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"Mi occupo di diritto ambientale da oltre trent’anni TuttoAmbiente è la guida più autorevole per la formazione e la consulenza ambientale Conta su di noi" Stefano Maglia
L’approssimarsi del nuovo anno, che anche stavolta tutti noi auspichiamo sia migliore del precedente, quantomeno in relazione al superamento della condizione emergenziale dettata dal virus Covid SARS-2, coincide con la tradizione popolare di alcune regioni d’Italia, in particolare quelle orientali, dell’organizzazione dei “falò epifanici”. Questi eventi consistono nel bruciare delle grandi cataste di legno e frasche, nei primi giorni di gennaio, solitamente la vigilia dell’Epifania. Il rito culmina con la “lettura del fumo” che, in relazione alla direzione presa, spinto dal vento, profetizza gli auspici per l’anno entrante. Evento che, spesso, culmina con spettacoli pirotecnici ed è correlato dalla degustazione di vin brulé e di pinza, focaccia tipica di questa festa.
Questa millenaria tradizione non è tuttavia sfuggita alla normativa ambientale, con particolare riferimento all’inquinamento atmosferico, ciò anche per la natura e l’origine del materiale utilizzato per la composizione delle pire. Nel recente passato quella che era una (sacra) tradizione religiosa, si è a volte trasformata nell’occasione, per taluni, di “fare pulizia” di scantinati, magazzini, cantieri, ecc…Le pire, quindi, nel tempo hanno assunto il profilo di “inceneritori a cielo aperto” dei materiali più vari, da legname proveniente dalla demolizione di serramenti, immobili, mobili, ramaglie, finanche a pneumatici, materiale plastico e chi più ne ha più ne metteva. Tanto (brutta) era questa piega che le autorità locali sono dovute intervenire per frenare e regolamentare al meglio questa attività.
Le Arpa, per prima cosa, si sono occupate dell’impatto sull’inquinamento atmosferico, derivante dalle emissioni dovute alla combustione di materiali a forte impatto (es. plastiche e pneumatici), in particolare considerando condizioni ambientali quali il ristagno atmosferico. L’emissione di particolato e di composti organici volatili, i primi imputati. Proprio per queste ragioni è importante adottare alcuni accorgimenti che consentano di rispettare la tradizione minimizzando gli effetti sulla salute e in generale sull’ambiente. ‘Aggregare’, ove possibile, i falò che afferiscono a una medesima area. È sempre preferibile un fuoco di grandi dimensioni poiché raggiungendo temperature più elevate si ottiene una migliore combustione e si favorisce la dispersione degli inquinanti. Spegnere i falò epifanici alla fine delle manifestazioni: i fuochi all’aperto, infatti, possono continuare ad ardere molto a lungo con una temperatura della fiamma particolarmente bassa. Ciò prolunga l’emissione di sostanze inquinanti anche nelle ore centrali della notte, più soggette al ristagno del particolato, che può persistervi anche a lungo. (fonte: ARPA FVG)
La regolamentazione di questi eventi, con l’emanazione di specifici atti delle Amministrazioni Locali, ha iniziato a perimetrare le modalità operative, ponendo vincoli ai proprietari del fondo, procedure di gestione del falò, indicazioni in merito al materiale utilizzabile per la realizzazione della pira. Ciò che rileva, ai fini di questa trattazione, è che di fatto la pratica dell’accensione dei falò epifanici rappresenta una pratica eccezionalmente consentita sulla base delle tradizioni culturali del territorio e inserita all’interno delle pratiche di gestione dei materiali e dei residui agricoli. In questo contesto, risulta difficile intravvedere la possibilità di utilizzare all’interno dei fuochi epifanici materiali che si configurano come rifiuti. Ciò premesso, si ritiene possa essere comunque tollerata all’interno della tradizione epifanica annuale la presenza nei falò di materiale legnoso vergine derivante da manufatti (vedi cassette di legno e parti di pallet), in quanto del tutto assimilabile alle matrici legnose naturali. Non risulta invece ammissibile l’utilizzo di materiali non ascrivibili alle biomasse legnose, come plastica e gomma, in quanto, qualora questi finissero all’interno dei fuochi epifanici, le emissioni di sostanze inquinanti risulterebbero notevolmente aumentate”. (fonte: ARPA FVG)
A questo punto viene da chiedersi, cosa viene utilizzato per la preparazione delle pire? Materiale appositamente acquistato per tale scopo? Ma il richiamato materiale legnoso derivante da manufatti, cos’è? A parere di chi scrive, e per l’esperienza diretta nel territorio, non vi è dubbio alcuno; i falò sono costituiti prevalentemente da materiali che giuridicamente sono configurabili come rifiuti.
