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"Mi occupo di diritto ambientale da oltre trent’anni TuttoAmbiente è la guida più autorevole per la formazione e la consulenza ambientale Conta su di noi" Stefano Maglia
La nozione di “odore” è, in via generale, riconducibile alla sensazione elaborata dal sistema olfattivo dell’uomo in risposta ad uno stimolo dato dalla specifica interazione con una sostanza/miscela di sostanze. L’odore dell’aria è ampiamente riconosciuto come un parametro ambientale essenziale nel determinare la qualità della vita e, di conseguenza, riverbera effetti significativi su molteplici attività economiche.
Lo sviluppo delle attività antropiche[1] ha comportato il moltiplicarsi del rilascio di sostanze connotate da odori molesti, generando, in tal modo, crescente interesse e preoccupazione per quello che viene definito “inquinamento olfattivo”, ovvero l’impatto negativo sull’ambiente circostanze e sulla popolazione esposta, prodotto dalla diffusione di tali flussi osmogeni.
La valutazione dell’impatto odorigeno incontra una serie di difficoltà oggettive che complicano l’approccio all’inquinamento olfattivo e che ne hanno ritardato la regolamentazione rispetto ad altri settori della qualità dell’aria[2].
Ai sensi della norma UNI EN 13725:2004 (Qualità dell’aria – Determinazione della concentrazione di odore mediante olfattometria dinamica)[3], l’impatto odorigeno è valutato in base ai dati di concentrazione di odore espressi in unità odorimetriche o olfattometriche al metro cubo (ouE/m3) che rappresentano il numero di diluizioni necessarie affinché il 50% degli esaminatori non avverta più l’odore del campione analizzato[4]. Tuttavia, deve segnarsi che per il campionamento, la quantificazione e la caratterizzazione di questa tipologia di emissioni non esistono, ad oggi, procedure standardizzate universalmente condivise.
Elementi normativi in materia di emissioni odorigene
La vigente normativa ambientale, sia a livello europeo che nazionale, non prevede, con riguardo alle emissioni odorigene e al loro impatto sull’ambiente circostante, una disciplina che, in maniera organica, fornisca un quadro di riferimento certo per valutare e risolvere le problematiche associate alle emissioni odorigene.
In particolare, la normativa ambientale nazionale risente da anni di una sistematica carenza di riferimenti specifici adeguati alla complessità della problematica relativa all’impatto olfattivo. Tale disallineamento ha comportato (e comporta tutt’ora) molteplici difficoltà per l’ente di controllo nel valutare compiutamente l’impatto dei fenomeni osmogeni in termini generali di disciplina coerente ed organica, attinenti agli aspetti qualitativi e quantitativi.
Fino a pochi anni fa, infatti, gli unici riferimento normativi erano limitati (come si vedrà in seguito) a due articoli dei codici civile e penale, ancora oggi applicabili e applicati a fronte di un tema che difficilmente può essere “regolato” da norme e/o valutazioni di carattere oggettivo.
Attualmente, nel Testo Unico Ambientale, l’inquinamento odorigeno viene genericamente ricondotto all’inquinamento atmosferico ed è oggetto di una trattazione orientata alla prevenzione e alla limitazione delle emissioni per le singole sostanze. In particolare, le emissioni odorigene – definite dall’art. 268, comma 1, del Dlgs. 152/2006[5] come “emissioni convogliate o diffuse aventi effetti di natura odorigena” – sono oggetto dell’art. 272-bis del Dlgs. 152/2006 (articolo inserito dall’art. 1, comma 1, lettera f), paragrafo 8, del Dlgs. 183/2017[6]), il quale dispone:
«1. La normativa regionale o le autorizzazioni possono prevedere misure per la prevenzione e la limitazione delle emissioni odorigene degli stabilimenti di cui al presente titolo. Tali misure possono anche includere, ove opportuno, alla luce delle caratteristiche degli impianti e delle attività presenti nello stabilimento e delle caratteristiche della zona interessata, e fermo restando, in caso di disciplina regionale, il potere delle autorizzazioni di stabilire valori limite più severi con le modalità previste all’articolo 271:
a) valori limite di emissione espressi in concentrazione (mg/Nm3) per le sostanze odorigene;
b) prescrizioni impiantistiche e gestionali e criteri localizzativi per impianti e per attività aventi un potenziale impatto odorigeno, incluso l’obbligo di attuazione di piani di contenimento;
c) procedure volte a definire, nell’ambito del procedimento autorizzativo, criteri localizzativi in funzione della presenza di ricettori sensibili nell’intorno dello stabilimento;
d) criteri e procedure volti a definire, nell’ambito del procedimento autorizzativo, portate massime o concentrazioni massime di emissione odorigene espresse in unità odorimetriche (ouE/m3 o ouE/s) per le fonti di emissioni odorigene dello stabilimento;
e) specifiche portate massime o concentrazioni massime di emissione odorigena espresse in unità odorimetriche (ouE/m3 o ouE/s) per le fonti di emissioni odorigene dello stabilimento. [..]
Tale articolo riconosce alle Regioni[7] e alle autorità competenti, in sede di autorizzazione, il potere di prevedere misure di prevenzione e di limitazione, appositamente definite per le emissioni odorigene, che possono includere, ove opportuno e alla luce delle caratteristiche dell’impianto e della zona interessata, anche prescrizioni impiantistiche e gestionali (incluso l’obbligo di attuare un piano di contenimento), nonché ulteriori criteri e procedure per definire concentrazioni massime di emissioni[8].
In questo modo il legislatore ha fornito, per la prima volta, una tutela diretta a definire un criterio-limite “quantitativo” alle emissioni, che tende ad integrare il criterio di accettabilità e tollerabilità di matrice giurisprudenziale[9], individuato in relazione all’interesse della collettività. Detto in altri termini, l’introduzione dell’art. 272-bis nel Testo Unico Ambientale ha colmato il vuoto normativo da anni parzialmente disciplinato dall’intervento della giurisprudenza di legittimità, dando così la possibilità ai giudici di ancorare la valutazione della legittimità delle emissioni odorigene non più alla mera percezione soggettiva ma a dati di carattere obiettivo, riconducibili a provvedimenti regionali o alle autorizzazioni concesse ai singoli impianti a rischio osmogeno.
