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"Mi occupo di diritto ambientale da oltre trent’anni TuttoAmbiente è la guida più autorevole per la formazione e la consulenza ambientale Conta su di noi" Stefano Maglia
Fanghi di depurazione e gessi di defecazione da fanghi – lo scandalo in Lombardia
di Luigi Peroncelli
Categoria: Fanghi
In conseguenza del recente scandalo sulla produzione e utilizzo di “gessi di defecazione da fanghi non a norma”, da parte di un’azienda bresciana, sorge il timore, come sembra dai media e dalla politica locale, che venga a prevalere una ingiusta generalizzazione di colpevolezza per il prodotto, più che per il produttore responsabile.
Per tale ragione, nell’ottica di contribuire a fare chiarezza su un tema ricorrente e di ampia risonanza (fanghi reflui idonei all’uso agricolo e produzione di gessi defecazione da fanghi), ci permettiamo di proporre una rappresentazione tecnicamente più obiettiva.
In sintesi, ciò che emerge, leggendo la stampa, è che:
1.I Gessi sono il mantello dell’invisibilità dietro al quale si celano i pericolosi fanghi “tossici”.
Realtà: i fanghi che si impiegano per la produzione dei gessi devono per legge essere idonei all’impiego agricolo, già prima del trattamento di trasformazione. Se così non è, non possono essere impiegati e chi lo fa, commette un reato.
2.Nei gessi, gli operatori possono miscelare di tutto per ottenere guadagni illeciti
Realtà: ogni singola, nominativa autorizzazione amministrativa [provinciale/regionale] per produrre “gessi”, contiene precise prescrizioni esecutive di processo: se vengono disattese l’azienda è in infrazione ambientale e deve scattare, la diffida, la sospensione, la revoca autorizzativa da parte dell’ente che l’ha concessa. Se l’operatore introduce nel processo produttivo, rifiuti non autorizzati o non idonei, commette un reato.
3.Non vi è modo per controllare prima, si può solo prendere atto di un disastro avvenuto.
Realtà: almeno in Regione Emilia Romagna, ogni operatore deve mantenere un registro di carico/scarico (vidimato dalla provincia che ha rilasciato l’autorizzazione), dove devono essere annotati i quantitativi di fanghi in ingresso, la denominazione del depuratore di provenienza, dei reattivi impiegati, degli eventuali prodotti integratori, le quantità di gessi prodotte giornalmente, l’azienda agricola al quale sono stati consegnati i gessi, l’indicazione dei fogli e mappali catastali dove si somministra il prodotto, il tipo di coltura.
Devono essere altresì effettuate analisi, almeno trimestrali, dei fanghi che si impiegano e devono essere analizzate le componenti inorganiche ed organiche (fra cui metalli pesanti, idrocarburi, contaminanti organici vari, fra cui le diossine).
Ovviamente devono essere analizzati anche i gessi per lotti di produzione, per verificare la rispondenza degli stessi ai limiti previsti dalla normativa dei fertilizzanti.
Si tratta di certificati di analisi, indispensabili, per controllare la conformità legale e l’idoneità qualitativa dei materiali in entrata e di quelli in uscita.
4.Diversamente dai fanghi, i gessi non devono seguire nessuna regola o controllo per essere impiegati in campagna
Realtà: Non è vero. La trasformazione dei fanghi in gessi, è obbligata dalla norma attraverso regole precise, che le aziende serie applicano scrupolosamente. Regole che rendono i gessi di defecazione un fertilizzante affidabile, sicuro ed ecologico, quanto i liquami zootecnici e i terricci (ammendanti) che si impiegano in giardinaggio e floricoltura in vendita nella grande distribuzione.
Ad esempio, le quantità di metalli pesanti ammesse nei gessi, devono essere dalle 5 (Zinco) alle 13 (Cadmio) volte inferiori alle massime previste per i fanghi di depurazione ad uso agricolo.
Per l’impiego nei campi, i gessi seguono gli stessi protocolli dei liquami (direttiva nitrati) e si redigono, come per tutti gli altri fertilizzanti, i Piani di Utilizzo Agronomico (PUA) per ciascuna azienda, da cui si possono conoscere le superfici catastali trattate e le quantità impiegate in ciascun appezzamento e deve essere rispettata la Direttiva Nitrati.
