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Focus RAEE tra “pericolosità e non pericolosità”: un quadro dipinto a tinte chiare e scure
di Giovanni Gulli
Categoria: Rifiuti
Quel labile confine tra “pericolosità” e “non pericolosità”
Le Urban Mining hanno, da tempo, acceso l’attenzione soprattutto sul recupero di talune CRM da alcune tipologie di rifiuti che possiedono una notevole incidenza nella vita quotidiana, sia che la provenienza sia di natura urbana che speciale. Segnatamente, i RAEE (o WEEE, acronimo di Waste of electric and electronic equipment) sono oggetto d’interesse circa la loro valorizzazione ed approvvigionamento delle CRM (1), nonché per la notevole incidenza d’impatto ambientale che generano nel variegato sistema urbano, dalla loro produzione al precipuo settore del recupero/riciclo a fine vita.
Sul tema sono interessanti le recenti analisi valutative sul sistema relativo ai cd rifiuti “pericolosi”, effettuate dalla Corte dei Conti Europea.
Nel documento analitico del 2021 la Corte già evidenziava, in sintesi, la sussistenza di “sfide da affrontare”, relative al rispetto dei vigenti requisiti di trattamento dei rifiuti in questione, alla lotta della gestione irregolare, alle spedizioni illegali e ad altre attività criminose, ed infine al necessario aumento della raccolta per finalità di riciclaggio e riutilizzo di questi rifiuti (2). A distanza di due anni, con ulteriore analisi si è raffigurato come la produzione di rifiuti pericolosi sia in netto e costante aumento dal 2004 nell’intera UE, con estreme difficoltà in ordine ad un tracciamento non affidabile di tali rifiuti, ad un riciclo limitato da impedimenti tecnici, ad un traffico illecito in espansione, nonché con necessità di affrontare sfide future in ragione delle quantità crescenti di rifiuti pericolosi, di un miglioramento della loro classificazione e della loro tracciabilità sin dall’iniziale produzione e fino al loro trattamento finale (3).
Ebbene, la Corte rimembra a tutti noi come in tema di rifiuti pericolosi la Direttiva Quadro n. 2008/98/CE (4) abbia il principale scopo di prevenire e ridurre gli impatti negativi causati dagli stessi, imponendo i tre princìpi fondamentali (5) a cui sono tenuti gli Stati Membri. In sostanza la Corte mira ad evidenziare, nell’elaborato analitico, che ad oggi assistiamo ad un incremento di produzione di potenziali rifiuti di natura “pericolosa”, tuttavia in assenza di virtuosi percorsi di recupero/riciclo, stante la maggior quota di trattamento di rifiuti – di converso – di natura “non pericolosa” (6). Ed ancora, si richiama l’attenzione sui dati normativi stringenti della Dir. 2008/98/CE come se tanto stringenti non siano stati valutati dagli stessi Stati membri, evidenziando come la possibilità per la Commissione di attivare procedure d’infrazione, finalizzate ad imporre agli Stati membri l’applicazione della normativa dell’UE, abbia condotto a 216 istruttorie nei soli ultimi 30 anni (7); con una incidenza delle stesse maggiormente relativa alla necessità di ridurre l’uso delle sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche.
Partendo proprio da siffatte evidenze, dalle quali emerge – preferisco ripetermi – un “aumento di produzione” di potenziali rifiuti di natura pericolosa con riscontro di “aumento di trattamento” di rifiuti di natura non pericolosa, si intende proseguire nell’analisi – tutt’altro che esaustiva – di taluni “aspetti critici” riguardanti proprio l’inquadramento e la classificazione stessa dei cd. RAEE, cercando di vagliare elementi che a prima facie, risultano stonati rispetto ai principi cardine euro-normativamente imposti e prestabiliti.
Cenni sulla normativa comunitaria e sua genesi
I principali riferimenti normativi di livello comunitario, in tema di classificazione dei rifiuti, sono recepiti nel nostro ordinamento per il tramite del D.Lgs. n. 152/2006 (principalmente Parte IV) e ss.mm.ii.
Spiccano, ovviamente, la Dir. Quadro 2008/98/CE sui rifiuti, unitamente alla Decisione 2000/532/CE relativa all’attuale elenco dei codici EER (8). Emergono, altresì, definizioni e criteri relativi alla classificazione, etichettatura ed imballaggio delle sostanze e delle miscele pericolose, contenute nei Regg. UE 2008/1272/CE (Regolamento CLP, acronimo di Classification Labelling and Packaging) (9), 2006/1907/CE (10) e 2008/440/CE (REACH) (11), nonché le disposizioni dei Regg. UE 2014/1357/UE e 2017/997/UE (12), del Reg. 2019/1021/UE (13) che ha abrogato e sostituito il Regolamento 2004/850/CE, relativo agli inquinanti organici persistenti (denominato Regolamento POPs).
Poniamo, dunque, una sintesi utile e chiara ai fini del presente commento. Ai sensi del punto 1 delle definizioni di cui all’Allegato alla Dec. 2000/532/CE, si identifica come “sostanza pericolosa”, una sostanza classificata come tale in quanto conforme ai criteri contenuti nell’Allegato I del Reg. 2008/1272/CE (Regolamento CLP). Pertanto, ai fini di classificazione rifiuti, definito l’aspetto pericoloso di una data sostanza, devono applicarsi i criteri di classificazione ed i valori limite di concentrazione individuati dalla normativa Quadro sui rifiuti (14). Quanto alla catalogazione e ai metodi di prova rispetto alle sostanze pericolose, ex art. 2, co. 2 del Reg. REACH citato, i rifiuti non sono considerati né sostanze, né miscele, né articoli a norma dell’art. 3 dello stesso regolamento, di conseguenza, i requisiti REACH per sostanze, miscele e articoli non si applicano ai rifiuti.
Tuttavia, ciò che rileva è che le sostanze possibilmente contenute nei rifiuti, certamente, non sono esentate dal REACH e che i metodi di prove/ricerca posso essere utilizzati, in quanto i rifiuti non sono altro che prodotti “a fine vita”. Ciò è dimostrato dal fatto che fabbricanti ed importatori, di una sostanza e di miscele soggette a registrazione ai sensi del Reg. REACH, sono obbligati a tener conto della fase del “ciclo di vita” della sostanza, se pertinente e conformemente ai dettagli del REACH, soprattutto quando, ad esempio, devono effettuare valutazioni circa gli “scenari di esposizione” all’utilizzo di determinate sostanze in contesti produttivi e non solo (15). Quindi, di primaria importanza sono le informazioni relative alle sostanze chimiche reperite in ambito REACH ed il loro successivo utilizzo nel contesto della classificazione CLP, anche ai fini della classificazione dei rifiuti (16).
Quanto, poi, al Regolamento POPs, si applica in ragione delle sostanze elencate nei suoi allegati, ai rifiuti costituiti da POPs, contenenti o contaminati con gli stessi in concentrazioni superiori ai valori limite; gli stessi devono essere smaltiti o recuperati con tempestività e conformemente al Regolamento POPs, in modo da garantire che gli inquinanti organici persistenti siano distrutti o trasformati irreversibilmente ed i rifiuti residui e i rilasci non presentino alcuna caratteristica degli inquinanti organici persistenti (17). Citazione, seppur breve, merita il Reg. 2006/1013/CE relativo alle spedizioni di rifiuti, con il quale – per diretta applicazione – si prevedono procedure, condizioni e requisiti specifici in ordine alle spedizioni transfrontaliere di rifiuti, comprese le spedizioni tra gli Stati membri. Ai fini di identificazione e classificazione dei rifiuti in sede transfrontaliera, bisogna riferirsi agli Allegati III e IV del Reg. 1013/06 CE, ove per univoche scelte internazionali l’approccio classificativo risulta diverso da quello delle voci EER (18).
Subito dopo l’ultima modifica alla Dec. 2000/532/CE (datata 2017) si è delineata la necessità di fornire chiarimenti ed orientamenti alle autorità nazionali, alle autorità locali e alle imprese circa l’omogenea e puntuale interpretazione e applicazione della normativa UE in materia di classificazione dei rifiuti. Obiettivo, questo, perseguito con l’adozione della Comunicazione della Commissione del 2018, recante “Orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti” (19). Ove, già nel preambolo, si evidenziava nettamente l’approccio metodologico ed analitico considerato, in quanto siffatti chiarimenti dovevano risultare utili “in merito all’identificazione delle caratteristiche di pericolo, valutando se i rifiuti presentano una qualche caratteristica di pericolo e, in ultima analisi, classificando i rifiuti come pericolosi o non pericolosi”.
Giova rimarcare che il dato di partenza iniziale doveva (e deve) essere la “identificazione delle caratteristiche di pericolo” dei rifiuti, giungendo ad una corretta distinzione tra ciò che generi “pericolo” e ciò che, in sostanza, generi “non pericolo” (20). Nel quadro nazionale, le disposizioni sulla classificazione dei rifiuti previste dalla Dec. 2000/532/CE e ss.mm.ii. sono trasfuse nell’allegato D alla Parte IV del D.Lgs. n. 152/2006, ove si riporta che “i rifiuti contrassegnati da un asterisco (*) nell’elenco di rifiuti sono considerati rifiuti pericolosi” (21); mentre per “rifiuti cui potrebbero essere assegnati codici di rifiuti pericolosi e non pericolosi, si applicano le seguenti disposizioni: l’iscrizione di una voce nell’elenco armonizzato di rifiuti contrassegnata come pericolosa, con un riferimento specifico o generico a “sostanze pericolose” è opportuna solo quando questo rifiuto contiene sostanze pericolose pertinenti che determinano nel rifiuto una o più caratteristiche di pericolo da HP1 a HP8 e/o da HP10 a HP 15 di cui all’allegato I alla Parte IV del D.Lgs. n. 152/2006”. Ed ancora, “una caratteristica di pericolo può essere valutata utilizzando la concentrazione di sostanze nei rifiuti, come specificato nell’Allegato I, Parte IV del D.Lgs. n. 152/2006 o, se non diversamente specificato nel regolamento (CE) n. 1272/2008, eseguendo una prova conformemente al regolamento (CE) n. 440/2008 o altri metodi di prova e linee guida riconosciuti a livello internazionale, tenendo conto dell’art. 7 del regolamento (CE) n. 1272/2002 per quanto riguarda la sperimentazione animale e umana”; ove opportuno, si possono anche considerare, per alcune caratteristiche di pericolo, le note contenute nell’allegato VI del Reg. (CE) n. 1272/2008 (22).
Solo al termine di tale metodo indirizzato verso la valutazione delle caratteristiche di pericolo “si assegnerà l’adeguata voce di pericolosità o non pericolosità dall’elenco dei rifiuti. Tutte le altre voci dell’elenco armonizzato sono considerate rifiuti non pericolosi”.
Il meccanismo, dunque, non solo è chiaro, bensì si specifica anche grazie ai chiarimenti tecnici di cui agli “Orientamenti” della Commissione del 2018, appena citati.
In sintesi: i) prima si considerano le voci contrassegnati da un asterisco (*) come rifiuti pericolosi; ii) se, invece, una voce contiene un riferimento specifico o generico a “sostanze pericolose”, allora la stessa ha ragione di essere contrassegnata come pericolosa (con *) quando il rifiuto contiene “sostanze pericolose pertinenti” che determinino, nel rifiuto, (anche solo) una o più caratteristiche di pericolo; iii) la caratteristica di pericolo può essere, poi, valutata utilizzando gli indici di concentrazione delle sostanze nei rifiuti con adeguate prove conformi al Reg. REACH, ovvero tramite altri metodi di prova e linee guida riconosciuti a livello internazionale; iv) ogni restante rifiuto, rimasto fuori dal metodo testé citato, riceve voce residuale di “non pericolosità”.
Quindi, il dato procedimentale non solo è chiaro, bensì estremamente lapalissiano. Così come per le cd voci “a specchio o speculari” la stessa caratteristica di pericolosità dipende concretamente dalla presenza di sostanze pericolose “pertinenti” alla caratteristica stessa “originaria e produttiva”; ragion per cui la ricerca di siffatta/e sostanza/e è un dato imprescindibile, al pari della citata “pertinenza” quale diretta correlazione del rifiuto con la sua caratteristica nocività.
Un breve tuffo nel passato normativo europeo, è utile per comprendere la genesi di un tale approccio. La Direttiva del Consiglio 75/442/CEE (23) sui rifiuti, come modificata dalla Dir. 91/156/CEE (24), introduceva all’art. 1, par. 1, lett. a), la definizione di “rifiuto” ovvero: “qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate in Allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi”. Con la Dec. 94/3/CE venne istituito l’elenco dei rifiuti, meglio noto come “Catalogo Europeo dei Rifiuti” (CER) (25), applicabile a tutti i rifiuti destinati al recupero o allo smaltimento e con un elenco armonizzato. Venivano definiti e novellati, ex art. 3, gli obiettivi di prevenzione e riduzione della produzione e della “nocività” dei rifiuti.
Già allora, dunque, è evidente come si volesse prevenire e ridurre la produzione dei cd. beni a fine vita e la loro potenziale “nocività”. In applicazione, poi, dell’art. 2 della Dir. 91/156/CEE, veniva emanata la Dir. del Consiglio 91/689/CEE (26) dedicata appunto ai rifiuti pericolosi che, ex art. 1, mirava a riavvicinare le legislazioni degli Stati membri sulla gestione controllata dei rifiuti pericolosi. Con la conseguente Dec. 94/904/CE (27) il Consiglio forgiava l’elenco dei rifiuti pericolosi, ai sensi dell’art. 1, par. 4 della Dir. 91/689/CEE relativa ai rifiuti pericolosi. Inoltre, seguendo quanto previsto dall’art. 3 della Dir. 91/156/CEE, contenente il sopra citato concetto di “nocività” si sottolineava, per la prima volta, che l’analisi basilare era quella di poter classificare i rifiuti stessi secondo un primordiale (ed oggi conclamato) “principio di precauzione ambientale”; dunque, considerando che la presenza di talune sostanze (appunto, nocive) avrebbe dovuto porre quello spartiacque necessario tra un rifiuto “pericoloso” ed un “non pericoloso”.
Esistevano, perciò, due elenchi originari di rifiuti, con la netta distinzione tra rifiuti pericolosi e non pericolosi. Tuttavia, vista la previsione normativa di cui all’art. 1, par. 4 della Dir. 91/689/CEE (rifiuti pericolosi) e previa disamina di numerose notifiche ricevute dalla Commissione, si perveniva alla successiva adozione della Dec. 2000/532/CE al fine di unificare il catalogo europeo dei rifiuti con quello dei rifiuti pericolosi, introducendo altresì modifiche sostanziali proprio in riferimento a questi ultimi (28).
Per la prima volta nella decisione del 2000 nasceva l’esigenza di separazione dei rifiuti pericolosi contrassegnati da un asterisco (*) (già previsto dalla Dir. 91/689/CEE), con i restanti rifiuti non recanti, appunto, “caratteristiche di pericolosità” e/o “sostanze pericolose”. Il principio adottato era che per “sostanza pericolosa” doveva intendersi qualsiasi sostanza “che è o sarà classificata come pericolosa ai sensi della Dir. 67/548/CEE e successive modifiche”, relativa alla classificazione, all’imballaggio e all’etichettatura delle sostanze pericolose (29). Inoltre, si poneva riferimento ai cd. metalli pesanti (30) e si specificava, altresì, che se un rifiuto fosse stato identificato come pericoloso mediante riferimento, specifico o generico, a sostanze pericolose, esso doveva classificarsi come pericoloso; quando tali sostanze avessero raggiunto determinate concentrazioni (ad esempio, con % rispetto al peso) da conferire al rifiuto una o più delle proprietà di cui all’Allegato III della Dir. 91/689/CEE.
In pratica, ex art. 2 della Dec. 2000/532/CE e ss.mm.ii, si prevedeva sostanzialmente un “meccanismo automatico”: a) i rifiuti che presentavano una o più caratteristiche indicate in Allegato III alla Direttiva 91/689/CEE, venivano considerati come “pericolosi”; b) al fine di non dover modificare ripetutamente l’elenco di tali rifiuti, ogni volta che si classificava una “nuova” sostanza come “pericolosa” ai sensi della Dir. 67/548/CEE e fosse stata presente in un rifiuto descritto con voce “speculare”, questo doveva (da quel momento in poi) intendersi classificato come “pericoloso”; c) ovviamente, ciò poteva avvenire qualora la concentrazione della sostanza stessa avesse raggiunto i limiti previsti dall’art. 2 della Dec. 2000/532/CE. Un meccanismo, questo, che riecheggiava il successivo concetto di sostanza pericolosa “pertinente o collegata” alle caratteristiche di pericolosità del prodotto/rifiuto, ovviamente fondato sull’originario concetto di “nocività” delle sostanze rilevanti. In aliis verbis, si concretizzava, già allora, un potenziale “nesso di pertinenzialità” tra sostanza pericolosa e caratteristica di pericolo del rifiuto stesso, in quanto caratteristica originaria del processo del prodotto stesso.
La Dec. 2000/532/CE, poi, veniva modificata dalle Dec. 2001/118/CE (31) e 2001/119/CE (32) della Commissione, dalla Dec. 2001/573/CE (33) del Consiglio e da ultimo dalla Dec. 2014/955/UE (34) della Commissione, viste le numerose notifiche esaminate dalla Commissione a partire dal 2000 e tenuto conto pure dell’evoluzione nelle tecniche di gestione dei rifiuti. E ad oggi, pur in seguito a diverse modifiche intervenute nel tempo, l’elenco degli EER è trasfuso nella nostra normativa nell’Allegato D della Parte IV di cui al D.Lgs. n. 152/2006, con complessivo recepimento di tutte le definizioni di cui alla Dec. 2000/532/CE per come nel tempo modificata, ovvero con ogni richiamo alle specifiche definizioni (35).
Rilevanza dei criteri classificativi
Per una iniziale e corretta gestione dei rifiuti, bisogna necessariamente porre un’esatta classificazione, qualificando il rifiuto secondo l’origine, in rifiuti urbani o rifiuti speciali e, secondo le caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi o non pericolosi (36). La classificazione dei rifiuti è, dunque, un passaggio preliminare e fondamentale i cui effetti si riverberano su tutte le fasi successive della gestione dei rifiuti, ovvero sui trattamenti previsti (recupero e/o smaltimento ecc), sul conferimento presso determinati impianti piuttosto che in altri, sulla produzione o meno di EoW dal ciclo verificato del rifiuto trattato. La stessa classificazione dei rifiuti (in urbani o speciali, e poi in pericolosi o non pericolosi) dipende innanzitutto da come i rifiuti vengono individuati e descritti tramite gli appositi codici dell’Elenco Europeo Rifiuti (EER), seguendo il dettame della Dec. 2000/532/CE e individuando il rifiuto corrispondente nell’elenco riportato nell’Allegato a tale decisione, a sua volta integralmente riportato nell’Allegato D alla Parte IV del nostro D.Lgs. n. 152/2006.
Secondo la Dec. 2000/532/CE, sussistono sostanzialmente tre diverse tipologie di voci di rifiuti, ovvero: – rifiuti pericolosi “assoluti” e contrassegnati da un asterisco (*), i cd “AH” (Absolute Hazardous); – rifiuti non pericolosi “assoluti”, per provenienza, con nomenclatura “ANH” (Absolute Non Hazardous); – rifiuti che possono essere tanto pericolosi “quanto” non pericolosi, a seconda che contengano taluni “componenti pericolosi” o talune “sostanze pericolose” e che queste raggiungano o meno determinate concentrazioni di soglie limite, normativamente previste, evidenziati con le voci “a specchio” MH o MNH (rispettivamente, Mirror Hazardous and Mirror Non Hazardous). Come detto, classificare un rifiuto come pericoloso o non pericoloso determina riflessi importanti, posto che la classificazione del rifiuto incide sul regime autorizzativo da valutare, sulla destinazione finale del rifiuto, sulle sanzioni previste per i casi di gestione abusiva e con incidenza, soprattutto, sul regime gestionale finalizzato alle operazioni di trattamento, siano esse di recupero e/o di smaltimento.
È opportuno, quindi, sin da adesso ricordare che proprio a seguito di un processo di trattamento, o di pretrattamento, da un’iniziale voce di classificazione si può pervenire alla produzione di un nuovo possibile rifiuto, con presenza di un nuovo soggetto produttore sul quale incombe l’onere di “successiva” classificazione del rifiuto neo-prodotto, in ragione delle sue novelle caratteristiche (37).
