Preveniamo rischi Risolviamo problemi Formiamo competenze
"Mi occupo di diritto ambientale da oltre trent’anni TuttoAmbiente è la guida più autorevole per la formazione e la consulenza ambientale Conta su di noi" Stefano Maglia
L’art. 275 del D.Lgs. 152/06 e l’allegato III alla parte quinta disciplinano i composti organici volatili, indicando:
i limiti di emissione;
le modalità di monitoraggio e di controllo delle emissioni;
i criteri per la valutazione della conformità dei valori misurati ai valori limite;
le modalità di redazione del piano di gestione dei solventi.
Per comprendere di quali sostanze si tratti, si deve ricorrere alla definizione di composto organico volatile.
A seconda delle diverse finalità delle normative attualmente vigenti, vengono fornite più definizioni. Nonostante il titolo I consideri solo i COV così come definiti dall’art. 268 del D.Lgs. 152/06, è opportuno richiamare anche le definizioni fornite da altre normative, in quanto possono esservi implicazioni per quanto riguarda gli aspetti prettamente tecnici in tema di emissione di COV.
L’art. 268 del D.Lgs. 152/06 definisce:
composto organico: “qualsiasi composto contenente almeno l’elemento carbonio e uno o più degli elementi seguenti: idrogeno, alogeni, ossigeno, zolfo, fosforo, silicio o azoto, ad eccezione degli ossidi di carbonio e dei carbonati e bicarbonati inorganici”;
composto organico volatile (COV): “qualsiasi composto organico che abbia a 293,15 K una pressione di vapore di 0,01 kPa o superiore, oppure che abbia una volatilità corrispondente in condizioni particolari di uso”, ai fini della parte quinta del decreto, “è considerata come COV la frazione di creosoto che alla temperatura di 293,15 K ha una pressione di vapore superiore a 0,01 kPa”.
Il D.Lgs. 155/10, già analizzato nel capitolo precedente fornisce, per le sue finalità, la seguente definizione di COV: “tutti i composti organici diversi dal metano provenienti da fonti antropogeniche e biogeniche, i quali possono produrre ossidanti fotochimica reagendo con gli ossidi di azoto in presenza di luce solare”. Tale definizione, tuttavia, non influisce direttamente sulla disciplina di cui al titolo I della parte quinta del D.Lgs. 152/06, pur avendo il medesimo obiettivo di riduzione dell’inquinamento atmosferico, in particolare di origine fotochimica.
Il D.Lgs. 27.3.2006 n. 161, con cui è stata recepita la direttiva 2004/42/CE, ha l’obiettivo di prevenire e limitare l’inquinamento atmosferico derivante dall’effetto dei COV sulla formazione dell’ozono troposferico, pertanto introduce disposizioni specifiche per le pitture, le vernici e i prodotti per carrozzeria, con implicazioni sugli stabilimenti ricadenti, in generale, nel titolo I della parte quinta del D.Lgs. 152/06. Le definizioni fornite dal D.Lgs. 161/06, seppur valide solo per le finalità del decreto stesso, sono le seguenti:
composto organico: “qualsiasi composto contenente almeno l’elemento carbonio e uno o più degli elementi seguenti: idrogeno, ossigeno, zolfo, fosforo, silicio o azoto, cloro, bromo e fluoro, ad eccezione degli ossidi di carbonio e dei carbonati e bicarbonati inorganici”;
composto organico volatile: “qualsiasi composto organico avente un punto di ebollizione iniziale pari o inferiore a 250°C misurato ad una pressione standard di 101,3 kPa”.
Come si vede, tra il D.Lgs. 152/06 e il D.Lgs. 161/06 vi sono due differenze:
il D.Lgs. 152/06 prevede che possano essere composti organici i composti contenenti tutti gli elementi alogeni (ossia fluoro, cloro, bromo, iodio e astato, quest’ultimo, peraltro, è radioattivo), mentre il D.Lgs. 161/06 riconosce composti organici solo quelli contenenti gli alogeni fluoro, cloro e bromo;
il principio di classificazione dei COV presente nelle due normative si basa su diverse proprietà chimiche.
La prima differenza sembra essere poco rilevante, per il fatto che i prodotti a livello industriale contenti iodio sono marginali. Essa deriva da una errata trasposizione della direttiva 2004/42/CE, che definisce composto organico “qualsiasi composto contenente almeno l’elemento carbonio e uno o più degli elementi seguenti: idrogeno, ossigeno, zolfo, fosforo, silicio, azoto od un alogeno, ad eccezione degli ossidi di carbonio e dei carbonati e bicarbonati inorganici”. Definizione sostanzialmente coincidente con quella della direttiva 1999/13/CE[1] e recentemente ripresa nella direttiva 2010/75/UE.
