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Stefano Maglia

Ferragosto: vietato distrarsi! Le novità della L. 125/15 su classificazione rifiuti, produttore e deposito temporaneo.

di Stefano Maglia

Categoria: Rifiuti

1. Premessa
Come volevasi dimostrare anche quest’anno entra in vigore giusto a Ferragosto l’ennesima normativa ambientale in materia di rifiuti che scombussolerà non poco l’attività di migliaia di aziende ed operatori italiani.
Infatti sulla G.U. n. 188 del 14 agosto è stata pubblicata la L. 6 agosto 2015, n. 125, di conversione del D.L. 19 giugno 2015, n. 78, una sorta di last minute pre-vacanze, in quanto contemporaneamente tratta di enti locali, sicurezza e controllo del territorio, spese del servizio sanitario nazionale e – dulcis in fundo – rifiuti ed emissioni.
Una premessa di tecnica normativa. Il D.L. 4 luglio 2015, n. 92, che conteneva il testo sostanzialmente identico delle nuove definizioni – in particolare – di produttore rifiuti e deposito temporaneo, non verrà convertito in legge, e pertanto non solo perderà i suoi effetti ex nunc al cessare del sessantesimo giorno dalla sua vigenza, ma accadrà che fino a quella data sussisterebbero nel nostro ordinamento due normative di pari grado che trattano la medesima materia.
Per ovviare a questo problema in realtà ha provveduto la stessa L. n. 125/15, la quale, all’art. 1, c. 3, così dispone: “Gli art. 1 e 2 del decreto-legge 4 luglio 2015, n. 92, sono abrogati. Restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei medesimi articoli 1 e 2 del decreto-legge n. 92 del 2015”.

2. Quale HP14?
Nel merito è doveroso segnalare che le uniche modifiche rispetto a quanto già era stato disposto nel citato D.L. n. 92 sono riportate nell’art. 7 della L. n. 125: la prima, relativa a TARI e TARES, ai commi 4 e 9 “4. All’art. 1, comma 691, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, dopo la parola TARI sono aggiunte le parole “e della TARES”. …[omissis] 9. All’art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, dopo il comma 654 è aggiunto il seguente: “654-bis. Tra le componenti di costo vanno considerati anche gli eventuali mancati ricavi relativi a crediti risultati inesigibili con riferimento alla tariffa di igiene ambientale, alla tariffa integrata ambientale, nonché al tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES).” .
Mentre la seconda, al comma 9-ter, riguarda l’annosa questione dell’HP14, ovvero della caratteristica di pericolosità “ecotossico” introdotta dal Regolamento 1357/2014/UE, il quale prevede che tale caratteristica di pericolo debba essere attribuita ad ogni “rifiuto che presenta o può presentare rischi immediati o differiti per uno o più comparti ambientali”: a tal proposito occorrerà fare riferimento ai “criteri stabiliti nell’allegato VI della direttiva 67/548/CEE”, la quale è stata tuttavia abrogata a partire dal 1 giugno scorso. Nel “Considerando” n. 7 di tale Regolamento si legge peraltro che “Per garantire l’adeguata completezza e rappresentatività anche per quanto riguarda le informazioni sui possibili effetti di un allineamento della caratteristica HP 14 «ecotossico» con il regolamento (CE) n. 1272/2008, è necessario uno studio supplementare”.
L’art. 7, comma 9-ter, del D.L. 19 giugno 2015, n. 78 (c.d. D.L. Enti territoriali), convertito in L. n. 125/2015 (in vigore dal 15 agosto 2015) dispone invece che “Allo scopo di favorire la corretta gestione dei Centri di raccolta comunale per il conferimento dei rifiuti presso gli impianti di destino, nonché per l’idonea classificazione dei rifiuti, nelle more dell’adozione, da parte della Commissione europea, di specifici criteri per l’attribuzione ai rifiuti della caratteristica di pericolo HP 14 «ecotossico», tale caratteristica viene attribuita secondo le modalità dell’Accordo europeo relativo al trasporto internazionale delle merci pericolose su strada (ADR) per la classe 9 – M6 e M7”. Il medesimo riferimento all’ADR era peraltro già contenuto nell’art. 3, comma 6, D.L. 25 gennaio 2012, n. 2.
Dal punto di vista giuridico è corretto affermare che un Regolamento comunitario prevalga rispetto ad un provvedimento nazionale, in questo caso costituito dal D.L. n. 78/2015 (c.d. Enti territoriali) come convertito in L. n. 125/2015. Tuttavia, nello specifico caso in esame, si ritiene che poiché la norma comunitaria rimanda a successivi provvedimenti della Commissione europea ad oggi mai emanati o ad una Direttiva abrogata, sia corretto fare attualmente ed ancora riferimento – nelle more dell’adozione di tali ultimi provvedimenti – alla normativa ADR, ed in particolare alla classe 9 – M6 e M7, come prescritto dalla disciplina nazionale.
Per quanto concerne invece le modifiche introdotte (confermate!) dall’art. 11 nei confronti delle definizioni di cui all’art. 183 del T.U.A. si sottolinea quanto segue.