In linea con quanto detto, è utile richiamare sinteticamente i principi cardine di cui alla Dir. 2008/98/CE (quadro rifiuti), magari ponendo mente anche a quel passato regolatorio e decisionale comunitario in precedenza citato. In sintesi, secondo i criteri quadro di classificazione, ogni operatore deve: – utilizzare l’elenco europeo dei rifiuti, di cui alla decisione della Commissione; – verificare l’utilizzo per categoria e provenienza dei rifiuti, per descrizione di cicli produttivi con ricerca e valutazione del capitolo e sub-capitolo (livello I e II delle coppie di numeri – xx yy): – individuare le voci di “pericolo assoluto”, per i rifiuti considerati pericolosi senza dover ricorrere a ulteriori valutazioni (formazione per coppie – xx yy zz con *), in ragione di provenienza e composizione; – parimenti e di converso, valutare quelle voci di “non pericolo assoluto” senza dover ricorrere a ulteriori valutazioni (formazione per coppie – xx yy zz); – infine, considerare le potenziali e previste “voci a specchio”, definenti la speculare esistenza tra pericolosità/non pericolosità di tipologie similari di rifiuti, in quanto alcuni possono essere o meno pericolosi in ragione di valutazioni ulteriori. A fini di tale ultima determinazione, si deve definire se i rifiuti oggetto di classificazione presentino: – anche “solo” una o più delle “caratteristiche di pericolo” definite nella direttiva quadro; – ovvero, se contengano, previa ricerca, valori di precipui inquinanti al di sopra delle soglie stabilite.
A tutta evidenza, quindi, i previsti criteri di classificazione dei rifiuti trovano fondamento, in primis e per talune tipologie di rifiuti, nella determinazione del ciclo di produttivo generatore del rifiuto; in secundis e per altre tipologie, nella funzione originaria che il prodotto utilizzato possedeva ab origine, ovvero prima della sua destinazione a fine vita. Si è previsto, in sostanza, un meccanismo di coordinamento a formazione sequenziale di “n. 3 coppie di numeri” per le voci di codice EER da dover assegnare ad un dato rifiuto (per capitoli, sub-capitoli e indicazione tipologie). Tale sistema vede le due cifre iniziali corrispondere alle cd “categorie industriali/produttive e generative del rifiuto” (coppia di I livello), le due cifre intermedie riferite alla sub-categoria dei diversi “processi di produzione o attività” generativi del rifiuto (coppia di II livello), e le ultime due cifre riferibili alle specifiche e potenziali “tipologie di rifiuto generabili” (coppia di III livello).
In tal modo, si evidenzia un concetto gerarchico di ricerca pertinenziale rispetto alla genesi e alle caratteristiche del rifiuto, onde classificare correttamente lo stesso, ovvero: I) preminenza valutativa conferita al cd “ciclo produttivo” o “funzione originaria del prodotto”; II) valutazione intermedia dei cd “processi di produzione o attività” intrinseche ai differenti comparti di produzione; III) ricerca finale delle “tipologie di rifiuto generabili”. Dunque, anche in ragione del passato sopra evidenziato, risulterà chiaro come i criteri di classificazione di matrice euro-unitaria siano rimasti radicati ai primordiali dati di formazione citati. Nonché si è voluta strutturare una formazione ed un utilizzo delle voci EER che potesse risultare coordinata ed in linea con il valore assegnato agli elementi di provenienza ed alle caratteristiche, tenuto conto delle diverse tipologie dei rifiuti.
The “Mirror entrys” case: posizioni dottrinali e giurisprudenziali nazionali ed europee
Le recenti Linee Guida SNPA di cui alla Delibera n. 105/2021 (38), evidenziano, quale previsto orientamento in tema di classificazione dei rifiuti (con evidente interessamento per l’utilizzo delle voci “a specchio”), l’utilità di taluni “chiarimenti interpretativi e specificazioni in relazione alla classificazione dei rifiuti sono contenuti nella sentenza della Corte di Giustizia Europea (Decima Sezione) del 28 marzo 2019, relativa alle cause riunite da C-487/17 a C 489/17”, con citazione delle considerate conclusioni (39). A ciò si aggiunga, prima di ogni altra osservazione, come il MITE fornisca specifico chiarimento (con Circolare del 17.10.2022) alle posizioni espresse nelle Linee Guida citate (approvate con il D.D. 47 del 09.08.2021) in relazione ai rifiuti RAEE, osservando che “[…] la classificazione di un’apparecchiatura dipende quindi dalla presenza o meno di componenti pericolose che può evidentemente essere valutata sulla base delle informazioni fornite dai produttori dell’apparecchiatura stessa” (40).
Sintetizziamo, quindi, il dictum decisorio, assunto con il parto tri-gemellare di natura giurisprudenziale, che – visto la valenza esegetica nel nostro ordinamento – sarebbe stato quanto mai opportuno citare nelle stesse Linee Guida testé richiamate.
Preliminarmente, posto doveroso cenno al disposto dell’art. 184 ed agli Allegati D e I alla Parte IV del nostro D.Lgs. n. 152/2006, la Corte – su tre fronti decisori conseguenziali l’uno all’altro, in medesima udienza – analizza, puntualmente (onde dirimere pure il dibattito dottrinale accesosi), i punti cardine della pronuncia comunitaria d’effetto pregiudiziale, allineandosi chiaramente con quanto statuito dalla GCUE, ovvero che: – la classificazione dei rifiuti non può considerarsi una mera formalità (42); – ex art. 7, par. 1, della Dir. 98/2008/CE, nel caso in cui non sia all’istante nota la composizione di un rifiuto che potrebbe rientrare tra quelli classificabili con codici speculari, è obbligo del detentore raccogliere le informazioni idonee ad “acquisire una conoscenza sufficiente” di composizione del rifiuto, per assegnare l’EER appropriato (43); – oltre ai “Metodi di prova” di cui all’Allegato III della Dir. 98/2008/CE, sussiste la possibilità di fare riferimento: – alle informazioni di processo chimico o di processo di fabbricazione che “generano i rifiuti”, nonché circa le relative sostanze in ingresso e intermedie, inclusi pareri di esperti; – alle informazioni fornite dal produttore originario della sostanza o dell’oggetto, prima che diventino rifiuti, ad esempio schede di dati di sicurezza, etichette o schede di prodotto; – alle banche dati sulle analisi dei rifiuti disponibili a livello di Stati membri; – al campionamento e all’analisi chimica dei rifiuti, evidenziando che analisi chimica e campionamento devono offrire garanzie di efficacia e di rappresentatività (44); – se, da un lato, al detentore del rifiuto non possono essere imposti obblighi irragionevoli, dal punto di vista tecnico ed economico, dall’altro questi, “pur non essendo obbligato a verificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa nel rifiuto”, ha comunque l’obbligo di “ricercare quelle che possano ragionevolmente trovarvisi”, escludendosi ogni margine di discrezionalità in tal senso (45); – l’interpretazione trova conferma nella Comunicazione della Commissione del 2018, contenente orientamenti tecnici sulla classificazione, risultando conforme al principio di precauzione (46); – non può escludersi che possano essere presi in considerazione anche metodi di prova sviluppati a livello nazionale, a condizione che siano riconosciuti a livello internazionale (47); – deve sempre sussistere un “bilanciamento tra principio di precauzione, fattibilità tecnica e la praticabilità economica”, affinché i detentori di rifiuti non siano obbligati a verificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa nel rifiuto in esame (de-classificazione – SIC!), ma possano limitarsi a “ricercare le sostanze che possono essere ragionevolmente presenti” e valutare le caratteristiche di pericolo su calcoli o prove in relazione a tali sostanze (48).
Infine, citando il punto 60 della Decisone della CGUE, si evidenzia come per i Giudici europei “una misura di tutela come la classificazione di un rifiuto mediante attribuzione, se pericoloso, di codici a specchio, è necessaria qualora, dopo una valutazione dei rischi quanto più possibile completa tenuto conto delle circostanze specifiche del caso di specie, il detentore di tale rifiuto si trovi nell’impossibilità pratica di determinare la presenza di sostanze pericolose o di valutare la caratteristica di pericolo che detto rifiuto presenta, sebbene tale impossibilità pratica non possa derivare dal comportamento del detentore stesso del rifiuto”. Appariva, quindi, scontato il derivato discostamento della Suprema Corte dalle “due tesi interpretative che si sono contrapposte nel corso degli anni e comunemente individuate come tesi della probabilità e tesi della certezza già ritenute non condivisibili da questa Corte nell’ordinanza di rimessione” (49).
A questo punto è opportuno richiamare i cardini dei due orientamenti dottrinali, attori dell’appassionato dibattito, in modo da avere una visione chiara ed utile al prosieguo argomentativo.
Le due principali posizioni dottrinarie – maggioritarie, ma non isolate (50) – note come “teoria della certezza” e “teoria della probabilità”, si vedevano contrapposte (e magari lo sono ancora!) in quanto: a) la prima posizione (sostanzialmente della “presunzione di pericolosità”) considera che il rifiuto con voce “a specchio” sarebbe da classificare sempre come pericoloso, salvo che a fronte di una esaustiva conoscenza del rifiuto, basata sull’individuazione analitica di tutte le sostanze che lo compongono, il produttore sia in grado di escludere la presenza di dette sostanze con un metodo di “de-classificazione” del rifiuto in non pericoloso (“presunzione di pericolosità” con onere a carico del produttore/detentore) (51); b) a mente della seconda posizione (per meglio leggersi, della cd “ricerca pertinenziale”), contrariamente, i rifiuti con codice “a specchio” devono essere oggetto di verifica esclusivamente delle sostanze “probabilmente” rinvenibili nel rifiuto, in quanto inerenti al ciclo produttivo che l’ha generato (52).
Se da un lato, in sentenza, si afferma puntualmente come debba essere “esclusa la presunzione di pericolosità […] ed il conseguente obbligo per il detentore del rifiuto di dimostrarne, attraverso analisi, la non pericolosità, dovendo in alternativa classificare comunque il rifiuto come pericoloso ostandovi in maniera evidente, quanto indicato dai giudici di Lussemburgo nel punto 45 della sentenza”; parimenti, secondo gli Ermellini, neppure può accettarsi la concessione di qualsivoglia “margine di discrezionalità” in capo al detentore del rifiuto circa la natura dell’accertamento, in quanto, pur esulando la verifica di assenza di qualsiasi sostanza pericolosa, comunque devono ricercarsi quelle sostanze “che possano ragionevolmente trovarvisi” (53). Dunque, a parere di chi scrive, la Corte, calcando le linee della “responsabilità” di gestione nella classificazione del rifiuto ricadente in capo al produttore/detentore, secondo canoni e principi oramai noti, ed allineandosi ai dettami euro-unitari evidenziati dalla CGUE, ha inteso, da un lato, contenere le derive di maggior carico in relazione agli obblighi previsti sulle figure citate; dall’altro, puntualizzare talune esigenze di non elusione di un sistema predeterminato (anche a livello europeo) in termini di tutela ambientale e di concetti, ovviamente, penalmente rilevanti (54).
Una posizione, questa, non nuova al sistema di cautela austera e mediata della Corte di Cassazione in tematiche d’ordine ambientale, ciò nonostante, per come si segnalerà nelle finali osservazioni, forse il dettame della Suprema Corte non è completamente dissimile da almeno una delle posizioni teoriche appena citate.
Allo stato dell’arte, si vorrebbe più che altro comprendere come siffatto dictum decisorio – neppure richiamato in senso alle redatte Linee Guida SNPA 2021/22 – possa concretamente esternarsi nel mondo pratico della classificazione dei rifiuti, con utilizzo delle voci “a specchio” ove necessario e in taluni casi particolari. Ci si pone un tale quesito, in quanto dirigendo uno sguardo analitico sulle pregresse Linee Guida SNPA del 2019 (55), si può verificare come già in queste siano presenti taluni “discostamenti” dai canoni previsti a livello europeo, comunque opportunamente analizzati dalla Suprema Corte nelle pronunce sopra citate (56). In altre parole, per quel che qui interessa, con un meccanismo di tal guisa, “discostato e/o consentito” dall’approccio comunitario, relativamente ai RAEE si è sostanzialmente escluso – con potenziali conseguenze che meglio vedremo infra – il possibile utilizzo di valutazioni applicative di voci europee “a specchio”, tramite la netta considerazione delle stesse come voci di natura “assoluta”. In più, si tenga conto che al 2019 neppure esisteva, ancora, quella disposizione di cui all’art. 184, co. 5, del D.Lgs. n. 152/2006 sulla quale si fonda, attualmente, l’efficacia “parificata alla legge” delle Linee Guida redatte successivamente nel 2021.
Pertanto, in casi di difficile determinazione della effettiva pericolosità o meno del rifiuto (per sola provenienza e composizione) come nei rifiuti definibili complessi/compositi, non solo si è concretamente escluso il meccanismo di “utilità necessaria” (che la CGUE evidenzia – SIC!) delle cd voci “a specchio”, bensì si sono resi perfettamente inutilizzabili i cardini argomentativi oggetto dello stesso dictum della Suprema Corte. Ed ancora, proprio a voler semplificare la situazione già complessa per gli stessi RAEE (con presenza terminologica, nelle voci EER 16.02.13* “contenenti componenti pericolosi” e 16.02.14 “diverse da quelle di cui alle voci da__a__” o nei codici 16.02.15* “componenti pericolosi” e 16.0216 “componenti […] diversi da quelli di cui alla voce”, espressa con locuzioni “generiche differenziate” necessitanti verifiche di processo originario e/o possibili ricerche pure analitiche di sostanze pertinenti per caratteri di pericolosità originaria/produttiva), in seno alle Linee Guida 2019, si evidenziava finanche come “possibile” la presenza di talune sostanze e componenti che quantomeno godevano di un concreto margine di pericolosità, rispettivamente intrinseco e/o produttivo.
Appare, quindi, senz’altro evidente l’esplosiva commistura tra regole classificatorie riguardanti i rifiuti descritti in senso “assoluto” (provenienza e composizione, magari di natura merceologica e non solo) e ricerche riferibili a concreti codici “a specchio”. Tutto ciò in ragione dell’utilizzo di considerazioni descrittive “possibilistiche”, della trasformazione di talune voci da “specchio” in “assoluti”, con richiamo al precisato onere di verifica (circa l’origine e la composizione del rifiuto) ai fini di una procedura di classificazione ricadente in capo al produttore. Con buona pace di quelle conseguenze sperequative da evitare secondo l’interpretazione fornita dalla CGUE e ampiamente ripresa dalla nostra Corte di legittimità, anche in termini di ricerca di ciò che possa “ragionevolmente trovarvisi”.
Ebbene, forse si può ipotizzare che la scelta di considerare talune voci “in senso assoluto” (verificabili certo per origine) sia imputabile ad “incertezze e/o impossibilità” valutative circa la definizione di taluni componenti e loro sostanze; con diretta conseguenza di evitare, in tal modo, verifiche secondo canoni di voci “a specchio” e motivazioni circa le evidenti ragioni di “pertinenzialità” sostanziale delle ricerche stesse. Tuttavia, si è dimenticato che, in ipotesi di manifeste “incertezze e/o impossibilità” conoscitive sulla composizione di un rifiuto, per rispetto di quel “principio di precauzione” operante in sede ambientale, la scelta finale (ovviamente a carico del produttore – SIC!) di una voce di pericolo assoluto attende, tracotante, dietro l’angolo.
Classificazione RAEE: principi UE ed analisi della Corte dei Conti Europea
Come cennato, anche per i RAEE (57) bisogna innanzitutto determinare la corretta provenienza nonché le caratteristiche di pericolosità, ai fini di una puntuale corretta classificazione e assegnazione del relativo codice EER appropriato. In sostanza, ai fini classificatori, bisogna individuare il codice EER secondo le disposizioni contenute nella Dec. 2000/532/CE e nella Dir. N. 98/2008 su rifiuti, come modificata al suo Allegato III riguardante le caratteristiche di pericolo dal Reg. UE n. 1357/2014.
Orbene, anche qui, ex art. 184 (commi 4 e 5) del D.Lgs. n. 152/06, bisognerebbe: a) determinare l’origine dei rifiuti, distinguendoli tra urbani o speciali; b) determinare la composizione dei rifiuti, al fine di classificarli come pericolosi o non pericolosi (il rifiuto con criterio di “composizione certa o indicata” sarà visto con un codice EER pericoloso in senso “assoluto”); c) determinare “ove necessario” taluni valori limite di concentrazione delle sostanze pericolose, con apposite indagini sulle proprietà di pericolo effettivamente possedute dal rifiuto, onde poterlo classificare con codici EER definiti “a specchio”, in modo tale da poter attribuire il codice EER corretto. E qui il meccanismo si inceppa, o meglio si è già fermato alle voci a) e b) evidenziate.
Circa la potenziale “pericolosità o non pericolosità”, magari pure intrinseca, risultano interessanti taluni aspetti da verificare prima di continuare. Sull’origine classificatoria del rifiuto siamo in presenza di una provenienza sia di natura domestica che di natura professionale. A titolo di esempio, possiamo in prima battuta evidenziare che rispetto ai codici EER previsti in elenco, i RAEE (lasciamo per il momento da parte i riferimenti ai “componenti” e loro codici) posso essere suddivisi in: Apparecchiature fuori uso dalla raccolta dei rifiuti urbani: – 20 01 21* – tubi fluorescenti ed altri rifiuti contenenti mercurio; – 20 01 23* – apparecchiature fuori uso contenenti clorofluorocarburi; – 20 01 35* – apparecchiature fuori uso, diverse da quelle di cui alla voce 20 01 21 e 20 01 23, contenenti componenti pericolosi – 20 01 36 – apparecchiature fuori uso, diverse da quelle di cui alle voci 20 01 21, 20 01 23 e 20 01 35 Apparecchiature fuori uso da raccolta del settore produttivo: – 16 02 09* – trasformatori e condensatori contenenti PCB; – 16 02 10* – apparecchiature fuori uso contenenti PCB o da essi contaminate, diverse da quelle di cui alla voce 16 02 09; – 16 02 11* – apparecchiature fuori uso, contenenti clorofluorocarburi, HCFC, HFC – 16 02 12* – apparecchiature fuori uso, contenenti amianto in fibre libere – 16 02 13* – apparecchiature fuori uso, contenenti componenti pericolosi diversi da quelli di cui alle voci 16 02 09 e 16 02 12 – 16 02 14 – apparecchiature fuori uso, diverse da quelle di cui alle voci da 16 02 09 a 16 02 13 Si può notare come – ai fini di distinzione tra un EER pericoloso e non pericoloso – oltre al caratteristico (*), troviamo le locuzioni “contenenti sostanza pericolosa” espressa, ovvero “contenenti componenti” recanti possibili, o meno, caratteri di pericolosità, ovvero ancora il solo termine “diversi”. La differenza non è marginale, in quanto sapere da parte del produttore che sia presente una “data e certa sostanza” non induce ad alcuna valutazione di scelta, il rifiuto sarà pericoloso.
Mentre, conoscere la presenza di taluni “componenti” in un determinato RAEE necessiterebbe la verifica di pericolosità dello stesso componente, onde poter classificare il rifiuto come pericoloso o non pericoloso, anche rispetto al termine “diversi”.
Posto ciò, la stessa direttiva quadro, nel suo preambolo, sottolinea come sia semplice in taluni casi determinare il rapporto correlante tra “sostanza pericolosa” e “rifiuto” (58). Tuttavia, in differenti situazioni “tale processo decisionale è più difficile”, tanto da necessitare successivamente l’adozione di quegli “Orientamenti” utili circa la definizione/classificazione stessa dei rifiuti, “comprese informazioni sulle esclusioni dall’ambito di applicazione della direttiva quadro sui rifiuti, nonché esempi desunti dalla giurisprudenza vincolante della CGUE” (59). Ed ancora, la direttiva quadro definisce con il termine “rifiuto pericoloso” al suo art. 3, par. 2 quel “rifiuto che presenta una o più caratteristiche pericolose di cui all’allegato III”, pertanto la conseguenziale determinazione “se una sostanza o un oggetto possano essere considerati un rifiuto a norma della direttiva quadro sui rifiuti è una decisione importante; altrettanto importante è stabilire se un rifiuto debba essere classificato come rifiuto non pericoloso o rifiuto pericoloso”. Al pari di quanto evidenziato, si enuncia ancora che “la gestione dei rifiuti pericolosi è soggetta a condizioni rigorose”, tali da evidenziare la necessaria obbligatorietà “di fornire elementi di prova ai fini della tracciabilità dei rifiuti secondo il sistema messo a disposizione dallo Stato membro” (60). Oltre al doveroso rispetto del “divieto di miscelazione” (onde evitare, ad esempio, miscelazioni con scopo diluitivo delle sostanze pericolose), ovvero ancora, il rispetto degli “obblighi specifici in termini di etichettatura e imballaggio” (61). A ciò si aggiunga che lo stesso testo normativo europeo richiede che i rifiuti pericolosi siano gestiti e trattati esclusivamente in impianti di trattamento dedicati (62).
Su tali temi la stessa Corte dei Conti Europea ha ben tratteggiato il quadro di riferimento attuale, non discostandosi dalle “perplessità” già insite nel contenuto di preambolo della direttiva quadro. Ovvero, ha delineato a chiare lettere che “rispetto alla classificazione di questi rifiuti (pericolosi) sussiste evidentemente una difficoltà negli stati membri, da parte degli operatori di sistema, nell’applicare l’elenco europeo dei rifiuti, anche in ragione di una disomogeneità nella definizione di rifiuti pericolosi tra le normative dell’UE in materia di sostanze chimiche e di rifiuti. In soldoni, trovandosi dinanzi a numerose (quasi la metà) di voci specchio, gli stessi detentori/produttori di rifiuti fanno spesso fatica a stabilire se si tratti di rifiuti pericolosi o meno, dal momento che per farlo avrebbero bisogno di conoscerne la composizione chimica e tali informazioni non sono sempre disponibili, con l’evidente conseguenza che talune tipologie di rifiuti sono magari interpretare e classificate in modo diverso tra loro” (63).