La seconda differenza è più sostanziale in quanto possono esservi composti considerabili COV sulla base di un criterio, ma non dell’altro. Senza dubbio, la maggior parte dei composti comunemente in uso soddisfa entrambe le condizioni, ma ciò non deve essere dato per scontato.
Per meglio comprende le differenze tecniche occorre richiamare i concetti di pressione di vapore e di punto di ebollizione.
La pressione o tensione di vapore di una sostanza è la pressione esercitata dal suo vapore saturo ad una data temperatura. In termini più semplici, si immagini di avere un contenitore chiuso in cui sia stato fatto il vuoto e mantenuto a temperatura costante; se esso viene riempito parzialmente, con un liquido le molecole presenti sulla superficie del liquido tendono a evaporare, passano cioè allo stato di vapore ed esercitano una pressione sul liquido sottostante. L’evaporazione continua finché non viene raggiunto un equilibrio: il vapore viene detto saturo e la sua pressione è la pressione o tensione di vapore. I liquidi evaporano in misura maggiore o minore a seconda delle forze che mantengono unite le molecole che lo costituiscono; più alta è la temperatura, maggiore è la cinetica delle molecole che tendono a cambiare fase, per cui la pressione di vapore cresce al crescere della temperatura.
Il punto di ebollizione rappresenta, invece, la temperatura alla quale la pressione di vapore eguaglia la pressione atmosferica (1 atmosfera = 760 mmHg = 1013,25 mbar = 101,325 kPa). Si immagini, quindi, di scaldare un liquido: questo bolle quando la sua pressione di vapore eguaglia la pressione esterna che insiste sulla superficie del liquido. La differenza tra questo passaggio di stato ed il precedente, sta nel fatto che il vapore non si forma solo dalla superficie, ma da tutta la sua massa, nella quale si formano bolle di vapore con una pressione leggermente superiore a quella esterna, in quanto sulle bolle preme anche il liquido sovrastante. La temperatura di ebollizione è direttamente proporzionale alla pressione esterna (il motivo per cui in montagna l’acqua bolle a temperatura inferiore a 100 °C).
Conseguentemente, chi utilizza prodotti contenenti COV deve prestare attenzione a come essi sono stati classificati. Il D.Lgs. 161/06 impone, infatti, all’art. 4, che le pitture e le vernici e i prodotti per carrozzeria possano essere immessi sul mercato solo se provvisti di un’etichetta in cui sia indicato il contenuto massimo di COV in g/l nel prodotto pronto all’uso, in cui i COV, però, sono valutati ai sensi del decreto medesimo e non del titolo I della parte quinta del D.Lgs. 152/06, quindi il gestore, tenuto alla presentazione del piano gestione solventi ai sensi dell’art. 275 del D.Lgs. 152/06, deve tenerne conto, verificando che sulle schede di sicurezza siano indicati anche i COV ai sensi della direttiva 1999/13/CE, in caso contrario è consigliabile che si faccia fornire una dichiarazione dal fornitore dei prodotti in cui siano specificati i COV tenendo conto della pressione di vapore.
Sempre in merito al D.Lgs. 161/06, è doveroso ricorda che il suo art. 3 prevede che i valori limite previsti nell’allegato II non si applicano:
ai prodotti elencati nell’allegato I da utilizzare nelle attività effettuate presso gli impianti autorizzati ed eserciti in conformità all’art. 275 del D.Lgs. 152/06; si applicano, quindi, soltanto per gli impianti che stanno al di sotto delle soglie di consumo di cui alla parte II dell’allegato III alla parte quinta del D.Lgs. 152/06;
ai prodotti elencati nell’allegato I, da utilizzare per il restauro o la manutenzione degli edifici d’epoca o dei veicoli tutelati come beni culturali dal D.Lgs. 22.1.2004 n. 42 o per il restauro o la manutenzione dei veicoli d’epoca o di interesse storico o collezionistico di cui al D.Lgs. 30.4.1992 n. 285[2].
Sempre l’art. 3 del D.Lgs. 161/06, dispone che per gli impianti in cui vengono effettuati i restauri il gestore non è tenuto all’ottenimento dell’autorizzazione ex art. 275 del D.Lgs. 152/06, ciò lascia intendere che l’autorizzazione ai sensi del titolo I della parte quinta del D.Lgs. 152/06 sarà esclusivamente ex art. 269. Comunque, chi intende acquistare e utilizzare prodotti da usare nelle operazioni di restauro deve ottenere una preventiva autorizzazione, presentando istanza:
per gli edifici e per i veicoli tutelati come beni culturali al soprintendente per i beni culturali competente per territorio nell’ambito della richiesta di autorizzazione di cui all’articolo 21 del D.Lgs. 42/04;
per gli altri veicoli al Dipartimento per i trasporti terrestri del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il quale si pronuncia entro trenta giorni dalla richiesta.