A tal riguardo, si segnala che una parte della dottrina ha evidenziato che: «In sostanza, quindi, con questa norma non si stabilisce direttamente una disciplina ‘statale’ con limiti certi, uniformi e predeterminati per le emissioni odorigene ma si attribuisce alla normativa regionale o alle singole autorizzazioni la facoltà di prevedere misure per la prevenzione e la limitazione delle emissioni odorigene degli stabilimenti con uno o più impianti o una o più attività che producono emissioni nell’atmosfera. E, pertanto, sembrano del tutto giustificati i timori di chi dubita che questa disposizione ‘possa effettivamente aiutare ad ancorare la valutazione di merito a dati più oggettivi; certo è che la previsione di una facoltà di stabilire limiti da parte delle Regioni o all’interno delle autorizzazioni rischia di condurre a situazioni assai diverse a seconda del luogo in cui l’emissione si verifichi [..]’. »[10].
Peraltro, su questo punto va sottolineato che, dal 19 dicembre 2017 (data di entrata in vigore dell’art. 272-bis del Dlgs. 152/2006) è stato esteso alle emissioni odorigene il regime sanzionatorio previsto dalla Parte Quinta del Dlgs. 152/2006. In particolare, come chiarito dalla Suprema Corte, nella recentissima sentenza n. 20204 del 21 maggio 2021: «In caso di emissioni odorigene, la violazione delle misure imposte ai sensi dell’art. 272-bis, Dlgs. 152/2006, per attività che producono emissioni in atmosfera configura la contravvenzione di cui all’art. 279, comma 2[11], Dlgs. 152/2006 se riferita a valori limite di emissione, mentre negli altri casi saranno applicabili le sanzioni amministrative di cui al comma 2-bis del medesimo articolo. Per la violazione delle prescrizioni relative alle emissioni odorigene imposte con l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) alle attività ad essa soggette si applicano, invece, le sanzioni di cui all’art. 29-quaterdecies, Dlgs. 152/2006.»
La normativa “indiretta” sulle emissioni odorigene
Come sopra anticipato, la carenza di una normativa specifica volta a disciplinare gli odori e il loro impatto ha favorito, negli anni, il ricorso ad una tutela “indiretta” della molestia olfattiva, conseguita mediante l’utilizzo di due norme codicistiche, ovvero l’art. 844 del codice civile (Immissioni) e l’art. 674 del codice penale (Getto pericoloso di cose)[12].
In primis, l’art. 844 cod. civ. dispone:
«Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.
Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tenere conto della priorità di un determinato uso.»
Da tale prima disposizione si evince che il limite per cui la “tollerabilità” supera la soglia della “normalità” – e rende applicabile l’art. 844 cod. civ. – è definito dall’autorità giudiziaria, la quale ha ampi poteri discrezionali nella valutazione di tale limite, dovendo contemperare le esigenze della produzione con quelle della proprietà[13]. Solo le immissioni ritenute così intollerabili costituiscono fatto illecito, ovvero possibile causa di danno risarcibile a norma dell’art. 2043 cod. civ.[14]
L’accertamento del superamento della “normale tollerabilità” costituisce dunque una vera e propria condizione per l’esercizio dell’azione processuale di risarcimento del danno. Il concetto di “normale tollerabilità” non è dunque legato ai criteri tabellari previsti dalla norma speciale (e verificabile con una perizia tecnica), ma alla dimostrazione della violazione del diritto alla salute, pienamente verificabile in altre forme dal giudice, che ha il diritto-dovere di decidere nell’ambito del suo pieno e libero convincimento.
Il superamento di un limite tabellare previsto da una legge speciale è, infatti, solo da ritenersi “presuntivamente” segnale del superamento del limite della normale tollerabilità; ma se le perizie non dimostrano il superamento di alcun valore tabellare, non è “presuntivamente” da escludersi il superamento della normale tollerabilità, il quale potrebbe essere dimostrato in altro modo[15].
In generale si può, quindi, affermare che l’azione inibitoria di cui all’art. 844 cod. civ. ha una duplice natura: reale (in quanto rivolta ad eliminare le cause delle immissioni) e personale (avente natura risarcitoria), volta ad ottenere un congruo indennizzo. In altre parole, in caso di immissioni che eccedano la normale tollerabilità, l’attore può esperire azione inibitoria ex art. 844 cod. civ., per far cessare le immissioni ed ottenere il risarcimento del danno subito[16].
In aggiunta a tale disposizione, come premesso, la giurisprudenza in materia di tutela dalle emissioni inquinanti si è avvalsa anche del dettato di cui all’art. 674 cod. pen., il quale dispone:
«Chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a duecentosei euro.»
In merito a tale disposizione codicistica, va sottolineata la natura di reato di pericolo e di reato istantaneo: non solo non è sufficiente, per la dichiarazione di responsabilità, che i fumi/vapori siano idonei a produrre uno degli effetti prospettati nel disposto di legge (non essendo necessario provare che essi si siano effettivamente verificati), ma non è necessaria neanche la ripetizione di più atti, essendo sufficiente che l’emissione si verifichi una volta sola.
Peraltro, con particolare riguardo al rapporto tra la contravvenzione di cui all’art. 674 cod. pen. e il regime sanzionatorio in tema di inquinamento atmosferico, la Suprema Corte (sentenza Cass. Pen. Sez. III n. 13324 del 30 aprile 2020) ha sottolineato che: «A parere della Corte per le attività produttive occorre distinguere l’ipotesi che siano svolte senza autorizzazione (perché non prevista o perché non richiesta o ottenuta) oppure in conformità alle previste autorizzazioni. Nella prima ipotesi, il contrasto con gli interessi protetti dalla disposizione di legge va valutato secondo criteri di “stretta tollerabilità“, mentre laddove l’attività è esercitata secondo l’autorizzazione e senza superamento dei limiti di questa, si deve fare riferimento alla “normale tollerabilità” delle persone quale si ricava dal contenuto dell’art. 844 cod. civ. Qualora sia riscontrata l’autorizzazione e il rispetto dei limiti di questa, una responsabilità potrà comunque sussistere qualora l’azienda non adotti quegli accorgimenti tecnici ragionevolmente utilizzabili per ulteriormente abbattere l’impatto sulla realtà esterna.»
