potenziale metanigeno dei rifiuti da cucina è compreso fra 350 e 470 Nm3/tonnellata SV. Ogni dissipatore familiare mediamente tritura e immette nella fognatura 200 chilogrammi di SV/anno, quindi promuove l’emissione in atmosfera di 70-90 Nm3/anno, ovvero 1,25-1,6 tonnellate equivalenti di CO2/anno (come un bovino da ingrasso!).
C’è un errore di logica nei conteggi dell’Ipcc, anche nel più sofisticato metodo Tier 2: si assume che tutti i ruminanti abbiano sempre una flora metanigena gastrointestinale attiva, fatto che non è del tutto vero. L’autore spesso si è trovato a misurare l’attività metanigena del letame bovino da utilizzare come inoculo per avviare impianti di biogas, riscontrando che in alcuni casi essa è quasi nulla. Sarebbero necessarie più ricerche per capirne le cause, ma probabilmente il motivo è una carenza di oligoelementi, non necessari per le vacche ma indispensabili per le Archea metanigene, oppure una dieta degli animali contenente grassi di palma e proteine da siero. Esiste anche la possibilità di supplementare la dieta bovina con erbe carminative (ad esempio, le cime di finocchio che sono uno scarto orticolo abbondante, ma anche melissa, angelica, menta piperita, prezzemolo e in genere tutte le erbe aromatiche). In ogni caso, gli allevatori dovrebbero avere la possibilità di dimostrare che le emissioni del loro bestiame sono inferiori ai valori tabellari, o addirittura essere esentati, perché la coltivazione di erbe come melissa e angelica contribuisce alla biodiversità. La prova SMA, Attività Metanogenica Specifica, è estremamente semplice da realizzare in laboratorio e richiede una settimana al massimo.
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Emissioni di CH4 dagli allevamenti bovini
di Mario A. Rosato
Ripubblicazione di un articolo del nostro docente Mario A. Rosato su Agronotizie disponibile al seguente link: https://agronotizie.imagelinenetwork.com/zootecnia/2024/07/10/emissioni-di-chsub4sub-dagli-allevamenti-bovini/84357
Lo scorso 27 giugno la Danimarca ha proposto l’introduzione di una tassa di 40 euro/tonnellata di CO2 equivalente alle emissioni di gas serra degli allevamenti, che raddoppierà a partire dal 2030.
Contrariamente a quanto ci si poteva aspettare, le associazioni ambientaliste vegane criticano il provvedimento, ritenendolo insufficiente. Esiste un rischio concreto che il resto degli allevatori europei si trovi in una situazione simile a quella dei danesi nei prossimi cinque anni, perché l’esigua maggioranza ottenuta da Ursula von der Leyen la spingerà a fare concessioni ai verdi per poter contare sul loro appoggio.
Ma è possibile che gli allevamenti siano davvero così nefasti per la salute del pianeta? O si tratta di una delle solite posizioni ideologiche delle Ong ambientaliste/complottiste, come quelle che abbiamo già analizzato in altri articoli riportati alla fine di questo?
Una delle fonti di dati che gli Stati e gli enti multinazionali usano per la definizione delle loro politiche contro il cambiamento climatico è la ditta aerospaziale americana GHGSat, che opera sedici satelliti dotati di una speciale tecnologia a visione multispettrale con la quale riesce a individuare anche “piccole” fonti (qualche centinaio di metri cubi al giorno) di emissioni di metano in atmosfera.
Secondo il Rapporto 2023 di GHGSat l’Unione Europea emette solo il 5% del metano globale (sottinteso: il metano rilevabile dal satellite, cioè emissioni concentrate in un punto o in un’area geografica molto ristretta). I principali emettitori rilevabili dal satellite si trovano negli Usa, in Medio Oriente e in Asia (Foto 1).
Foto 1: Emissioni di CH4 per aree geografiche nel 2023
(Fonte foto: GHGSat)
È comprensibile e doveroso che la Ce faccia comunque la sua parte, ma in che misura contribuiscono gli allevamenti al suddetto 5% di emissioni di competenza europea? Praticamente nulla, come si può apprezzare dalla Foto 2, nella quale le emissioni zootecniche rilevabili dal satellite sono accorpate sotto la voce “altri”, in grigio.
In tutti i continenti, i principali emettitori di metano rilevabili dal satellite sono l’industria petrolifera e le discariche di rifiuti. Sempre secondo il punto di vista di GHGSat, le emissioni del settore zootecnico riguardano principalmente gli allevamenti feedlot. Questo perché i satelliti, per quanto evoluta sia la loro tecnologia, riescono a individuare solo fonti di emissioni concentrate, come un feedlot in California che si estende su un’area lunga ben 10 chilometri e contiene circa 120mila capi. Le emissioni degli allevamenti nostrani, ben più piccoli di quelli statunitensi, non sono rilevabili con questa tecnologia. Per quanto i dati del Rapporto in questione sembrino indicare che le emissioni degli allevamenti sono l’ennesima fake news ecologista, dobbiamo ammettere che tali dati danno solo un’immagine parziale del problema, in quanto soggetti ai limiti di sensibilità della strumentazione satellitare.
