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Spandimento in agricoltura dei fanghi da depurazione: rassegna giurisprudenziale
di Stefano Maglia
Categoria: Rifiuti
Mai come in questi ultimi mesi il tema dell’utilizzo in agricoltura dei fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue è assurto a livelli di attenzione degni di nota: in parte perché i fanghi possono essere oggetto di recupero per ricavarne fertilizzanti ed ammendanti per il terreno, ed in parte perché possono essere utilizzati tal quali per lo spandimento in agricoltura. A ben guardare, già a partire dal Decreto Ronchi (D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22)[1] la giurisprudenza amministrativa e ordinaria, sia di merito che di legittimità, si è pronunciata a più riprese in argomento. A questo proposito si rammenta la sentenza TAR Veneto n. 3963 del 12 dicembre 2007 (Pres. De Zotti, Rel. De Piero), la quale correttamente afferma che “la manipolazione dei rifiuti, per ricavarne concimi o emendanti costituisce trattamento (e la struttura in cui ciò avviene non può essere altro che un impianto di trattamento) laddove l’operazione che ne consegue (“spandimento sul suolo a beneficio dell’agricoltura”) è, per l’appunto, un’operazione di recupero”.
Per quanto attiene ai presenti fini, però, di gran lunga più importante è quanto statuito dal TAR Sardegna 562 del 5 giugno 2012 (Pres. Ravalli, Est. Flaim): nel caso allora in giudizio si dibatteva, infatti, se “il fango poteva essere fonte di inquinamento in relazione al rilevato sconfinamento della soglia di …, cioè applicando il valore/limite che il Codice per l’ambiente (D.Lgs. 152/2006) contempla per i “terreni” verdi”. Tralasciando i dettagli tecnici inerenti all’affinità del toluene e dello xilene in ordine all’applicazione della medesima soglia massima, i principi che vengono in rilievo e che è necessario riprendere sono i seguenti:
i valori soglia individuati dal D.L.vo 152/06 si riferiscono unicamente ai terreni (siti) e non possono essere applicati anche ai fanghi;
“trattandosi di due concetti ben diversi e non equivalenti, i valori (e le soglie da considerare per l’uno e per l’altro) non sono indifferentemente applicabili”;
“il valore sul sito è quello che scaturisce dopo lo spargimento del “fango”, con miscelazione del terreno, aratura e distribuzione. Conseguentemente i valori/soglia dell’uno e dell’altro non possono essere confusi”;
“non è quindi corretto utilizzare la soglia (individuata dal Legislatore) per il “terreno” anche al “fango” (materiale da distribuire sul terreno)”.
Alla luce di ciò, discendono importanti conseguenze dalle quali non si può prescindere. “la regolamentazione dei fanghi in agricoltura impone modalità, cautele e anche “limiti quantitativi” di distribuzione; il che implica (nella sua costruzione complessiva) che la miscelazione del materiale con il terreno agricolo debba poi mantenersi al di sotto della soglia individuata per i terreni”. “l’applicazione di una soglia/limite specifica propria dei “siti” … sostanzialmente direttamente applicata ai “fanghi”, compiendo una valutazione sostanzialmente inappropriata ed eccessivamente cautelativa”: l’analisi dei fanghi con applicazione della soglia limite per i terreni “non trova appropriato ed adeguato riscontro nel dato tecnico utilizzato e sotteso”. È per i suddetti motivi che l’applicazione di tale indice al “fango” e non al “suolo” non è corretta, essendo il fango materiale da distribuire sul terreno (è, poi, il terreno, incorporato il fango, che deve mantenersi al di sotto della soglia prevista): pertanto, essa “risulta impropria e inadeguata e non coerente con la normativa di settore, non potendo sostenersi scientificamente che i fanghi contengano “sostanze tossiche e nocive e/o persistenti, e/o bioaccumulabili in concentrazioni dannose per il terreno, per le colture, per gli animali, per l’uomo e per l’ambiente in generale” (art. 3 D. Lgs., n. 99 del 1992)”. Non ci si può non sorprendere di come sia potuto accadere che sentenze di tale livello e