Tale autorizzazione viene rilasciata soltanto per le quantità rigorosamente necessarie alla esecuzione delle attività di restauro e di manutenzione.
[1] La direttiva 1999/13/CE è stata recepita con il DM 16.1.2004 n. 44, confluito nella parte quinta del D.Lgs. 152/06.
“1. Sono considerati appartenenti alla categoria di veicoli con caratteristiche atipiche i motoveicoli e gli autoveicoli d’epoca, nonché i motoveicoli e gli autoveicoli di interesse storico e collezionistico.
2. Rientrano nella categoria dei veicoli d’epoca i motoveicoli e gli autoveicoli cancellati dal P.R.A. perché destinati alla loro conservazione in musei o locali pubblici e privati, ai fini della salvaguardia delle originarie caratteristiche tecniche specifiche della casa costruttrice, e che non siano adeguati nei requisiti, nei dispositivi e negli equipaggiamenti alle vigenti prescrizioni stabilite per l’ammissione alla circolazione. Tali veicoli sono iscritti in apposito elenco presso il Centro storico del Dipartimento per i trasporti terrestri.
…
4. Rientrano nella categoria dei motoveicoli e autoveicoli i interesse storico e collezionistico tutti quelli di cui risulti l’iscrizione in uno dei seguenti registri: ASI, Storico Lancia, Italiano FIAT, Italiano Alfa Romeo, Storico FMI.”
Categorie
Emissioni di COV nel TUA
di Leonardo Benedusi
Tratto da L. BENEDUSI, Guida pratica alle emissioni in atmosfera e alla qualità dell’aria, Irnerio Editore
L’art. 275 del D.Lgs. 152/06 e l’allegato III alla parte quinta disciplinano i composti organici volatili, indicando:
Per comprendere di quali sostanze si tratti, si deve ricorrere alla definizione di composto organico volatile.
A seconda delle diverse finalità delle normative attualmente vigenti, vengono fornite più definizioni. Nonostante il titolo I consideri solo i COV così come definiti dall’art. 268 del D.Lgs. 152/06, è opportuno richiamare anche le definizioni fornite da altre normative, in quanto possono esservi implicazioni per quanto riguarda gli aspetti prettamente tecnici in tema di emissione di COV.
L’art. 268 del D.Lgs. 152/06 definisce:
Il D.Lgs. 155/10, già analizzato nel capitolo precedente fornisce, per le sue finalità, la seguente definizione di COV: “tutti i composti organici diversi dal metano provenienti da fonti antropogeniche e biogeniche, i quali possono produrre ossidanti fotochimica reagendo con gli ossidi di azoto in presenza di luce solare”. Tale definizione, tuttavia, non influisce direttamente sulla disciplina di cui al titolo I della parte quinta del D.Lgs. 152/06, pur avendo il medesimo obiettivo di riduzione dell’inquinamento atmosferico, in particolare di origine fotochimica.
Il D.Lgs. 27.3.2006 n. 161, con cui è stata recepita la direttiva 2004/42/CE, ha l’obiettivo di prevenire e limitare l’inquinamento atmosferico derivante dall’effetto dei COV sulla formazione dell’ozono troposferico, pertanto introduce disposizioni specifiche per le pitture, le vernici e i prodotti per carrozzeria, con implicazioni sugli stabilimenti ricadenti, in generale, nel titolo I della parte quinta del D.Lgs. 152/06. Le definizioni fornite dal D.Lgs. 161/06, seppur valide solo per le finalità del decreto stesso, sono le seguenti:
Come si vede, tra il D.Lgs. 152/06 e il D.Lgs. 161/06 vi sono due differenze:
La prima differenza sembra essere poco rilevante, per il fatto che i prodotti a livello industriale contenti iodio sono marginali. Essa deriva da una errata trasposizione della direttiva 2004/42/CE, che definisce composto organico “qualsiasi composto contenente almeno l’elemento carbonio e uno o più degli elementi seguenti: idrogeno, ossigeno, zolfo, fosforo, silicio, azoto od un alogeno, ad eccezione degli ossidi di carbonio e dei carbonati e bicarbonati inorganici”. Definizione sostanzialmente coincidente con quella della direttiva 1999/13/CE[1] e recentemente ripresa nella direttiva 2010/75/UE.
La seconda differenza è più sostanziale in quanto possono esservi composti considerabili COV sulla base di un criterio, ma non dell’altro. Senza dubbio, la maggior parte dei composti comunemente in uso soddisfa entrambe le condizioni, ma ciò non deve essere dato per scontato.
Per meglio comprende le differenze tecniche occorre richiamare i concetti di pressione di vapore e di punto di ebollizione.