Allo stesso modo, la già citata recente sentenza della Suprema Corte n. 20204/2021, ha chiarito che: «Èpossibile ilconcorso delle sanzioni previste per la violazione dell’art. 272-bis Dlgs. 152/2006 con il reato di cui all’art. 674 cod. pen. stante la diversità delle condotte sanzionate e l’oggetto della tutela, pur dovendosi distinguere, al fine di definire il concetto di “molestia” che integra la contravvenzione, tra attività produttiva svolta in assenza dell’autorizzazione preposta, per la quale il contrasto con gli interessi tutelati va valutato secondo criteri di “stretta tollerabilità” e quella esercitata in conformità all’autorizzazione e senza superamento dei limiti consentiti, per la quale si deve far riferimento alla “normale tollerabilità” delle persone, che si ricava dall’art. 844 cod. civ. e che ricorre sempre che l’azienda abbia adottato gli accorgimenti tecnici ragionevolmente utilizzabili per abbattere l’impatto delle emissioni.”
Le ragioni di tale soluzione interpretativa può rinvenirsi non soltanto nella diversitàdel contenuto precettivo (giacché quello dell’art. 674 cod. pen. riguarda una condotta consistente nel getto di cose o nel provocare emissioni di gas, vapori e fumi atti ad offendere o molestare le persone, mentre quello relativo all’inquinamento atmosferico è riferito all’apprestamento di determinate cautele ed al rispetto delle prescrizioni e limiti indicati dalla legge e dagli atti abilitativi), ma anche nella diversità delbene tutelato, poiché, nel primo caso, l’oggetto della tutela è la pubblica incolumità, mentre nel secondo caso si fa riferimento all’ambiente in genere (e in particolare alla matrice aria) e solo in via mediata viene tutelata la generalità dei soggetti che subiscono le conseguenze del degrado qualitativo dell’aria che respirano.
Quanto alle modalità di accertamento del reato, come osservato per l’applicazione dell’art. 844 cod. civ., l’attitudine ad offendere o molestare le persone non deve essere necessariamente accertata mediante perizia, potendo il giudice, secondo le regole generali, fondare il proprio convincimento su elementi probatori di diversa natura, quali, in particolare, le dichiarazioni testimoniali quando tali dichiarazioni non si risolvano nell’espressamente di valutazioni meramente soggettive o di giudizi di natura tecnica, ma si limitino a riferire quanto oggettivamente percepito dai dichiaranti medesimi[17].
Le Linee Guida SNPA sulle emissioni odorigene
Benché il legislatore, con l’introduzione dell’art. 272-bis nel Dlgs. 152/2006, abbia (parzialmente) tentato di “razionalizzare” la disciplina sulle emissioni odorigene, è probabile che, come avvenuto fino al 2017, le Regioni (hanno proceduto e) procederanno a regolamentare le medesime dettando propri indirizzi e linee guida.
Peraltro, in questo eterogeneo panorama di normative regionali, al fine di favorire il processo di armonizzazione su scala nazionale della normativa sulle emissioni odorigene, il Consiglio del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) con Delibera n. 38 del 3 ottobre 2018 ha approvato il documento “Metodologie per la valutazione delle emissioni odorigene – documento di sintesi”[18], al fine di fornire agli enti di controllo informazioni per la scelta degli approcci adeguati ad effettuare un’azione di prevenzione, controllo e valutazione delle emissioni odorigene, tenendo conto delle recenti novità in ambito normativo, all’utilizzo di metodologie valide ed aggiornate, alla ricognizione delle esperienze di successo in corso e all’interscambio di tecnologie disponibili.
Il documento predisposto dal SNPA ha avuto un importante esito cognitivo dei vari approcci regionali e rappresenta un punto di partenza per ulteriori approfondimenti tecnico-scientifici che potrebbero portare ad una semplificazione della disciplina[19].
Peraltro, è utile ricordare che le linee guida summenzionate, pur rappresentando un valido supporto e punto di riferimento per gli operatori del settore (ovvero sia per i soggetti istituzionali preposti al controllo, sia per i gestori degli impianti) non hanno alcun valore normativo, in quanto non specificatamente richiamate (fino ad oggi) in nessuna norma di legge.
Conclusioni
A supporto delle considerazioni svolte circa le difficoltà che si riscontrano nel valutare, da un punto di vista oggettivo, l’impatto osmogeno di un’attività, in dottrina è stato osservato che: «[..] La mancanza di una normativa nazionale che disciplini la materia porta i gestori a rivolgersi ai laboratori di analisi per verificare l’effettiva attribuzione delle molestie olfattive percepite nelle vicinanze dell’impianto. [..]Pur avendo il grosso vantaggio di attribuire un valore numerico ad una sensazione soggettiva, la misura olfattometrica non distingue la tipologia di odore analizzato; pertanto, per campioni prelevati in aria ambientale l’attribuzione della concentrazione di odore non può essere univoca poiché essa è necessariamente la somma di molteplici contributi che insistono sul territorio[20].»
Tali osservazioni sono state riprese anche in alcune Linee Guida[21], ove si afferma che «L’assenza di parametri oggettivi di confronto, non ancora definiti univocamente stante la complessità del sistema olfattivo umano e la soggettività (fisica e psichica) della percezione odorosa, unitamente alle complicate modalità di determinazione degli odori nell’ambiente, rende molto problematica la caratterizzazione del disagio percepito e, di conseguenza, l’attività dell’ente di controllo ambientale. »
Piacenza, 21 febbraio 2022
[1] D. Raho, F. Argento, A. Grasso, J. Palmisani, M. Scialpi, A. Di Gilio, G. De Gennaro, Monitoraggio sistematico delle molestie olfattive in campo industriale, Scuola Odori 2021, RSE: «Le emissioni odorigene sono fenomeni legati al rilascio in ambiente di sostanze, provenienti da fenomeni naturali (geotermia e putrescenza) e da attività antropiche come la produzione di rifiuti, la produzione energetica, lavorazione e trasformazione di prodotti petrolchimici, siderurgici, alimentari, altri processi industriali e tutto ciò che è legato al trasporto.»