3. Produttore rifiuto
Innanzitutto si segnala la modifica della definizione di “produttore di rifiuti” (art. 183, comma 1, lett. f), D.L.vo n. 152/2006) operata dall’art. 11, c. 16 bis. La nuova definizione ora individua come produttore “il soggetto la cui attività produce rifiuti e il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione (produttore iniziale) o chiunque effettui operazioni di pretrattamento, di miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti (nuovo produttore)”.
La nuova definizione, pertanto, attualmente individua come produttore (iniziale!) – oltre al soggetto la cui attività produce rifiuti – anche “il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione”.
Ad avviso di chi scrive occorre evidenziare che la suddetta previsione si discosta – ingiustificatamente – da quella comunitaria contenuta nell’art. 3, par. 1, n. 5 della Direttiva 2008/98/CE, in base alla quale è produttore “la persona la cui attività produce rifiuti (produttore iniziale di rifiuti) o chiunque effettui operazioni di pretrattamento, miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti”. Si pensi a tal proposito all’utilizzo della congiunzione “e”, che non trova riscontro nella norma UE e che potrebbe comportare un’estensione non motivata della figura del produttore.
Per quanto specificamente attiene la ricostruzione della tematica inerente la figura del produttore di rifiuti, si evidenzia che anche nella definizione di produttore ex art. 183, comma 1, lett. f), D.L.vo n. 152/2006 antecedente le modifiche in parola, non compare l’avverbio “materialmente”: di conseguenza, è innegabile che il concetto di produttore possa essere ampliato sino a ricondurre nel medesimo un’attività giuridica. Tale circostanza, tuttavia, a parere dello scrivente non giustifica una modifica del testo di legge. A tal proposito si fa notare, per completezza, che in una versione non definitiva della norma in questione in fase di approvazione del DLvo n. 4/2008, il legislatore aveva già ipotizzato l’aggiunta dell’avverbio “materialmente” tra “prodotto” e “rifiuti”, ma tale termine non si è più ritrovato nella versione definitiva.
Passando all’esame della giurisprudenza sul punto, si evidenzia che la pronuncia Cass. Pen., Sez. III, n. 4957 del 21 aprile 2000, secondo la quale “Il riferimento all’”attività” produttrice di rifiuti non può essere limitato solo a quella materiale ma deve essere estesa pure a quella giuridica ed a qualsiasi intervento, che determina, poi, in concreto la produzione di rifiuti, sicché anche il proprietario dell’immobile committente o l’intestatario della concessione edilizia con la quale si consente l’edificazione di un nuovo edificio previa demolizione di altro preesistente devono essere