con quel grado di rilievo (si noti che nel caso della pronuncia di Cassazione si trattava di un’ipotesi ex art. 260 D.L.vo 152/06) possano affermare in un caso che i limiti da rispettare per lo spandimento sono solo quelli del D.L.vo 99/1992 (norma speciale) e tuttalpiù quelli regionali se più restrittivi (ma solo se non generici), mentre nell’altro si giunge sostanzialmente a ritenere che tra una norma speciale (D.L.vo 99/92) ed una generale (D.L.vo 152/06) di pari grado debba prevalere quella generale e che i limiti da rispettare sono quelli previsti in materia di bonifiche, mentre quelli regionali non hanno valore? Peraltro, sempre secondo la pronuncia n. 2722/17, il divieto imposto dalla Regione di utilizzo in agricoltura dei fanghi derivanti da acque reflue industriali contenenti sostanze pericolose, senza che sia stato stabilito alcun necessario superamento dei limiti di concentrazione, integra una prescrizione del tutto illogica: il Legislatore comunitario e quello statuale hanno stabilito che il divieto all’impiego debba conseguire ad una valutazione non aprioristica e generale, ma che, suffragata da dati scientifici, ancori il divieto di riutilizzazione dei fanghi alla conclamata dannosità degli stessi. La sentenza della Corte di Cassazione n. 27958/17, invece, in considerazione “della complessità della materia e dell’opportunità di interventi di riallineamento delle normative succedutesi nel tempo da parte del legislatore statale”, affronta una molteplicità di argomenti tra loro, comunque, strettamente collegati, di cui si ritiene doveroso dar conto in questa sede. In particolare, a detta del Consiglio di Stato, “se è innegabile che la disciplina dello spandimento dei fanghi sia da ricondurre alla disciplina dei rifiuti … e che quest’ultima sia, a sua volta, da collocare – per giurisprudenza costante della Corte costituzionale … – nell’ambito della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di competenza esclusiva statale … deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale, ferma restando la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali”. Ciò detto, da ultimo bisogna necessariamente procedere alla disamina di quanto stabilito da due recentissime pronunce del 6 giugno 2017 (una, Consiglio di Stato, sez. IV, n. 2722 – Pres. Patroni Griffi, Est. Taormina; l’altra, Corte di Cassazione, sez. III penale, n. 27958 – Pres. Savani, Est. Di Nicola) le quali giungono a conclusioni sostanzialmente diverse. Proseguendo nella disamina giurisprudenziale più recente, si segnalano per completezza di trattazione anche la pronuncia della Corte di Cassazione, sez, III Penale, n. 7241 del 14 febbraio 2014 secondo la quale la responsabilità per la corretta esecuzione delle operazioni di smaltimento dei fanghi mediante spandimento sul terreno grava sul soggetto giuridico titolare dell’autorizzazione e tale responsabilità non può essere trasposta a carico di chi dal primo ha ricevuto l’incarico di eseguire una parte soltanto delle operazioni. E anche quella successiva del TAR Lombardia, sez. III, n. 195 del 29 gennaio 2016 la quale si afferma che lo Stato ha “potestà esclusiva di individuare i criteri generali relativi alle operazioni di recupero di una determinata tipologia di rifiuto e i limiti di accettabilità di alcune sostanze contenute nei rifiuti in relazione al loro particolare utilizzo” e che “attualmente non si rinviene nella normativa statale la presenza di un criterio che consenta alle Regioni di introdurre limiti ai rifiuti trattabili ai fini del loro riutilizzo in un determinato settore ovvero alla concentrazione di certe sostanze nei rifiuti stessi” (fattispecie in materia di parametri di concentrazione massima di metalli pesanti nei fanghi). Il fatto che nel caso di allora e nelle ultime vicende giudiziarie si valuti “sussistente un presunto rischio di inquinamento per l’ambiente (nell’utilizzo del fango) applicando un valore proprio del suolo, e come tale non trasponibile direttamente al fango” non può essere giustificabile nemmeno alla luce