[2]Scuola Odori 2021, cit.: «Tali emissioni sono altamente variabili in termini di intensità, di frequenza, di durata e tipologia, fortemente dipendenti dalla sorgente ed influenzate dalle condizioni metereologiche del territorio.»
[3] La norma UNI EN 13725:2004 è la versione ufficiale in lingua italiana della norma europea EN 13725 (edizione aprile 2003). La norma specifica un metodo per la determinazione oggettiva della concentrazione di odori di un campione gassoso utilizzando l’olfattometria dinamica con esseri umani quali valutatori e con un’emissione di odori proveniente da sorgenti puntiformi o superficiali. L’obiettivo è quello di fornire una base comune di valutazione delle emissioni di odori in tutti i paesi dell’Unione Europea.
[4] Linee Guida SNPA, “Metodologie per la valutazione delle emissioni odorigene – documento di sintesi”, approvate dal Consiglio con Delibera n. 38 del 3 ottobre 2018.
[5] Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, Norme in materia ambientale, pubblicato sul S.O. n. 96 alla G.U. n. 88 del 14 aprile 2006.
[6] Decreto Legislativo 15 novembre 2017, n. 183, Attuazione della direttiva (UE) 2015/2193 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 novembre 2015, relativa alla limitazione delle emissioni nell’atmosfera di taluni inquinanti originati da impianti di combustione medi, nonché per il riordino del quadro normativo degli stabilimenti che producono emissioni nell’atmosfera, ai sensi dell’articolo 17, della legge 12 agosto 2016, n. 170, pubblicato in G.U. n. 293 del 16 dicembre 2017 ed entrato in vigore il 19 dicembre 2017. A tal proposito, si noti che, in realtà, nelle disposizioni europee nulla è previsto con riferimento alle emissioni odorigene; l’inserimento dell’art. 272-bis nel testo Unico Ambientale è frutto, quindi, di una scelta del solo legislatore italiano.
[7] In questo senso, il legislatore nazionale altro non ha fatto che “ufficializzare” una serie di poteri già previsti dalle leggi regionali: questo in quanto l’assenza di una normativa nazionale dedicata specificatamente alle emissioni odorigene ha consentito il proliferarsi nel tempo di numerosi provvedimenti regionali.
[8] Si noti che l’ambito di applicazione dell’art. 272-bis è limitato agli stabilimenti definiti dall’art. 268, comma 1, lettera h), Dlgs. 152/2006, ovvero “il complesso unitario e stabile, che si configura come un complessivo ciclo produttivo, sottoposto al potere decisionale di un unico gestore, in cui sono presenti uno o più impianti o sono effettuate una o più attività che producono emissioni attraverso, per esempio, dispositivi mobili, operazioni manuali, deposizioni e movimentazioni. Si considera stabilimento anche il luogo adibito in modo stabile all’esercizio di una o più attività”.
[9] Si vedano, ad esempio, Cass. Civ. Sez. II n. 17281 del 25 agosto 2005, Cass. Pen. n. 11556 del 31 marzo 2006, Cass. Pen. Sez. III n. 36905 del 14 settembre 2015.
[10] G. Amendola, Aria. Odori ed emissioni odorigene. La prima sentenza della Cassazione, 2022 in lexambiente.it, e A. Sanson, Molestie olfattive e tollerabilità delle emissioni.
«2. Chi, nell’esericizio di uno stabilimento, viola i valori limite di emissione stabiliti dall’autorizzazione, dagli Allegati I, II, III o V alla parte quinta del presente decreto, dai piani e dai programmi o dalla normativa di cui all’articolo 271 è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda fino a 10.000 euro. Se i valori limite violati sono contenuti nell’autorizzazione integrata ambientale si applicano le sanzioni previste dalla normativa che ne disciplina tale autorizzazione.
2.bis. Chi, nell’esercizio di uno stabilimento, viola a le prescrizioni stabilite dall’autorizzazione, dagli Allegati I, II, III o V alla parte quinta, dai piani e dai programmi o dalla normativa di cui all’articolo 271 o le prescrizioni altrimenti imposte dall’autorità competente è soggetto ad una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 10.000 euro, alla cui irrogazione provvede l’autorità competente. Se le prescrizioni violate sono contenute nell’autorizzazione integrata ambientale si applicano le sanzioni previste dalla normativa che disciplina tale autorizzazione.»
[12] S. Maglia, La disciplina codicistica italiana per la tutela delle emissioni in atmosfera, in tuttoambiente.it, tratto da Diritto e gestione dell’ambiente, di A. Postiglione e S, Maglia, II ed. Inernio Editore. «L’art. 844 cod. civ. è una di quelle norme che più hanno subito un utilizzo distortoed amplificato rispetto agli obiettivi cui erano destinate ai tempi della loro formulazione. In campo penale simile sorte è toccata all’art. 674 cod. pen. ‘creato’ per punire chi gettava o versava in luogo pubblico cose atte a sporcare o colpire dei passanti e divenuto per molti anni praticamente l’unico baluardo a protezione dell’inquinamento atmosferico del nostro ordinamento giuridico, a fronte di una normativa in passato inesistente o, quantomeno, inefficace».
[13] S. Maglia, cit: “Il punto di equilibrio della scelta sta nel valutare con attenzione ciò che sta nei due piatti della bilancia (‘esigenze della produzione con le ragioni della proprietà’) che portano, rispettivamente, i ‘pesi’ della salute e dell’ambiente (artt. 9 e 32 Cost.) da un lato e della libertà dell’iniziativa economica (art. 42 Cost.) dall’altro”.
[14] Art. 2043 cod. civ.: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
[19] F. Alberti, Gli odori quali sconosciuti, 2020, in tuttoambiente.it.
[20] F. Seghellini, Indagine analitica per la caratterizzazione della molestia olfattiva, Scuola Odori 2021, RSE.
[21] V. “Linee Guida ARPAE 35/DT ‘Indirizzo operativo sull’applicazione dell’art. 272-bis del Dlgs. 152/2006 e ss.mm.” di ARPAE Emilia-Romagna, approvate con Determinazione n. DET-2018-426 del 18 maggio 2018.