considerati produttori dei rifiuti derivanti dall’abbattimento del precedente fabbricato”, propone un’interpretazione della norma fondata sull’individuazione non in via alternativa, ma concorrente, di due soggetti che parimenti acquisiscono la qualifica di produttori, che non è mai stata riproposta dalla giurisprudenza. Tutt’al più, le successive sentenze in merito si sono soffermate sul concetto di co-responsabilità ex art. 178, D.L.vo n. 152/2006, leggendo la nozione di “attività di produzione di rifiuti” in accordo con la posizione di garanzia e vigilanza su propri dipendenti, sottoposti o delegati (cfr. sul punto Cass. Pen., Sez. III, 9 gennaio 2007, n. 137).
La recente sentenza Cass. Pen., Sez. III, 10 febbraio 2015, n. 5916, conferma invece l’ipotesi in virtù della quale può essere qualificato come produttore dei rifiuti il soggetto cui tale produzione sia riferibile da un punto di vista materiale. Si legge infatti che “gli obblighi connessi alla gestione dei rifiuti stessi non gravano certamente solo sul produttore in senso giuridico, ove questi sia appaltatore delle opere da cui i rifiuti derivino, ma anche, e si direbbe soprattutto, sul produttore in senso materiale”.
E’ evidente, nondimeno, che per questioni pragmatiche sia necessario individuare con certezza il produttore dei rifiuti nel soggetto “la cui attività produce i rifiuti”. Basti pensare, infatti, che tale soggetto sarà deputato alla predisposizione della documentazione inerente la gestione dei rifiuti (SISTRI, FIR, ecc.): qualora si fosse in presenza di più soggetti, tutti aventi la medesima qualifica di produttore (seppur distinguendo fra “iniziale” e “non iniziale”), si avrebbe necessariamente quantomeno il rischio di una duplicazione di tale documentazione, con evidenti problemi relativamente alla correttezza del flusso gestionale.
Con l’ulteriore sentenza Cass. Pen., Sez. III, n. 11029/2015, invece, la Corte affina ulteriormente il proprio ragionamento, prevedendo che il committente assuma la qualifica di produttore solo qualora vi sia, da parte sua, una “ingerenza o controllo diretto sull’attività dell’appaltatore”, e soprattutto nel caso in cui tale ampio coinvolgimento nella gestione dei rifiuti risulti adeguatamente provato. Ciò significa che non sempre ed automaticamente, in caso di appalto, si avranno due produttori di rifiuti: potrebbe infatti darsi il caso che l’ingerenza del committente nella gestione dei rifiuti non si sia concretizzata, ovvero che della stessa non sia fornita evidenza. Risulta quindi chiaro che in tale ultimo caso dovrebbe essere l’appaltatore (e lui solo?) ad essere individuato quale produttore dei rifiuti, stante il dettato normativo di cui all’art. 183, comma 1, lett. f), D.L.vo n. 152/2006.