Ecco, dunque, uno dei motivi principe, secondo la C.C.E., per il quale nel 2018 la Commissione ha dovuto affrontare la questione pubblicando gli orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti. Tuttavia, ancora oggi, il problema sembra permanere (64), al più (per come si è potuto notare) relativamente alla casistica delle voci identificative dei RAEE, magari qualche Stato ha ben pensato di evitare talune difficoltà eliminando alla radice il meccanismo delle cd voci “a specchio”, in favore di voci “assolute”. La C.C.E. continua, poi, nel sottolineare che se pure si è inciso a livello europeo sulla prevenzione nella produzione, sviluppandosi prodotti che siano sostenibili ed il cui impatto ambientale sia minimo, vale a dire perseguendo una progettazione ecocompatibile con netto coordinamento con la direttiva quadro, il meccanismo d’informazione previsto (in favore degli impianti di trattamento) certamente non ha ancora prodotto i risultati sperati, vista l’evidenza di certi dati allarmanti (65).
Difatti, se da un lato la Dir. 2009/125/CE (66) istituisce una cornice per l’elaborazione di requisiti per la progettazione ecocompatibile dei prodotti connessi all’energia e consente l’adozione di requisiti specifici per una tale progettazione, facendo ovviamente salva la normativa dell’Unione in materia di gestione dei rifiuti; dall’altro, la Dir. 2012/19/UE in tema di AEE e RAEE, integra la normativa dell’Unione in materia di gestione dei rifiuti con riferimento esplicito alla Dir. 2008/98/CE.
Tuttavia, ad oggi, bisognerebbe verificare nei livelli nazionali se siffatte disposizioni europee abbiano prodotto i risultati sperati. Ovvero, se, ad esempio, la circolazione di quelle “pertinenti (anche qui!) informazioni sulla composizione materiale e sul consumo di energia, materiali e/o risorse dei componenti o sottounità” sia divenuta realtà concreta o semplice chimera, anche in vista dell’operatività del Reg. (UE) 2023/1670 del 16/06/2023 (67), di cui tratteremo più avanti. Ovvero ancora, proprio in tema di classificazione dei rifiuti REE e loro cicli di gestione, se si sia riusciti a creare quel sistema effettivamente virtuoso che possa evidenziare numeri e rapporti coerenti tra prodotti destinati ad essere “rifiuti di natura pericolosa”, con ritorno di dati di recupero/riciclo opportunamente esaustivi e connessi con gli input iniziali.
Normativa nazionale sui RAEE, le recenti indicazioni dalle Linee Guida SNPA 2021/22
Innanzitutto, il D.Lgs. n. 49 del 2014, già citato, recante norme di attuazione della Dir. 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE), ricalca ovviamente le linee tracciate dalla direttiva attuata. Il D.Lgs. n. 49/2014 è adottato in ragione di una riduzione dell’uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, con riferimento anche al recupero/smaltimento di tali sostanze potenzialmente presenti nei rifiuti e mira a prevenire e ridurre gli impatti negativi derivanti dalla progettazione e dalla produzione delle apparecchiature elettriche ed elettroniche (68). Ed ancora, il decreto si coordina e non pregiudica le normative europee in materia di sicurezza, di salute, di sostanze chimiche e loro registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione (REACH), nonché quelle di cui alla progettazione ecocompatibile e sulla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature ed in tema di gestione rifiuti.
Al netto, poi, di ogni definizione riguardante i RAEE contenuta nel decreto (69), in relazione alle indicazioni di trattamento, si cita la definizione di “rimozione”, quale “operazione manuale, meccanica, chimica o metallurgica in seguito alla quale le sostanze, le miscele e le componenti pericolose sono confinate in un flusso identificabile o sono una parte identificabile di un flusso nel processo di trattamento. Una sostanza, una miscela o una componente è identificabile se può essere monitorata per verificare che il trattamento è sicuro per l’ambiente” (70). Si noti, quindi, che l’identificazione della “sostanza/miscela/componenti pericolosi” si può ottenere solo ove si monitori un flusso definito di processo, anche ai fini del trattamento da dover poi scegliere, in sicurezza ambientale. Pertanto, ai fini classificativi ed identificativi anche del rifiuto, bisognerebbe comunque effettuare una indagine conoscitiva tanto dei componenti presenti, tanto delle sostanze e delle miscele, nei casi rispettivamente previsti. Tutto ciò con sequenza logica tra rifiuto in ingresso, suo “trattamento adeguato” scelto con rispetto dei canoni ambientali, e rifiuto e/o possibili EoW in uscita.
Se, difatti, si pone mente a quanto previsto dall’art. 18, in tema di “trattamento adeguato”, allora ben si comprende come i RAEE non solo possano essere interessati dalla presenza di talune sostanze di natura pericolosa, bensì quei trattamenti adeguati devono rispettare parametri stringenti quali quelli previsti dagli Allegati VII (ovvero, criteri di gestione, compresa la “messa in sicurezza” – SIC!) e VIII (requisiti impianto). Secondo uno schema che pare richiamare nettamente quello previsto dal D.Lgs. n. 209/2003 in tema di disciplina sulle autodemolizioni e correlativi VFU.
In sostanza, gli Allegati VII e VIII sono il mantra gestionale in tema di trattamento RAEE di natura pericolosa (71), con buona pace dei soli impianti in procedura semplificata ex art. 216 del D.Lgs. n. 152/2006 (riguardanti i soli rifiuti non pericolosi), che vedono il pieno vigore applicativo dei DD.MM. 02/05/98 e n. 161 del 12/06/2002 in ragione di quel “decreto attuativo” (ex co. 4 dell’art 214) non ancora emanato.
Deve considerarsi, altresì, che ogni disposizione in tema di RAAE (ex art. 2) risulta strutturalmente compatibile con ogni disposizione normativa (nazionale ed europea) prevista: i) dal Reg. n. 1907/2006/CE riguardante la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH); ii) dalla Dir. 2009/125/CE sulla “progettazione ecocompatibile dei prodotti” connessi all’energia (72); iii) dalla Dir. 2011/65/UE sulla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche; iv) ed, ovviamente, dalla Parte IV del D.Lgs. n. 152/2006 e ss.ii.mm.
In breve, l’attenzione a determinate sostanze è questione principe in tema di RAEE e loro processo di gestione, secondo mirati canoni autorizzativi e di classificazione dei rifiuti stessi (73). Nel dettaglio, ex art. 19, è richiesto, tanto ai titolari dei centri di raccolta che agli impianti di “trattamento adeguato” (74), di annotare su apposita sezione del registro di cui all’articolo 190, co. 1 del D.Lgs. n. 152/2006, sia il peso dei RAEE, sia i componenti di composizione, sia i materiali e sostanze in uscita dai centri di raccolta (output) nonché dagli stessi impianti di trattamento. Inoltre, proprio al fine di agevolare operazioni di manutenzione, ammodernamento, riparazione, nonché di preparazione per il riutilizzo e di trattamento dei RAEE, i produttori devono fornire (pena sanzioni ex art. 38) agli impianti di trattamento adeguato e di riciclaggio (gli impianti in procedura ex art. 216 pare non rientrino nel novero – SIC!) tutte quelle “informazioni gratuite in materia di preparazione per il riutilizzo e di trattamento adeguato”.
Se si pone, poi, sguardo alla descrizione della cd “messa in sicurezza”, non v’è chi non veda saltare agli occhi immediatamente la descrizione dei “componenti” con sostanze pericolose descritte e relative a voci definite in termini assoluti (ad esempio, 16 02 09*/16 02 10*/16 02 11*/16 02 12* ed altri); nonché, precisazioni in tema di taluni componenti (come circuiti stampati non superiori a 10cm2, condensatori, componenti contenti fibre ceramiche refrattarie, condensatori elettrolitici, componenti contenenti sostanze radioattive (75) ed altro) tutti contenenti “potenzialmente” sostanze pericolose e tutti, si vuole aggiungere, “potenzialmente” presenti in numerosissime tipologie di apparecchiature.
A questo punto, appare chiaro – per come vedremo – il perché talune indicazioni siano presenti nelle Linee Guida SNPA del 2021/22, nonché il motivo per cui il MITE, con Circolare 128108 del 17 ottobre 2022 (76), abbia inteso precisare che le scelte operate nelle citate Linee Guida in tema di classificazione riferibile ai RAEE evidenzino sostanzialmente “un approccio analogo a quello utilizzato per i veicoli fuori uso, in base al quale il codice pericoloso o non pericoloso è connesso alla messa in atto o meno delle procedure di bonifica del veicolo. La classificazione di un’apparecchiatura dipende quindi dalla presenza o meno di componenti pericolose che può evidentemente essere valutata sulla base delle informazioni fornite dai produttori dell’apparecchiatura stessa”.
Un dato, questo, che, proprio in ragione di una dimenticata e manifesta diversità tra un RAEE ed un VFU, non solo necessita di approfondimento, bensì evidenzia una serie di “criticità” in tema di classificazione, di gestione e destinazione dei rifiuti. Per di più, fa emergere risvolti di raffronto anche relativamente ai parametri di ecosostenibilità d’ordine produttivo, circa le sostanze pericolose che in sede UE sono indicate, il più delle volte, come oggetto necessariamente di verifica puntuale in sede classificatoria, sulla scorta di una intrinseca “pertinenza” nei prodotti/rifiuti elettronici derivante dai processi di produzione. Essenzialmente, se l’asserzione parallela con i VFU è corretta, ovvero “il codice pericoloso o non pericoloso è connesso alla messa in atto o meno delle procedure di bonifica del veicolo”, allora la possibile filiera ciclica di natura virtuosa prevederebbe: i) RAEE “pericolosi” verso primo ingresso in impianti di “trattamento adeguato” (ex artt. 208 e 213); ii) oggetto di messa in sicurezza, prima di ogni altro trattamento; iii) uscita produttiva di EoW di processo, oppure successivo (possibile) passaggio di rifiuti “non pericolosi” anche ad impianti autorizzati in procedura semplificata (ex artt. 214/216); iv) oppure, primo ingresso in questi ultimi impianti dei soli RAEE “non pericolosi”, non necessitanti di alcuna messa in sicurezza bensì possibilmente oggetto di preparazione al riutilizzo (77) o trattamenti di recupero (compreso il riciclo) per produzione di EoW.
Ma siamo sicuri che questo è ciò che accade? Oppure se – tanto da parte del MITE, quanto del SNPA con l’ultimo suo report triennale di verifiche (78) – si è obliato sul fatto che, in taluni casi (magari anche numerosi – SIC!), si verifichino anomalie classificative nel ciclo sopra ipotizzato, tali da poter incidere anche sulla effettiva esplicazione del ciclo stesso?
Entriamo però nel dettaglio di quanto contenuto, in tema di classificazione dei rifiuti RAEE, nelle recenti Linee Guida SNPA del 2021/22.
Con la già citata Circolare del 2022 il MITE ha inteso evidenziare, descrivendo in termini di gerarchia delle fonti, la forza vincolante, nel nostro ordinamento, delle citate linee guida in tema di classificazione dei rifiuti (79). Dopo disamina dei punti relativi alla “Relazione tecnica, giudizio di classificazione e relativa forma”, con evidenti riferimenti anche agli “Orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti” del 2018 (80) si delinea, in apparenza, un approccio cauto e di prevenzione ambientale. Il MITE considera rilevante, in tema di codici “a specchio” tra cui scegliere, classificare un rifiuto con adeguata motivazione e ricerca tecnica delle caratteristiche di pericolo o delle sostanze, accompagnate da documentazione esaustiva (pure analitica qualora necessario), in modo tale da fornire chiara evidenza al processo decisionale e valutativo effettuato ai fini della classificazione del rifiuto. Tuttavia, nulla si precisa in termini di ricerca di quali sostanze trattasi, ovvero: tutte quelle esistenti in un dato rifiuto (cd ricerca al 99,9% sul totale del peso rifiuto), o diversamente quelle (a tutta evidenza e per prassi tecnica consolidata) riscontrabili concretamente, con superamento dei limiti consentiti?
Ed ancora, in riferimento all’analogia posta tra RAEE e i ben definiti VFU (81), tanto il MITE quanto SNPA dimenticano una sostanziale differenza di fondo, ovvero che: a) ogni tipologia di veicolo a fine vita diventa VFU classificabile con (*), in quanto contiene sostanze/miscele o componenti contenenti sostanze pericolose, per definizione univoca merceologia e di prodotto; quindi, un veicolo con EER 16 01 04* necessariamente deve prima passare per conferimento presso impianto di demolizione, ove, secondo “messa in sicurezza” ex D.Lgs. n. 209/2003 può essere trasformato in rifiuto in uscita recante EER 16 01 06, ovvero di natura non pericolosa; b) non tutte le tipologie di RAEE a fine vita sono classificabili ab origine con (*), vista la casistica numerosa di prodotto e di composizione; un RAEE “può” essere classificato, in primo ingresso, ad esempio con EER 16 02 13* così come “può” ricevere l’EER 16 02 14, in quanto non tutti necessitano del “trattamento adeguato” e della “messa in sicurezza” ex D.Lgs. 49/2014 (infatti, sussistono differenze in tema autorizzativo).
Pertanto, la posizione assunta nelle Linee Guida, di certo, pone “criticità” in tema di rifiuti RAEE, proprio in ragione della diversificata origine produttiva e dei numerosi componenti con i quali sono prodotti. Al pari di come, visto il contenuto dalla stessa Dir. 2012/19/UE, le “informazioni” da rendere agli impianti di trattamento sono di contenuto articolato e “segnalano […] le diverse componenti e i diversi materiali delle AEE, nonché il punto in cui le sostanze e le miscele pericolose si trovano nelle AEE” (82).
Precisazioni, queste, mirate e coordinabili con l’esigenza di effettuare ricerche di sostanze pericolose in diversi punti e componenti chiave; detto in altre parole, seguendo un criterio che sia il più vicino possibile alla “pertinenzialità” della ricerca della sostanza/e potenzialmente/i rinvenibile/i in un RAEE o suoi componenti.
Sempre negli “Orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti” del 2018 (83), proprio relativamente alla procedura classificativa dei RAEE (punto non citato nelle Linee Guida SNPA – SIC!) si evidenzia che: “i valori di soglia basati sui codici di indicazione di pericolo si riferiscono allo stato in cui si trovano i rifiuti nel momento in cui ne viene effettuata la classificazione (ossia lo stato in cui vengono solitamente trasferiti e successivamente gestiti).
Per quanto riguarda il caso dei RAEE, qualora si debbano classificare apparecchi interi ciò potrebbe implicare la necessità di considerare il peso dell’apparecchio come base per i limiti di concentrazione applicati per le sostanze pericolose. Qualora si debbano classificare frazioni separate (ad esempio in seguito a un trattamento selettivo), il peso delle frazioni separate deve essere considerato come base per i limiti di concentrazione applicati”.
A parere di chi scrive, quindi, l’eliminazione del meccanismo di voci considerabili “a specchio” certamente non migliora i problemi di classificazione in tema RAEE. Difatti – per come vedremo – i rischi di possibili incidenze critiche potranno verificarsi sia in un senso che in un altro, ovvero invertendosi la classificazione di un rifiuto da pericoloso a non pericoloso, o viceversa. Confermandosi così, proprio quei profili iniziali di perplessità evidenziati di recente dalla Corte dei Conti Europea, che riporta un aumento di prodotti definibili pericolosi (anche a fine vita), a fronte di un aumento di gestione/trattamento di “speculari” (mi si passi il termine!) rifiuti non pericolosi.
Alcune osservazioni d’ordine pratico
A questo punto, proviamo a verificare cosa possono generare tali “limitati scostamenti” (84) in tema di classificazione dei cd RAEE.
Innanzitutto, la classificazione sembrerebbe necessitare di una verifica della presenza o meno di componenti pericolose nel complesso dell’apparecchiatura, tramite informazioni fornite dai produttori dell’apparecchiatura stessa. Pertanto, stante la necessaria documentazione atta a dimostrare il processo decisionale seguito, rispetto ad un lotto di apparecchiature fuori uso – onde pervenire ad un’assegnazione del codice “pericoloso assoluto” o “non pericoloso assoluto” (ad esempio, per i cd RAEE speciali o professionali) – condurrebbe non solo a verificare la composizione stessa delle predette apparecchiature (per riscontro delle componenti/sostanze chiaramente descritte, nei codici EER 16 02 12*-16 02 11*-16 02 10*-16 02 09*), bensì per i casi più complessi (riferiti alla sola contrapposizione tra apparecchiature contenenti e non “componenti pericolosi” – codici EER 16 02 14 vs 16 02 13* ) ad acquisire informazioni e schede tecniche dai produttori delle “singole” apparecchiature, predisposte per adeguato conferimento presso impianto autorizzato.
Un meccanismo questo, rispetto ai casi più complessi, che ovviamente lascia spazio ad innumerevoli risvolti in tema di corretta (o meno) assegnazione dei relativi codici EER dei RAEE. D’altronde, per impostazione europea si prevede una valutazione “speculare” stante la previsione di codici “a specchio” (per gli EER 16 02 14 – 16 02 16 e 20 01 36) con conseguente possibile valutazione di presenza di sostanze pericolose in rapporto di %/peso del rifiuto conferito o esitato; mentre, a livello nazionale si vorrebbe la sola verifica minima (per così dire!) della presenza o meno (descritta “possibile”, ma in termini assoluti) di “componenti pericolosi”, oppure nel caso dei “componenti rimossi” di possibile presenza di “sostanze pericolose” (descritta anche qui “possibile”, ma in termini “assoluti”).
Insomma, due diverse logiche di accertamento, la prima fondata su un approccio coerente con tutte le tipologie di rifiuti e, dunque, sul rilievo fondante della ricerca “pertinente” di una o più “sostanze pericolose rilevanti per limiti” in un dato peso di rifiuto; la seconda, fondata su di un concetto “assoluto” d’origine produttiva e di composizione del RAEE, tuttavia applicato con margini definiti come di “possibile presenza”.
Ed ancora, l’esistenza di numerose tipologie di apparecchiature (85) e loro composizione, di certo non agevola la potenziale classificazione delle stesse in una situazione di tal guisa. Con riferimento, poi, ai “componenti rimossi”, ed alle sostanze “possibilmente” presenti/caratterizzanti in punto di pericolosità, la logica ricognitiva diventa ancora più fumosa. Un disordine valutativo e classificativo che potevamo di certo risparmiarci.
Invero, se, da una lato, si pensa ai RAEE contenenti (o meno) determinati e descritti componenti (come potranno essere le batterie, taluni componenti contenenti mercurio, tubi catodici, condensatori contenenti PCB), fare riferimento ai codici “assoluti” sopra citati (dal 09 al 12 di coppia finale) non pone, ovviamente, problemi di rilevanza alcuna, in quanto la descrizione “certa” della sostanza nociva nel codice, la conoscenza della tipologia del bene/rifiuto, uniti al dato di provenienza, chiude il cerchio circa l’assegnazione del corrispettivo codice EER. In altri casi, invece, ab origine “speculari” (generici e/o non descritti puntualmente), proprio la “possibile presenza” di talune sostanze pericolose complica notevolmente le cose.
Proviamo, ad esempio, ad analizzare il raffronto di casistica posto proprio nelle stesse Linee Guida 2021/22 (86), tra tipologie di RAEE identificate in “PC desktop e notebook”. Tali apparecchiature, nella pratica quotidiana degli impianti di trattamento (magari per chi è solito verificarne il dato concreto ed empirico) sono, il più delle volte, accettati in conferimento con classificazione recante EER 16 02 14, ovvero (allo stato dell’arte) una voce di non pericoloso assoluto. Indicazioni di tal guisa, inoltre, si rinvengono sui maggiori siti web relativi a consorzi, aziende ed enti pubblici (87). Ciò induce a ritenere che, per tali rifiuti elettronici, sia stata valutata l’assenza (per conoscenza della tipologia di prodotti/rifiuti e loro composizione) di “componenti pericolosi” e nessun’altra indagine (analitica e/o tecnica) sarà stata effettuata ai fini di classificazione ed assegnazione del relativo codice EER.
Eppure, nello schema redatto dal SNPA pare intendersi nettamente il contrario, ovvero che siffatte apparecchiature ben potrebbero ricevere l’assegnazione del codice EER 16 02 13*, ovvero quel codice che evidenzia le “apparecchiature fuori uso, contenenti componenti pericolosi diversi da quelli di cui alle voci 16 02 09 e 16 02 12”. Tutto ciò, in quanto “possono contenere” componenti “diversi” da trasformatori e condensatori contenenti PCB o non contenere fibre libere di amianto e, quindi, recare componenti pericolosi per “altre e/o diverse” sostanze/miscele.