La pressione o tensione di vapore di una sostanza è la pressione esercitata dal suo vapore saturo ad una data temperatura. In termini più semplici, si immagini di avere un contenitore chiuso in cui sia stato fatto il vuoto e mantenuto a temperatura costante; se esso viene riempito parzialmente, con un liquido le molecole presenti sulla superficie del liquido tendono a evaporare, passano cioè allo stato di vapore ed esercitano una pressione sul liquido sottostante. L’evaporazione continua finché non viene raggiunto un equilibrio: il vapore viene detto saturo e la sua pressione è la pressione o tensione di vapore. I liquidi evaporano in misura maggiore o minore a seconda delle forze che mantengono unite le molecole che lo costituiscono; più alta è la temperatura, maggiore è la cinetica delle molecole che tendono a cambiare fase, per cui la pressione di vapore cresce al crescere della temperatura.
Il punto di ebollizione rappresenta, invece, la temperatura alla quale la pressione di vapore eguaglia la pressione atmosferica (1 atmosfera = 760 mmHg = 1013,25 mbar = 101,325 kPa). Si immagini, quindi, di scaldare un liquido: questo bolle quando la sua pressione di vapore eguaglia la pressione esterna che insiste sulla superficie del liquido. La differenza tra questo passaggio di stato ed il precedente, sta nel fatto che il vapore non si forma solo dalla superficie, ma da tutta la sua massa, nella quale si formano bolle di vapore con una pressione leggermente superiore a quella esterna, in quanto sulle bolle preme anche il liquido sovrastante. La temperatura di ebollizione è direttamente proporzionale alla pressione esterna (il motivo per cui in montagna l’acqua bolle a temperatura inferiore a 100 °C).
Conseguentemente, chi utilizza prodotti contenenti COV deve prestare attenzione a come essi sono stati classificati. Il D.Lgs. 161/06 impone, infatti, all’art. 4, che le pitture e le vernici e i prodotti per carrozzeria possano essere immessi sul mercato solo se provvisti di un’etichetta in cui sia indicato il contenuto massimo di COV in g/l nel prodotto pronto all’uso, in cui i COV, però, sono valutati ai sensi del decreto medesimo e non del titolo I della parte quinta del D.Lgs. 152/06, quindi il gestore, tenuto alla presentazione del piano gestione solventi ai sensi dell’art. 275 del D.Lgs. 152/06, deve tenerne conto, verificando che sulle schede di sicurezza siano indicati anche i COV ai sensi della direttiva 1999/13/CE, in caso contrario è consigliabile che si faccia fornire una dichiarazione dal fornitore dei prodotti in cui siano specificati i COV tenendo conto della pressione di vapore.
Sempre in merito al D.Lgs. 161/06, è doveroso ricorda che il suo art. 3 prevede che i valori limite previsti nell’allegato II non si applicano:
Sempre l’art. 3 del D.Lgs. 161/06, dispone che per gli impianti in cui vengono effettuati i restauri il gestore non è tenuto all’ottenimento dell’autorizzazione ex art. 275 del D.Lgs. 152/06, ciò lascia intendere che l’autorizzazione ai sensi del titolo I della parte quinta del D.Lgs. 152/06 sarà esclusivamente ex art. 269. Comunque, chi intende acquistare e utilizzare prodotti da usare nelle operazioni di restauro deve ottenere una preventiva autorizzazione, presentando istanza:
Tale autorizzazione viene rilasciata soltanto per le quantità rigorosamente necessarie alla esecuzione delle attività di restauro e di manutenzione.
[1] La direttiva 1999/13/CE è stata recepita con il DM 16.1.2004 n. 44, confluito nella parte quinta del D.Lgs. 152/06.
[2] Art. 60 del D.Lgs. 285/92:
“1. Sono considerati appartenenti alla categoria di veicoli con caratteristiche atipiche i motoveicoli e gli autoveicoli d’epoca, nonché i motoveicoli e gli autoveicoli di interesse storico e collezionistico.
2. Rientrano nella categoria dei veicoli d’epoca i motoveicoli e gli autoveicoli cancellati dal P.R.A. perché destinati alla loro conservazione in musei o locali pubblici e privati, ai fini della salvaguardia delle originarie caratteristiche tecniche specifiche della casa costruttrice, e che non siano adeguati nei requisiti, nei dispositivi e negli equipaggiamenti alle vigenti prescrizioni stabilite per l’ammissione alla circolazione. Tali veicoli sono iscritti in apposito elenco presso il Centro storico del Dipartimento per i trasporti terrestri.
…
4. Rientrano nella categoria dei motoveicoli e autoveicoli i interesse storico e collezionistico tutti quelli di cui risulti l’iscrizione in uno dei seguenti registri: ASI, Storico Lancia, Italiano FIAT, Italiano Alfa Romeo, Storico FMI.”
Torna all'elenco completo
© Riproduzione riservata