4. Raccolta rifiuti
Il D.L. n. 92/2015 (e, di conseguenza, anche la L. 125/15) interviene inoltre sulla nozione di “raccolta di rifiuti”, contenuta nell’art. 183, comma 1, lett. o), D.L.vo n. 152/2006, che allo stato attuale così recita: “il prelievo dei rifiuti, compresi la cernita preliminare e il deposito preliminare alla raccolta, ivi compresa la gestione dei centri di raccolta di cui alla lettera “mm”, ai fini del loro trasporto in un impianto di trattamento”. In tal caso è evidente la confusione generata dal legislatore, che ha inserito un rimando al “deposito preliminare” presumibilmente ignorando che lo stesso costituisce in realtà una precisa operazione di smaltimento (D15) contemplata dall’Allegato B, Parte IV, D.L.vo n. 152/2006.

5. Deposito temporaneo
Lo stesso improvvido rimando al “deposito preliminare” è stato inserito nella nuova definizione di “deposito temporaneo” ex art. 183, comma 1, lett. bb), D.L.vo n. 152/2006, la quale attualmente è così formulata: “il raggruppamento dei rifiuti e il deposito preliminare alla raccolta ai fini del trasporto di detti rifiuti in un impianto di trattamento, effettuati prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti da intendersi quale l’intera area in cui si svolge l’attività che ha determinato la produzione dei rifiuti…”. Restano ferme le condizioni di cui ai numeri da 1) a 5) della lett. bb) alle quali è sottoposto il “deposito temporaneo” e che riguardano, tra l’altro, la previsione di limiti quantitativi e temporali entro i quali i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento, nonché la conformità alle norme che disciplinano l’imballaggio e l’etichettatura dei rifiuti pericolosi: il rispetto di tali condizioni esonera il deposito temporaneo dal regime autorizzatorio in materia di rifiuti.
Anche per quanto attiene la nuova nozione di “deposito temporaneo” si registra, ad avviso di chi scrive, un tentativo di allargare l’ambito applicativo di concetto, sulla scia peraltro di una non chiarissima corrente giurisprudenziale nazionale esistente in materia. Peraltro non si comprende – stante l’espresso richiamo ad un’operazione di smaltimento ex Allegato B, D.L.vo n. 152/2006 – in che modo si potrebbe configurare l’effettuazione di un deposito temporaneo come attività preventiva rispetto ad una successiva operazione di recupero. Senza contare che, per definizione, il deposito temporaneo non necessita di alcuna autorizzazione, mentre il deposito preliminare è attività che, come già rilevato, deve essere autorizzata.
Stante il forte impatto che la nuova nozione di “deposito temporaneo” contenuta nel D.L. Enti territoriali potrebbe avere sulla correttezza delle operazioni di gestione dei rifiuti si ritiene che la stessa meriti un apposito approfondimento.
A tal proposito, nel dossier della Camera dei Deputati n. 324 del 9 luglio 2015[1] relativo al precedente D.L. n. 92/2015 (si noti che i contenuti di tale dossier sono riproposti nella scheda di lettura del D.L. n. 79/2015, elaborata dalla Camera dei Deputati e datata luglio 2015[2]) si leggeva che “nella Direttiva 2008/98 non è riportata una definizione di “deposito temporaneo”, che invece si rinviene in alcuni allegati. La direttiva, infatti, distingue, nell’ambito delle operazioni di smaltimento elencate nell’Allegato I tra “deposito permanente” (D1, deposito sul o nel suolo) e deposito preliminare (D15, cioè prima di un’operazione di trattamento e di smaltimento). Viene precisato, in via residuale rispetto al deposito preliminare, che il “deposito temporaneo”, prima della raccolta, nel luogo in cui i rifiuti sono prodotti, è il deposito preliminare alla raccolta a norma dell’articolo 3, punto 10, della direttiva. Si consideri, in proposito, l’integrazione operata dalla lettera b) alla definizione di “raccolta”. Il considerando 15 della medesima direttiva 2008/98 distingue inoltre tra il deposito preliminare dei rifiuti in attesa della loro raccolta, la raccolta di rifiuti e il deposito di rifiuti in attesa del trattamento, per cui gli enti o le imprese che producono rifiuti durante le loro attività non dovrebbero essere considerati impegnati nella gestione dei rifiuti e soggetti ad autorizzazione per il deposito dei propri rifiuti in attesa della raccolta”. Il dossier n. 90 del 15 luglio invece sottolineava come “Il decreto [D.L. n. 92/2015] reca un contenuto omogeneo volto a garantire la prosecuzione dell’attività di impresa attraverso l’uniforme applicazione delle definizioni di produttore, di raccolta e di deposito temporaneo di rifiuti e della disciplina in materia di autorizzazione integrata ambientale, nonché, per gli stabilimenti di interesse strategico nazionale interessati da provvedimenti giudiziari di sequestro di beni, attraverso l’adozione di un piano a salvaguardia della sicurezza sul luogo di lavoro”.