Invero, la definizione di rifiuto, nota a tutti, “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”, non prevede eccezioni in virtù della destinazione di utilizzo della materia, sacra o profana che sia. Ed è pacifico che quanto utilizzato per la realizzazione di questi falò è materiale che normalmente la gente (privati, ma anche piccole aziende, imprenditori agricoli, e simili) diverse settimane prima dell’evento, porta nel fondo ove verrà costituito il falò, con il chiaro intento di disfarsi di detto materiale, proveniente, questo, dalle più svariate attività antropiche quali sfalci, demolizioni, ecc…
Nel recente mese di agosto, emblematico un articolo apparso sulla stampa locale (Regione FVG) dove un sindaco annunciava il posizionamento di alcune telecamere nell’area normalmente utilizzata per la realizzazione del locale falò epifanico, al fine di prevenire il deposito “di residui vegetali e qualsivoglia altra tipologia di rifiuto, nell’ambito in questione, con esclusione dei solo due mesi a ridosso del falò, ovvero da metà novembre….l’area non è infatti una discarica del verde….”, come a statuire che esiste una sorta di criterio stagionale per cui in un determinato periodo dell’anno un materiale depositato in una specifica area è considerato rifiuto, andando a costituire una discarica (abusiva, ndr), mentre in un altro specifico periodo ciò è lecito, considerandosi tale materiale non più rifiuto. E’ apprezzabile il tentativo da parte dell’Amministratore Locale di tenere il giusto equilibrio tra la tutela ambientale e la conservazione delle tradizioni culturali locali, così come, per altro, profuso dagli Enti locali preposti al controllo, ma questo è, ahinoi, il classico caso in cui “dura lex, sed lex”.
L’attività descritta, di fatto, va a costituire in primis, un deposito, nel migliore dei casi, incontrollato di rifiuti, per poi arrivare, in secundis, durante il rito del falò, allo smaltimento (abusivo!) del rifiuto, a mezzo incenerimento. Senza voler tirare in ballo la “terra dei fuochi”, paragone improponibile per ratio e sostanza, non si può non evidenziare come fattualmente, si sta accettando l’esercizio di una attività vietata dalla legge. Sappiamo che la normativa vigente, tra l’altro, prevede che la combustione di residui vegetali effettuata senza titolo abilitativo nel luogo di produzione, oppure in luogo diverso, di materiale agricolo o forestale naturale, anche derivato da verde pubblico, integra il reato di smaltimento non autorizzato di rifiuti speciali non pericolosi (di cui all’art. 256, comma 1, lettera a, D.Lgs. 152/2006) se commessa al di fuori delle condizioni previste dall’art. 182, comma 6-bis, primo e secondo periodo (raggruppamento e abbruciamento in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro dei materiali vegetali). La combustione di rifiuti urbani vegetali, abbandonati o depositati in modo incontrollato, provenienti da aree verdi (quali giardini, parchi e aree cimiteriali) è punita, anch’essa comunque, in via amministrativa ai sensi dell’art. 255, D.lgs. 152/2006. Fermandoci, nel nostro esempio, ad ipotizzare l’utilizzo di materiale “lecito/non pericoloso” per la costituzione della pira, quindi escludendo l’uso di materiale qualificabile come rifiuto urbano e/o speciale pericoloso, che ci porterebbe a ben altri profili di responsabilità.
La possibilità di abbruciamento di materiale vegetale, per come poc’anzi richiamato, è ammessa, nei limiti previsti, nell’ambito della normale pratica agricola, ma tale non può certo considerarsi il falò epifanico, pur rivestendo, questi, un riconosciuto ruolo sociale di tradizione e cultura.
In conclusione pare che questa volta la “dura lex” si sia arresa all’eccezione, de facto accettata da tutti, in ragione di un sentimento morale profondamente condiviso, nel consentire quella che, da un punto di vista tecnico-giuridico, si configura come una vera e propria pratica illecita di gestione rifiuti.