del principio di precauzione, il quale “è sì in generale condivisibile, ma può essere invocato quando effettivamente si riscontrino potenziali dubbi sulla tossicità. Se la concentrazione invece è tale … che è ritenuta idonea, a livello scientifico/regolamentare, a consentirne l’utilizzo, come fango in agricoltura, la preoccupazione è sfornita di adeguato sostegno”. Come correttamente precisato dai giudici amministrativi, “la normativa “propria” in materia di utilizzazione di fanghi in agricoltura è quella contenuta nel Decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99” e “nella normativa più recente (Codice ambiente 152/2006) esistono invece valori soglia … riferiti al “suolo” (come tali non direttamente applicabili ai “fanghi”), con differenziazioni in base alla diverse “destinazioni” delle aree. In particolare l’Allegato 5 al Titolo V del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 … prevede la “Concentrazione soglia di contaminazione nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee in relazione alla specifica destinazione d’uso dei siti”. La Tabella 1 prevede valori limite di “Concentrazione soglia di contaminazione nel suolo e nel sottosuolo riferiti alla specifica destinazione d’uso dei siti da bonificare”. Individuazione del momento in cui i fanghi da depurazione sono soggetti alla normativa sui rifiuti: “le parole «e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione» [art. 127, c. 1, D.L.vo 152/06] … vanno lette nel senso che il legislatore non ha inteso restringere, attraverso il riferimento cronologico, l’applicabilità delle disposizioni sui rifiuti, confinandole esclusivamente alla fine del processo di trattamento e disinteressandosi di qualsiasi tutela ambientale nelle fasi precedenti, ma ha precisato che la disciplina sui rifiuti va applicata al trattamento considerato nelsuo complesso e ciò anche in considerazione del fatto che il preliminare trattamento dei fanghi viene effettuato presso l’impianto ed è finalizzato a predisporre i fanghi medesimi per la destinazione finale (smaltimento o riutilizzo) in condizioni di sicurezza per l’ambiente mediante stabilizzazione, riduzione dei volumi ed altri processi, con la conseguenza che la disciplina sui rifiuti si applica anche in tutti i casi in cui il trattamento non venga effettuato o venga effettuato in luogo diverso dall’impianto di depurazione o in modo incompleto, inappropriato o fittizio…”. In ordine a quanto sopra, ci si domanda come si possa ritenere come non apposta un’integrazione normativa, apportata da un decreto correttivo (D.L.vo 4/08) alla Parte III del D.L.vo 152/06, laddove si pone il discrimine scarichi – rifiuti, da sempre tema complesso e molto dibattuto. Rapporto tra legge speciale e legge generale: “la regolamentazione dei fanghi di depurazione non è dettata da un apparato normativo autosufficiente confinato all’interno del d.lgs. n. 99 del 1992 ma il regime giuridico, dal quale è tratta la completa disciplina della materia, deve essere integrato dalla normativa generale sui rifiuti, in quanto soltanto attraverso l’applicazione del testo unico ambientale e delle altre norme generali sui rifiuti, per le parti non espressamente disciplinate dal d.lgs. n. 99 del 1992, è possibile assicurare la tutela ambientale che il sistema, nel suo complesso, esige, in applicazione del principio generale dettato dal d.lgs. n. 152 del 2006, che è in linea con il principio declinato dall’articolo 1 d.lgs. n. 99 del 1992, per cui l’attività di trattamento dei rifiuti deve comunque avvenire senza pericolo per la salute dell’uomo e dell’ambiente, fatte salve, ma in sintonia con tale ultima finalità, espresse deroghe rientranti nell’esclusiva competenza del legislatore statale (art. 117, lettera s) Cost.)”