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EoW: la nuova pronuncia della Cassazione

di Giacomo Spoldi

Categoria: Rifiuti

A seguito della pronuncia della Cassazione Penale, n. 27148 del 22 giugno 2023 in materia di End of Waste:

  • Quando è possibile assegnare “caso per caso” la qualifica di “End of Waste” a determinati materiali?
  • Dal punto di vista giurisdizionale, cos’è cambiato dopo la L. n. 128/2019?
  • Su chi ricade l’onere della prova circa la sussistenza delle condizioni di EoW?

Premessa

La sentenza in oggetto tratta di un caso particolarmente interessante e di indubbia rilevanza in tema di End of Waste sotto diversi aspetti; fra questi, la Corte di Cassazione interviene a precisare che per “End of Waste” si considera tutto il “processo” che determina il passaggio da un “rifiuto” a un “prodotto”, e non il mero risultato finale. Una puntualizzazione che sicuramente potrebbe far luce sulle ombre che spesso hanno alimentato questo delicato ma -allo stesso tempo- fondamentale istituto.

Proseguendo nella disamina della sentenza, è interessante analizzare il processo decisionale e le motivazioni della Suprema Corte, quale giudice di legittimità, che hanno portato a confermare l’impossibilità di valutare la sussistenza dei presupposti per una assoluzione degli imputati nel merito.

Infine, non si può far altro che evidenziare come il giudice nomofilattico abbia chiarito, ancora una volta, su quale soggetto ricada effettivamente l’onere della prova di tutti i presupposti per la cessazione della qualifica di rifiuto.

La vicenda

La Corte di Cassazione è intervenuta a riesaminare il caso dopo che in primo grado il Tribunale di Mantova, con sentenza emessa in data 24/06/2022, condannava una società del settore dei rifiuti, ai sensi del d. lgs. 231/2001, in relazione al reato presupposto, limitatamente alla fattispecie di cui all’articolo 256 comma 1, lettera a), D.L.vo n. 152/2006 (Attività di gestione non autorizzata di rifiuti).

In sintesi, ricorrendo all’ultimo grado di giudizio, l’imputato lamentava che il giudice mantovano aveva ritenuto sufficienti alla fine della prova della penale responsabilità dell’imputato il mero esame visivo e fotografico, senza svolgere alcun accertamento in ordine alla composizione del materiale in imputazione; inoltre il ricorrente lamentava la classificazione del materiale eterogeneo quale rifiuto, compiuto attraverso una mera percezione visiva, con conseguente erronea esclusione della sua classificazione come «End of Waste». Contrariamente, infatti, i consulenti della difesa raggiungevano delle conclusioni opposte, ritenendo sussistenti tutti i presupposti per qualificare tali materiali come “sottoprodotti” o “EoW”.

Infine, fra i numerosi motivi di ricorso, il ricorrente lamentava la nullità dell’asserto secondo cui graverebbe sull’interessato provare la sussistenza di tutti i presupposti per la cessazione della qualifica di rifiuto, sottolineando come la produzione di EoW potesse essere autorizzata anche in assenza di uno specifico regolamento comunitario o decreto ministeriale.

Premessi questi motivi, al fine di una miglior comprensione di questa trattazione, occorre comunque premettere che il ricorrente, pur rubricando le proprie doglianze come violazioni di legge, ha sollecitato la Corte di Cassazione ad una rivalutazione del quadro probatorio, che risulta invece preclusa in sede di legittimità (come in questo caso) e ha proposto in ogni caso censure motivazionali che parimenti non possono trovare ingresso in tale sede.

Le Sezioni Unite, infatti, hanno chiarito che: «in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva».

La decisione

La Corte di Cassazione ha sin da subito chiarito che nell’ambito della materia dei rifiuti, l’EOW può definirsi come un «processo di recupero del rifiuti», al termine del quale il rifiuto cessa di essere tale e torna a svolgere un ruolo utile nel circuito economico come pro­dotto. Quindi, l’E­OW indica tutto il «processo» che determina il passaggio da un «rifiuto» a un «pro­dotto», e, quindi, tutte le fasi attraverso cui questo passaggio si articola e si determina; da ciò consegue che, fino al completamento del processo, il rifiuto resta tale. Pertanto, è di tutta evidenza che i rifiuti esitati dall’attività di trattamento, che non hanno ancora cessato di essere tali, continuano ad essere assoggettati alla disciplina in materia di gestione dei rifiuti; quindi, l’accertamento della cessazione della qualità ha efficacia «costitutiva» e non «dichiarativa», sicché essa opera ex nunc e non ex tunc, stante il chiaro tenore letterale dell’art. 184-ter del D.L.vo n. 152 del 2006.