OPINIONI ATTRAVERSO LA STAMPA Accade ora che per lo scalpore dei fatti accaduti, oltre a mirare all’accertamento delle responsabilità, taluni prospettino di risolvere un comportamento criminale, chiedendo una norma sull’uso dei gessi, uguale a quella dei fanghi, o addirittura la cancellazione dei gessi dalla norma dei fertilizzanti, come se fosse colpevole il prodotto, generato in modo truffaldino e non il produttore.
In pratica sembra che anche le aziende che lavorano correttamente e nel rispetto delle leggi, debbano “cambiare mestiere” per colpe non loro.
Se effettivamente sarà dimostrato in giudizio, che sono state spante 150.000 tonnellate (!!!) di fanghi “tossici” su circa 3.000 ettari (e si rammenta che, sempre in Lombardia vi sono stati altri casi del tutto simili in un passato non lontano – 2016), viene da domandarsi come mai sia potuto accadere.
Com’è possibile che sia stato permesso ad una azienda di perpetrare indisturbata un reato di queste dimensioni? Da quanto si legge, vi è stata una ingente movimentazione, su strade e campagne, di oltre 5000 camion carichi di fanghi “tossici” (ed ovviamente altrettanti ritorni vuoti), già da tempo vi erano state segnalazioni frequentissime di molestie olfattive, da parte di cittadini.
Le domande che sorgono spontanee sono semplici:
come mai, solo improvvisamente, ci si accorge di una situazione così deteriorata?
5000 viaggi di camion non si fanno in una nottata! Occorrono mesi. 150mila tonnellate non possono sfuggire alla vista!
Perché non sono stati fermati prima, visto che, da quanto si è letto, l’indagine era stata chiusa da circa 2 anni?
Perché non è stata, a suo tempo, prescritta la tracciabilità, visto che vi era già stata in precedenza altra esperienza nefasta?
Comprendiamo certamente i sentimenti e la giusta preoccupazione dei alcuni esponenti della politica locale lombarda, ma la conclusione di impedire la produzione dei gessi di defecazione, perché un’azienda, che avrebbe commesso un grave reato, è riuscita a sfuggire ai controlli di coloro che dovevano vigilare, ricorda un po’ le vecchie storie di palloni da calcio bucati a tutti, perché giocando, dei ragazzini avevano rotto una finestra.
Si rimane assolutamente sorpresi quando si legge dell’impossibilità di tracciare i flussi dei gessi di defecazione e di sapere dove vengano impiegati.
Il controllo degli impianti di produzione in Lombardia – che non sono 1000, ma meno di una decina – non può essere presentato come un problema organizzativo, impossibile da affrontare, avendo anche l’esempio della regione confinante, che ha risolto da anni questi aspetti.
Quindi è un problema lombardo, in primis, ma che deve mantenere altissima l’attenzione in questo settore in tutto il paese, data la delicatezza della materia.
Delicatezza, non solo per il pericolo che fanghi battezzati “tossici” dalla stampa, entrino nell’ambiente: questo deve essere ovviamente un pre-requisito, un reato da punire con estrema durezza, un abominio sociale da bloccare con ogni mezzo.
Delicatezza perché il recupero della materia organica e dei nutrienti, che sono contenuti in queste biomasse, sono una importantissima risorsa, non solo per l’agricoltura, ma per l’ecosistema tutto. Attraverso quest’attività, si restituisce al suolo ciò che è stato tolto coltivando. La corretta gestione di queste biomasse è un fondamentale cardine dell’economia circolare. La restituzione della sostanza organica al suolo è l’unica chance che abbiamo per contrastare la desertificazione della campagna.
Va precisato che desertificazione non deve lasciar spazio ad immagini di dune di sabbia e carovane di cammelli, ma semplicemente è la riduzione della sostanza organica nei suoli a livelli insufficienti per le coltivazioni, dovuta al continuo asporto senza restituzione. Qualora non si riuscisse a fermare questo fenomeno, il danno ambientale che ne deriverebbe, potrebbe assumere dimensioni gravissime e senza possibilità di recupero.
E se è vero che la Lombardia non soffre, per ora, la desertificazione, altrettanto non si può dire per altre regioni, in particolare le meridionali, ma anche la zona adriatica dell’Emilia Romagna.
Per cui, un’attività utile, ecologica ed importante a livello nazionale, non può essere messa in pericolo o solamente essere danneggiata nell’immagine, per il fatto che non si riesce a bloccare qualche farabutto.