. Il criterio di specialità (lex specialis derogat generali) è principio generale del diritto, dal quale discende che la norma speciale prevale su quella generale, salvo che sia diversamente stabilito. Pertanto, nel caso dei fanghi da depurazione, non si può non concludere in ordine alla prevalenza – tra provvedimenti di pari rango – del D.L.vo 99/92 sul D.L.vo 152/06; Rapporto con i limiti tabellari in materia di bonifiche: “l’uso agronomico presuppone … che il fango sia ricondotto al rispetto dei limiti previsti per le matrici ambientali a cui dovrà essere assimilato (e quindi anche quelli previsti dalla Tab. 1, colonna A dell’allegato 5, al titolo V, parte IV, D.lgs. n. 152 del 2006), salvo siano espressamente previsti, esclusivamente in forza di legge dello Stato, parametri diversi siano essi più o meno rigorosi, nelle tabelle allegate alla normativa di dettaglio (decreto n. 99 del 1992) relativa allo spandimento dei fanghi o in provvedimenti successivamente emanati”. Sul punto, si ritiene utile ribadire che i valori soglia di cui alla disciplina relativa alla bonifica dei siti contaminati individuati dal D.L.vo 152/06 si riferiscono unicamente ai siti e non possono essere applicati anche ai fanghi; pertanto i valori (e le soglie da considerare per l’uno e per l’altro) non sono indifferentemente applicabili. Siccome il valore sul sito è quello che scaturisce dopo lo spandimento dei fanghi (e conseguente miscelazione del terreno, aratura e distribuzione), chi scrive ritiene che non sia quindi corretto utilizzare la soglia (individuata dal Legislatore) per il sito anche al fango (materiale da distribuire sul terreno). Rapporto con la legislazione regionale: “Del tutto superflua … appare l’analisi della legislazione regionale, sia essa della regione Veneto che della regione Toscana, posto che, quanto alla prima, … [risulta] essere più restrittiva di quella statale e posto che non vi è controversia in ordine alla prevalenza della legge dello Stato sulle legislazioni regionali in materia di ambiente (articolo 117, lettera s), della Costituzione), materia che è senza ombra di dubbio oggetto di legislazione esclusiva da parte dello Stato”. Come si può ritenere che i limiti più restrittivi stabiliti dalle Regioni non rilevino, quando l’art. 6, c. 1, p.to 2) del D.L.vo 99/92 prevede espressamente che le Regioni stabiliscano ulteriori limiti e condizioni di utilizzazione in agricoltura per i diversi tipi di fanghi in relazione alle caratteristiche dei suoli, ai tipi di colture praticate, alla composizione dei fanghi e alle modalità di trattamento? Presenza di reflui industriali all’interno delle acque reflue urbane: “Tali fanghi inoltre non erano ammissibili allo spandimento sul terreno per la loro origine perché essi … derivavano da insediamenti urbani di notevoli dimensioni … Essi perciò non derivavano dalla depurazione delle acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti civili come definiti dalla lettera b), articolo 1-quater, legge 8 ottobre 1976, n. 670 … ma derivavano anche dal trattamento di scarichi di insediamenti industriali ed artigianali che insistevano nelle fognatura urbane asservite agli impianti di depurazione, considerato anche che si trattava di insediamenti urbani di notevoli dimensioni”. Innanzitutto si precisa che è presente un refuso in quanto riportato, giacché si tratta della L. 8 ottobre 1976, n. 690 recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 10 agosto 1976, n. 544, concernente proroga dei termini di cui agli articoli 15, 17 e 18 della legge 10 maggio 1976, n. 319, recante norme per la tutela delle acque dall’inquinamento”, pubblicata sulla G.U. n. 270 del 9 ottobre 1976, ma che – per espressa previsione dell’art. 175, c. 1, lett. c), del D.L.vo 152/06 – è stata ufficialmente abrogata a far data dal 29 aprile 2006. In secondo luogo, si segnala che l’art. 2 del D.L.vo 99/92 nel definire che cosa si debba intendere per “fanghi” precisa proprio che trattasi dei “residui derivanti dai processi di depurazione: 1) delle acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti civili …; 2) delle acque reflue provenienti da insediamenti civili e produttivi …; 3) delle acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti produttivi, …”, con ciò ammettendo esplicitamente la presenza di reflui industriali.