Difatti, nel lato di destra dello schema del SNPA si evidenziano taluni “componenti” possibilmente presenti all’interno tanto dei PC desktop che dei notebook (88), segnatamente (oltre alle diverse componenti indicate in apparenza con una evidenziazione per così dire “neutra”) si precisa che: – Le schede elettroniche “possono” contenere: manganese, antimonio; cobalto, titanio, cromo, argento, oro, platino ecc. resine fenoliche, epossidiche, amminiche, carta inerte con ossido di silicio, poliesteri, ecc, fibre di vetro, materiale ceramico composti inorganici come semiconduttori: germanio, arseniuri e fosfuri di indio e gallio altro: vernici, fissanti e diluenti, cere, coloranti, adesivi, colle, ecc. – I PC “possono” inoltre contenere: ritardanti di fiamma bromurati o PVC e ftalati (ad esempio, nella civetteria) metalli pesanti quali piombo, zinco, stagno, ecc., solventi (come elettroliti) nei condensatori, in funzione del tipo di funzionamento.
Un elenco, questo, che a tutta evidenza fornisce un quadro di “possibili componenti pericolosi” perché “contenenti sostanze pericolose” presenti in tali apparecchiature, unite a talune descrizioni di sostanze (ad esempio, metalli pesanti quali piombo, zinco, stagno, ecc.) comunque riferite alle apparecchiature stesse. Se a questo dato colleghiamo quanto affermato nelle Linee Guida, ovvero che “la procedura di classificazione di un rifiuto e, quindi, anche l’individuazione del pertinente codice e delle eventuali caratteristiche di pericolo, deve essere attuata dal produttore, alcune indicazioni sulle HP usualmente associate alle apparecchiature rientranti nei cinque raggruppamenti di cui al DM 185/2007 possono essere fornite dal Centro di Coordinamento RAEE, dal SNPA e dalle singole Agenzie regionali, anche attraverso procedure di caratterizzazione specificatamente sviluppate allo scopo di valutare le caratteristiche di pericolo da associare alle diverse tipologie di RAEE o ai raggruppamenti di cui al DM 185/2007”, allora mal di comprende la mitigata e poco chiara, presa di posizione valutativa in tema RAEE da parte dello stesso SNPA.
Difatti, nello schema citato a mero titolo esemplificativo, l’Ente si esprime con termini del tipo “possono contenere”, senza delineare con doverosa fermezza l’esistenza o meno di “sostanze pericolose” nei citati “componenti”, moderatamente descritti come “possibilmente pericolosi”. Di converso, prima di questa casistica, si sceglie il metodo di voci in senso “assoluto” e si rammenta la responsabilità della classificazione in capo al soggetto produttore, senza tuttavia delineare pregnanti indicazioni sulla composizione dei RAEE stessi, sulle HP necessitate e riferite ai singoli rifiuti; anzi, demandando ad informazioni (non meglio pervenute) rinvenibili presso il Centro di Coordinamento RAEE, addirittura presso lo stesso SNPA (magari avrebbero fatto prima ad inserirle – SIC!) o presso le singole Agenzie Regionali. Ed ancora, riferendosi alle indicazioni sulle HP necessitate per i singoli rifiuti, che le stesse potrebbero rinvenirsi anche tramite alcune imprecisate “procedure di caratterizzazione della pericolosità” sviluppate ed associate tanto alle diverse tipologie di RAEE, quanto addirittura alle intere classi dei Raggruppamenti ex DM 185/2007.
Sul punto, il meccanismo “a specchio” di matrice europea serviva proprio ad evidenziare, per esclusione rispetto al codice pericoloso, la necessità di una verifica di sussistenza e livelli di talune sostanze pericolose potenzialmente presenti in un RAEE (il citato EER 16 02 14 – “apparecchiature fuori uso, diverse da quelle di cui alle voci da 16 02 09 a 16 02 13“ pone esclusione “da/a” di altre tipologie); in modo tale, da stabilirne presenza/assenza in relazione ai componenti e, dunque, all’apparecchiatura stessa, con rapporto di %/peso sul rifiuto stesso.
Se poi, con tale meccanismo valutativo di voci “non più a specchio ma assolute”, si pone mente proprio a ciò che muove il comparto di recupero/riciclo, ovvero la valorizzazione della materia (classificabile come EoW nel rispetto dei canoni normativi e del ciclo produttivo autorizzato) anche riferibile alle componenti di maggior pregio (circuiti stampati, magneti, connettori e altro) in quanto possibilmente contenenti metalli nobili, preziosi e/o terre rare, allora il discorso si connota ancor più di ulteriori “criticità”. Basti solo riflettere sulle ripercussioni di cicli di processo autorizzativi (anche in termini di livelli di emissioni e non solo) in rapporto a trattamenti di recupero con fusione pirometallurgia, ovvero di estrazione in idrometallurgia finale (89).
Difatti, nello stesso schema citato, taluni componenti (come le schede elettroniche) si ritiene “possono contenere” certe sostanze di natura pericolosa (tra cui, metalli pesanti, ritardanti di fiamma e/o altro), senza tuttavia considerare che ciascun apparecchio detiene al proprio interno un circuito stampato (il più delle volte sopra i 10 cm2 e che comanda le diverse funzionalità elettroniche). Pertanto, in assenza d’indagine circa il criterio di rapporto %/peso, l’evidente possibilità che quantomeno l’80/90% dei RAEE, conferiti per la prima volta in impianto autorizzato, possano risultare – in termini di voci “assolute” – classificabili come rifiuti di natura pericolosa, potrebbe divenire una concreta realtà a dir poco manifesta.
E se colleghiamo a ciò quel richiamo inziale posto nelle stesse Linee Guida circa la valenza applicativa del “principio di precauzione”(90), di cui alla sentenza della Corte di Giustizia Europea del 28 /03/2019 (cause riunite da C-487/17 a C 489/17) (91), allora l’approcciato “discostamento” dallo schema europeo – così come pensato, unitamente alle generiche valutazioni del tipo “possono contenere” – certamente incrementa (e non risolve) il problema delineato; relativo tanto alla classificazione dei rifiuti pericolosi, quanto alla tracciabilità/gestione degli stessi ed alla successiva produzione degli EoW senza relativi impatti sull’ambiente. Per giunta, lasciando in totale balia valutativa qualsivoglia soggetto produttore (primario o secondario), il quale, onde evitare qualunque addebito di natura amministrativa e finanche penale, magari penserà bene proprio di accedere a quella dimostrata regola di precauzione testé richiamata.
Per citare un ultimo esempio, pensiamo al conferimento di RAEE classificati con codice “NPA” (seguendo i parametri del SNPA), dunque, con voce EER 16 02 14, e valutiamo – a seguito dei successivi trattamenti di disassemblaggio, manuale e non – la potenziale classificazione in uscita dei rifiuti producibili. Anche qui, in realtà, i codici europei 16 02 15* e 16 02 16 – “speculari” tra loro in origine – diventano nelle tabelle SNPA codici PA ed NPA, ovvero assoluti. Orbene, la domanda sorge spontanea in termini pratici: quale gestore di impianto di trattamento, con ingresso di apparecchiature recanti voce NPA (16 02 14), previo trattamento delle stesse, dormirebbe sonni tranquilli con una classificazione in uscita di componenti rimossi (circuiti stampati, ad esempio) con voce EER magari diversa dal 16 02 16?
Ed ancora, classificazione e gestione in trattamento così tracciati ben potrebbero rilevare “possibili e anomali” riscontri quando, a seguito di frantumazione e/o di trattamento meccanico dei RAEE, le frazioni di rifiuti esitati tornerebbero a ricevere assegnazione di codici con metodi di voci “a specchio”, così come quelli, rispettivamente, rientranti nelle serie 19 10 xx (ad esempio, il 19 10 05* vs 19 10 06) o nelle serie 19 12 xx (ad esempio, 19 12 11* e 19 12 12). Difatti, per queste voci i discostamenti dallo schema europeo non sussistono, pertanto permangono (per il “nuovo” produttore) onere di relativi campionamenti del lotto di rifiuti, di descrizione tecnica e giudizio di classificazione, e ove necessario di test analitici di ricerca di talune “sostanze pericolose” con verifica di superamento (o meno) dei limiti di concentrazione.
A tutta evidenza, su tale ultimo aspetto, le Linee Guida tacciono inesorabilmente, citando l’uso dei codici post trattamento dei RAEE con sola elencazione delle voci utilizzabili (92). Senza neppure accennare, vista l’indicazione del “possono contenere”, ad una potenziale ricerca limitata alle “pertinenti” sostanze pericolose (comunque, indicate – SIC!) e loro concentrazioni soglia. Ricerca, questa, condotta da una necessaria assenza di discrezionalità per il produttore proprio in ragione di possibili ed utili indicazioni tecniche, magari fornite dall’Ente redigente le predette linee guida.
Ricerche e sostanze “pertinenti”: anche alla luce del novello Reg. UE 1670/2023.
Osservazioni d’ordine conclusivo devono, comunque, muoversi dai rilievi forniti circa la dicotomica valutazione tra “certezza” e “probabilità” in tema di classificazione di rifiuti con voci “a specchio”, ricordando che la prima affonda le radici logiche sul concetto di “pericolosità presunta”, mentre la seconda trae spunto da un concetto perno europeista, sulla “ricerca mirata e pertinenziale”.
Se da un lato, la stessa Corte di legittimità, nel solco di motivazioni della CGUE, ha ritenuto di sconfessare l’esistenza di una “pericolosità presunta”, collegata alla ricerca in termini di “certezza” complessiva di ogni sostanza presente in un rifiuto, quale preludio ad una incompresa “de-classificazione” del rifiuto; dall’altro, in assenza di immediata conoscenza della composizione del rifiuto potenzialmente pericoloso, certamente rileva l’onere d’accertamento di ogni informazione idonea, tale da consentire quell’acquisizione sufficiente di composizione e di conseguenza attribuire al rifiuto la voce EER appropriata. Tutto ciò senza “margine di discrezionalità” eccessivamente ampio, ma comunque direzionato (rectius = orientato) verso quelle sostanze “che possano ragionevolmente trovarvisi”. In quanto, l’esclusione di scelte arbitrarie circa le modalità di classificazione ed accertamento della pericolosità serve, ovviamente, a poter allontanare l’aggiramento di precise indicazioni normative e regolamentari circa le modalità di qualificazione del rifiuto sub iudice.
E fin qui, l’argomentazione svolta, pare non collidere con la prospettata testi della “ricerca pertinenziale” (maggiormente condivisibile da chi scrive). L’unico dato stridente con la seconda tesi dottrinale risiede nel fatto che gli Ermellini escludano che “l’analisi dei rifiuti a specchio, al fine di determinarne la pericolosità, deve riguardare solo le sostanze che, in base al processo produttivo, è possibile possano conferire al rifiuto stesso caratteristiche di pericolo”, in quanto non rappresentativa dei principi europei evidenziati dalla stessa CGUE.
A tal fine, forse è il caso di evidenziare che – al pari del nesso di causalità giuridicamente rilevante tra azione ed evento, finalisticamente orientato alla determinazione del “se una azione è causativa, secondo alta probabilità logico-giuridica, di un dato un evento dannoso (93)“, senza dover ricercare e/o disaminare tutte quelle possibili azioni, o anche concause, possibilmente esistenti nel mondo empirico e possibilmente incidenti sulla producibilità di quel dato evento – anche in tema di ricerca (di sostanze pericolose) utile alla classificazione di un dato rifiuto, quel che dovrebbe contare (con ovvia esclusione di ogni discrezionalità umana) è la direzione altamente logica verso quella “probabile presenza” di date sostanze intese quali “rilevanti pertinenze”, in seno al prodotto e poi al rifiuto.
A ben notare tale concetto di “pertinenzialità” (nel prodotto e nel rifiuto) non è stato, di sicuro, dimenticato nella normazione europeistica nell’ottica di tematiche ambientali. Innanzitutto, la Dir. 98/2008/CE ha precisato la portata dei concetti di “prevenzione”, “riutilizzo”, “preparazione per il riutilizzo”, “trattamento” e “riciclaggio”, riferendoli ai prodotti/rifiuti in quanto valutati armonicamente, tanto che la stessa Dir. Quadro introduceva la cd. “responsabilità estesa del produttore”, onde sostenere una progettazione e una produzione dei beni che potessero arrecare minor incidenza ambientale durante l’intero ciclo di vita dei prodotti stessi (94). Le precisate nozioni di riciclaggio, recupero e della ERP, recavano, quindi, quella visione complessivamente unitaria e d’insieme di “economia circolare”.
Con la seguente Dir. 2018/851/UE (95) si modificava sostanzialmente la Dir. 2008/98/CE, in diversi punti qui d’interesse, onde proseguire quella strada imposta dall’Accordo sul Clima di Parigi del 2015, con cui si imprimeva deciso slancio alla prevenzione e riduzione dei rifiuti in linea con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile (96). Si evidenziava, quindi, che tra gli Stati membri esistevano grandi differenze in tema gestione rifiuti, con particolare riguardo al riciclaggio/recupero dei rifiuti stessi e valorizzazione delle cd. CRM (critical raw materials), quelle materie prime di grande importanza per l’economia, ma oggetto di approvvigionamento “associato a un elevato livello di rischio” (97). Con l’adeguata precisazione che nel momento in cui prodotti/materiali/sostanze diventavano rifiuti – e per la presenza di sostanze pericolose risultavano inadatti ad un concreto riciclaggio o recupero di materie prime secondarie di elevata qualità – bisognava incidere a monte e non a valle. Ovvero, occorreva promuovere misure dirette a ridurre le sostanze pericolose in tutti i materiali e i prodotti, compresi quelli riciclati, garantendo informazioni sufficienti (da parte dei produttori) sulla presenza (o meno) di sostanze pericolose e in particolare di sostanze “estremamente preoccupanti” durante l’intero ciclo di vita dei beni citati (98). Migliorare, altresì, la coerenza tra il diritto dell’Unione sui rifiuti, sulle sostanze chimiche e sui prodotti, e la garanzia di quelle informazioni sopra dette (su sostanze pericolose e preoccupanti) sull’intero ciclo di vita dei prodotti/materiali ed anche in fase di rifiuto.
Tutto ciò, al fine ultimo di aumentare i tassi di preparazione per il riutilizzo ed il riciclaggio, nonché di consentire un riciclaggio di elevata qualità con impiego di materie prime secondarie di altrettanta qualità derivanti dal recupero. Si inseriva, inoltre, la distinzione (rispetto alla presenza o meno di sostanze di cui all’Allegato III della Dir. 2008/98/CE) tra rifiuto pericoloso e non pericoloso, ma non nel senso che dal primo si possa “de-classificare” al secondo, dimostrandosi l’assenza di tutte le possibili sostanze pericolose potenzialmente previste.
Si poneva un nesso tra composizione del prodotto/rifiuto e presenza intrinseca di talune sostanze generanti possibili caratteri di pericolosità, con rilevanza su fase produttiva, ciclo di vita del prodotto nonché fase di gestione del bene divenuto rifiuto (99). Il diretto collegamento di natura “pertinenziale” tra sostanze (pericolose e non) rispetto alle caratteristiche intrinseche di prodotto, o di un bene divenuto rifiuto, veniva talmente accentuato tanto da reputarsi finanche necessarie verifiche ai fini dei criteri di qualità delle ex MPS (ora EoW) “compresi i valori limite per le sostanze inquinanti, se necessario”. Per i soggetti, poi, che per primi rimettevano in circolazione determinate (ex) MPS, le stesse dovevano soddisfare “i pertinenti requisiti ai sensi della normativa applicabile in materia di sostanze chimiche e prodotti collegati […] prima che la normativa sulle sostanze chimiche e sui prodotti si applichi al materiale che ha cessato di essere considerato un rifiuto” (100).
A quanto pare, quindi, l’UE ha sempre inteso soppesare e valorizzare la “rilevanza pertinenziale” del rapporto tra prodotto/rifiuto e sostanze pericolose da ricercare ed eliminare, sia in fase ab origine produttiva che in fase di classificazione e gestione del rifiuto. La stessa recente normazione comunitaria conferma, ancora una volta, quanto fin qui sostenuto. Invero, già nel 2009, si è impressa una forte spinta al raccordo tra eco-progettazione, processi di produzione e modelli di consumo, ambito di gestione rifiuti e mercato delle materie prime da recupero, con piena attenzione alla riduzione delle “pertinenti” sostanze nocive/inquinanti. Con la Dir. 2009/125/CE (101) si sono definiti i requisiti relativi alla progettazione ecocompatibile dei prodotti connessi all’energia, mirando all’approccio di sviluppo di quel concetto innovativo di “ciclo di vita ambientale” di un prodotto (102). Ovverosia, si è voluto creare un quadro normativo – sulla progettazione eco-compatibile – unitario e complementare alle altre normative di allora, relative ai rifiuti (RAEE) ed alla restrizione d’uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE), alle disposizioni relative alla classificazione, all’imballaggio e all’etichettatura delle sostanze pericolose (Reg. CLP), nonché al Reg. n. 1907/2006 (REACH) (103).
Approdiamo, dunque, al novello Reg. 2023/1670/UE (104) con cui (a norma della Dir. 2009/125/CE) si sono delineate proprio le specifiche per la progettazione eco-compatibile per smartphone, telefoni cellulari (diversi dagli smartphone), telefoni cordless e tablet. Il regolamento si fonda su uno studio preparatorio che ha individuato gli aspetti ambientali da affrontare in relazione all’efficienza delle risorse ovvero, prevenzione dell’obsolescenza precoce, riparabilità, affidabilità dei prodotti e dei loro componenti chiave, nonché riutilizzabilità e tasso di riciclabilità degli stessi.
Tasso di riciclabilità indicato, per la prima volta, in sede regolatoria europea (in relazione a possibili RAEE) e oggetto di misura con il “Rcyc”, ovvero “il tasso di riciclabilità, espressa in %” (105). Per comprenderne il significato – onde percepire anche il motivo per il quale tale tasso “Rcyc” debba essere espresso nelle schede di prodotto ed oggetto di adeguate informazioni previste verso gli impianti di trattamento dei prodotti a fine vita – basta scorrere l’intero regolamento fino al suo Allegato III-bis, denominato “Metodi provvisori” di natura tecnica, utili alla determinazione della conformità e della verifica della conformità ai requisiti del presente regolamento (106).
Nella tabella 3 allegata si evince come l’Rcyc si riferisca e sia da “calcolare come tasso di riciclabilità basato sulla massa, con il seguente scenario di riferimento a fine vita” (con metodica EN 45555:2019) (107): – batteria: le masse di Co, Li (Rcyc, Li 90 %) contano ai fini del tasso di riciclabilità; – parti mono-materiale rimosse durante l’estrazione della batteria: le masse di acciaio, Al, Mg, plastica o rame contano ai fini del tasso di riciclabilità; – tutte le altre parti: le masse di Cu, Co, Sn (Rcyc, Sn 50 %), Ni (Rcyc, Ni 85 %), In (Rcyc, In 50 %), Au, Ag, PGM (Rcyc, PGM 95 %) contano ai fini del tasso di riciclabilità; – diversamente, per il contenuto di “materie prime essenziali” la metodica EN 45558:2019 (108) deve applicarsi all’oro seguendo lo stesso approccio delle materie prime essenziali.
Per di più, oltre a prevedere obblighi in tema di documentazione tecnica produttiva (109), fabbricanti, importatori e mandatari, a partire dal 20 giugno 2025, dovranno mettere a disposizione (su un sito web ad accesso libero e per modello di prodotto) informazioni sullo smantellamento dei componenti di cui all’Allegato VII, punto 1, della Dir. 2012/19/UE (110). Nonché, andranno inseriti anche gli indicatori dei “requisiti di riciclabilità” (diversi per ciascuna tipologia prevista dal regolamento), ovvero “la gamma di peso indicativa delle materie prime essenziali e dei materiali pertinenti a livello ambientale seguenti” (111): i) cobalto nella batteria (con indicazione di gamma di peso) ii) tantalio nei condensatori (con indicazione di gamma di peso); iii) neodimio negli altoparlanti, nei motori a vibrazione e negli altri magneti (con indicazione di gamma di peso); iv) oro (112) in tutti i componenti (con indicazione di gamma di peso); v) nonché, il valore indicativo del tasso di riciclabilità Rcyc. In sostanza, ben sarà possibile – tramite le citate indicazioni di gamma di peso e tasso di riciclabilità Rcyc – poter determinare anche i contenuti in % delle stesse sostanze in relazione al peso del prodotto/rifiuto o ai suoi componenti essenzialmente considerati.
Tutto ciò, ovviamente, fa emergere alcuni quesiti: come dovrà intendersi il riferimento a “materie prime essenziali e dei materiali pertinenti a livello ambientale” nella misura in cui si rendesse opportuna la ricerca, in riferimento ad un RAEE, di determinate sostanze (potenzialmente pericolose) ai fini di una sua classificazione? Ed ancora, bisognerà comunque ricercare tutte le potenziali sostanze ivi presenti ai fini della pericolosità del prodotto/rifiuto, esulando dalle indicazioni fornite e dai contenuti di normazione europea che tanto incentrano l’attenzione su determinate sostanze “preoccupanti” e pure “pertinenti”?