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Falò epifanici e normativa ambientale
di Roger Neri
L’approssimarsi del nuovo anno, che anche stavolta tutti noi auspichiamo sia migliore del precedente, quantomeno in relazione al superamento della condizione emergenziale dettata dal virus Covid SARS-2, coincide con la tradizione popolare di alcune regioni d’Italia, in particolare quelle orientali, dell’organizzazione dei “falò epifanici”. Questi eventi consistono nel bruciare delle grandi cataste di legno e frasche, nei primi giorni di gennaio, solitamente la vigilia dell’Epifania. Il rito culmina con la “lettura del fumo” che, in relazione alla direzione presa, spinto dal vento, profetizza gli auspici per l’anno entrante. Evento che, spesso, culmina con spettacoli pirotecnici ed è correlato dalla degustazione di vin brulé e di pinza, focaccia tipica di questa festa.
Questa millenaria tradizione non è tuttavia sfuggita alla normativa ambientale, con particolare riferimento all’inquinamento atmosferico, ciò anche per la natura e l’origine del materiale utilizzato per la composizione delle pire. Nel recente passato quella che era una (sacra) tradizione religiosa, si è a volte trasformata nell’occasione, per taluni, di “fare pulizia” di scantinati, magazzini, cantieri, ecc…Le pire, quindi, nel tempo hanno assunto il profilo di “inceneritori a cielo aperto” dei materiali più vari, da legname proveniente dalla demolizione di serramenti, immobili, mobili, ramaglie, finanche a pneumatici, materiale plastico e chi più ne ha più ne metteva. Tanto (brutta) era questa piega che le autorità locali sono dovute intervenire per frenare e regolamentare al meglio questa attività.
Le Arpa, per prima cosa, si sono occupate dell’impatto sull’inquinamento atmosferico, derivante dalle emissioni dovute alla combustione di materiali a forte impatto (es. plastiche e pneumatici), in particolare considerando condizioni ambientali quali il ristagno atmosferico. L’emissione di particolato e di composti organici volatili, i primi imputati. Proprio per queste ragioni è importante adottare alcuni accorgimenti che consentano di rispettare la tradizione minimizzando gli effetti sulla salute e in generale sull’ambiente. ‘Aggregare’, ove possibile, i falò che afferiscono a una medesima area. È sempre preferibile un fuoco di grandi dimensioni poiché raggiungendo temperature più elevate si ottiene una migliore combustione e si favorisce la dispersione degli inquinanti. Spegnere i falò epifanici alla fine delle manifestazioni: i fuochi all’aperto, infatti, possono continuare ad ardere molto a lungo con una temperatura della fiamma particolarmente bassa. Ciò prolunga l’emissione di sostanze inquinanti anche nelle ore centrali della notte, più soggette al ristagno del particolato, che può persistervi anche a lungo. (fonte: ARPA FVG)
La regolamentazione di questi eventi, con l’emanazione di specifici atti delle Amministrazioni Locali, ha iniziato a perimetrare le modalità operative, ponendo vincoli ai proprietari del fondo, procedure di gestione del falò, indicazioni in merito al materiale utilizzabile per la realizzazione della pira. Ciò che rileva, ai fini di questa trattazione, è che di fatto la pratica dell’accensione dei falò epifanici rappresenta una pratica eccezionalmente consentita sulla base delle tradizioni culturali del territorio e inserita all’interno delle pratiche di gestione dei materiali e dei residui agricoli. In questo contesto, risulta difficile intravvedere la possibilità di utilizzare all’interno dei fuochi epifanici materiali che si configurano come rifiuti. Ciò premesso, si ritiene possa essere comunque tollerata all’interno della tradizione epifanica annuale la presenza nei falò di materiale legnoso vergine derivante da manufatti (vedi cassette di legno e parti di pallet), in quanto del tutto assimilabile alle matrici legnose naturali. Non risulta invece ammissibile l’utilizzo di materiali non ascrivibili alle biomasse legnose, come plastica e gomma, in quanto, qualora questi finissero all’interno dei fuochi epifanici, le emissioni di sostanze inquinanti risulterebbero notevolmente aumentate”. (fonte: ARPA FVG)
A questo punto viene da chiedersi, cosa viene utilizzato per la preparazione delle pire? Materiale appositamente acquistato per tale scopo? Ma il richiamato materiale legnoso derivante da manufatti, cos’è? A parere di chi scrive, e per l’esperienza diretta nel territorio, non vi è dubbio alcuno; i falò sono costituiti prevalentemente da materiali che giuridicamente sono configurabili come rifiuti.