Di questa, e di tutte le altre novità in materia di rifiuti, si tratterà approfonditamente nell’ambito del corso di formazione Rifiuti: novità e criticità che sarà erogato in due edizioni a Milano (il 21/09/2017) e a Bari (il 05/10/2017) con relatori Stefano Maglia e Paolo Pipere.
Giulia Guagnini
30/06/2017
[1] Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio. Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 38 del 15 febbraio 1997 – Supplemento Ordinario n. 33.
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Spandimento in agricoltura dei fanghi da depurazione: rassegna giurisprudenziale
di Stefano Maglia
Mai come in questi ultimi mesi il tema dell’utilizzo in agricoltura dei fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue è assurto a livelli di attenzione degni di nota: in parte perché i fanghi possono essere oggetto di recupero per ricavarne fertilizzanti ed ammendanti per il terreno, ed in parte perché possono essere utilizzati tal quali per lo spandimento in agricoltura.
A ben guardare, già a partire dal Decreto Ronchi (D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22)[1] la giurisprudenza amministrativa e ordinaria, sia di merito che di legittimità, si è pronunciata a più riprese in argomento.
A questo proposito si rammenta la sentenza TAR Veneto n. 3963 del 12 dicembre 2007 (Pres. De Zotti, Rel. De Piero), la quale correttamente afferma che “la manipolazione dei rifiuti, per ricavarne concimi o emendanti costituisce trattamento (e la struttura in cui ciò avviene non può essere altro che un impianto di trattamento) laddove l’operazione che ne consegue (“spandimento sul suolo a beneficio dell’agricoltura”) è, per l’appunto, un’operazione di recupero”.
Per quanto attiene ai presenti fini, però, di gran lunga più importante è quanto statuito dal TAR Sardegna 562 del 5 giugno 2012 (Pres. Ravalli, Est. Flaim): nel caso allora in giudizio si dibatteva, infatti, se “il fango poteva essere fonte di inquinamento in relazione al rilevato sconfinamento della soglia di …, cioè applicando il valore/limite che il Codice per l’ambiente (D.Lgs. 152/2006) contempla per i “terreni” verdi”.
Tralasciando i dettagli tecnici inerenti all’affinità del toluene e dello xilene in ordine all’applicazione della medesima soglia massima, i principi che vengono in rilievo e che è necessario riprendere sono i seguenti:
Alla luce di ciò, discendono importanti conseguenze dalle quali non si può prescindere.
“la regolamentazione dei fanghi in agricoltura impone modalità, cautele e anche “limiti quantitativi” di distribuzione; il che implica (nella sua costruzione complessiva) che la miscelazione del materiale con il terreno agricolo debba poi mantenersi al di sotto della soglia individuata per i terreni”.
“l’applicazione di una soglia/limite specifica propria dei “siti” … sostanzialmente direttamente applicata ai “fanghi”, compiendo una valutazione sostanzialmente inappropriata ed eccessivamente cautelativa”: l’analisi dei fanghi con applicazione della soglia limite per i terreni “non trova appropriato ed adeguato riscontro nel dato tecnico utilizzato e sotteso”.
È per i suddetti motivi che l’applicazione di tale indice al “fango” e non al “suolo” non è corretta, essendo il fango materiale da distribuire sul terreno (è, poi, il terreno, incorporato il fango, che deve mantenersi al di sotto della soglia prevista): pertanto, essa “risulta impropria e inadeguata e non coerente con la normativa di settore, non potendo sostenersi scientificamente che i fanghi contengano “sostanze tossiche e nocive e/o persistenti, e/o bioaccumulabili in concentrazioni dannose per il terreno, per le colture, per gli animali, per l’uomo e per l’ambiente in generale” (art. 3 D. Lgs., n. 99 del 1992)”.
Non ci si può non sorprendere di come sia potuto accadere che sentenze di tale livello e con quel grado di rilievo (si noti che nel caso della pronuncia di Cassazione si trattava di un’ipotesi ex art. 260 D.L.vo 152/06) possano affermare in un caso che i limiti da rispettare per lo spandimento sono solo quelli del D.L.vo 99/1992 (norma speciale) e tuttalpiù quelli regionali se più restrittivi (ma solo se non generici), mentre nell’altro si giunge sostanzialmente a ritenere che tra una norma speciale (D.L.vo 99/92) ed una generale (D.L.vo 152/06) di pari grado debba prevalere quella generale e che i limiti da rispettare sono quelli previsti in materia di bonifiche, mentre quelli regionali non hanno valore?