Ovvero, i dati relativi al contenuto informativo degli stessi prodotti saranno dirimenti ai fini orientativi di una ricerca di natura “pertinenziale” per la classificazione del rifiuto? Forse, si può finalmente sostenere che si è dinanzi all’ulteriore conferma che l’impostazione normativa europea sia ancorata fortemente a concetti di “ricerca pertinenziale” diretta sul prodotto e/o sul rifiuto. Indagine, questa, rivolta a quelle sostanze caratterizzanti l’intrinseca pericolosità degli stessi, nel rispetto di metodi di prova ampiamente indicati e riconosciuti, prima ancora applicati ai prodotti e, poi, ai rifiuti stessi; con precisata assenza di qualsivoglia discrezionalità umana, mai consentita, prevista e ovviamente manifestamente vietata.
Pertanto, con riferimento alla questione riguardante la dicotomica differenza di “approccio” (se così vuol chiamarsi), relativa alla considerazione di voci “assolute” o voci “a specchio” riferibile ai codici EER di cui ai RAEE presente nelle Linee Guida SNPA del 2021/22, forse sarebbe quantomeno necessaria una revisione d’impostazione in considerazione anche dei contenuti di cui al novello Reg. 1670/2023. Le suindicate “criticità”, derivanti dalla scelta di voci considerate in termini “assoluti” ma accompagnate da valutazioni di presenza di talune sostanze in termini “probabilistici”, lascerebbe (per come già considerato) esposte numerose tipologie di RAEE ad una classificazione in termini di pericolosità.
In ossequio a quel principio di “precauzione ambientale” vista la ragionevole non adeguata conoscenza (in termini possibilistici) della composizione del prodotto divenuto rifiuto e dei suoi componenti.
Sostanzialmente, se da un lato l’approccio euro-indicato pone considerazione primaria sul “prodotto”, sulla sua genesi di processo, sulla sua composizione in termini di rapporti tra materie/sostanze potenzialmente nocive e massa dello stesso (o dei suoi componenti) e solo dopo sul rifiuto divenuto tale, allora sarebbe quantomeno opportuno che le anzidette Linee Guida SNPA recepissero siffatta impostazione, a ben vedere chiara e in continua evoluzione in tal senso. Ciò in quanto, riferimenti sulla composizione originaria e strutturalmente eco-compatibile dei prodotti elettronici, certamente metterebbero l’Ente SNPA nella condizione di poter magari formare un elenco “indicativo e armonizzato” di tipologie di AEE/RAEE (pur riferibili, poi, ai diversi raggruppamenti e non viceversa) in base ad una verifica di concreta presenza di quelle “pertinenti sostanze di rilevanza ambientale” (quanto meno in termini di valori medi rispetto alla massa, calcolabili anche con le norme tecniche ut supra evidenziate).
Difatti, se si sceglie la strada di considerare le voci EER quali tutte di matrice “assoluta”, di contro non possono perdersi di vista le effettive caratteristiche intrinseche dei prodotti, così come l’origine di processo produttivo che li ha generati, l’utilizzo e la presenza di determinate sostanze di natura pericolosa, anche in riferimento agli stessi componenti di fabbricazione. Così come non si possono, in linea di massima, lasciar cadere talune criticità e conseguenze generabili, in presenza di evidenti incertezze e lacune orientative, in capo ai singoli produttori originari e non.
All’opposto, ove mai si dovesse rivedere – primario auspicio per chi scrive – l’impostazione “discostata”, sarebbe comunque opportuno che le predette Linee Guida ponessero riferimenti espliciti ai dettami regolatori di nuovo conio europeo. Nonché, ulteriori richiami manifesti alle potenziali composizioni e sostanze effettivamente contenute nei prodotti elettronici e loro componenti (magari formando un elenco, pur non esaustivo, di corrispondenza con l’Rcyc basato sulla massa e per media sui prodotti), onde così fornire casistiche empiriche e valutative, tali da poter, a loro volta, orientare quelle ricerche di natura “pertinenziale” verso chiare e definite “pertinenti sostanze di rilevanza ambientale”. Tutto ciò, forse, consentirebbe perfino di poter ri-allineare quei riscontri in negativo evidenziati da ultimo dalla stessa Corte dei Conti Europea, onde invertire quella tendenza di maggior quota di prodotti immessi nel mercato e contenenti “pertinenti” sostanze di natura pericolosa, a fronte di una maggior quota di rifiuti classificati e gestiti come non pericolosi.
Riferimenti in nota
(1) Nel novembre 2023, l’UE ha raggiunto un accordo provvisorio su una legge europea sulle materie prime critiche, poiché si prevede che la domanda aumenterà esponenzialmente nei prossimi anni. Inoltre, in data 12/12/2023 il Parlamento UE ha dato il via libera ai piani per migliorare l’approvvigionamento dell’UE di materie prime strategiche, in modo tale da garantire l’approvvigionamento e la sovranità dell’UE, riducendo la burocrazia autorizzativa, promuovendo l’innovazione e sviluppando materiali alternativi, con obiettivi di riciclaggio ambiziosi fino al 25% della provenienza da processi di riciclo (https://www.europarl.europa.eu/news/ro/press-room/20231208IPR15763/materii-prime-critice-pe-asigura-aprovizionarea-si-suveranitatea-ue). (2) C.D.C. UE – Analisi IT 04 – Azione dell’UE e sfide esistenti in materia di rifiuti elettrici ed elettronici – 2021 (Sezione I – “Uso sostenibile delle risorse naturali” – su sito eca.europa.eu), abstract finale “La presente analisi è incentrata sul ruolo e sulle azioni che l’UE ha intrapreso per rispondere alla gestione dei rifiuti elettrici ed elettronici. In media, negli Stati membri dell’Unione si raccolgono e recuperano più rifiuti di questo tipo che nella maggior parte dei paesi terzi. L’UE, dopo aver raggiunto nel suo insieme gli obiettivi stabiliti in passato per la raccolta e il recupero dei rifiuti elettrici ed elettronici, se ne è prefissata di più ambiziosi. Restano tuttavia sfide da affrontare. L’analisi della Corte ne mette in luce, infatti, per quanto riguarda: il rispetto dei vigenti requisiti di trattamento dei rifiuti in questione; la lotta alla loro gestione irregolare, alle spedizioni illegali e ad altre attività criminose; l’ulteriore aumento della raccolta, del riciclaggio e del riutilizzo di questi rifiuti “. (3) C.D.C. UE – Analisi IT 02 – Azioni dell’UE per fare fronte ai volumi crescenti di rifiuti pericolosi – 2023 (Sezione I – “Uso sostenibile delle risorse naturali” – su sito eca.europa.eu), abstract finale “delle azioni dell’UE volte a far fronte ai rifiuti pericolosi. Tali rifiuti sono potenzialmente nocivi per la salute delle persone e per l’ambiente. Le iniziative dell’UE si sono concentrate sulla prevenzione, ma la produzione di rifiuti pericolosi è in costante aumento dal 2004. Il loro trattamento in sicurezza è ostacolato da difficoltà quali ad esempio un tracciamento non affidabile. Tuttora, più del 50 % dei rifiuti pericolosi dell’UE vengono smaltiti. Il loro riciclo è limitato da impedimenti tecnici e dalla mancanza di opportunità di mercato per i rifiuti riciclati. Inoltre, il traffico illecito continua ad essere un’attività lucrativa. Le sfide future sono rappresentate dalla gestione delle quantità crescenti di rifiuti pericolosi, dal miglioramento della loro classificazione, dall’assicurare la loro tracciabilità dalla produzione al trattamento finale, dalla limitazione dello smaltimento aumentandone il riciclo, e dal contrasto al traffico illecito “. (4) G.U.U.E. del 22.11.2008, L 312/3, modificata dalla Dir. 2018/851/UE del 30/05/2018. (5) Il principio della “gerarchia dei rifiuti”, ove le opzioni preferibili sono prevenzione e preparazione per il riutilizzo, seguite da recupero/riciclo e, in ultima istanza, smaltimento; il principio di “precauzione”, per riduzione di sostanze pericolose nei rifiuti come misura di precauzione; il principio “chi inquina paga” e quello della “responsabilità estesa del produttore”, per garantire che il peso delle azioni di chi produce rifiuti o contamina l’ambiente gravi interamente sulle sue spalle. (6) In disamina, ai punti 20 e 21 si pone proprio l’accento “su informazioni di dominio pubblico o su materiale raccolto appositamente a tal fine “, relativi a rifiuti elettrici ed elettronici e rifiuti di plastica. (7) C.D.C. UE – Analisi IT 02 – cit. – 2023, Allegato II – Procedure di infrazione in materia di rifiuti pericolosi. Nel periodo tra il 1990 e il 2022, la Commissione ha avviato 216 procedure di infrazione nei confronti degli Stati membri, come riportato nella tabella di seguito. La tabella non include i casi di infrazione avviati nei confronti del Regno Unito nello stesso arco di tempo. Tali procedure riguardano nello specifico l’ambito dei rifiuti pericolosi, dei policlorodifenili (PCB) e dei policlorotrifenili (PCT). I PCB e i PCT sono un insieme di sostanze chimiche sintetiche impiegate principalmente nelle apparecchiature elettriche. (8) G.U.C.E. del 6.9.2000, L 226/3. (9) G.U.U.E. del 31.12.2008, L 353/1 – Il regolamento definisce con il termine di “sostanza” sia gli elementi chimici che i relativi composti (art. 2, punto 7). Pertanto, anche ai fini della classificazione dei rifiuti, i composti individuati dal suddetto regolamento sono a tutti gli effetti da intendersi come sostanze. Con il termine di “miscela” (i vecchi “preparati” ai sensi della direttiva 1999/45/CE) viene, invece, indicata (art. 2, punto 8), “una miscela o una soluzione composta di due o più sostanze “. In base al regolamento, la differenza tra sostanza e miscela è, pertanto, rappresentata dal fatto che quest’ultima si configura come un insieme di più sostanze. Ciascuna sostanza in quanto tale o in quanto contenuta all’interno di una miscela deve, ove ne ricorrano le condizioni, essere registrata a norma del REACH e notificata a norma del CLP, dal fabbricante o importatore della sostanza o della miscela. Ed ancora, quanto riportato dal regolamento CLP in relazione alla classificazione delle singole sostanze costituisce un riferimento solo ai fini dell’individuazione delle sostanze pericolose e delle classi, categorie, indicazioni o informazioni supplementari di pericolo di appartenenza. Regolamento di recente modificato dal Reg. Delegato (UE) 2023/707 del 19/12/2022 per quanto riguarda i criteri e le classi di pericolo per la classificazione, l’etichettatura e l’imballaggio delle sostanze e delle miscele. (10) G.U.U.E. del 29.5.2007, L 136/3 – Il regolamento 2006/1907/CE riguarda la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH) e rappresenta la normativa europea di riferimento sulle sostanze chimiche. Esso si applica alle sostanze in quanto tali, in miscele o in articoli. (11) G.U.U.E. del 31.5.2008, L 142/1 – istitutivo dei “metodi di prova” previsti dal Reg. 2006/1907/CE. (12) G.U.U.E. del 19.12.2014, L 365/89 – sostituisce l’Allegato III della direttiva 2008/98/CE che elenca le caratteristiche di pericolo per i rifiuti, mentre il Reg. 2017/997/UE modifica l’Allegato III della direttiva quadro in ordine alla caratteristica di pericolo HP14 “Ecotossico”. (13) G.U.U.E. del 25.6.2019, L 169/45 – relativo agli inquinanti organici persistenti (regolamento POPs). (14) A meno che non sia espressamente previsto da questa normativa (ad esempio, per i valori limite relativi ai POPs), che eventuali valori limite specifici di concentrazione contemplati dalla normativa CLP non debbano essere presi in considerazione. (15) Reg. 1907/2006 REACH (art. 3, punto 37), scenari d’esposizione definiti come “l’insieme delle condizioni, comprese le condizioni operative e le misure di gestione dei rischi, che descrivono il modo in cui la sostanza è fabbricata o utilizzata durante il suo ciclo di vita e il modo in cui il fabbricante o l’importatore controlla o raccomanda agli utilizzatori a valle di controllare l’esposizione delle persone e dell’ambiente. Questi scenari d’esposizione possono coprire un processo o un uso specifico o più processi o usi specifici, se del caso “. (16) Si rammenta, ad esempio, che proprio i metodi di prova da utilizzare in ambito REACH, sono richiamati dalla normativa sulla classificazione dei rifiuti. (17) Ovvio che le operazioni di smaltimento o recupero comportanti il recupero/riciclaggio e la rigenerazione/reimpiego dei POPs sono vietate. (18) G.U.U.E. del 12.7.2006, L 190/1 – sul punto basta citare gli articoli 34 e 36 del Regolamento, ove si è imposto il divieto di esportare rifiuti destinati a smaltimento al di fuori dei paesi EE/EFTA (European Free Trade Association), nonché rifiuti di natura pericolosa di provenienza UE verso tutti i paesi non aderente OCSE. Quanto alle procedure di esportazione consentite, in sintesi si prevede: a) ex art. 18, obblighi generali d’informazione per rifiuti non pericolo (lista verde); b) ex artt. 3, 4 e ss. notifica e autorizzazioni preventive scritte per rifiuti pericolosi (lista ambra). In sostanza, la Dir. 2008/98/CE viene comunque considerata per stabilire se taluni rifiuti possano essere esportati verso alcuni paesi extra-UE e non appartenenti all’OCSE (ex art. 36, paragrafo 1), diversamente nel documento di notifica e di movimento la classificazione dei rifiuti deve avvenire in conformità alle voci di cui agli allegati III e IV con riferimento ai codici della convenzione di Basilea e dell’OCSE. In tale convenzione si rinvengono pure i codici da utilizzare per le caratteristiche di pericolo (codici H) e le operazioni di trattamento (codici D e R) da inserire nei documenti citati. Del pari, secondo medesima ricerca di voci (che per le apparecchiature elettriche ed elettroniche o suoi componenti, pur sempre non pericolosi, sono i rispettivi codici CG010 e CG020), deve effettuarsi l’identificazione dei rifiuti nel documento di cui all’Allegato VII (cd. Annex VII – sostitutivo per nostro FIR) in caso di spedizioni soggette ex art. 18 agli obblighi generali d’informazione. (19) G.U.U.E. del 9.4.2018, C 124/1 – Comunicazione Commissione – Orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti (2018/C 124/01). (20) L’attribuzione delle caratteristiche di pericolosità viene, quindi, espletata mediante le opportune verifiche da effettuarsi secondo i criteri e sulla base dei valori limite specificati dall’Allegato III alla direttiva 2008/98/CE, così come sostituito dal Reg. 2014/1357/UE e dal Reg. 2017/997/UE. (21) Continuando: “a meno che non si applichino le esclusioni di cui all’articolo 20 della direttiva 2008/98/CE “. (22) Il riferimento è posto alle note: a) 1.1.3.1. Note relative all’identificazione, alla classificazione e all’etichettatura delle sostanze: note B, D, F, J, L, M, P, Q, E ed U.; b) 1.1.3.2 Note relative alla classificazione e all’etichettatura delle miscele: note 1, 2, 3 e 5. Si vedano le recenti modifiche di cui al Reg. Delegato (UE) 2023/707 del 19/12/2022 per quanto riguarda i criteri e le classi di pericolo per la classificazione, l’etichettatura e l’imballaggio delle sostanze e delle miscele. (23) G.U.C.E. del 25/7/75, n. L 194 (24) G.U.C.E. del 26/3/91, n. L 78/36 (25) G.U.C.E. del 7/1/94, n. L 005 – con la quale si è data attuazione dell’art. 1, par. 1, lett. a), della direttiva 91/156/CEE. (26) G.U.C.E. del 23/4/92, n. L 31 – L’elenco di rifiuti pericolosi previsto doveva tener conto dell’origine e della composizione dei rifiuti e, eventualmente, dei valori limite di concentrazione, nonché doveva essere riesaminato periodicamente e, se necessario, modificato. Venivano, pertanto, definiti “rifiuti pericolosi” quelli che possedevano una delle caratteristiche elencate in allegato III, ovvero le cd. “caratteristiche di pericolo dei rifiuti”; nonché, si introduceva con l’art. 2 l’ormai noto “divieto di miscelazione” di diverse categorie di rifiuti pericolosi o di rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi, e sue possibili deroghe solo nel caso in cui fossero rispettate le condizioni di cui all’art. 4 della direttiva 91/156/CEE. (27) G.U.C.E. del 31/12/94, n. L 356/14 – L’elenco de quo, veniva concepito considerando che i rifiuti individuati dovevano presentare una o più delle caratteristiche indicate nell’Allegato III della Dir. 91/689/CEE ed in particolare una o più delle caratteristiche riportate all’art. 1 della Dec. 94/904/CE. (28) Decisione della Commissione 2000/532/CE (G.U.C.E. del 6/9/2000, n. L 226/3) – Nel novello elenco (operativo dal 1.1.2002) venivano ampliate le tipologie di rifiuti qualificabili come pericolose, in relazione a quanto previsto dall’Allegato III della Direttiva 91/689/CEE. (29) Direttiva del Consiglio del 27/06/1967 (G.U.C.E. del 16/8/67, n. L1 96), concernente il riavvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative alla classificazione, all’imballaggio e all’etichettatura delle sostanze pericolose e successive modifiche, citata in nota (1) all’art. 2 della Decisione della Commissione 2000/532/CE. (30) Dec. 2000/532/CE – Allegato: ovvero, “qualunque composto di antimonio, arsenico, cadmio, cromo-VI, rame, piombo, mercurio, nichel, selenio, tellurio, tallio e stagno anche quando tali metalli siano in forme metalliche classificate come pericolose “. (31) Decisione del 16/01/2001 (G.U.C.E. del 16/2/2001, L 47) che modifica l’elenco dei rifiuti istituito dalla Dec. 2000/532/CE; con successive rettifiche (G.U.C.E. del 2/10/2001, n. L 262; G.U.C.E. del 27/4/2002, n. L 112). Per quanto riguarda la caratterizzazione dei rifiuti, la Decisione 2001/118/CE e le successive integrazioni, introduce nuove categorie (capitoli), che consentono di codificare più dettagliatamente i rifiuti, Ad esempio, nel capitolo 16 – “Rifiuti non specificati altrimenti nell’elenco”, sono stati introdotti quattro sub-capitoli Ulteriori novità relative al citato capitolo 16, si riscontrato nei sub-capitoli 1601 e 1602. Nel sub-capitolo 16 01, ora denominato “Veicoli fuori uso appartenenti a diversi modi di trasporto (comprese le macchine mobili non stradali) e rifiuti prodotti dallo smantellamento e dalla manutenzione di vicoli”, confluiscono, oltre i veicoli, anche tutti i rifiuti provenienti dalla manutenzione e dalla demolizione degli stessi Il sub-capitolo 16 02 che, precedentemente, includeva anche rifiuti provenienti dalla demolizione dei veicoli, i rifiuti derivanti dall’industria per la produzione di convertitori in plastica o dai processi di lavorazione dell’amianto, viene ora definito “Scarti provenienti da apparecchiature elettriche ed elettroniche”, e individua, unicamente, i rifiuti provenienti da dette apparecchiature. L’adeguamento dell’elenco, per le suddette tipologie di rifiuti, rivestiva particolare rilievo, alla luce dell’applicazione della Dir. 2000/53/CE sui veicoli fuori uso e delle proposte di direttive sulle apparecchiature elettriche ed elettroniche. (32) G.U.C.E. del 16/2/2001, L 47, che modifica la decisione 2000/532/CE. (33) G.U.C.E. del 23/7/2001, L 203, che modifica l’elenco dei rifiuti contenuto nella Dec. 2000/532/CE. (34) G.U.U.E. 30/12/2014, n. L 370/44, la quale, ad esempio, con novelle disposizioni stabiliva che il superamento dei valori limite stabiliti dall’Allegato IV al Reg. 2019/1021/UE per i POPs elencati nella suddetta decisione, comporta la classificazione dei rifiuti come pericolosi. Per gli altri POPs elencati negli allegati del Reg. 2019/1021/UE, valgono i criteri e i limiti generali previsti dalla normativa sulla classificazione dei rifiuti. In ogni caso, nella gestione dei rifiuti contenenti le sostanze di cui all’allegato IV del regolamento POPs, comprese quelle non elencate nella Dec. 2000/532/CE, bisogna rispettare le disposizioni previste dal suddetto regolamento 2019/1021/UE e, in particolare, di quanto indicato al suo articolo 7. (35) Allegato D, Parte IV, D.Lgs. 152/2006: “definizioni: “sostanza pericolosa” (classificata tale in quanto conforme ai criteri di cui alle parti da 2 a 5 dell’allegato I del regolamento (CE) n. 1272/2008 – cd. Reg. CLP); “metallo pesante” (qualunque composto di antimonio, arsenico, cadmio, cromo (VI), rame, piombo, mercurio, nichel, selenio, tellurio, tallio e stagno, anche quando tali metalli appaiono in forme metalliche nella misura in cui questi sono classificate come pericolose); “policlorodifenili e policlorotrifenili” (PCB – conformi alla definizione di cui all’articolo 2, lettera a), della direttiva 96/59/CE del Consiglio); “metalli di transizione” (composti seguenti di scandio vanadio, manganese, cobalto, rame, ittrio, niobio, afnio, tungsteno, titanio, cromo, ferro, nichel, zinco, zirconio, molibdeno e tantalio, anche quando tali metalli appaiono in forme metalliche, nella misura in cui questi sono