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Emissioni odorigene: quale disciplina?
di Federica Martini
La nozione di “odore” è, in via generale, riconducibile alla sensazione elaborata dal sistema olfattivo dell’uomo in risposta ad uno stimolo dato dalla specifica interazione con una sostanza/miscela di sostanze. L’odore dell’aria è ampiamente riconosciuto come un parametro ambientale essenziale nel determinare la qualità della vita e, di conseguenza, riverbera effetti significativi su molteplici attività economiche.
Lo sviluppo delle attività antropiche[1] ha comportato il moltiplicarsi del rilascio di sostanze connotate da odori molesti, generando, in tal modo, crescente interesse e preoccupazione per quello che viene definito “inquinamento olfattivo”, ovvero l’impatto negativo sull’ambiente circostanze e sulla popolazione esposta, prodotto dalla diffusione di tali flussi osmogeni.
La valutazione dell’impatto odorigeno incontra una serie di difficoltà oggettive che complicano l’approccio all’inquinamento olfattivo e che ne hanno ritardato la regolamentazione rispetto ad altri settori della qualità dell’aria[2].
Ai sensi della norma UNI EN 13725:2004 (Qualità dell’aria – Determinazione della concentrazione di odore mediante olfattometria dinamica)[3], l’impatto odorigeno è valutato in base ai dati di concentrazione di odore espressi in unità odorimetriche o olfattometriche al metro cubo (ouE/m3) che rappresentano il numero di diluizioni necessarie affinché il 50% degli esaminatori non avverta più l’odore del campione analizzato[4]. Tuttavia, deve segnarsi che per il campionamento, la quantificazione e la caratterizzazione di questa tipologia di emissioni non esistono, ad oggi, procedure standardizzate universalmente condivise.
La vigente normativa ambientale, sia a livello europeo che nazionale, non prevede, con riguardo alle emissioni odorigene e al loro impatto sull’ambiente circostante, una disciplina che, in maniera organica, fornisca un quadro di riferimento certo per valutare e risolvere le problematiche associate alle emissioni odorigene.
In particolare, la normativa ambientale nazionale risente da anni di una sistematica carenza di riferimenti specifici adeguati alla complessità della problematica relativa all’impatto olfattivo. Tale disallineamento ha comportato (e comporta tutt’ora) molteplici difficoltà per l’ente di controllo nel valutare compiutamente l’impatto dei fenomeni osmogeni in termini generali di disciplina coerente ed organica, attinenti agli aspetti qualitativi e quantitativi.
Fino a pochi anni fa, infatti, gli unici riferimento normativi erano limitati (come si vedrà in seguito) a due articoli dei codici civile e penale, ancora oggi applicabili e applicati a fronte di un tema che difficilmente può essere “regolato” da norme e/o valutazioni di carattere oggettivo.
Attualmente, nel Testo Unico Ambientale, l’inquinamento odorigeno viene genericamente ricondotto all’inquinamento atmosferico ed è oggetto di una trattazione orientata alla prevenzione e alla limitazione delle emissioni per le singole sostanze. In particolare, le emissioni odorigene – definite dall’art. 268, comma 1, del Dlgs. 152/2006[5] come “emissioni convogliate o diffuse aventi effetti di natura odorigena” – sono oggetto dell’art. 272-bis del Dlgs. 152/2006 (articolo inserito dall’art. 1, comma 1, lettera f), paragrafo 8, del Dlgs. 183/2017[6]), il quale dispone:
«1. La normativa regionale o le autorizzazioni possono prevedere misure per la prevenzione e la limitazione delle emissioni odorigene degli stabilimenti di cui al presente titolo. Tali misure possono anche includere, ove opportuno, alla luce delle caratteristiche degli impianti e delle attività presenti nello stabilimento e delle caratteristiche della zona interessata, e fermo restando, in caso di disciplina regionale, il potere delle autorizzazioni di stabilire valori limite più severi con le modalità previste all’articolo 271:
a) valori limite di emissione espressi in concentrazione (mg/Nm3) per le sostanze odorigene;
b) prescrizioni impiantistiche e gestionali e criteri localizzativi per impianti e per attività aventi un potenziale impatto odorigeno, incluso l’obbligo di attuazione di piani di contenimento;
c) procedure volte a definire, nell’ambito del procedimento autorizzativo, criteri localizzativi in funzione della presenza di ricettori sensibili nell’intorno dello stabilimento;
d) criteri e procedure volti a definire, nell’ambito del procedimento autorizzativo, portate massime o concentrazioni massime di emissione odorigene espresse in unità odorimetriche (ouE/m3 o ouE/s) per le fonti di emissioni odorigene dello stabilimento;
e) specifiche portate massime o concentrazioni massime di emissione odorigena espresse in unità odorimetriche (ouE/m3 o ouE/s) per le fonti di emissioni odorigene dello stabilimento. [..]
Tale articolo riconosce alle Regioni[7] e alle autorità competenti, in sede di autorizzazione, il potere di prevedere misure di prevenzione e di limitazione, appositamente definite per le emissioni odorigene, che possono includere, ove opportuno e alla luce delle caratteristiche dell’impianto e della zona interessata, anche prescrizioni impiantistiche e gestionali (incluso l’obbligo di attuare un piano di contenimento), nonché ulteriori criteri e procedure per definire concentrazioni massime di emissioni[8].
In questo modo il legislatore ha fornito, per la prima volta, una tutela diretta a definire un criterio-limite “quantitativo” alle emissioni, che tende ad integrare il criterio di accettabilità e tollerabilità di matrice giurisprudenziale[9], individuato in relazione all’interesse della collettività. Detto in altri termini, l’introduzione dell’art. 272-bis nel Testo Unico Ambientale ha colmato il vuoto normativo da anni parzialmente disciplinato dall’intervento della giurisprudenza di legittimità, dando così la possibilità ai giudici di ancorare la valutazione della legittimità delle emissioni odorigene non più alla mera percezione soggettiva ma a dati di carattere obiettivo, riconducibili a provvedimenti regionali o alle autorizzazioni concesse ai singoli impianti a rischio osmogeno.