Proseguendo, la Cassazione sottolinea poi che per la «tipologia» di sostanze od oggetti che sono suscettibili di diventare materie prime al termine del processo di recupero, la qualifica di EOW può, in primo luogo, essere assegnata a tipologie di materiali da Regolamenti comunitari. Se invece non sono stati stabiliti criteri a livello comunitario, gli Stati membri possono decidere, caso per caso, se un determinato rifiuto abbia cessato di essere tale tenendo conto della giurisprudenza applicabile[1].

Il comma 2 dell’art. 184-ter TUA stabilisce che “i criteri di cui al comma 1 sono adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero, in man­canza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare”.

La Cassazione evidenzia poi che la Direttiva n. 2008/98/CE non entra nel merito delle competenze istitu­zionali dei singoli Stati membri, mentre l’art. 184-ter TUA preve­deva che la disciplina dell’EoW per specifiche tipologie di rifiuto dovesse essere definita mediante uno o più decreti del MATTM. In precedenza, infatti, la possibilità di autorizzare un processo di EoW «caso per caso», al di fuori dei casi espressamente contemplati da Regolamenti UE o da decreti ministeriali, era stata fermamente smentita dalla giurisprudenza amministrativa (il Consiglio di Stato, con senten­za n.1229/2018, affermava che il potere di as­segnare la qualifica di EoW a determinati materiali «caso per caso», non andava riferito al singolo materiale da esaminare, bensì inteso come riferito alla «tipologia» di materiale da esaminare e fare oggetto di più generale previsione regolamentare, a monte dell’esercizio della potestà autorizzatoria).

Con l’introduzione del nuovo paragrafo 4 dell’articolo 6 della direttiva[2], tuttavia, ora si prevede che «laddove non siano stati stabiliti criteri a livello di Unione o a livello nazionale, gli Stati membri possono decidere caso per caso o adottare misure appropriate al fine di verificare che determinati rifiuti abbiano cessato di essere tali (…) e tenendo conto dei valori limite per le sostanze inquinanti e di tutti i possibili effetti negativi sull’ambiente e sulla salute umana».

A questo punto della trattazione, è fondamentale evidenziare che la l. n. 128/2019 ha modificato radicalmente l’articolo 184-ter del TUA. La nuova disciplina trova infatti il suo punto focale nella pre­visione secondo cui, in mancanza di criteri specifici adottati con i regolamenti unionali o mini­steriali, le autorizzazioni per lo svolgimento di operazioni di recupero siano rilasciate o rinnovate direttamente dalle amministrazioni competenti nel rispetto delle condi­zioni di cui all’articolo 6 della direttiva 2008/98/CE, sulla base di criteri dettagliati definiti provvedimento autorizzatorio e previo parere obbligatorio di ISPRA o ARPA competente.

Conclusioni

Per le ragioni suesposte, la Suprema Corte ha chiarito che fino al novembre del 2019 non fosse possibile attribuire ai materiali «de qua» la qualifica di EoW, e, pertanto, risulta l’impossibile valutare ictu oculi la sussistenza dei presupposti per una assoluzione nel merito.

Tuttavia, sul punto è necessario precisare che l’affermazione, contenuta nella sentenza, secondo la quale prima del 2019 non si potesse realizzare la cessazione della qualifica di rifiuto, se non per i casi specificamente disciplinati dai regolamenti UE o ministeriali e dai tre decreti relativi alla procedure semplificate di recupero, è del tutto inconsistente, se si considera che tutte le autorizzazioni ex art. 208 D.Lvo.152/2006 o le AIA in precedenza rilasciate a impianti di recupero finali presupponevano la capacità di tali impianti di trasformare il rifiuto in prodotto e, pertanto, la cessazione della qualifica di rifiuto anche se, ovviamente non si utilizzava questo specifico termine.

Per quanto concerne invece il motivo del ricorso in riferimento al profilo dell’inversione dell’onere probatorio, il Collegio condivide la giurisprudenza consolidata della Corte, ovvero che trattandosi di norme aventi natura eccezionale e derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria in tema di rifiuti, “l’onere della prova circa la sussistenza delle condizioni di legge deve essere assolto da colui che ne richiede l’applicazione”.

Più precisamente, si rileva che tale giurisprudenza abbraccia un indirizzo consolidato secondo cui il principio di inversione dell’onere della prova “specificamente riferito al deposito tem­poraneo, è peraltro applicabile in tutti i casi in cui venga invocata, in tema di rifiuti, l’applicazione di disposizioni di favore che derogano ai principi generali”.

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[1] Art. 6 della Direttiva 19 novembre 2008, n. 2008/98/CE.

[2] Direttiva 19 novembre 2008, n. 2008/98/CE modificata dalla direttiva 2018/851/UE.

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