Foto 2: Emissioni di metano per settori nel 2023
(Fonte foto: GHGSat)
Le emissioni di gas serra imputabili all’agricoltura provengono dagli inventari nazionali. Gli Stati e gli enti come la Ce si avvalgono di metodologie (1) definite dall’Intergovernmental Panel for Climate Change (Ipcc). Il capitolo 4 (2) del suddetto manuale si riferisce specificamente al conteggio delle emissioni agricole, delle quali però le emissioni degli allevamenti sono solo una frazione.
Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta analizzando diverse fonti per ottenere una visione panoramica del problema.
Secondo le infografiche pubblicate sul sito dell’Europarlamento, le emissioni di metano rappresentano solo il 10% del totale europeo, ma la pagina in questione non fornisce indicazioni su quale sia la distribuzione delle emissioni agricole per fonte né da dove provengano i dati. Sorge spontaneo chiedersi se l’Europarlamento pubblichi le infografiche con lo scopo di informare i cittadini per guidarli verso scelte consapevoli, o piuttosto per manipolarli fornendo solo informazioni parziali a favore dell’ideologia green vegan imperante nell’amministrazione von der Leyen. Infatti, le infografiche riportano la dicitura “esclusi uso del suolo, cambiamenti uso del suolo e silvicoltura (LULUCF)”. Quindi, l’informazione che trasmettono è dichiaratamente incompleta, e abbiamo il diritto di pensare che sia addirittura manipolatoria, come vedremo in seguito.
Dall’altra sponda dell’Atlantico, l’Environmental Protection Agency (Epa) fornisce informazioni più dettagliate e scientificamente fondate rispetto al Parlamento Europeo. Secondo uno studio condotto dal 1999 al 2022 (3), le emissioni di gas serra agricole del 2022 rappresentavano il 9,2% del totale delle attività umane (Tabella ES-3), una percentuale non molto diversa da quella riportata nelle infografiche dell’Europarlamento. Questo 9,2% corrisponde a 593.4 M tonnellate equivalenti di CO2. L’informazione che lo studio americano fornisce – mentre i politici europei la nascondono deliberatamente – è l’effetto di assorbimento di CO2, detto carbon sink, dell’agricoltura, appunto il fantomatico LULUCF. Il carbon sink statunitense vale -854.2 M tonnellate equivalenti di CO2. Quindi, il settore agricolo assorbe e fissa più CO2 di quanta ne emette. Per la cronaca: la differenza compensa anche il 68% delle emissioni del comparto industriale americano.
Un altro aspetto da evidenziare sulla maggiore trasparenza informativa dell’Epa rispetto all’Europarlamento è che la Tabella 5.3 del citato studio arriva al livello di dettagliare le emissioni enteriche delle popolazioni bovine, suine, ovicaprine, equine e perfino gli emblematici bisonti selvatici. Le emissioni enteriche nel 2022 sono state calcolate in 192,6 M tonnellate equivalenti di CO2 e quelle relative alla gestione dei reflui, ovvero il 32,4% e l’11,1% rispettivamente. La Foto 3 mostra in dettaglio la distribuzione delle emissioni per sorgente. Da sottolineare un dettaglio importante: le emissioni enteriche ammontano a 192,6 M tonnellate equivalenti di CO2, quelle derivanti dalla scorretta gestione del letame valgono 64,7 M tonnellate equivalenti di CO2; infine, le emissioni di NO2 derivanti dalla decomposizione dei fertilizzanti azotati nel suolo sono 290,8 M tonnellate equivalenti di CO2. Le emissioni enteriche si potrebbero dunque compensare, se non completamente almeno in parte, promuovendo l’adozione diffusa dei digestori anaerobici e la sostituzione dei fertilizzanti chimici con il digestato.
Foto 3: Emissioni di gas serra negli Usa nel 2022
(Fonte foto: Dati Epa, Tabella 5-1 dello studio citato, elaborazione grafica di Mario A. Rosato – AgroNotizie®)
Assodato il fatto che le emissioni degli allevamenti, seppur dell’ordine di milioni di tonnellate di CO2 equivalenti, rappresentano solo una minuscola percentuale del totale imputabile alle attività umane, è evidente che una tassazione come quella introdotta dal Governo danese è iniqua, nonché basata su basi scientifiche poco solide. Le emissioni enteriche dei ruminanti, e in minor misura dei suini, vengono stimate in base a due tipi di prove: in vitro e in vivo.