A tal riguardo, si segnala che una parte della dottrina ha evidenziato che: «In sostanza, quindi, con questa norma non si stabilisce direttamente una disciplina ‘statale’ con limiti certi, uniformi e predeterminati per le emissioni odorigene ma si attribuisce alla normativa regionale o alle singole autorizzazioni la facoltà di prevedere misure per la prevenzione e la limitazione delle emissioni odorigene degli stabilimenti con uno o più impianti o una o più attività che producono emissioni nell’atmosfera. E, pertanto, sembrano del tutto giustificati i timori di chi dubita che questa disposizione ‘possa effettivamente aiutare ad ancorare la valutazione di merito a dati più oggettivi; certo è che la previsione di una facoltà di stabilire limiti da parte delle Regioni o all’interno delle autorizzazioni rischia di condurre a situazioni assai diverse a seconda del luogo in cui l’emissione si verifichi [..]’. »[10].
Peraltro, su questo punto va sottolineato che, dal 19 dicembre 2017 (data di entrata in vigore dell’art. 272-bis del Dlgs. 152/2006) è stato esteso alle emissioni odorigene il regime sanzionatorio previsto dalla Parte Quinta del Dlgs. 152/2006. In particolare, come chiarito dalla Suprema Corte, nella recentissima sentenza n. 20204 del 21 maggio 2021: «In caso di emissioni odorigene, la violazione delle misure imposte ai sensi dell’art. 272-bis, Dlgs. 152/2006, per attività che producono emissioni in atmosfera configura la contravvenzione di cui all’art. 279, comma 2[11], Dlgs. 152/2006 se riferita a valori limite di emissione, mentre negli altri casi saranno applicabili le sanzioni amministrative di cui al comma 2-bis del medesimo articolo. Per la violazione delle prescrizioni relative alle emissioni odorigene imposte con l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) alle attività ad essa soggette si applicano, invece, le sanzioni di cui all’art. 29-quaterdecies, Dlgs. 152/2006.»
Come sopra anticipato, la carenza di una normativa specifica volta a disciplinare gli odori e il loro impatto ha favorito, negli anni, il ricorso ad una tutela “indiretta” della molestia olfattiva, conseguita mediante l’utilizzo di due norme codicistiche, ovvero l’art. 844 del codice civile (Immissioni) e l’art. 674 del codice penale (Getto pericoloso di cose) [12].
In primis, l’art. 844 cod. civ. dispone:
«Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.
Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tenere conto della priorità di un determinato uso.»
Da tale prima disposizione si evince che il limite per cui la “tollerabilità” supera la soglia della “normalità” – e rende applicabile l’art. 844 cod. civ. – è definito dall’autorità giudiziaria, la quale ha ampi poteri discrezionali nella valutazione di tale limite, dovendo contemperare le esigenze della produzione con quelle della proprietà[13]. Solo le immissioni ritenute così intollerabili costituiscono fatto illecito, ovvero possibile causa di danno risarcibile a norma dell’art. 2043 cod. civ.[14]
L’accertamento del superamento della “normale tollerabilità” costituisce dunque una vera e propria condizione per l’esercizio dell’azione processuale di risarcimento del danno. Il concetto di “normale tollerabilità” non è dunque legato ai criteri tabellari previsti dalla norma speciale (e verificabile con una perizia tecnica), ma alla dimostrazione della violazione del diritto alla salute, pienamente verificabile in altre forme dal giudice, che ha il diritto-dovere di decidere nell’ambito del suo pieno e libero convincimento.
Il superamento di un limite tabellare previsto da una legge speciale è, infatti, solo da ritenersi “presuntivamente” segnale del superamento del limite della normale tollerabilità; ma se le perizie non dimostrano il superamento di alcun valore tabellare, non è “presuntivamente” da escludersi il superamento della normale tollerabilità, il quale potrebbe essere dimostrato in altro modo[15].
In generale si può, quindi, affermare che l’azione inibitoria di cui all’art. 844 cod. civ. ha una duplice natura: reale (in quanto rivolta ad eliminare le cause delle immissioni) e personale (avente natura risarcitoria), volta ad ottenere un congruo indennizzo. In altre parole, in caso di immissioni che eccedano la normale tollerabilità, l’attore può esperire azione inibitoria ex art. 844 cod. civ., per far cessare le immissioni ed ottenere il risarcimento del danno subito[16].
In aggiunta a tale disposizione, come premesso, la giurisprudenza in materia di tutela dalle emissioni inquinanti si è avvalsa anche del dettato di cui all’art. 674 cod. pen., il quale dispone:
«Chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a duecentosei euro.»
In merito a tale disposizione codicistica, va sottolineata la natura di reato di pericolo e di reato istantaneo: non solo non è sufficiente, per la dichiarazione di responsabilità, che i fumi/vapori siano idonei a produrre uno degli effetti prospettati nel disposto di legge (non essendo necessario provare che essi si siano effettivamente verificati), ma non è necessaria neanche la ripetizione di più atti, essendo sufficiente che l’emissione si verifichi una volta sola.
Peraltro, con particolare riguardo al rapporto tra la contravvenzione di cui all’art. 674 cod. pen. e il regime sanzionatorio in tema di inquinamento atmosferico, la Suprema Corte (sentenza Cass. Pen. Sez. III n. 13324 del 30 aprile 2020) ha sottolineato che: «A parere della Corte per le attività produttive occorre distinguere l’ipotesi che siano svolte senza autorizzazione (perché non prevista o perché non richiesta o ottenuta) oppure in conformità alle previste autorizzazioni. Nella prima ipotesi, il contrasto con gli interessi protetti dalla disposizione di legge va valutato secondo criteri di “stretta tollerabilità“, mentre laddove l’attività è esercitata secondo l’autorizzazione e senza superamento dei limiti di questa, si deve fare riferimento alla “normale tollerabilità” delle persone quale si ricava dal contenuto dell’art. 844 cod. civ. Qualora sia riscontrata l’autorizzazione e il rispetto dei limiti di questa, una responsabilità potrà comunque sussistere qualora l’azienda non adotti quegli accorgimenti tecnici ragionevolmente utilizzabili per ulteriormente abbattere l’impatto sulla realtà esterna.»
