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End of Waste dei rifiuti inerti. Nuovo decreto e annunciate criticità

di Paolo Pipere

Categoria: Rifiuti

Gli operatori del settore del recupero dei rifiuti da costruzione e demolizione segnalano il rischio di blocco degli impianti

 

Dopo anni di faticosa gestazione, è stato emanato il decreto ministeriale 27 settembre 2022, n. 152. Il regolamento disciplina la cessazione della qualifica di rifiuto dei rifiuti inerti da costruzione e demolizione e di altri rifiuti inerti di origine minerale.

 

La nuova disposizione nasce nel segno dell’incertezza, se si considera che il decreto prevede, da un lato, l’obbligo di conformarsi alle prescrizioni entro 180 giorni e, dall’altro, la possibilità che nello stesso arco temporale il ministero “acquisiti i dati di monitoraggio relativi all’attuazione delle disposizioni stabilite dal medesimo” valuti “l’opportunità di una revisione dei criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto”.

 

La norma stessa, pertanto, riconosce che non sono stati preventivamente considerati gli effetti che avrebbero prodotto i nuovi criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto. Il lungo periodo di definizione del decreto non ha, pertanto, previsto quell’indispensabile “valutazione d’impatto della regolazione” che dovrebbe precedere l’emanazione di ogni norma e, in particolare, di quelle suscettibili di rendere ancora più arduo il conseguimento dell’obiettivo costituito dall’affermazione di un modello di economia circolare.

 

Il regolamento stabilisce i “criteri specifici” che devono essere rispettati per essere certi che i rifiuti inerti dalle attività di costruzione e di demolizione e gli altri rifiuti inerti di origine minerale sottoposti a operazioni di recupero cessino di essere qualificati come rifiuti. In particolare, gli “altri rifiuti inerti di origine minerale” sono individuati mediante il rinvio all’articolo che fornisce le definizioni (“di cui all’articolo 2, comma 1, lettere a) e b)” e quest’ultimo, a sua volta, precisa che si tratta dei rifiuti “non appartenenti al capitolo 17 dell’elenco europeo dei rifiuti” indicati al “punto2 della tabella 1 dell’Allegato 1”. Il percorso ad ostacoli consente di comprendere che si tratta, tra gli altri, di scarti di ghiaia, pietrisco, sabbia e argilla; di rifiuti prodotti dal taglio e dalla segagione della pietra; di scarti di ceramica, mattoni, mattonelle e materiali da costruzione e di minerali derivanti da un precedente trattamento di rifiuti.

 

Per quanto riguarda i rifiuti di demolizione, il decreto precisa che, in via preferenziale, i rifiuti ammessi alla produzione di aggregati recuperati (il prodotto derivante dalla cessazione della qualifica di rifiuto) dovrebbero provenire da manufatti sottoposti a demolizione selettiva. Una considerazione senza dubbio sensata, se non fosse che non sono mai state definite quelle misure finalizzate a incentivare le tecniche di demolizione selettiva pur previste dall’articolo 205 del D.Lgs. 152/2006 a seguito delle modifiche introdotte nel 2020.

 

 

Sembra essere del tutto superflua la precisazione secondo la quale: «In conformità a quanto previsto dall’articolo 184-ter, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006, le operazioni di recupero aventi a oggetto rifiuti non elencati all’Allegato 1, tabella 1, punti 1 e 2, del presente regolamento finalizzate alla cessazione della qualifica di rifiuto sono soggette al rilascio o al rinnovo delle autorizzazioni di cui agli articoli 208, 209 e 211 e di cui al Titolo III-bis della parte seconda del medesimo decreto legislativo n. 152 del 2006». In altri termini, l’end of waste di rifiuti diversi da quelli previsti da questo decreto è disciplinata dalle disposizioni generali in materia.

 

Come già accennato i prodotti derivanti dalle attività di recupero, normalmente definiti “aggregati riciclati” sono ora denominati “aggregati recuperati” e la dichiarazione di conformità rilasciata dal gestore dell’impianto deve essere riferita a un quantitativo (“lotto di aggregato recuperato”) non superiore ai 3.000 metri cubi.

 

La cessazione della qualifica di rifiuto si realizza quando si soddisfano al contempo due tipologie di condizioni: l’aggregato recuperato è conforme ai criteri contenuti nell’Allegato 1 ed è utilizzato esclusivamente per gli scopi specifici elencati nell’Allegato 2. I criteri prevedono un elenco di rifiuti ammessi alle operazioni di recupero; la verifica sui rifiuti in ingresso – che consiste nell’esame della documentazione a corredo dei rifiuti, nel controllo visivo e, “qualora se ne ravveda la necessità”, in controlli supplementari; prescrizioni, del tutto generiche, sul processo di lavorazione; disposizioni, altrettanto generiche, sul deposito dell’aggregato recuperato nell’impianto che l’ha prodotto, e, infine, controlli sull’aggregato recuperato da realizzarsi mediante verifica della presenza di determinate sostanze in concentrazioni inferiori a specifici valori. I possibili ambiti di impiego (“scopi specifici”) degli aggregati recuperati sono i seguenti:

  • la realizzazione del corpo dei rilevati di opere in terra dell’ingegneria civile;
  • la realizzazione di sottofondi stradali, ferroviari, aeroportuali e di piazzali civili ed industriali;
  • la realizzazione di strati di fondazione delle infrastrutture di trasporto e di piazzali civili ed industriali;
  • la realizzazione di recuperi ambientali, riempimenti e colmate;
  • la realizzazione di strati accessori aventi, a titolo esemplificativo, funzione anticapillare, antigelo, drenante;
  • il confezionamento di calcestruzzi e miscele legate con leganti idraulici (quali, a titolo esemplificativo, misti cementati, miscele betonabili).

 

Le criticità rilevate dagli operatori del recupero

L’ANPAR – Associazione Nazionale dei Produttori di Aggregati Riciclati – ritiene che il decreto sia inadeguato in quanto: introduce vincoli alla libera circolazione delle merci imposta dal trattato sul funzionamento dell’Unione europea, discrimina gli aggregati riciclati, prevede l’applicazione di norme relative ai suoli contaminati ai prodotti da costruzione, non fornisce indicazioni chiare sulle modalità di campionamento e di predisposizione del campione di laboratorio e introduce disparità rispetto ai limiti fissati in decreti di End of Waste di altri Stati membri. In particolare, l’associazione segnala che il decreto:

  • introduce una verifica sulla matrice solida che fissa limiti di concentrazione alle sostanze contaminanti che impedirebbero l’impiego nel territorio italiano di aggregati riciclati prodotti in altri Paesi dell’Unione Europea, regolarmente dotati di marcatura CE in conformità a norme armonizzate europee;
  • prescrive per gli aggregati recuperati il rispetto di limiti molto più restrittivi rispetto a quelli previsti per le terre e rocce da scavo o gli aggregati derivanti dal recupero del conglomerato bituminoso;
  • seppure non faccia riferimento diretto alla Tabella 1 dell’all. 5 della parte IV del D.Lgs. 152/06, che fissa le concentrazioni limite dei suoli per essere considerati contaminati in funzione del diverso impiego (residenziale o commerciale/industriale), prevede limiti alla matrice fisica degli aggregati riciclati mutuati da quella disposizione;
  • per le modalità di campionamento e predisposizione del campione non prescrive l’utilizzo della la norma specifica per gli aggregati (EN 932-1).

 

Piacenza, 7 novembre 2022

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