In dottrina è stato evidenziato che l’inserimento del concetto di “deposito preliminare alla raccolta” all’interno della nozione di deposito temporaneo parrebbe discendere proprio dalla Direttiva 2008/08/CE: la “nozione UE di “deposito preliminare alla raccolta” (peraltro già inserita nell’Ordinamento nazionale tramite il dlgs 49/2014 in materia di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche) è pedissequamente alla logica della Direttiva 2008/98/CE trasposta dal DL 92/2015 in due punti del Codice ambientale (con l’evidente fine di adattare quest’ultimo al dettato comunitario), ossia: nella lettera o), comma 1, articolo 183 del dlgs 152/2006 (recante la definizione di “raccolta” di rifiuti); nella successiva lettera bb) dello stesso comma (recante la definizione nazionale di “deposito temporaneo”)”[3]. In merito allo specifico richiamo alla normativa RAEE taluni hanno osservato che, in detto contesto, il “deposito preliminare alla raccolta” di cui all’art. 4, comma 1, lett. cc), D.L.vo n. 49/2014[4] si configura giuridicamente come un deposito temporaneo dal quale, tuttavia, rimane distinto in quanto confluisce successivamente nella raccolta, per cui tale deposito può essere svolto e gestito dal distributore (“detentore” dei RAEE) presso i locali del proprio punto vendita e presso altri luoghi, raccogliendo i RAEE conferiti dai cittadini (“produttori di detti rifiuti): conseguentemente, “se con riferimento alla particolarità dei RAEE … può essere comprensibile introdurre una nuova modalità di deposito … fortissimi dubbi e preoccupazioni suscita il prendere tale “eccezione” e trasportarla nelle regole base della disciplina generale sui rifiuti, estendendo di fatto quella che (si ribadisce) è un’eccezione per una particolare tipologia di rifiuti, inserita in un contesto appositamente disciplinato, a tutti i rifiuti in generale”[5].
Inoltre, taluni Autori hanno messo in luce come “Il deposito temporaneo era sempre stato considerato da effettuarsi nel luogo di produzione dei rifiuti, con divieto di luoghi diversi. In questo basti considerare le eccezioni che confermano a regola (es. l’art. 230, commi 1-4 sulle attività di manutenzione delle infrastrutture, oltre le numerose casistiche relative all’area di produzione dei rifiuti (con divieto di spostamento intraaziendale dell’area: es. da sede periferica a sede periferica, cfr. Cass., sez. III pen., 4 maggio 2007, n. 16955), ora la spazialità si allarga all’area di produzione dei rifiuti)”[6].
In riferimento alla localizzazione del deposito e dunque all’intera area in cui si svolge l’attività, è stato altresì rilevato che “la nuova definizione pare estendere la possibilità di individuazione del deposito temporaneo anche a zone non strettamente collegate al processo produttivo che ha generato il rifiuto (vecchia definizione), valorizzando l’intera attività (quale area composta ad esempio da più processi diversamente dislocati) ed allargando la possibilità fisica per il produttore di identificare anche depositi in posizioni diverse dai luoghi in cui sono identificabili i processi che li hanno generati, sempreché ci si mantenga all’interno dell’attività. In poche parole luoghi diversi accomunati dalla “attività”; aprendo la strada a finzioni giuridiche e dunque a trasferimenti fisici non più solo ad appannaggio delle sole attività di “manutenzione””[7].
E’ evidente, quindi, che la modifica delle summenzionate definizioni (e particolarmente quella di “deposito temporaneo”) non è solo un dato formale, ma implica ricadute operative complesse e – ad avviso di chi scrive – rischiose ed ingiustificate.
La realtà ben evidente è un’altra. Ovvero quella che nell’ambito delle solite norme “ad aziendam” (in tal caso parzialmente giustificata per salvaguardare migliaia di posti di lavoro!) questa volta si sia voluto intervenire modificando improvvidamente definizioni generali anziché inserendo specifiche ed opportune norme ad hoc che non avrebbero fatto male a nessuno ed avrebbero ottenuto lo stesso specifico scopo. È come se per curare una frattura ad un alluce si volesse tagliare la gamba.
C’era bisogno di intervenire nell’ambito del sequestro Fincantieri? Bene. Facciamolo senza fare disastri! In proposito si rammenta la condivisibilissima bozza di emendamento – mai approvato – presentata a luglio dall’On. Piergiorgio Carrescia (Commissione Ambiente alla Camera) che si riporta per esteso:

“Articolo 1
(Modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152)

All’articolo 183, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sono apportate le seguenti modificazioni:
a)
dopo la lettera i) è aggiunta la seguente:
i-bis) luogo di produzione dei rifiuti da costruzione, demolizione e manutenzione di navi e galleggianti: l’intera area del cantiere navale o dell’arsenale in cui si svolgono le attività di costruzione, demolizione e manutenzione di navi e natanti dalle quali sono originati i rifiuti, comprensiva di scali o di bacini ove vengono assemblate le navi, dei moli di allestimento e dei bacini di carenaggio;
b)
dopo la lettera m) è aggiunta la seguente:
m-bis) deposito temporaneo di rifiuti da costruzione e demolizioni di navi e galleggianti: il raggruppamento dei rifiuti effettuato, dal produttore iniziale sub-appaltatore o dall’appaltante stesso, anche per più produttori iniziali sub-appaltatori, all’interno del luogo di produzione di cui alla lettera i-bis), compresa la cernita, preliminare al trasporto ad impianti di stoccaggio o di trattamento; esso deve essere effettuato alle seguenti condizioni:
1) i rifiuti depositati non devono contenere policlorodibenzodiossine, policlorodibenzofurani, policlorodibenzofenoli in quantita’ superiore a 2,5 parti per milione (ppm), ne’ policlorobifenile e policlorotrifenili in quantita’ superiore a 25 parti per milione (ppm);
2) i rifiuti devono essere avviati alle operazioni di stoccaggio o di trattamento entro 72 ore dalla loro produzione;
3) per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;
4) nel rispetto delle norme che disciplinano l’imballaggio e l’etichettatura dei rifiuti pericolosi.
c)
All’articolo 188, comma 3 è in fine aggiunta la seguente lettera:
c) a seguito del conferimento dei rifiuti al gestore del deposito temporaneo di cui alla lettera m-bis) dell’art. 183;
d)
All’articolo 188-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 è aggiunto:
4-ter La movimentazione dei rifiuti effettuata al solo interno del luogo di produzione di cui alla lettera i-bis) dell’art. 183 non deve essere accompagnata dal formulario di identificazione rifiuti. Dai registri di carico e scarico del gestore del deposito temporaneo dovra’ tuttavia risultare il conferimento dei rifiuti dai diversi produttori iniziali.
e)
All’art. 188-ter, primo periodo, dopo le parole “rifiuti pericolosi” sono aggiunte le seguenti:
“esclusi i produttori iniziali di rifiuti da costruzione, demolizione e manutenzione di navi e galleggianti che li conferiscono al gestore del deposito temporaneo di cui alla lettera m-bis dell’art. 183;
f)
All’art. 190, comma 1-bis, è aggiunta la seguente lettera:
c) i produttori iniziali di rifiuti da costruzione, demolizione e manutenzione di navi e galleggianti che li conferiscono al gestore del deposito temporaneo di cui alla lettera m-bis dell’art. 183”.

6. AIA
Da ultimo si segnala anche la reiterazione della modifica apportata dall’art. 11, c. 16-ter, al comma 3 dell’art. 29 del DLvo n. 46/14 in tema di AIA, ove si legge “L’autorità competente conclude i procedimenti avviati in esito alle istanze di cui al comma 2, entro il 7 luglio 2015 (ndr: si noti il paradosso normativo di una legge che fissa un termine precedente alla sua entrata in vigore!). In ogni caso, nelle more della conclusione dei procedimenti, le installazioni possono continuare l’esercizio in base alle autorizzazioni previgenti, se del caso opportunamente aggiornate a cura delle autorità che le hanno rilasciate, a condizione di dare piena attuazione, secondo le tempistiche prospettate nelle istanze di cui al comma 2, agli adeguamenti proposti nelle predette istanze, in quanto necessari a garantire la conformità dell’esercizio dell’installazione con il titolo III-bis della parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni”.

 

[1] In http://documenti.camera.it.

[2] In http://www.camera.it.

[3] DRAGANI V., “Rifiuti, responsabilità estesa”, Italia Oggi, 13 luglio 2015.

[4]Attuazione della direttiva 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE)”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 73 del 28 marzo 2014 – S.O. n. 30 ed in vigore dal 12 aprile 2014.

[5] VATTANI V., “Le novità relative alla nozione di “produttore di rifiuti” e “deposito temporaneo””, in www.dirittoambiente.net.

[6] PIEROBON A., “Decreto-legge “Salva Ilva-Fincantieri”: ma non solo. Le novità”, in www.lexambiente.it.

[7] SAIA O., “Un deposito temporaneo per tutti … almeno per i prossimi sessanta giorni”, in www.focusambiente.it.

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