Allo stesso modo, la già citata recente sentenza della Suprema Corte n. 20204/2021, ha chiarito che: «È possibile il concorso delle sanzioni previste per la violazione dell’art. 272-bis Dlgs. 152/2006 con il reato di cui all’art. 674 cod. pen. stante la diversità delle condotte sanzionate e l’oggetto della tutela, pur dovendosi distinguere, al fine di definire il concetto di “molestia” che integra la contravvenzione, tra attività produttiva svolta in assenza dell’autorizzazione preposta, per la quale il contrasto con gli interessi tutelati va valutato secondo criteri di “stretta tollerabilità” e quella esercitata in conformità all’autorizzazione e senza superamento dei limiti consentiti, per la quale si deve far riferimento alla “normale tollerabilità” delle persone, che si ricava dall’art. 844 cod. civ. e che ricorre sempre che l’azienda abbia adottato gli accorgimenti tecnici ragionevolmente utilizzabili per abbattere l’impatto delle emissioni.”
Le ragioni di tale soluzione interpretativa può rinvenirsi non soltanto nella diversità del contenuto precettivo (giacché quello dell’art. 674 cod. pen. riguarda una condotta consistente nel getto di cose o nel provocare emissioni di gas, vapori e fumi atti ad offendere o molestare le persone, mentre quello relativo all’inquinamento atmosferico è riferito all’apprestamento di determinate cautele ed al rispetto delle prescrizioni e limiti indicati dalla legge e dagli atti abilitativi), ma anche nella diversità del bene tutelato, poiché, nel primo caso, l’oggetto della tutela è la pubblica incolumità, mentre nel secondo caso si fa riferimento all’ambiente in genere (e in particolare alla matrice aria) e solo in via mediata viene tutelata la generalità dei soggetti che subiscono le conseguenze del degrado qualitativo dell’aria che respirano.
Quanto alle modalità di accertamento del reato, come osservato per l’applicazione dell’art. 844 cod. civ., l’attitudine ad offendere o molestare le persone non deve essere necessariamente accertata mediante perizia, potendo il giudice, secondo le regole generali, fondare il proprio convincimento su elementi probatori di diversa natura, quali, in particolare, le dichiarazioni testimoniali quando tali dichiarazioni non si risolvano nell’espressamente di valutazioni meramente soggettive o di giudizi di natura tecnica, ma si limitino a riferire quanto oggettivamente percepito dai dichiaranti medesimi[17].
Benché il legislatore, con l’introduzione dell’art. 272-bis nel Dlgs. 152/2006, abbia (parzialmente) tentato di “razionalizzare” la disciplina sulle emissioni odorigene, è probabile che, come avvenuto fino al 2017, le Regioni (hanno proceduto e) procederanno a regolamentare le medesime dettando propri indirizzi e linee guida.
Peraltro, in questo eterogeneo panorama di normative regionali, al fine di favorire il processo di armonizzazione su scala nazionale della normativa sulle emissioni odorigene, il Consiglio del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) con Delibera n. 38 del 3 ottobre 2018 ha approvato il documento “Metodologie per la valutazione delle emissioni odorigene – documento di sintesi”[18], al fine di fornire agli enti di controllo informazioni per la scelta degli approcci adeguati ad effettuare un’azione di prevenzione, controllo e valutazione delle emissioni odorigene, tenendo conto delle recenti novità in ambito normativo, all’utilizzo di metodologie valide ed aggiornate, alla ricognizione delle esperienze di successo in corso e all’interscambio di tecnologie disponibili.
Il documento predisposto dal SNPA ha avuto un importante esito cognitivo dei vari approcci regionali e rappresenta un punto di partenza per ulteriori approfondimenti tecnico-scientifici che potrebbero portare ad una semplificazione della disciplina[19].
Peraltro, è utile ricordare che le linee guida summenzionate, pur rappresentando un valido supporto e punto di riferimento per gli operatori del settore (ovvero sia per i soggetti istituzionali preposti al controllo, sia per i gestori degli impianti) non hanno alcun valore normativo, in quanto non specificatamente richiamate (fino ad oggi) in nessuna norma di legge.
A supporto delle considerazioni svolte circa le difficoltà che si riscontrano nel valutare, da un punto di vista oggettivo, l’impatto osmogeno di un’attività, in dottrina è stato osservato che: «[..] La mancanza di una normativa nazionale che disciplini la materia porta i gestori a rivolgersi ai laboratori di analisi per verificare l’effettiva attribuzione delle molestie olfattive percepite nelle vicinanze dell’impianto. [..] Pur avendo il grosso vantaggio di attribuire un valore numerico ad una sensazione soggettiva, la misura olfattometrica non distingue la tipologia di odore analizzato; pertanto, per campioni prelevati in aria ambientale l’attribuzione della concentrazione di odore non può essere univoca poiché essa è necessariamente la somma di molteplici contributi che insistono sul territorio[20].»
Tali osservazioni sono state riprese anche in alcune Linee Guida[21], ove si afferma che «L’assenza di parametri oggettivi di confronto, non ancora definiti univocamente stante la complessità del sistema olfattivo umano e la soggettività (fisica e psichica) della percezione odorosa, unitamente alle complicate modalità di determinazione degli odori nell’ambiente, rende molto problematica la caratterizzazione del disagio percepito e, di conseguenza, l’attività dell’ente di controllo ambientale. »
Piacenza, 21 febbraio 2022
[1] D. Raho, F. Argento, A. Grasso, J. Palmisani, M. Scialpi, A. Di Gilio, G. De Gennaro, Monitoraggio sistematico delle molestie olfattive in campo industriale, Scuola Odori 2021, RSE: «Le emissioni odorigene sono fenomeni legati al rilascio in ambiente di sostanze, provenienti da fenomeni naturali (geotermia e putrescenza) e da attività antropiche come la produzione di rifiuti, la produzione energetica, lavorazione e trasformazione di prodotti petrolchimici, siderurgici, alimentari, altri processi industriali e tutto ciò che è legato al trasporto.»
[2] Scuola Odori 2021, cit.: «Tali emissioni sono altamente variabili in termini di intensità, di frequenza, di durata e tipologia, fortemente dipendenti dalla sorgente ed influenzate dalle condizioni metereologiche del territorio.»