Inoltre, è un fatto che la tempesta lombarda su fanghi e gessi, arrivi a presentare i fanghi come qualcosa di nocivo e pericoloso a priori, e che l’unica soluzione corretta sia quella di affidarli alle fiamme dei termovalorizzatori dedicati che, Regione Lombardia, ha previsto per i prossimi anni.
Certamente, il caso WTE, favorisce questa posizione, spalancando le porte ad un sentire comune che, solitamente contrario in passato, si può oggi riassumere così: “piuttosto di vedere queste schifezze nei campi, molto meglio bruciarli il prima possibile”.
A maggior ragione se si riesce anche a recuperare il fosforo.
Tuttavia, è importante sottolineare che, qualora si decidesse di bruciare non solo fanghi industriali, problematici o realmente “tossici”, ma venissero consegnati alle fiamme anche i fanghi “buoni” (che sono la stragrande maggioranza), salveremmo sì il fosforo, ma perderemmo irrimediabilmente azoto e sostanza organica, che come già detto rappresenta l’elemento fondamentale per il benessere ecologico dei nostri suoli.
La scelta di termovalorizzare (incenerire) i fanghi, deve partire da considerazioni strategiche dei pianificatori regionali e non può essere presentata come l’unica soluzione possibile perché non si riesce a fermare le malefatte di qualche pirata.
Si ritiene che il problema non sia la presenza in legge di un certo fertilizzante, ma le regole che devono essere fissate dalle regioni nel trattamento dei fanghi.
In primis, la scelta di quali fanghi trasformare in modo sicuro e quali invece eliminare con la combustione, ricavandone almeno energia e fosforo.
Il cuore del problema è il seguente ragionamento di coloro che vogliono delinquere: “ricevo fanghi non idonei ad essere impiegati direttamente nei campi (e tantomeno a divenire gessi. Li additivo pesantemente con materiali inerti privi di contaminanti (spendendo meno possibile), così diluisco le concentrazioni di inquinanti e quando mi controllano il prodotto finito, questo è perfettamente in linea con i limiti previsti per i gessi”.
Vogliamo infine sottolineare un concetto fondamentale: i livelli di metalli pesanti, ammessi dalla legge dei fertilizzanti nei gessi (ed in tutti gli ammendanti e correttivi), sono talmente severi che risulta impossibile rispettarli, se non si parte da un fango che abbia circa la metà dei metalli pesanti ammessi dalla norma per lo spandimento in agricoltura di fanghi.
Dunque (senza trattamenti speciali), non si possono fare gessi partendo da fanghi di scarsa qualità e tantomeno “tossici”. Tutto il resto è delinquenza o truffa.
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Fanghi di depurazione e gessi di defecazione da fanghi – lo scandalo in Lombardia
di Luigi Peroncelli
In conseguenza del recente scandalo sulla produzione e utilizzo di “gessi di defecazione da fanghi non a norma”, da parte di un’azienda bresciana, sorge il timore, come sembra dai media e dalla politica locale, che venga a prevalere una ingiusta generalizzazione di colpevolezza per il prodotto, più che per il produttore responsabile.
Per tale ragione, nell’ottica di contribuire a fare chiarezza su un tema ricorrente e di ampia risonanza (fanghi reflui idonei all’uso agricolo e produzione di gessi defecazione da fanghi), ci permettiamo di proporre una rappresentazione tecnicamente più obiettiva.
In sintesi, ciò che emerge, leggendo la stampa, è che:
1.I Gessi sono il mantello dell’invisibilità dietro al quale si celano i pericolosi fanghi “tossici”.
Realtà: i fanghi che si impiegano per la produzione dei gessi devono per legge essere idonei all’impiego agricolo, già prima del trattamento di trasformazione. Se così non è, non possono essere impiegati e chi lo fa, commette un reato.
2.Nei gessi, gli operatori possono miscelare di tutto per ottenere guadagni illeciti
Realtà: ogni singola, nominativa autorizzazione amministrativa [provinciale/regionale] per produrre “gessi”, contiene precise prescrizioni esecutive di processo: se vengono disattese l’azienda è in infrazione ambientale e deve scattare, la diffida, la sospensione, la revoca autorizzativa da parte dell’ente che l’ha concessa. Se l’operatore introduce nel processo produttivo, rifiuti non autorizzati o non idonei, commette un reato.
3.Non vi è modo per controllare prima, si può solo prendere atto di un disastro avvenuto.