Peraltro, sempre secondo la pronuncia n. 2722/17, il divieto imposto dalla Regione di utilizzo in agricoltura dei fanghi derivanti da acque reflue industriali contenenti sostanze pericolose, senza che sia stato stabilito alcun necessario superamento dei limiti di concentrazione, integra una prescrizione del tutto illogica: il Legislatore comunitario e quello statuale hanno stabilito che il divieto all’impiego debba conseguire ad una valutazione non aprioristica e generale, ma che, suffragata da dati scientifici, ancori il divieto di riutilizzazione dei fanghi alla conclamata dannosità degli stessi.
La sentenza della Corte di Cassazione n. 27958/17, invece, in considerazione “della complessità della materia e dell’opportunità di interventi di riallineamento delle normative succedutesi nel tempo da parte del legislatore statale”, affronta una molteplicità di argomenti tra loro, comunque, strettamente collegati, di cui si ritiene doveroso dar conto in questa sede.
In particolare, a detta del Consiglio di Stato, “se è innegabile che la disciplina dello spandimento dei fanghi sia da ricondurre alla disciplina dei rifiuti … e che quest’ultima sia, a sua volta, da collocare – per giurisprudenza costante della Corte costituzionale … – nell’ambito della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di competenza esclusiva statale … deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale, ferma restando la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali”.
Ciò detto, da ultimo bisogna necessariamente procedere alla disamina di quanto stabilito da due recentissime pronunce del 6 giugno 2017 (una, Consiglio di Stato, sez. IV, n. 2722 – Pres. Patroni Griffi, Est. Taormina; l’altra, Corte di Cassazione, sez. III penale, n. 27958 – Pres. Savani, Est. Di Nicola) le quali giungono a conclusioni sostanzialmente diverse.
Proseguendo nella disamina giurisprudenziale più recente, si segnalano per completezza di trattazione anche la pronuncia della Corte di Cassazione, sez, III Penale, n. 7241 del 14 febbraio 2014 secondo la quale la responsabilità per la corretta esecuzione delle operazioni di smaltimento dei fanghi mediante spandimento sul terreno grava sul soggetto giuridico titolare dell’autorizzazione e tale responsabilità non può essere trasposta a carico di chi dal primo ha ricevuto l’incarico di eseguire una parte soltanto delle operazioni.
E anche quella successiva del TAR Lombardia, sez. III, n. 195 del 29 gennaio 2016 la quale si afferma che lo Stato ha “potestà esclusiva di individuare i criteri generali relativi alle operazioni di recupero di una determinata tipologia di rifiuto e i limiti di accettabilità di alcune sostanze contenute nei rifiuti in relazione al loro particolare utilizzo” e che “attualmente non si rinviene nella normativa statale la presenza di un criterio che consenta alle Regioni di introdurre limiti ai rifiuti trattabili ai fini del loro riutilizzo in un determinato settore ovvero alla concentrazione di certe sostanze nei rifiuti stessi” (fattispecie in materia di parametri di concentrazione massima di metalli pesanti nei fanghi).
Il fatto che nel caso di allora e nelle ultime vicende giudiziarie si valuti “sussistente un presunto rischio di inquinamento per l’ambiente (nell’utilizzo del fango) applicando un valore proprio del suolo, e come tale non trasponibile direttamente al fango” non può essere giustificabile nemmeno alla luce del principio di precauzione, il quale “è sì in generale condivisibile, ma può essere invocato quando effettivamente si riscontrino potenziali dubbi sulla tossicità. Se la concentrazione invece è tale … che è ritenuta idonea, a livello scientifico/regolamentare, a consentirne l’utilizzo, come fango in agricoltura, la preoccupazione è sfornita di adeguato sostegno”.