classificati come pericolosi); “stabilizzazione” (processi che modificano la pericolosità dei componenti dei rifiuti e trasformano i rifiuti pericolosi in rifiuti non pericolosi); “solidificazione” (processi che influiscono esclusivamente sullo stato fisico dei rifiuti per mezzo di appositi additivi, senza modificare le proprietà chimiche dei rifiuti stessi); “rifiuto parzialmente stabilizzato” (contiene, dopo il processo di stabilizzazione, componenti pericolosi, che non sono stati completamente trasformati in componenti non pericolosi e che potrebbero essere rilasciati nell’ambiente nel breve, medio o lungo periodo) “. (36) Ovviamente, anche ex art. 184 (commi 4 e 5) del D.Lgs. n. 152/06. (37) È bene fin d’ora citare la recente Sentenza TAR Veneto n. 1533/2023 – pubblicata il 31/10/2023 – ove si ribadiscono taluni concetti interpretativi rispetto alla classificazione di un rifiuto derivante dal trattamento meccanico (EER 19.12.12) e sua corretta assegnazione di voce classificativa in ragione di taluni elementi. Si richiama nel testo motivo la Sentenza della CGUE del 11/11/2021 (in causa C-315/20), e si ribadisce che “non è dirimente l’attribuzione di un dato codice al fine di sussumere il rifiuto tra quelli speciali, tanto da precisare che “i rifiuti urbani non differenziati che siano stati classificati alla voce 19 12 12 del CER a seguito di un trattamento meccanico ai fini del loro recupero energetico, trattamento che non ha tuttavia sostanzialmente alterato le proprietà iniziali di tali rifiuti, devono essere considerati come rientranti tra i rifiuti urbani non differenziati provenienti dalla raccolta domestica, previsti da tali disposizioni, nonostante il fatto che queste ultime menzionino il codice 20 03 01 del CER” (§ 29) “. Ed ancora, i giudici amministrativi di primo grado ribadiscono circa l’art. 184 del D.Lgs. n. 152/06 che “conformemente al diritto euro-unitario ritenendo che “al rifiuto derivante da un’operazione di trattamento può essere legittimamente attribuito un codice CER nuovo rispetto a quello che il rifiuto aveva in origine solo se i due rifiuti sono diversi e cioè se l’operazione di recupero o di smaltimento ha prodotto un nuovo rifiuto” (cit. sent. del C.d.S. n. 5242/2014; per un caso di rifiuto secco non riciclabile originato dalla raccolta differenziata effettuata nella provincia di Treviso e sottoposto ad un procedimento industriale che lo aveva trasformato in combustibile da rifiuto, ossia in un prodotto del tutto nuovo e diverso da quello originario, si veda C.d.S. n. 2812/2016). Anche in tempi più recenti il Consiglio di Stato ha avuto modo di ribadire che la possibilità di attribuire a un rifiuto il codice 19.12.12 dipende dall’accertamento della coesistenza di due elementi, vale a dire che non siano presenti componenti pericolose e che il materiale in questione sia assoggettato ad una procedura preliminare qualificabile come “trattamento meccanico”, aggiungendo che “ciò che conta è la natura effettiva del rifiuto alla luce delle caratteristiche che il medesimo presenta in esito al processo di trattamento cui è sottoposto” (cfr. C.d.S. n. 849/2023) “. (38) Linee Guida SNPA di cui alla Delibera n. 105/2021, così come approvate con D.D. del MITE n. 47 del 09/08/2021, pubblicate sul sito web del MITE e sito web del SNPA. Approvazione avvenuta stante le modifiche intervenute ad opera del D.Lgs. n. 116/2020, recante l’attuazione della Dir. UE 2018/851 che a sua volta ha modificato la Dir. 2008/98/CE relativa ai rifiuti, nonché l’attuazione della Dir. UE 2018/852 che modifica la Dir. 1994/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, con modifiche alla Parte IV del D.Lgs. n. 152/2006; ed ancora, visto il novellato testo dell’art. 184, co. 5 del D.Lgs. n. 152/2006, ove si è prevista l’approvazione da parte del MITE delle Linee Guida redatte dal SNPA, ai fini di una corretta attribuzione ad opera del produttore dei Codici EER dei rifiuti e delle loro caratteristiche di pericolo. (39) Segnatamente si riporta il testo motivazionale: 1. “l’allegato III della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive, come modificata dal regolamento (UE) n. 1357/2014 della Commissione, del 18 dicembre 2014, nonché l’allegato della decisione 2000/532/CE della Commissione, del 3 maggio 2000, che sostituisce la decisione 94/3/CE che istituisce un elenco di rifiuti conformemente all’articolo 1, lettera a), della direttiva 75/442/CEE del Consiglio relativa ai rifiuti e la decisione 94/904/CE del Consiglio che istituisce un elenco di rifiuti pericolosi ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 91/689/CEE del Consiglio relativa ai rifiuti pericolosi, come modificata dalla decisione 2014/955/UE della Commissione, del 18 dicembre 2014, devono essere interpretati nel senso che il detentore di un rifiuto che può essere classificato sia con codici corrispondenti a rifiuti pericolosi sia con codici corrispondenti a rifiuti non pericolosi, ma la cui composizione non è immediatamente nota, deve, ai fini di tale classificazione, determinare detta composizione e ricercare le sostanze pericolose che possano ragionevolmente trovarvisi onde stabilire se tale rifiuto presenti caratteristiche di pericolo, e a tal fine può utilizzare campionamenti, analisi chimiche e prove previsti dal regolamento (CE) n. 440/2008 della Commissione, del 30 maggio 2008, che istituisce dei metodi di prova ai sensi del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH) o qualsiasi altro campionamento, analisi chimica e prova riconosciuti a livello internazionale. 2. Il principio di precauzione deve essere interpretato nel senso che, qualora, dopo una valutazione dei rischi quanto più possibile completa tenuto conto delle circostanze specifiche del caso di specie, il detentore di un rifiuto che può essere classificato sia con codici corrispondenti a rifiuti pericolosi sia con codici corrispondenti a rifiuti non pericolosi si trovi nell’impossibilità pratica di determinare la presenza di sostanze pericolose o di valutare le caratteristiche di pericolo che detto rifiuto presenta, quest’ultimo deve essere classificato come rifiuto pericoloso. “ (40) Circolare MITE del 17-10-2022 (Dipartimento Sviluppo Sostenibile), fonte sito web del MITE. (41) Sentenze Cassazione Penale, Sez. 3, nn. 47288/47298/47290, per tutte ud. 09/10/2019. (42) con riferimento al punto 38 della Decisone della CGUE – nelle Sentenze Cassazione Penale 2019 supra cit. (43) con riferimento ai punti 38, 39, 40 e 41 della Decisone della CGUE – nelle Sentenze Cassazione Penale 2019 supra cit. (44) con riferimento ai punti 42, 43 e 44 della Decisone della CGUE – nelle Sentenze Cassazione Penale 2019 supra cit. (45) con riferimento ai punti 45 e 46 della Decisone della CGUE – nelle Sentenze Cassazione Penale 2019 supra cit. (46) G.U.U.E. del 9.4.2018, C 124/1 – Comunicazione cit. (2018/C 124/01) – con riferimento ai punti 47 e 48 della Decisone della CGUE) e con riferimento ai punti 57 e 58 della Decisone della CGUE – nelle Sentenze Cassazione Penale 2019 supra cit. (47) con riferimento ai punti 49, 50, 51, 52 e 53 della Decisone della CGUE – nelle Sentenze Cassazione Penale 2019 supra cit. (48) Con riferimento al punto 59 della Decisone della CGUE – nelle Sentenze Cassazione Penale 2019 supra cit., segue netto richiamo all’art. 4, par. 2, co. 3 della Dir. 2008/98/CE, il quale stabilisce che “gli Stati membri devono tener conto non soltanto dei principi generali in materia di protezione dell’ambiente di precauzione e sostenibilità, ma anche della fattibilità tecnica e della praticabilità economica, della protezione delle risorse nonché degli impatti complessivi sociali, economici, sanitari e ambientali, con la conseguenza che il legislatore dell’Unione, nel settore specifico della gestione dei rifiuti, ha effettuato un bilanciamento tra principio di precauzione, fattibilità tecnica e la praticabilità economica, affinché i detentori di rifiuti non siano obbligati a verificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa nel rifiuto in esame, ma possano limitarsi a ricercare le sostanze che possono essere ragionevolmente presenti e valutare le sue caratteristiche di pericolo sulla base di calcoli o mediante prove in relazione a tali sostanze“. (49) in Sentenze Cassazione Penale 2019 supra cit. (50) Descrizioni brevi in riferimento alle diverse teorie dottrinali, anche minoritarie, da Roberto Losengo in “Rifiuti con codici “a specchio”: dopo il vademecum della cassazione sulla pronuncia pregiudiziale della Corte di Giustizia continua la “guerra d’opinione” sulla classificazione (e si rischia di dimenticare il diritto penale), in RGA – Rivista Giuridica Ambiente – N. 11 del marzo 2020 su www.rgaonline.it, quale commento alla Sentenza Cass. Pen., Sez. III – 9/10/2019 (dep. 21 novembre 2019), n. 47288 / 47289 / 47290. Si descrivono come minoritarie e/o attenuate le tesi: A) della “certezza scientifica”, che vuole un collegamento mitigato tra “certezza e verità” (così nell’articolo di W. Formenton, M. Farina, G .Salghini, L. Tonello, F. Albrizio, Codici a specchio: fra certezza scientifica e verità, in Lexambiente.it, 7/7/2017), evidenziando come, da un lato, sia necessaria una ineluttabile conoscenza del rifiuto, senza la quale la ricerca delle sostanze pericolose si risolverebbe in una “lotteria“; dall’altro, si osteggia apertamente la teoria della caratterizzazione integrale e certa del rifiuto, in quanto impossibile scientificamente. Per gli stessi Autori rilevano, La classificazione dei rifiuti con codici a specchio e la “probatio diabolica”, in Lexambiente.it, 28/04/2017; ancora, si allinea M. Franco, in Codici a specchio: nasce il partito della ‘incertezza’ scientifica, in Lexambiente.it, 19/07/2017, con buona analisi anche di diversi orientamenti di altri Paesi europei in ordine alla classificazione dei rifiuti. B) della “certezza attenuata”, prospettata come alternativa a conclusione dell’articolo di A. Galanti, La classificazione dei rifiuti con “codice specchio” – Dalla Commissione europea un contributo di chiarezza, in Diritto Penale Contemporaneo, 5/2018. Qui l’autore prende ragionevole spunto dalla Comunicazione della Commissione UE 2018/C 124/01 del 9/04/2018, “Orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti”, per proporre uno schema fasico della classificazione del rifiuto, che, previa sommaria conoscenza del rifiuto e del processo che lo ha generato, si deve procedere ad una selezione delle sostanze attraverso una relazione illustrativa che costituisca una “linea guida” per il laboratorio di analisi. Al termine di tale valutazione, se la composizione del rifiuto rimane sconosciuta il rifiuto dovrà essere classificato come pericoloso (quindi, si ritiene di escludere quell’inversione della prova), nel rispetto della corretta applicazione dei principi comunitari e del principio di precauzione. (51) Esaustiva disamina di tale teoria la si rinviene in Alberto Galanti, La classificazione dei rifiuti con “codice specchio”. Dalla Commissione europea un contributo di chiarezza, in Dir. Penale Contemporaneo – 5/2018 (su https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/). L’autore delinea che “Secondo la tesi più restrittiva il rifiuto con codice specchio è sempre classificato, ab origine, come pericoloso. Tuttavia, il produttore del medesimo, ha una opportunità, che può decidere o meno di sfruttare, ossia quella di “declassificare” il rifiuto in non pericoloso. Per fare ciò, il produttore dovrebbe avere una conoscenza completa della composizione del rifiuto, tale da escludere la presenza di sostanze pericolose. Il produttore, quindi, non gli organi di controllo. Tale asserzione non è apodittica, ma si basa su dati testuali, ossia sullo stesso elenco europeo dei rifiuti “. Secondo tale orientamento, si veda M. Sanna, I codici a specchio, in Lexambiente.it, 30/01/2013 e soprattutto di G. Amendola, M. Sanna, Codici a specchio, basta confusione, facciamo chiarezza, in Lexambiente.it, 28/07/2017. In tale ultimo testo si precisa che “Per la separazione dei diversi gruppi di sostanze, sfruttando le loro differenze di volatilità e solubilità nei diversi solventi, si ricorrerà a metodi chimici e fisici. Su questi criteri si basa appunto la sistematica di Staudinger, messa a punto negli anni ‘30 del secolo scorso e ripresa successivamente dai vari manuali, che naturalmente potrà essere adattata impiegando le moderne strumentazioni. Separate le diverse classi di sostanze presenti (quali, ad esempio, le ammine, le ammidi, i fenoli, le aldeidi, i nitro composti, ecc.), si procederà al loro riconoscimento utilizzando i metodi strumentali attualmente disponibili “. (52) Tesi, questa, che si contrappone nettamente a quella sopra citata; si veda S. MAGLIA, I rifiuti pericolosi e le voci a specchio: come classificarli correttamente? su Lexambiente.it, 28/02/2014, ove si precisa che “in caso di voci a specchio per verificare la pericolosità di un rifiuto non è ovviamente necessario verificare analiticamente la presenza di tutte le migliaia di sostanze pericolose esistenti e determinarne la concentrazione, ma deve essere indagata la presenza delle sostanze che con più elevato livello di probabilità potrebbero essere presenti nel rifiuto e, con riferimento a quelle, verificare il superamento dei limiti di concentrazione, ove previsti“. Per completezza si osserva che Alberto Galanti, in La classificazione dei rifiuti con “codice specchio” sopra cit. (su https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/), sostiene che le analisi andrebbero limitate ad alcuni set analitici ricavati da una verifica della presumibile composizione del rifiuto, anche secondo un Parere pro-veritate dell’ordine dei Chimici del Lazio, Umbria, Abruzzo e Molise, datato 12/02/2017 e citato. Ed ancora, l’Autore sinteticamente delinea come tale teoria “critica serratamente la c.d. “teoria della certezza” sotto numerosi profili “, ovvero: – il testo e lo spirito della normativa comunitaria sui codici a specchio – direttamente applicabile – non fa alcun riferimento a presunzioni di pericolosità del rifiuto o tantomeno ad onere di prova “esaustiva” su tutte le sostanze pericolose; – non esistono criteri e metodologici vincolanti per la ricerca delle sostanze pericolose; – imporre un tale onere probatorio (prova esaustiva) sul rifiuto non pone parametri di possibilità scientifica; – sotto il profilo strettamente amministrativo e, soprattutto, penale invertire l’onere della prova a carico del gestore presuppone un definito onere di prova liberatoria “esaustiva”, attualmente non codificato; – vista la prevalenza della fonte comunitaria, a partire dal 1° giugno 2015 (data di entrata in vigore del Regolamento (Ue) 1357/2014 e della Decisione 2014/955 Ue, citati), i criteri di analisi e ricerca sulla natura del rifiuto sono riferibili al caso specifico, dunque devono risultare “opportuni”, “proporzionati” e “pertinenti” nell’ambito di una “attività a contenuto valutativo”. (53) Così in Sentenze Cassazione Penale 2019 supra cit. (54) Invero, nelle Sentenze Cassazione Penale 2019 supra cit., si osserva come la CGUE intende “escludere radicalmente la possibilità di arbitrarie scelte da parte del detentore del rifiuto circa le modalità di qualificazione del rifiuto ed accertamento della pericolosità“, significa ulteriormente che la sottolineata “impossibilità di imporre al detentore del rifiuto irragionevoli obblighi sia dal punto di vista tecnico che economico, non può assolutamente, a fronte di quanto più diffusamente stabilito dai medesimi giudici, essere utilizzato come pretesto per aggirare le precise indicazioni circa le modalità di qualificazione del rifiuto, essendo chiaro che se la composizione del rifiuto non è immediatamente nota (circostanza che rende, evidentemente, non necessaria l’analisi) il detentore deve raccogliere informazioni, tali da consentirgli una “sufficiente” conoscenza di tale composizione e l’attribuzione al rifiuto del codice appropriato“. Pertanto, quella raccolta di informazioni, citata dalla CGUE “va necessariamente effettuata secondo la precisa metodologia specificata, che non prevede esclusivamente il campionamento e l’analisi chimica“; così come non condivisibile deve ritenersi “l’affermazione del Tribunale secondo cui “l’analisi del rifiuti “a specchio”, al fine di determinarne la pericolosità, deve riguardare solo le sostanze che, in base al processo produttivo, è possibile possano conferire al rifiuto stesso caratteristiche di pericolo” in quanto riduttiva rispetto alla metodologia individuata nella pronuncia della Corte di giustizia“. (55) Redatte a distanza di poco più di un mese dall’avvento di tali principi delineati dalla Corte di legittimità e che avrebbero, sin da allora, dovuto guidare o quantomeno coadiuvare l’opera pratica in ambito classificatorio. (56) Linee Guida SNPA del 27/11/2019 adottate con Delibera n .61/2019 – reperibili in raccolte su sito web SNPA. Già qui si rinviene la precisazione che “ […] l’interpretazione fornita si discosta solo in casi limitati da quella riportata nella Comunicazione della Commissione europea contenente gli “Orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti” “, giustificando siffatte scelte di discostamento (con interpretazione di talune voci come codici “assoluti” e non “a specchio”, tra cui i codici previsti per i RAEE), con l’assunto che la stessa Comunicazione della Commissione europea del 2018 riporta (al paragrafo 1.2.1 dell’allegato 1) che “l’interpretazione dei tipi di voce riportata“ nell’elenco dei rifiuti commentato “è una delle interpretazioni possibili che tiene conto in maniera equilibrata delle opinioni formulate da diversi Stati membri. Esistono interpretazioni diverse a livello di Stati membri e anch’esse possono essere consultate “. (57) Principale fonte normativa, nel nostro ordinamento, che individua e definisce l’ambito degli AEE e dei RAEE è il D.Lgs. n. 49/2014, coordinato con ogni disposizione rilevante del D.Lgs. n. 152/06. Un AEE diventa RAEE quando, ex art. 183, co. 1 lett. a) del T.U. Ambiente, il detentore si disfi, abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi di apparecchiature elettriche ed elettroniche fuori uso (in quanto guaste, inutilizzate o obsolete), inclusi tutti i componenti, sottoinsiemi e materiali di consumo che sono parte integrante del prodotto nel momento in cui diventi per l’appunto rifiuto. Dal 15/08/2018 è divenuto operativo, altresì, il cd. “open scope”, che ha introdotto aperture sulle classificazioni degli AEE con il passaggio, dalle precedenti 10, alle attuali 6 categorie con arricchimento delle tipologie stesse degli elenchi, in modo tale da ampliare la casistica di apparecchiature rientranti nella classificazione di AEE. Categorie, queste, che servono per identificare gruppi di AEE immessi nel mercato, da cui si possono ricondurre tipologie di apparecchiature elettriche e/o elettroniche che termineranno il loro ciclo di vita e, pertanto, da gestire in qualità di RAEE. (58) Si veda il rapporto descritto, su origine e composizione, nella determinazione delle voci in senso assoluto. (59) Pare ad esempio utile citare, anche la pronuncia di Corte di Giustizia Europea del 22 giugno 2000 (causa C-318/98) in ordine al percorso della corretta identificazione di un rifiuto come pericoloso o meno. Rispetto alla pregressa normativa, la Corte evidenziava che “55. È sufficiente ricordare al riguardo che, a termini dell’art. 1, n. 4, della Dir. 91/689, i rifiuti figuranti nell’elenco dei “rifiuti pericolosi” devono possedere almeno una delle caratteristiche elencate nell’allegato III della direttiva stessa e che tale elenco terrà conto dell’origine e della composizione dei rifiuti ed eventualmente dei valori limite di concentrazione. 56. Dal tenore stesso di tale disposizione emerge che, con riguardo alla nozione di “rifiuto pericoloso”, il criterio determinante consiste nell’accertamento se il rifiuto possegga almeno una delle caratteristiche indicate nell’allegato III della Dir. 91/689. Se l’inclusione nell’elenco dei “rifiuti pericolosi” si basa effettivamente sull’origine del rifiuto, ciò non implica che la determinazione precisa di tale origine sia indispensabile ai fini della classificazione del rifiuto stesso come pericoloso. Infatti, l’origine di un rifiuto non è l’unico criterio di qualificazione della sua pericolosità, bensì costituisce uno dei fattori di cui l’elenco dei rifiuti pericolosi si limita a “tener conto”. 