Invero, la definizione di rifiuto, nota a tutti, “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”, non prevede eccezioni in virtù della destinazione di utilizzo della materia, sacra o profana che sia. Ed è pacifico che quanto utilizzato per la realizzazione di questi falò è materiale che normalmente la gente (privati, ma anche piccole aziende, imprenditori agricoli, e simili) diverse settimane prima dell’evento, porta nel fondo ove verrà costituito il falò, con il chiaro intento di disfarsi di detto materiale, proveniente, questo, dalle più svariate attività antropiche quali sfalci, demolizioni, ecc…
Nel recente mese di agosto, emblematico un articolo apparso sulla stampa locale (Regione FVG) dove un sindaco annunciava il posizionamento di alcune telecamere nell’area normalmente utilizzata per la realizzazione del locale falò epifanico, al fine di prevenire il deposito “di residui vegetali e qualsivoglia altra tipologia di rifiuto, nell’ambito in questione, con esclusione dei solo due mesi a ridosso del falò, ovvero da metà novembre….l’area non è infatti una discarica del verde….”, come a statuire che esiste una sorta di criterio stagionale per cui in un determinato periodo dell’anno un materiale depositato in una specifica area è considerato rifiuto, andando a costituire una discarica (abusiva, ndr), mentre in un altro specifico periodo ciò è lecito, considerandosi tale materiale non più rifiuto. E’ apprezzabile il tentativo da parte dell’Amministratore Locale di tenere il giusto equilibrio tra la tutela ambientale e la conservazione delle tradizioni culturali locali, così come, per altro, profuso dagli Enti locali preposti al controllo, ma questo è, ahinoi, il classico caso in cui “dura lex, sed lex”.
L’attività descritta, di fatto, va a costituire in primis, un deposito, nel migliore dei casi, incontrollato di rifiuti, per poi arrivare, in secundis, durante il rito del falò, allo smaltimento (abusivo!) del rifiuto, a mezzo incenerimento. Senza voler tirare in ballo la “terra dei fuochi”, paragone improponibile per ratio e sostanza, non si può non evidenziare come fattualmente, si sta accettando l’esercizio di una attività vietata dalla legge. Sappiamo che la normativa vigente, tra l’altro, prevede che la combustione di residui vegetali effettuata senza titolo abilitativo nel luogo di produzione, oppure in luogo diverso, di materiale agricolo o forestale naturale, anche derivato da verde pubblico, integra il reato di smaltimento non autorizzato di rifiuti speciali non pericolosi (di cui all’art. 256, comma 1, lettera a, D.Lgs. 152/2006) se commessa al di fuori delle condizioni previste dall’art. 182, comma 6-bis, primo e secondo periodo (raggruppamento e abbruciamento in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro dei materiali vegetali). La combustione di rifiuti urbani vegetali, abbandonati o depositati in modo incontrollato, provenienti da aree verdi (quali giardini, parchi e aree cimiteriali) è punita, anch’essa comunque, in via amministrativa ai sensi dell’art. 255, D.lgs. 152/2006. Fermandoci, nel nostro esempio, ad ipotizzare l’utilizzo di materiale “lecito/non pericoloso” per la costituzione della pira, quindi escludendo l’uso di materiale qualificabile come rifiuto urbano e/o speciale pericoloso, che ci porterebbe a ben altri profili di responsabilità.
La possibilità di abbruciamento di materiale vegetale, per come poc’anzi richiamato, è ammessa, nei limiti previsti, nell’ambito della normale pratica agricola, ma tale non può certo considerarsi il falò epifanico, pur rivestendo, questi, un riconosciuto ruolo sociale di tradizione e cultura.
In conclusione pare che questa volta la “dura lex” si sia arresa all’eccezione, de facto accettata da tutti, in ragione di un sentimento morale profondamente condiviso, nel consentire quella che, da un punto di vista tecnico-giuridico, si configura come una vera e propria pratica illecita di gestione rifiuti.
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