Come correttamente precisato dai giudici amministrativi, “la normativa “propria” in materia di utilizzazione di fanghi in agricoltura è quella contenuta nel Decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99” e “nella normativa più recente (Codice ambiente 152/2006) esistono invece valori soglia … riferiti al “suolo” (come tali non direttamente applicabili ai “fanghi”), con differenziazioni in base alla diverse “destinazioni” delle aree. In particolare l’Allegato 5 al Titolo V del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 … prevede la “Concentrazione soglia di contaminazione nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee in relazione alla specifica destinazione d’uso dei siti”. La Tabella 1 prevede valori limite di “Concentrazione soglia di contaminazione nel suolo e nel sottosuolo riferiti alla specifica destinazione d’uso dei siti da bonificare”.
Individuazione del momento in cui i fanghi da depurazione sono soggetti alla normativa sui rifiuti: “le parole «e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione» [art. 127, c. 1, D.L.vo 152/06] … vanno lette nel senso che il legislatore non ha inteso restringere, attraverso il riferimento cronologico, l’applicabilità delle disposizioni sui rifiuti, confinandole esclusivamente alla fine del processo di trattamento e disinteressandosi di qualsiasi tutela ambientale nelle fasi precedenti, ma ha precisato che la disciplina sui rifiuti va applicata al trattamento considerato nel suo complesso e ciò anche in considerazione del fatto che il preliminare trattamento dei fanghi viene effettuato presso l’impianto ed è finalizzato a predisporre i fanghi medesimi per la destinazione finale (smaltimento o riutilizzo) in condizioni di sicurezza per l’ambiente mediante stabilizzazione, riduzione dei volumi ed altri processi, con la conseguenza che la disciplina sui rifiuti si applica anche in tutti i casi in cui il trattamento non venga effettuato o venga effettuato in luogo diverso dall’impianto di depurazione o in modo incompleto, inappropriato o fittizio…”.
In ordine a quanto sopra, ci si domanda come si possa ritenere come non apposta un’integrazione normativa, apportata da un decreto correttivo (D.L.vo 4/08) alla Parte III del D.L.vo 152/06, laddove si pone il discrimine scarichi – rifiuti, da sempre tema complesso e molto dibattuto.
Rapporto tra legge speciale e legge generale: “la regolamentazione dei fanghi di depurazione non è dettata da un apparato normativo autosufficiente confinato all’interno del d.lgs. n. 99 del 1992 ma il regime giuridico, dal quale è tratta la completa disciplina della materia, deve essere integrato dalla normativa generale sui rifiuti, in quanto soltanto attraverso l’applicazione del testo unico ambientale e delle altre norme generali sui rifiuti, per le parti non espressamente disciplinate dal d.lgs. n. 99 del 1992, è possibile assicurare la tutela ambientale che il sistema, nel suo complesso, esige, in applicazione del principio generale dettato dal d.lgs. n. 152 del 2006, che è in linea con il principio declinato dall’articolo 1 d.lgs. n. 99 del 1992, per cui l’attività di trattamento dei rifiuti deve comunque avvenire senza pericolo per la salute dell’uomo e dell’ambiente, fatte salve, ma in sintonia con tale ultima finalità, espresse deroghe rientranti nell’esclusiva competenza del legislatore statale (art. 117, lettera s) Cost.)”.
Il criterio di specialità (lex specialis derogat generali) è principio generale del diritto, dal quale discende che la norma speciale prevale su quella generale, salvo che sia diversamente stabilito. Pertanto, nel caso dei fanghi da depurazione, non si può non concludere in ordine alla prevalenza – tra provvedimenti di pari rango – del D.L.vo 99/92 sul D.L.vo 152/06;
Rapporto con i limiti tabellari in materia di bonifiche: “l’uso agronomico presuppone … che il fango sia ricondotto al rispetto dei limiti previsti per le matrici ambientali a cui dovrà essere assimilato (e quindi anche quelli previsti dalla Tab. 1, colonna A dell’allegato 5, al titolo V, parte IV, D.lgs. n. 152 del 2006), salvo siano espressamente previsti, esclusivamente in forza di legge dello Stato, parametri diversi siano essi più o meno rigorosi, nelle tabelle allegate alla normativa di dettaglio (decreto n. 99 del 1992) relativa allo spandimento dei fanghi o in provvedimenti successivamente emanati”.