Realtà: almeno in Regione Emilia Romagna, ogni operatore deve mantenere un registro di carico/scarico (vidimato dalla provincia che ha rilasciato l’autorizzazione), dove devono essere annotati i quantitativi di fanghi in ingresso, la denominazione del depuratore di provenienza, dei reattivi impiegati, degli eventuali prodotti integratori, le quantità di gessi prodotte giornalmente, l’azienda agricola al quale sono stati consegnati i gessi, l’indicazione dei fogli e mappali catastali dove si somministra il prodotto, il tipo di coltura.
Devono essere altresì effettuate analisi, almeno trimestrali, dei fanghi che si impiegano e devono essere analizzate le componenti inorganiche ed organiche (fra cui metalli pesanti, idrocarburi, contaminanti organici vari, fra cui le diossine).
Ovviamente devono essere analizzati anche i gessi per lotti di produzione, per verificare la rispondenza degli stessi ai limiti previsti dalla normativa dei fertilizzanti.
Si tratta di certificati di analisi, indispensabili, per controllare la conformità legale e l’idoneità qualitativa dei materiali in entrata e di quelli in uscita.
4.Diversamente dai fanghi, i gessi non devono seguire nessuna regola o controllo per essere impiegati in campagna
Realtà: Non è vero. La trasformazione dei fanghi in gessi, è obbligata dalla norma attraverso regole precise, che le aziende serie applicano scrupolosamente. Regole che rendono i gessi di defecazione un fertilizzante affidabile, sicuro ed ecologico, quanto i liquami zootecnici e i terricci (ammendanti) che si impiegano in giardinaggio e floricoltura in vendita nella grande distribuzione.
Ad esempio, le quantità di metalli pesanti ammesse nei gessi, devono essere dalle 5 (Zinco) alle 13 (Cadmio) volte inferiori alle massime previste per i fanghi di depurazione ad uso agricolo.
Per l’impiego nei campi, i gessi seguono gli stessi protocolli dei liquami (direttiva nitrati) e si redigono, come per tutti gli altri fertilizzanti, i Piani di Utilizzo Agronomico (PUA) per ciascuna azienda, da cui si possono conoscere le superfici catastali trattate e le quantità impiegate in ciascun appezzamento e deve essere rispettata la Direttiva Nitrati.
OPINIONI ATTRAVERSO LA STAMPA
Accade ora che per lo scalpore dei fatti accaduti, oltre a mirare all’accertamento delle responsabilità, taluni prospettino di risolvere un comportamento criminale, chiedendo una norma sull’uso dei gessi, uguale a quella dei fanghi, o addirittura la cancellazione dei gessi dalla norma dei fertilizzanti, come se fosse colpevole il prodotto, generato in modo truffaldino e non il produttore.
In pratica sembra che anche le aziende che lavorano correttamente e nel rispetto delle leggi, debbano “cambiare mestiere” per colpe non loro.
Se effettivamente sarà dimostrato in giudizio, che sono state spante 150.000 tonnellate (!!!) di fanghi “tossici” su circa 3.000 ettari (e si rammenta che, sempre in Lombardia vi sono stati altri casi del tutto simili in un passato non lontano – 2016), viene da domandarsi come mai sia potuto accadere.
Com’è possibile che sia stato permesso ad una azienda di perpetrare indisturbata un reato di queste dimensioni? Da quanto si legge, vi è stata una ingente movimentazione, su strade e campagne, di oltre 5000 camion carichi di fanghi “tossici” (ed ovviamente altrettanti ritorni vuoti), già da tempo vi erano state segnalazioni frequentissime di molestie olfattive, da parte di cittadini.
Le domande che sorgono spontanee sono semplici:
Comprendiamo certamente i sentimenti e la giusta preoccupazione dei alcuni esponenti della politica locale lombarda, ma la conclusione di impedire la produzione dei gessi di defecazione, perché un’azienda, che avrebbe commesso un grave reato, è riuscita a sfuggire ai controlli di coloro che dovevano vigilare, ricorda un po’ le vecchie storie di palloni da calcio bucati a tutti, perché giocando, dei ragazzini avevano rotto una finestra.
Si rimane assolutamente sorpresi quando si legge dell’impossibilità di tracciare i flussi dei gessi di defecazione e di sapere dove vengano impiegati.
Il controllo degli impianti di produzione in Lombardia – che non sono 1000, ma meno di una decina – non può essere presentato come un problema organizzativo, impossibile da affrontare, avendo anche l’esempio della regione confinante, che ha risolto da anni questi aspetti.