[3] La norma UNI EN 13725:2004 è la versione ufficiale in lingua italiana della norma europea EN 13725 (edizione aprile 2003). La norma specifica un metodo per la determinazione oggettiva della concentrazione di odori di un campione gassoso utilizzando l’olfattometria dinamica con esseri umani quali valutatori e con un’emissione di odori proveniente da sorgenti puntiformi o superficiali. L’obiettivo è quello di fornire una base comune di valutazione delle emissioni di odori in tutti i paesi dell’Unione Europea.
[4] Linee Guida SNPA, “Metodologie per la valutazione delle emissioni odorigene – documento di sintesi”, approvate dal Consiglio con Delibera n. 38 del 3 ottobre 2018.
[5] Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, Norme in materia ambientale, pubblicato sul S.O. n. 96 alla G.U. n. 88 del 14 aprile 2006.
[6] Decreto Legislativo 15 novembre 2017, n. 183, Attuazione della direttiva (UE) 2015/2193 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 novembre 2015, relativa alla limitazione delle emissioni nell’atmosfera di taluni inquinanti originati da impianti di combustione medi, nonché per il riordino del quadro normativo degli stabilimenti che producono emissioni nell’atmosfera, ai sensi dell’articolo 17, della legge 12 agosto 2016, n. 170, pubblicato in G.U. n. 293 del 16 dicembre 2017 ed entrato in vigore il 19 dicembre 2017. A tal proposito, si noti che, in realtà, nelle disposizioni europee nulla è previsto con riferimento alle emissioni odorigene; l’inserimento dell’art. 272-bis nel testo Unico Ambientale è frutto, quindi, di una scelta del solo legislatore italiano.
[7] In questo senso, il legislatore nazionale altro non ha fatto che “ufficializzare” una serie di poteri già previsti dalle leggi regionali: questo in quanto l’assenza di una normativa nazionale dedicata specificatamente alle emissioni odorigene ha consentito il proliferarsi nel tempo di numerosi provvedimenti regionali.
[8] Si noti che l’ambito di applicazione dell’art. 272-bis è limitato agli stabilimenti definiti dall’art. 268, comma 1, lettera h), Dlgs. 152/2006, ovvero “il complesso unitario e stabile, che si configura come un complessivo ciclo produttivo, sottoposto al potere decisionale di un unico gestore, in cui sono presenti uno o più impianti o sono effettuate una o più attività che producono emissioni attraverso, per esempio, dispositivi mobili, operazioni manuali, deposizioni e movimentazioni. Si considera stabilimento anche il luogo adibito in modo stabile all’esercizio di una o più attività”.
[9] Si vedano, ad esempio, Cass. Civ. Sez. II n. 17281 del 25 agosto 2005, Cass. Pen. n. 11556 del 31 marzo 2006, Cass. Pen. Sez. III n. 36905 del 14 settembre 2015.
[10] G. Amendola, Aria. Odori ed emissioni odorigene. La prima sentenza della Cassazione, 2022 in lexambiente.it, e A. Sanson, Molestie olfattive e tollerabilità delle emissioni.
[11] Art. 279, commi 2 e 2-bis, Dlgs. 152/2006:
«2. Chi, nell’esericizio di uno stabilimento, viola i valori limite di emissione stabiliti dall’autorizzazione, dagli Allegati I, II, III o V alla parte quinta del presente decreto, dai piani e dai programmi o dalla normativa di cui all’articolo 271 è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda fino a 10.000 euro. Se i valori limite violati sono contenuti nell’autorizzazione integrata ambientale si applicano le sanzioni previste dalla normativa che ne disciplina tale autorizzazione.
2.bis. Chi, nell’esercizio di uno stabilimento, viola a le prescrizioni stabilite dall’autorizzazione, dagli Allegati I, II, III o V alla parte quinta, dai piani e dai programmi o dalla normativa di cui all’articolo 271 o le prescrizioni altrimenti imposte dall’autorità competente è soggetto ad una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 10.000 euro, alla cui irrogazione provvede l’autorità competente. Se le prescrizioni violate sono contenute nell’autorizzazione integrata ambientale si applicano le sanzioni previste dalla normativa che disciplina tale autorizzazione.»
[12] S. Maglia, La disciplina codicistica italiana per la tutela delle emissioni in atmosfera, in tuttoambiente.it, tratto da Diritto e gestione dell’ambiente, di A. Postiglione e S, Maglia, II ed. Inernio Editore. «L’art. 844 cod. civ. è una di quelle norme che più hanno subito un utilizzo distorto ed amplificato rispetto agli obiettivi cui erano destinate ai tempi della loro formulazione. In campo penale simile sorte è toccata all’art. 674 cod. pen. ‘creato’ per punire chi gettava o versava in luogo pubblico cose atte a sporcare o colpire dei passanti e divenuto per molti anni praticamente l’unico baluardo a protezione dell’inquinamento atmosferico del nostro ordinamento giuridico, a fronte di una normativa in passato inesistente o, quantomeno, inefficace».
[13] S. Maglia, cit: “Il punto di equilibrio della scelta sta nel valutare con attenzione ciò che sta nei due piatti della bilancia (‘esigenze della produzione con le ragioni della proprietà’) che portano, rispettivamente, i ‘pesi’ della salute e dell’ambiente (artt. 9 e 32 Cost.) da un lato e della libertà dell’iniziativa economica (art. 42 Cost.) dall’altro”.
[14] Art. 2043 cod. civ.: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
[15] S. Maglia, cit.
[16] S. Maglia, cit.
[17] Cass. Pen. Sez. III n. 20204 del 21 maggio 2021.
[18] https://www.snpambiente.it/wp-content/uploads/2018/10/Delibera-38-e-allegati.pdf
[19] F. Alberti, Gli odori quali sconosciuti, 2020, in tuttoambiente.it.
[20] F. Seghellini, Indagine analitica per la caratterizzazione della molestia olfattiva, Scuola Odori 2021, RSE.
[21] V. “Linee Guida ARPAE 35/DT ‘Indirizzo operativo sull’applicazione dell’art. 272-bis del Dlgs. 152/2006 e ss.mm.” di ARPAE Emilia-Romagna, approvate con Determinazione n. DET-2018-426 del 18 maggio 2018.
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