57. Ciò premesso, la prima questione dev’essere risolta nel senso che l’art. 1, n. 4, della Dir. 91/689 e la Dec. 94/904 devono essere interpretati nel senso che la determinazione dell’origine di un rifiuto non costituisce una condizione necessaria per poterlo classificare, in un caso concreto, come rifiuto pericoloso. “ (60) si veda art. 17 Dir. 2008/98/CE (61) si veda art. 19 Dir. 2008/98/CE (62) Con autorizzazione speciale, così come richiesto a norma degli articoli da 23 a 25 della Dir. Quadro, nonché autorizzati secondo le normative di cui alla direttiva relativa alle discariche di rifiuti e alla direttiva sulle emissioni industriali. Le proprietà dei rifiuti che li rendono pericolosi, di cui all’allegato III della Dir. quadro, sono state recentemente adattate al progresso scientifico mediante il Reg. 1357/2014/UE, applicabile a decorrere dal 10/06/2015 e dal Reg. 2017/997/UE, applicabile a decorrere dal 5/07/2018. (63) In C.D.C. UE – Analisi IT 02 – cit. – su sito eca.europa.eu, si pone riferimento già alla Relazione del 2017 finanziata dalla Commissione sulla gestione dei rifiuti pericolosi negli Stati membri. (64) In C.D.C. UE – Analisi IT 02 – cit. – su sito eca.europa.eu, si pone l’accento sul caso delle batterie agli ioni litio, presenti in diversi prodotti oramai dell’elettronica, dei veicoli, ma non possedenti un codice nel EER definitivo, con l’unico possibile utilizzo di codice a disposizione quello generico per “altre batterie e accumulatori”, tipologia che rientra nella categoria dei rifiuti di “non pericolo assoluto”. Dal canto, il riferimento è anche posto alla normativa UE relativa alle sostanze chimiche, rispetto alla quale le proprietà che definiscono un rifiuto come pericolose, elencate nella direttiva quadro, sono per lo più in linea con le classi di pericolo usate nell’UE per individuare le sostanze pericolose di cui dal Regolamento CLP relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio delle sostanze e delle miscele. (65) In C.D.C. UE – Analisi IT 02 – cit. – su sito eca.europa.eu, si evidenziano lacune informative concernente le quantità comunicate di rifiuti pericolosi trattati rispetto a quelli prodotti nell’UE; errori di comunicazione dati dovuta a metodi differenti di comunicazione dei dati tra la produzione e il trattamento di detti rifiuti; rifiuti che contengono sostanze sia pericolose che non pericolose dovrebbero essere registrati come rifiuti pericolosi al 100 %; quantità di rifiuti pericolosi trattati divergente rispetto a quelli prodotti; scarsa incidenza di rifiuti pericolosi preparati per il riutilizzo; operatori di riciclo che non dispongono di informazioni sulla composizione chimica dei prodotti e rifiuti trattati; bassa incidenza, ancora, nella raccolta differenziata per i rifiuti pericolosi prodotti nelle case delle famiglie, rifiuti pericolosi riciclati derivanti da prodotti di consumo (come apparecchiature elettriche ed elettroniche o batterie portatili); difficoltà per gli Stati membri, pur in presenza di legislazioni nazionali conformi a regole rigide europee, nell’applicarle la tracciabilità (dalla produzione fino al trattamento finale) dei rifiuti pericolosi e il divieto di miscelazione; non dichiarare i rifiuti che contenevano le sostanze pericolose come pericolosi, ovvero dichiararli come non pericolosi; flussi di rifiuti pericolosi maggiormente interessati dalle spedizioni illecite riferiti alle apparecchiature elettriche ed elettroniche, ai veicoli fuori uso e alle plastiche contenenti sostanze pericolose. (66) G.U.U.E. del 31/10/2009, L 285/10 – si richiama l’Articolo 11 – Disposizioni per i componenti e le sottounità – Le misure di esecuzione possono imporre a un fabbricante o al suo mandatario che immettono sul mercato e/o mettono in servizio componenti e sottounità di fornire al fabbricante di un prodotto contemplato dalle misure di esecuzione le pertinenti informazioni sulla composizione materiale e sul consumo di energia, materiali e/o risorse dei componenti o sottounità. (67) G.U.U.E. del 31.8.2023, L 214/47 – Regolamento che stabilisce le specifiche per la progettazione ecocompatibile di smartphone, telefoni cellulari diversi dagli smartphone, telefoni cordless e tablet a norma della direttiva 2009/125/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che modifica il regolamento (UE) 2023/826 della Commissione. (68) Riducendo altresì gli impatti negativi in ossequio ai principi e criteri di cui agli articoli 177, 178, 178-bis, 179, 180, 180-bis e 181 del D.Lgs. n. 152/06, così nel rispetto pure del D.Lgs. 151/2005, recante attuazione della Dir. 2002/96/CE e della Dir. 2003/108/CE, relative alla riduzione dell’uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché allo smaltimento dei rifiuti. (69) In riferimento ai RAEE si sono poste quattro definizioni: a) RAEE provenienti dai nuclei domestici: ovvero originati dai nuclei domestici e quelli di origine commerciale, industriale, istituzionale e di altro tipo, analoghi, per natura e quantità, a quelli originati dai nuclei domestici, nonché i rifiuti delle AEE che potrebbero essere usate sia dai nuclei domestici che da utilizzatori diversi dai nuclei domestici sono in ogni caso considerati RAEE provenienti dai nuclei domestici; b) RAEE professionali: quelli diversi da quelli provenienti dai nuclei domestici di cui alla lettera specificata; c) RAEE equivalenti: ovvero, ritirati a fronte della fornitura di una nuova apparecchiatura, che abbiano svolto la stessa funzione dell’apparecchiatura fornita; d) RAEE storici: quelli derivanti da apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato prima del 13 agosto 2005. (70) Art. 4 lett. S), del D.Lgs. n. 49/2014. (71) In quest’ambito, “messa in sicurezza” consolidata nell’Allegato VII, del D.Lgs. 49/2014, da titolo “Modalità di gestione dei RAEE negli impianti di trattamento di cui all’articolo 18, co. 2”; Allegato VIII, dal titolo “Requisiti tecnici degli impianti di trattamento di cui all’articolo 18, co. 2 del presente decreto”. (72) Recepita dal D.Lgs. n. 15/2011. (73) Quanto ai rifiuti di natura pericolosa, il raccordo nazionale è dato dalla definizione, ex art., co. 1 lett. z): “”rifiuto pericoloso”: i rifiuti che presentano le caratteristiche indicate nell’articolo 183, comma 1, lettera b), del D.L.gs. n. 152/2006; “ (74) Si tenga presente che il “trattamento adeguato” (con messa in sicurezza), ex art. 20 successivo, è richiesto agli impianti o le imprese che effettuano operazioni di trattamento di RAEE autorizzate ai sensi dell’articolo 208 o dell’articolo 213 del D.Lgs. n. 152/2006; mentre con separato decreto (ad oggi si applica ancora il D.M. 05/02/98) adottato ai sensi dell’art. 214 del D.Lgs. n. 152/2006, si gestiscono in sede autorizzatoria (ex art. 216) le operazioni di recupero dei RAEE non pericolosi (in conformità alle prescrizioni tecniche stabilite dagli Allegati VII e VIII del D.Lgs. n. 49/2014), sottoposte alle procedure semplificate. (75) Se prima il riferimento per la gestione dei rifiuti radioattivi e controlli di natura radiometrica doveva intendersi (anche per il D.M. 02/05/98 – ma solo con espresso richiamo per taluni rifiuti metallici) al D.Lgs. n. 230/95, ora il riferimento è posto al recente D.Lgs. n. 101/2020, in vigore dal 27/08/2020, che abroga e sostituisce integralmente il precedente. (76) Circolare MITE del 17-10-2022 (Dipartimento Sviluppo Sostenibile), fonte sito web del MITE. (77) Il riferimento è anche al novello DECRETO del 10/07/2023, n. 119 da titolo “Regolamento recante determinazione delle condizioni per l’esercizio delle preparazioni per il riutilizzo in forma semplificata, ai sensi dell’articolo 214-ter del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”, entrato in vigore il 16/09/2023 (GU n.204 del 01-09-2023). (78) Si veda SNPA, Relazione tecnica relativa agli esiti delle attività di vigilanza e controllo effettuate dal SNPA dal 2019 al 2022 presso gli impianti di gestione rifiuti ai sensi dell’art. 206-bis del D.lgs. 152/06, Pubblicazioni tecniche SNPA, 2023 (ISBN <978-88-448-1190-7>), adottata con seduta del 11.10.2023, Doc. n. 221/23, pubblicata su sito web, https://www.snpambiente.it/snpa; nella relazione citata non vi è traccia di controlli relativi ai flussi “circolari” dei RAEE tra impianti diversamente autorizzati, al pari di come non v’è nulla in tema di controlli effettuati rispetto ai flussi e documentazione, relativi a spedizioni di RAEE, secondo il dettame del Reg. 1013/2006/UE. (79) il Legislatore ha previsto all’art. 185, co. 5 del D.Lgs. n. 152/06, l’approvazione da parte del Ministero della transizione ecologica (sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano) di specifiche “linee guida” redatte dal SNPA (Sistema Nazionale per la Protezione e la ricerca Ambientale) ai fini di una armonizzazione e corretta attribuzione, pur sempre ad opera del produttore, dei codici dei rifiuti e delle caratteristiche di pericolo dei medesimi. Con il D.D. n. 47 del 9 agosto 2021, il MITE ha approvato le predette Linee Guida, di cui alla delibera del Consiglio del SNPA il 18/05/2021, n. 105, integrate dal sotto-paragrafo “3.5.9 – Rifiuti prodotti dal trattamento meccanico/meccanico-biologico dei rifiuti urbani indifferenziati”, al Capitolo 3. (80) Si riporta quanto segue: qualora un rifiuto sia assegnato a una voce ANH (Absolute Non Hazardous, assoluta di non pericolo), si specifica che tali linee intendono “evidenziare è che sia messa in atto una procedura nella quale sia chiaro il motivo per cui sono state fatte determinate scelte e, nel caso, di potenziale pericolosità, sia esplicitata la ragione che ha portato a ricercare talune sostanze “. (81) Si veda Circolare MITE del 17-10-2022 (Dipartimento Sviluppo Sostenibile), fonte sito web del MITE, punto n. 3 dal titolo “Analisi merceologiche/schede/manuali prodotto”. (82) Art. 15 Dir. UE 2012/19, che prevede altresì che tali informazioni “Vengono messe a disposizione dei centri di preparazione per il riutilizzo e degli impianti di trattamento e riciclaggio da parte dei produttori di AEE in forma di manuali o attraverso gli strumenti elettronici (ad esempio CD-Rom e servizi on line) “, così come ripreso nel nostro D.Lgs. n. 49/2014. (83) G.U.U.E. del 9.4.2018, C 124/1 – Comunicazione della Commissione – cit., (2018/C 124/01), pag. 66. E’ interessante, altresì, verificare alla Nota (1), paragrafo 1.2.1 dell’Allegato 1 (elenco codici commentato) della Comunicazione, cosa si cita in riferimento alle singole voci “specchio” MH e MNH: “Ad esempio, cfr. le voci contrassegnate con A, B e C nella tabella […] Per le voci contrassegnate con «B», l’interpretazione riportata nel documento di orientamento del Regno Unito differisce dall’interpretazione precedentemente descritta, cfr. https://www.gov.uk/government/publications/waste-classification-technical-guidance “; in sostanza, al 2018 risultava che lo stesso meccanismo era adottato, per nel voci B (riferite, pure, a taluni voci MH e MNH dei RAEE) solo dal Regno Unito. Tuttavia il meccanismo appare differente da quello applicato nel nostro ordinamento, in quanto (previa traduzione letterale) nelle “Guidance on the classification and assessment of waste (1st Edition v1.2.GB) Technical Guidance WM3”, in Appendix A “How to use the List of Waste” (pag. A44) nel riquadro “Example 6 – Waste electronic and electrical equipment (WEEE)”, si cita testualmente “Le voci 20 01 35* e 16 02 13* sono voci di pericolo assoluto perché un “componente pericoloso” non è una sostanza pericolosa né in modo specifico né in generale. È la presenza o l’assenza di un componente pericoloso nell’apparecchiatura che determina l’utilizzo del codice. Se nell’apparecchiatura non è presente alcun componente pericoloso, sarebbe appropriato 20 01 36 o 16 02 14“[…]; tuttavia, e dimostrando il diverso iter gestionale di quel paese, si precisa che “La voce viene utilizzata se l’apparecchiatura contiene un componente valutato come pericoloso a causa di tale sostanza (ad esempio componenti contenenti amianto come cavi, rondelle o isolanti). In caso contrario devono essere prese in considerazione le altre voci di questo sottocapitolo (sia pericolose che non pericolose). I RAEE di piccole dimensioni raccolti in comune dai siti di servizi civici, a meno che i RAEE pericolosi non siano stati identificati e rimossi, devono essere codificati con la doppia codifica 20 01 35* e 20 01 36. (Nota: in Scozia i rifiuti sarebbero classificati come 20 01 35* e la presenza di rifiuti non pericolosi inseriti nella scritta “. Dunque, nei paesi anglosassoni, in taluni casi (quale forma di precauzione ambientale), viene addirittura utilizzata anche la doppia codifica, ovvero l’annotazione della presenza di rifiuti non pericolosi durante raccolta, trasporto e magari pure in fase di conferimento. (84) È il caso di citare che siffatti “limitati discostamenti” hanno interessato anche voci riferibili al capitolo e sub-capitolo relativo al cd. VFU sopra citati. Anche qui, pur sempre valutandosi con ricadute in tema di apparecchi elettronici possibilmente presenti nei complessi VFU, troviamo discostamenti dal quadro valutativo europeo del 2018 operato dalla Commissione, ovvero le voci EER 16 01 22 componenti non specificati altrimenti (possibilmente utilizzabili, ad esempio, per i rifiuti costituiti dalle cd. “centraline auto”, alimentati dalle batterie e contenenti circuiti stampati) era in origine MNH in riferimento alle “speculari” voci di cui agli EER 16 01 08*/09* (dunque necessitanti meccanismi valutati di voci “a specchio”), rispettivamente componenti contenenti mercurio e componenti contenenti PCB (in coerenza con il meccanismo europeo sopra descritto); mentre nel nostro sistema diventato tutte, per riferimento nelle Linee Guida, rispettivamente NPA la prima (16 01 22) ed PA entrambe le seconde. Pur se in presenza di una voce 16 01 99 (comunque considerata a livello europeo ANH in senso assoluto) e identificante possibili i rifiuti non pericolosi (assoluti) “non specificati altrimenti”. (85) Il D.Lgs. n. 49/2014 suddivide le AEE in n. 6 categorie, di cui all’allegato III, ed in un elenco non esaustivo delle stesse apparecchiature riferite alle suddette categorie previsto nell’allegato IV del medesimo decreto. Come richiamato nelle stesse Linee Guida, il D.M n. 185/2007, a sua volta, prevede la ripartizione dei RAEE provenienti dai centri di raccolta in 5 Raggruppamenti, tutti richiamanti le apparecchiature oggetto di produzione, le quali a fine vita si trasformano in RAEE e ricadono nei potenziali 5 Raggruppamenti: R1 – Freddo e clima; R2 – Altri grandi bianchi; R3 – TV e Monitor; R4 – IT e Consumer Electronics; R5 – Sorgenti luminose. (86) Si veda schema a pag. 83 Linee Guida 2021/22. (87) Si vede, ad esempio, la Circolare n. 25/2023 del CNR – Amministrazione Centrale (Prot. N. 262992/2023) del 11/09/2023, recante in allegato le adottate “Linee guida sulle procedure di gestione dei Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (RAEE)” del 08/08/2023 (su web CNR all’indirizzo https://www.urp.cnr.it/documentotesto.php?id=25&anno=2023). (88) Si indica che i Pc possono contenere: “Contenitore (“case”) in metallo ferroso con inserti di plastica e gomma; scheda madre; hard disk; banchi di memoria RAM; schede audio, video, ethernet; microprocessore (CPU); sistema di alimentazione o cavetteria; batteria di memoria; connettori plastici; lettori DVD/CD e masterizzatori; lettori Floppy-disk; ventola della CPU, ecc. “Mentre, per i computer portatili si indica che “contengono i medesimi componenti dei personal computer, ma con differenti disposizioni e dimensioni. A tali componenti si aggiungono però: batteria di alimentazione; schermo integrato LCD o LED “ (89) È interessante, brevemente, osservare sul punto la specifica tipologia prevista e richiamata nel DM 02/05/98 relativamente alle procedure semplificate: 5.6 Tipologia (voci in ingresso): “rottami elettrici ed elettronici contenenti e non metalli preziosi [160216] [160214] [200136] [200140] “. Provenienza rifiuti (5.6.1): “industria componenti elettronici; costruzione, installazione e riparazione apparecchiature elettriche e elettroniche, “altre” attività di recupero (quali?); attività commerciali, industriali e di servizio“. Caratteristiche del rifiuto (5.6.2): “oggetti di pezzatura variabile, “esclusi” tubi catodici (unica citazione di esclusione), costituiti da parti in resine sintetiche, vetro o porcellana e metalli assiemati, alcuni con riporto di metalli preziosi quali Ag 0,05-15%, Au 0,0025%, Pt fino a 0,2%, Pd fino a 0,5% e contenenti Cu fino a 50%, Pb fino a 5%, Ni fino a 10%, Zn fino a 5%, Fe fino a 80%, ottone e bronzo fino al 15%, Cr <5%, Cd <0,006% (tutte sostanze e/o metalli pesanti possibilmente presenti, da/come valutate/considerare?). Attività di recupero consentite (5.6.3): a) separazione dei componenti contenenti metalli preziosi; pirotrattamento, macinazione e fusione delle ceneri, raffinazione per via idrometallurgica [R4]; b) macinazione e granulazione della gomma e della frazione plastica e recupero nell’industria delle materie plastiche [R3]. Caratteristiche delle materie prime e/o dei prodotti ottenuti (ora EoW) (5.6.4): a) metalli preziosi e altri metalli ferrosi e non ferrosi nelle forme usualmente commercializzate; b) prodotti plastici e in gomma nelle forme usualmente commercializzate (quale certificazione di qualità/processo segue, forse i Regg. UE 333/11 o 715/13 oppure no? E con quali riscontri analitici in termini di sostanze presenti?). (90) Sul tema, interessante disamina di tale principio è affrontata da Rosa Bertuzzi, Andrea Tedaldi in “Il principio di precauzione in materia ambientale”, rinvenibile sul web in https://www.tuttoambiente.it/commenti-premium/principio-precauzione-materia-ambientale-tentativi-definizione-livello-sovranazionale-esempi-italiano-francese/. (91) Il riferimento posto è nelle Linee Guida SNPA di cui alla Delibera n. 105/2021, così come approvate, alla pronuncia pregiudiziale della C.G.C.U, collegata alle Sent. Cassazione Penale, Sez. 3, nn. 47288/47298/47290, ud. 09/10/2019. (92) Si elencano: componenti rimossi dalle apparecchiature fuori uso: 16 02 15* – componenti pericolosi rimossi da apparecchiature fuori uso e 16 02 16 – componenti rimossi da apparecchiature fuori uso, diversi da quelli di cui alla voce 16 02 15; pile e accumulatori (paragrafo 16 06); toner in polvere esauriti (08 03 17* o 08 03 18), gruppi cartuccia esauriti, contenenti toner residuo, nero o colorato (EER 16 02 15* o 16 02 16); solventi organici, refrigeranti e propellenti di scarto (capitolo 14); rifiuti generati da operazioni di frantumazione dei RAEE (paragrafo 19 10); metalli ferrosi e non ferrosi, plastica, gomma, legno, vetro, ecc. provenienti dal trattamento meccanico dei RAEE (paragrafo 19 12); oli (capitolo 13). (93) Di recente, si veda Sent. Cass. Pen., Sez. V, 27/02/2014, n. 9695, ove si precisa (in tema di contenuti peritali) che un “giudizio di alta probabilità logica” non definisce il nesso causale in sé e per sé, piuttosto evidenzia quel criterio di metodo con il quale l’accertamento probatorio procede sulla verifica del nesso causale, il quale deve consentire di fondare, all’esito di un completo e attento vaglio critico, un convincimento dotato di un elevato grado di credibilità razionale. Orientamento che fonda radici sui rilevanti principi contenuti nella storica Sent. Cass. Pen. SS.UU., n. 30328 del 10 luglio 2002, Franzese, secondo cui al fine di stabilire la sussistenza del nesso di causalità, posta una probabile spiegazione causale dell’evento (su basi di legge statistica o universale sufficientemente valide) al caso concreto, occorre successivamente verificare, attraverso un metodo di giudizio “di alta probabilità logica”, l’attendibilità, in concreto, della spiegazione causale probabile. (94) Nel preambolo della Dir. 2008/98/CE, si ambisce alla “società del riciclaggio”, con produzione di beni ecosostenibili e riduzione rifiuti. (95) G.U.U.E. del 14.6.2018, L 150/109. (96) Agenda 2030, adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU del 25/09/2015, con relativi SDGs (o 17-Goals) da perseguire, tutti complementari tra loro in una visione d’insieme, onde superare il concetto “business as usual” per uno sviluppo sostenibile globale. (97) Si veda punto 36) Dir. 851/2018. (98) Si veda punto 38) Dir. 851/2018, ove si ritiene: “ […] necessario promuovere misure intese a ridurre