Sul punto, si ritiene utile ribadire che i valori soglia di cui alla disciplina relativa alla bonifica dei siti contaminati individuati dal D.L.vo 152/06 si riferiscono unicamente ai siti e non possono essere applicati anche ai fanghi; pertanto i valori (e le soglie da considerare per l’uno e per l’altro) non sono indifferentemente applicabili. Siccome il valore sul sito è quello che scaturisce dopo lo spandimento dei fanghi (e conseguente miscelazione del terreno, aratura e distribuzione), chi scrive ritiene che non sia quindi corretto utilizzare la soglia (individuata dal Legislatore) per il sito anche al fango (materiale da distribuire sul terreno).
Rapporto con la legislazione regionale: “Del tutto superflua … appare l’analisi della legislazione regionale, sia essa della regione Veneto che della regione Toscana, posto che, quanto alla prima, … [risulta] essere più restrittiva di quella statale e posto che non vi è controversia in ordine alla prevalenza della legge dello Stato sulle legislazioni regionali in materia di ambiente (articolo 117, lettera s), della Costituzione), materia che è senza ombra di dubbio oggetto di legislazione esclusiva da parte dello Stato”.
Come si può ritenere che i limiti più restrittivi stabiliti dalle Regioni non rilevino, quando l’art. 6, c. 1, p.to 2) del D.L.vo 99/92 prevede espressamente che le Regioni stabiliscano ulteriori limiti e condizioni di utilizzazione in agricoltura per i diversi tipi di fanghi in relazione alle caratteristiche dei suoli, ai tipi di colture praticate, alla composizione dei fanghi e alle modalità di trattamento?
Presenza di reflui industriali all’interno delle acque reflue urbane: “Tali fanghi inoltre non erano ammissibili allo spandimento sul terreno per la loro origine perché essi … derivavano da insediamenti urbani di notevoli dimensioni … Essi perciò non derivavano dalla depurazione delle acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti civili come definiti dalla lettera b), articolo 1-quater, legge 8 ottobre 1976, n. 670 … ma derivavano anche dal trattamento di scarichi di insediamenti industriali ed artigianali che insistevano nelle fognatura urbane asservite agli impianti di depurazione, considerato anche che si trattava di insediamenti urbani di notevoli dimensioni”.
Innanzitutto si precisa che è presente un refuso in quanto riportato, giacché si tratta della L. 8 ottobre 1976, n. 690 recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 10 agosto 1976, n. 544, concernente proroga dei termini di cui agli articoli 15, 17 e 18 della legge 10 maggio 1976, n. 319, recante norme per la tutela delle acque dall’inquinamento”, pubblicata sulla G.U. n. 270 del 9 ottobre 1976, ma che – per espressa previsione dell’art. 175, c. 1, lett. c), del D.L.vo 152/06 – è stata ufficialmente abrogata a far data dal 29 aprile 2006.
In secondo luogo, si segnala che l’art. 2 del D.L.vo 99/92 nel definire che cosa si debba intendere per “fanghi” precisa proprio che trattasi dei “residui derivanti dai processi di depurazione: 1) delle acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti civili …; 2) delle acque reflue provenienti da insediamenti civili e produttivi …; 3) delle acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti produttivi, …”, con ciò ammettendo esplicitamente la presenza di reflui industriali.
Di questa, e di tutte le altre novità in materia di rifiuti, si tratterà approfonditamente nell’ambito del corso di formazione Rifiuti: novità e criticità che sarà erogato in due edizioni a Milano (il 21/09/2017) e a Bari (il 05/10/2017) con relatori Stefano Maglia e Paolo Pipere.
Giulia Guagnini
30/06/2017
[1] Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio. Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 38 del 15 febbraio 1997 – Supplemento Ordinario n. 33.
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