Quindi è un problema lombardo, in primis, ma che deve mantenere altissima l’attenzione in questo settore in tutto il paese, data la delicatezza della materia.
Delicatezza, non solo per il pericolo che fanghi battezzati “tossici” dalla stampa, entrino nell’ambiente: questo deve essere ovviamente un pre-requisito, un reato da punire con estrema durezza, un abominio sociale da bloccare con ogni mezzo.
Delicatezza perché il recupero della materia organica e dei nutrienti, che sono contenuti in queste biomasse, sono una importantissima risorsa, non solo per l’agricoltura, ma per l’ecosistema tutto. Attraverso quest’attività, si restituisce al suolo ciò che è stato tolto coltivando. La corretta gestione di queste biomasse è un fondamentale cardine dell’economia circolare. La restituzione della sostanza organica al suolo è l’unica chance che abbiamo per contrastare la desertificazione della campagna.
Va precisato che desertificazione non deve lasciar spazio ad immagini di dune di sabbia e carovane di cammelli, ma semplicemente è la riduzione della sostanza organica nei suoli a livelli insufficienti per le coltivazioni, dovuta al continuo asporto senza restituzione. Qualora non si riuscisse a fermare questo fenomeno, il danno ambientale che ne deriverebbe, potrebbe assumere dimensioni gravissime e senza possibilità di recupero.
E se è vero che la Lombardia non soffre, per ora, la desertificazione, altrettanto non si può dire per altre regioni, in particolare le meridionali, ma anche la zona adriatica dell’Emilia Romagna.
Per cui, un’attività utile, ecologica ed importante a livello nazionale, non può essere messa in pericolo o solamente essere danneggiata nell’immagine, per il fatto che non si riesce a bloccare qualche farabutto.
Inoltre, è un fatto che la tempesta lombarda su fanghi e gessi, arrivi a presentare i fanghi come qualcosa di nocivo e pericoloso a priori, e che l’unica soluzione corretta sia quella di affidarli alle fiamme dei termovalorizzatori dedicati che, Regione Lombardia, ha previsto per i prossimi anni.
Certamente, il caso WTE, favorisce questa posizione, spalancando le porte ad un sentire comune che, solitamente contrario in passato, si può oggi riassumere così: “piuttosto di vedere queste schifezze nei campi, molto meglio bruciarli il prima possibile”.
A maggior ragione se si riesce anche a recuperare il fosforo.
Tuttavia, è importante sottolineare che, qualora si decidesse di bruciare non solo fanghi industriali, problematici o realmente “tossici”, ma venissero consegnati alle fiamme anche i fanghi “buoni” (che sono la stragrande maggioranza), salveremmo sì il fosforo, ma perderemmo irrimediabilmente azoto e sostanza organica, che come già detto rappresenta l’elemento fondamentale per il benessere ecologico dei nostri suoli.
La scelta di termovalorizzare (incenerire) i fanghi, deve partire da considerazioni strategiche dei pianificatori regionali e non può essere presentata come l’unica soluzione possibile perché non si riesce a fermare le malefatte di qualche pirata.
Si ritiene che il problema non sia la presenza in legge di un certo fertilizzante, ma le regole che devono essere fissate dalle regioni nel trattamento dei fanghi.
In primis, la scelta di quali fanghi trasformare in modo sicuro e quali invece eliminare con la combustione, ricavandone almeno energia e fosforo.
Il cuore del problema è il seguente ragionamento di coloro che vogliono delinquere: “ricevo fanghi non idonei ad essere impiegati direttamente nei campi (e tantomeno a divenire gessi. Li additivo pesantemente con materiali inerti privi di contaminanti (spendendo meno possibile), così diluisco le concentrazioni di inquinanti e quando mi controllano il prodotto finito, questo è perfettamente in linea con i limiti previsti per i gessi”.
Vogliamo infine sottolineare un concetto fondamentale: i livelli di metalli pesanti, ammessi dalla legge dei fertilizzanti nei gessi (ed in tutti gli ammendanti e correttivi), sono talmente severi che risulta impossibile rispettarli, se non si parte da un fango che abbia circa la metà dei metalli pesanti ammessi dalla norma per lo spandimento in agricoltura di fanghi.
Dunque (senza trattamenti speciali), non si possono fare gessi partendo da fanghi di scarsa qualità e tantomeno “tossici”. Tutto il resto è delinquenza o truffa.
Piacenza, 17 giugno 2021
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