Nel primo caso, un campione di rumine viene collocato in un reattore assieme ad un campione di mangime, e il gas prodotto dalla fermentazione misurato con un’apposita strumentazione (Foto 4). Nel secondo caso, gli animali vengono posizionati in box ermetici, nei quali viene monitorata la composizione dell’aria in entrata e in uscita, nonché la quantità di mangime consumato durante un periodo di 24-48 ore. In ogni caso, i risultati sono molto variabili, dipendendo dalla specie di animale, dall’età, dal foraggio somministrato, dalla granulometria, dallo stato metabolico (vitello lattante, vacca gestante, vacca asciutta), dal peso vivo, da eventuali additivi al mangime che bloccano la produzione di CH4. L’Ipcc riconosce due metodi, uno dei quali più accurato ma più dispendioso in termini di informazioni statistiche da ricavare, per cui gli Stati adottano in genere l’approccio tabellare del primo metodo, detto Tier 1. Così facendo, il valore calcolato ha un’incertezza di oltre il 10%.
Foto 4: Il sistema Gas Endeavour Animal Nutrition per l’analisi della produzione di metano ruminale
(Fonte foto: Riprodotta per cortesia di BPC Instruments AB)
Oltre all’incertezza metodologica, il conteggio delle emissioni secondo la metodologia Tier 1 più aggiornata (4) assume che nelle condizioni di allevamento in Europa una vacca da latte produce 117 chilogrammi di CH4/anno, mentre tutte le altre categorie di bovini 57 chilogrammi CH4/anno. Oltre all’errore di logica che comporta assumere che tutti i bovini emettono la stessa quantità di metano, l’applicazione di una tassa “sulle emissioni di CO2 equivalenti” apre una seconda forma di incertezza, che si traduce in una potenziale ingiustizia: qual è il fattore di equivalenza che si deve assumere per il calcolo? L’effetto serra equivalente del metano dipende dal periodo di tempo che si considera. Esso varia da settantadue volte il potere climalterante della CO2 se si considerano venti anni, scendendo a ventuno-venticinque volte se si considera un secolo. Nei calcoli degli inventari nazionali si adotta il fattore venticinque, ma se le frange più estremiste dovessero far passare “l’ipotesi più restrittiva”, per gli allevatori sarebbe un disastro: a 40 euro/tonnellata di CO2 equivalente, la ipotetica tassa da pagare sarebbe:
Imax = 0,117 tonnellate CH4/anno x 72 x 40 euro/tonnellata = 351 euro/capo.anno
Se si adottasse invece il fattore Ipcc a cento anni, il risultato sarebbe comunque esoso:
Imin = 0,117 tonnellate CH4/anno x 25 x 40 euro/tonnellata = 117 euro/capo.anno
L’iniquità di una tale tassa sulle emissioni animali sarebbe ancora peggiore se il regolamento di applicazione non dovesse contemplare i fattori mitiganti, scoraggiando di fatto l’adozione di buone pratiche, quali:
Concludiamo con qualche ragionamento sulla possibile incostituzionalità in Italia di una ipotetica carbon tax come quella danese. L’articolo 53 della nostra Costituzione recita: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
• I rotoli di carta igienica. Il consumo pro capite di carta igienica in Italia è di 6,3 chilogrammi/anno. Mediamente, il tenore di solidi volatili (SV) è del 92%. Il potenziale metanigeno della carta igienica, misurato più volte dall’autore dell’articolo, varia fra 380 e 400 Nm3/tonnellate SV, ovvero fra 0,2714 e 0,2857 tonnellate CH4/tonnellate SV. Le emissioni equivalenti imputabili al consumo di carta igienica in Italia sono dunque comprese nell’intervallo:
Emin = 58.997.201 abitanti x 0,0063 tonnellate/anno x 0,92 x 0,2714 x 25 tonnellate equivalenti CO2/tonnellate CH4 = 1.325.780 tonnellate equivalenti CO2/anno
Emax = 58.997.201 abitanti x 0,0063 tonnellate/a x 0,92 x 0,2857 x 25 tonnellate equivalenti CO2/tonnellate CH4 = 1.395.635 tonnellate equivalenti CO2/anno.
• Le emissioni associate alle deiezioni umane, almeno di quei 7.300.000 abitanti che non sono allacciati alle fognature (dato Istat), si possono quantificare in:
Ed.u. = 7.300.0000 x 0,038 tonnellate SV/anno x 0,321 tonnellate CH4/tonnellate SV x 25 = 2.226.135 tonnellate CO2 equivalenti/anno.
La tassa dovrebbe essere a carico dei comuni che non hanno provveduto a dotarsi di impianti di trattamento delle acque fognarie.
• I detentori di trituratori di rifiuti da cucina, detti “dissipatori”, che sono vietati in alcune regioni ma diffusi in altre dove “l’emergenza rifiuti” è ormai cronica. Il potenziale metanigeno dei rifiuti da cucina è compreso fra 350 e 470 Nm3/tonnellata SV. Ogni dissipatore familiare mediamente tritura e immette nella fognatura 200 chilogrammi di SV/anno, quindi promuove l’emissione in atmosfera di 70-90 Nm3/anno, ovvero 1,25-1,6 tonnellate equivalenti di CO2/anno (come un bovino da ingrasso!).
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