la presenza di sostanze pericolose in tutti i materiali e i prodotti, inclusi i materiali riciclati, e garantire che siano comunicate informazioni sufficienti sulla presenza di sostanze pericolose e in particolare di sostanze estremamente preoccupanti durante l’intero ciclo di vita dei prodotti e dei materiali. Al fine di conseguire tali obiettivi, è necessario migliorare la coerenza tra il diritto dell’Unione in materia di rifiuti, sulle sostanze chimiche e sui prodotti e assegnare all’Agenzia europea delle sostanze chimiche il ruolo di garantire che le informazioni sulla presenza di sostanze estremamente preoccupanti siano disponibili durante l’intero ciclo di vita dei prodotti e dei materiali, anche in fase di rifiuto“. (99) Tanto da inserire il cd “regime di responsabilità estesa del produttore” (ERP), che nel nostro ordinamento è stato recepito solo di recente con il D.Lgs. n. 116/2020 (con modifiche al D.lgs. 152/2006), con cui si è rivisitata la cd. ERP, introducendo la definizione di “regime di responsabilità estesa del produttore”, diretto ad assicurare che ai produttori di beni corrisponda la responsabilità finanziaria e/o organizzativa della gestione della fase del ciclo di vita in cui il prodotto diventa un rifiuto. (100) In breve, si strutturavano parametri di vaglio in seno alla Commissione per verifiche e miglioramenti dei livelli di protezione dell’ambiente, in tema di “cessazione della qualifica di rifiuto” (ex MPS ora EoW). Poteri di vaglio diretti sulle normative nazionali in tema di: a) materiali di rifiuto in entrata ammissibili ai fini dell’operazione di recupero; b) processi e tecniche di trattamento consentiti; c) criteri di qualità per i materiali di cui è cessata la qualifica di rifiuto ottenuti dall’operazione di recupero in linea con le norme di prodotto applicabili, compresi i valori limite per le sostanze inquinanti, se necessario; d) requisiti affinché i sistemi di gestione dimostrino il rispetto dei criteri relativi alla cessazione della qualifica di rifiuto, compresi il controllo della qualità, l’automonitoraggio e l’accreditamento, se del caso; e) un requisito relativo alla dichiarazione di conformità. (101) G.U.U.E. del 31/10/2009, L 285/10, quale rifusione della Dir. 2005/32/CE su specifiche di progettazione ecocompatibile dei prodotti. (102) Concetto illustrato nella Comunicazione della Commissione del 18/06/2003 dal titolo “Politica integrata dei prodotti — Sviluppare il concetto di ciclo di vita ambientale “. (103) Lasciando impregiudicate le normative in materia di gestione rifiuti e di sostanze chimiche, si prevede che in riferimento agli “aspetti ambientali significativi“ di un prodotto, fabbricanti e produttori, devono: a) tener conto di un concetto di “fine vita”, nel senso di prodotto che è giunto al termine del suo primo uso fino allo smaltimento definitivo; b) descrivere e informare sulle possibilità di reimpiego, riciclaggio e recupero dei materiali utilizzati; c) verificare la generazione prevista di rifiuti pericolosi e non; d) evitare l’uso di sostanze classificate come pericolose per la salute e/o per l’ambiente; e) nonché fornire informazioni per gli impianti di trattamento in merito a smontaggio, riciclaggio o smaltimento a fine vita, in ragione ovviamente delle sostanze e materiali presenti nei prodotti. (104) G.U.U.E. del 31.8.2023, L 214/47. (105) Reg. 2023/1670/UE, definizioni al punto 44). (106) Reg. 2023/1670/UE – ALLEGATO III – Misurazioni e calcoli – punto n. 2: “Se non esistono norme tecniche pertinenti e fino alla pubblicazione nella GU degli estremi delle norme armonizzate di cui sopra, si applicano i metodi di prova provvisori di cui all’allegato III bis o altri metodi affidabili, accurati e riproducibili che tengano conto dei metodi più avanzati generalmente riconosciuti “. (107) UNI CEI EN 45555:2020 – Metodi generali per valutare la riciclabilità e il recupero dei prodotti connessi all’energia, su https://store.uni.com/uni-cei-en-45555-2020 (La norma fornisce una metodologia generale per: – valutare la riciclabilità dei prodotti connessi all’energia; – valutare il recupero dei prodotti connessi all’energia; – valutare la capacità di accedere o rimuovere determinati componenti o assemblaggi da prodotti connessi all’energia per facilitarne il riciclaggio potenziale o altre operazioni di recupero; – valutare la riciclabilità delle materie prime essenziali dei prodotti connessi all’energia. Recepisce: EN 45555:2019). (108) UNI CEI EN 45558:2021 – Metodo generale per dichiarare l’uso di materie prime critiche nei prodotti connessi all’energia, su https://store.uni.com/uni-cei-en-45558-2021 (In conformità alla richiesta di normazione M/543 è necessario considerare i metodi di “Uso e la riciclabilità delle materie prime critiche per l’UE, elencate dalla Commissione Europea”. La presente norma facilita questo requisito descrivendo informazioni appropriate sui materiali critici. Recepisce: EN 45558:2019). (109) Si comprendono anche le informazioni indicate nell’allegato VI del collegato Reg. Delegato (UE) 2023/1669, che integra il Reg. (UE) 2017/1369 per quanto riguarda l’etichettatura energetica degli smartphone e dei tablet. (110) Deve anche intendersi salvo l’articolo 15, par. 1, della direttiva 2012/19/UE – che rimane pienamente operativo: Articolo 15 – Informazione degli impianti di trattamento – 1. Al fine di agevolare la preparazione per il riutilizzo e il trattamento corretto ed ecocompatibile dei RAEE, compresi la manutenzione, l’ammodernamento, la riparazione e il riciclaggio, gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che i produttori forniscano informazioni gratuitamente in materia di preparazione per il riutilizzo e il trattamento per ogni tipo di nuove AEE immesso per la prima volta sul mercato dell’Unione entro un anno dalla data di immissione sul mercato dell’apparecchiatura. Le informazioni segnalano, nella misura in cui ciò è necessario per i centri di preparazione per il riutilizzo e gli impianti di trattamento e riciclaggio al fine di uniformarsi alle disposizioni della presente direttiva, le diverse componenti e i diversi materiali delle AEE, nonché il punto in cui le sostanze e le miscele pericolose si trovano nelle AEE. Vengono messe a disposizione dei centri di preparazione per il riutilizzo e degli impianti di trattamento e riciclaggio da parte dei produttori di AEE in forma di manuali o attraverso gli strumenti elettronici (ad esempio CD-Rom e servizi on line). (111) Reg. 2023/1670/UE – ALLEGATO II – Specifiche per la progettazione ecocompatibile, segnatamente nelle sub-sezioni “Requisiti di riciclabilità” delle diverse tipologie. (112) Il riferimento al nobile metallo “oro” magari è preludio di ampliamento delle materie (attualmente 34 con anche sottogruppi, di cui singoli elementi pari a 51) “strategiche” (in cui neppure è attualmente inserito) se non anche “critiche”, oggetto di specifica proposta di normazione del 16.03.2023, con presentazione da parte della Commissione Ue di proposta di Regolamento al fine di istituire un quadro normativo che possa garantire un approvvigionamento sicuro e sostenibile di materie prime critiche e strategiche, con potenziale modifica i regolamenti (UE) 168/2013, (UE) 2018/858, 2018/1724 e (UE) 2019/1020.
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Focus RAEE tra “pericolosità e non pericolosità”: un quadro dipinto a tinte chiare e scure
di Giovanni Gulli
Quel labile confine tra “pericolosità” e “non pericolosità”
Le Urban Mining hanno, da tempo, acceso l’attenzione soprattutto sul recupero di talune CRM da alcune tipologie di rifiuti che possiedono una notevole incidenza nella vita quotidiana, sia che la provenienza sia di natura urbana che speciale. Segnatamente, i RAEE (o WEEE, acronimo di Waste of electric and electronic equipment) sono oggetto d’interesse circa la loro valorizzazione ed approvvigionamento delle CRM (1), nonché per la notevole incidenza d’impatto ambientale che generano nel variegato sistema urbano, dalla loro produzione al precipuo settore del recupero/riciclo a fine vita.
Sul tema sono interessanti le recenti analisi valutative sul sistema relativo ai cd rifiuti “pericolosi”, effettuate dalla Corte dei Conti Europea.
Nel documento analitico del 2021 la Corte già evidenziava, in sintesi, la sussistenza di “sfide da affrontare”, relative al rispetto dei vigenti requisiti di trattamento dei rifiuti in questione, alla lotta della gestione irregolare, alle spedizioni illegali e ad altre attività criminose, ed infine al necessario aumento della raccolta per finalità di riciclaggio e riutilizzo di questi rifiuti (2). A distanza di due anni, con ulteriore analisi si è raffigurato come la produzione di rifiuti pericolosi sia in netto e costante aumento dal 2004 nell’intera UE, con estreme difficoltà in ordine ad un tracciamento non affidabile di tali rifiuti, ad un riciclo limitato da impedimenti tecnici, ad un traffico illecito in espansione, nonché con necessità di affrontare sfide future in ragione delle quantità crescenti di rifiuti pericolosi, di un miglioramento della loro classificazione e della loro tracciabilità sin dall’iniziale produzione e fino al loro trattamento finale (3).
Ebbene, la Corte rimembra a tutti noi come in tema di rifiuti pericolosi la Direttiva Quadro n. 2008/98/CE (4) abbia il principale scopo di prevenire e ridurre gli impatti negativi causati dagli stessi, imponendo i tre princìpi fondamentali (5) a cui sono tenuti gli Stati Membri. In sostanza la Corte mira ad evidenziare, nell’elaborato analitico, che ad oggi assistiamo ad un incremento di produzione di potenziali rifiuti di natura “pericolosa”, tuttavia in assenza di virtuosi percorsi di recupero/riciclo, stante la maggior quota di trattamento di rifiuti – di converso – di natura “non pericolosa” (6). Ed ancora, si richiama l’attenzione sui dati normativi stringenti della Dir. 2008/98/CE come se tanto stringenti non siano stati valutati dagli stessi Stati membri, evidenziando come la possibilità per la Commissione di attivare procedure d’infrazione, finalizzate ad imporre agli Stati membri l’applicazione della normativa dell’UE, abbia condotto a 216 istruttorie nei soli ultimi 30 anni (7); con una incidenza delle stesse maggiormente relativa alla necessità di ridurre l’uso delle sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche.
Partendo proprio da siffatte evidenze, dalle quali emerge – preferisco ripetermi – un “aumento di produzione” di potenziali rifiuti di natura pericolosa con riscontro di “aumento di trattamento” di rifiuti di natura non pericolosa, si intende proseguire nell’analisi – tutt’altro che esaustiva – di taluni “aspetti critici” riguardanti proprio l’inquadramento e la classificazione stessa dei cd. RAEE, cercando di vagliare elementi che a prima facie, risultano stonati rispetto ai principi cardine euro-normativamente imposti e prestabiliti.
Cenni sulla normativa comunitaria e sua genesi
I principali riferimenti normativi di livello comunitario, in tema di classificazione dei rifiuti, sono recepiti nel nostro ordinamento per il tramite del D.Lgs. n. 152/2006 (principalmente Parte IV) e ss.mm.ii.
Spiccano, ovviamente, la Dir. Quadro 2008/98/CE sui rifiuti, unitamente alla Decisione 2000/532/CE relativa all’attuale elenco dei codici EER (8). Emergono, altresì, definizioni e criteri relativi alla classificazione, etichettatura ed imballaggio delle sostanze e delle miscele pericolose, contenute nei Regg. UE 2008/1272/CE (Regolamento CLP, acronimo di Classification Labelling and Packaging) (9), 2006/1907/CE (10) e 2008/440/CE (REACH) (11), nonché le disposizioni dei Regg. UE 2014/1357/UE e 2017/997/UE (12), del Reg. 2019/1021/UE (13) che ha abrogato e sostituito il Regolamento 2004/850/CE, relativo agli inquinanti organici persistenti (denominato Regolamento POPs).
Poniamo, dunque, una sintesi utile e chiara ai fini del presente commento.
Ai sensi del punto 1 delle definizioni di cui all’Allegato alla Dec. 2000/532/CE, si identifica come “sostanza pericolosa”, una sostanza classificata come tale in quanto conforme ai criteri contenuti nell’Allegato I del Reg. 2008/1272/CE (Regolamento CLP). Pertanto, ai fini di classificazione rifiuti, definito l’aspetto pericoloso di una data sostanza, devono applicarsi i criteri di classificazione ed i valori limite di concentrazione individuati dalla normativa Quadro sui rifiuti (14). Quanto alla catalogazione e ai metodi di prova rispetto alle sostanze pericolose, ex art. 2, co. 2 del Reg. REACH citato, i rifiuti non sono considerati né sostanze, né miscele, né articoli a norma dell’art. 3 dello stesso regolamento, di conseguenza, i requisiti REACH per sostanze, miscele e articoli non si applicano ai rifiuti.
Tuttavia, ciò che rileva è che le sostanze possibilmente contenute nei rifiuti, certamente, non sono esentate dal REACH e che i metodi di prove/ricerca posso essere utilizzati, in quanto i rifiuti non sono altro che prodotti “a fine vita”. Ciò è dimostrato dal fatto che fabbricanti ed importatori, di una sostanza e di miscele soggette a registrazione ai sensi del Reg. REACH, sono obbligati a tener conto della fase del “ciclo di vita” della sostanza, se pertinente e conformemente ai dettagli del REACH, soprattutto quando, ad esempio, devono effettuare valutazioni circa gli “scenari di esposizione” all’utilizzo di determinate sostanze in contesti produttivi e non solo (15). Quindi, di primaria importanza sono le informazioni relative alle sostanze chimiche reperite in ambito REACH ed il loro successivo utilizzo nel contesto della classificazione CLP, anche ai fini della classificazione dei rifiuti (16).
Quanto, poi, al Regolamento POPs, si applica in ragione delle sostanze elencate nei suoi allegati, ai rifiuti costituiti da POPs, contenenti o contaminati con gli stessi in concentrazioni superiori ai valori limite; gli stessi devono essere smaltiti o recuperati con tempestività e conformemente al Regolamento POPs, in modo da garantire che gli inquinanti organici persistenti siano distrutti o trasformati irreversibilmente ed i rifiuti residui e i rilasci non presentino alcuna caratteristica degli inquinanti organici persistenti (17).
Citazione, seppur breve, merita il Reg. 2006/1013/CE relativo alle spedizioni di rifiuti, con il quale – per diretta applicazione – si prevedono procedure, condizioni e requisiti specifici in ordine alle spedizioni transfrontaliere di rifiuti, comprese le spedizioni tra gli Stati membri. Ai fini di identificazione e classificazione dei rifiuti in sede transfrontaliera, bisogna riferirsi agli Allegati III e IV del Reg. 1013/06 CE, ove per univoche scelte internazionali l’approccio classificativo risulta diverso da quello delle voci EER (18).
Subito dopo l’ultima modifica alla Dec. 2000/532/CE (datata 2017) si è delineata la necessità di fornire chiarimenti ed orientamenti alle autorità nazionali, alle autorità locali e alle imprese circa l’omogenea e puntuale interpretazione e applicazione della normativa UE in materia di classificazione dei rifiuti. Obiettivo, questo, perseguito con l’adozione della Comunicazione della Commissione del 2018, recante “Orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti” (19). Ove, già nel preambolo, si evidenziava nettamente l’approccio metodologico ed analitico considerato, in quanto siffatti chiarimenti dovevano risultare utili “in merito all’identificazione delle caratteristiche di pericolo, valutando se i rifiuti presentano una qualche caratteristica di pericolo e, in ultima analisi, classificando i rifiuti come pericolosi o non pericolosi”.
Giova rimarcare che il dato di partenza iniziale doveva (e deve) essere la “identificazione delle caratteristiche di pericolo” dei rifiuti, giungendo ad una corretta distinzione tra ciò che generi “pericolo” e ciò che, in sostanza, generi “non pericolo” (20).
Nel quadro nazionale, le disposizioni sulla classificazione dei rifiuti previste dalla Dec. 2000/532/CE e ss.mm.ii. sono trasfuse nell’allegato D alla Parte IV del D.Lgs. n. 152/2006, ove si riporta che “i rifiuti contrassegnati da un asterisco (*) nell’elenco di rifiuti sono considerati rifiuti pericolosi” (21); mentre per “rifiuti cui potrebbero essere assegnati codici di rifiuti pericolosi e non pericolosi, si applicano le seguenti disposizioni: l’iscrizione di una voce nell’elenco armonizzato di rifiuti contrassegnata come pericolosa, con un riferimento specifico o generico a “sostanze pericolose” è opportuna solo quando questo rifiuto contiene sostanze pericolose pertinenti che determinano nel rifiuto una o più caratteristiche di pericolo da HP1 a HP8 e/o da HP10 a HP 15 di cui all’allegato I alla Parte IV del D.Lgs. n. 152/2006”. Ed ancora, “una caratteristica di pericolo può essere valutata utilizzando la concentrazione di sostanze nei rifiuti, come specificato nell’Allegato I, Parte IV del D.Lgs. n. 152/2006 o, se non diversamente specificato nel regolamento (CE) n. 1272/2008, eseguendo una prova conformemente al regolamento (CE) n. 440/2008 o altri metodi di prova e linee guida riconosciuti a livello internazionale, tenendo conto dell’art. 7 del regolamento (CE) n. 1272/2002 per quanto riguarda la sperimentazione animale e umana”; ove opportuno, si possono anche considerare, per alcune caratteristiche di pericolo, le note contenute nell’allegato VI del Reg. (CE) n. 1272/2008 (22).
Solo al termine di tale metodo indirizzato verso la valutazione delle caratteristiche di pericolo “si assegnerà l’adeguata voce di pericolosità o non pericolosità dall’elenco dei rifiuti. Tutte le altre voci dell’elenco armonizzato sono considerate rifiuti non pericolosi”.
Il meccanismo, dunque, non solo è chiaro, bensì si specifica anche grazie ai chiarimenti tecnici di cui agli “Orientamenti” della Commissione del 2018, appena citati.
In sintesi: i) prima si considerano le voci contrassegnati da un asterisco (*) come rifiuti pericolosi; ii) se, invece, una voce contiene un riferimento specifico o generico a “sostanze pericolose”, allora la stessa ha ragione di essere contrassegnata come pericolosa (con *) quando il rifiuto contiene “sostanze pericolose pertinenti” che determinino, nel rifiuto, (anche solo) una o più caratteristiche di pericolo; iii) la caratteristica di pericolo può essere, poi, valutata utilizzando gli indici di concentrazione delle sostanze nei rifiuti con adeguate prove conformi al Reg. REACH, ovvero tramite altri metodi di prova e linee guida riconosciuti a livello internazionale; iv) ogni restante rifiuto, rimasto fuori dal metodo testé citato, riceve voce residuale di “non pericolosità”.
Quindi, il dato procedimentale non solo è chiaro, bensì estremamente lapalissiano.
Così come per le cd voci “a specchio o speculari” la stessa caratteristica di pericolosità dipende concretamente dalla presenza di sostanze pericolose “pertinenti” alla caratteristica stessa “originaria e produttiva”; ragion per cui la ricerca di siffatta/e sostanza/e è un dato imprescindibile, al pari della citata “pertinenza” quale diretta correlazione del rifiuto con la sua caratteristica nocività.
Un breve tuffo nel passato normativo europeo, è utile per comprendere la genesi di un tale approccio.
La Direttiva del Consiglio 75/442/CEE (23) sui rifiuti, come modificata dalla Dir. 91/156/CEE (24), introduceva all’art. 1, par. 1, lett. a), la definizione di “rifiuto” ovvero: “qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate in Allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi”. Con la Dec. 94/3/CE venne istituito l’elenco dei rifiuti, meglio noto come “Catalogo Europeo dei Rifiuti” (CER) (25), applicabile a tutti i rifiuti destinati al recupero o allo smaltimento e con un elenco armonizzato. Venivano definiti e novellati, ex art. 3, gli obiettivi di prevenzione e riduzione della produzione e della “nocività” dei rifiuti.
Già allora, dunque, è evidente come si volesse prevenire e ridurre la produzione dei cd. beni a fine vita e la loro potenziale “nocività”.
In applicazione, poi, dell’art. 2 della Dir. 91/156/CEE, veniva emanata la Dir. del Consiglio 91/689/CEE (26) dedicata appunto ai rifiuti pericolosi che, ex art. 1, mirava a riavvicinare le legislazioni degli Stati membri sulla gestione controllata dei rifiuti pericolosi. Con la conseguente Dec. 94/904/CE (27) il Consiglio forgiava l’elenco dei rifiuti pericolosi, ai sensi dell’art. 1, par. 4 della Dir. 91/689/CEE relativa ai rifiuti pericolosi. Inoltre, seguendo quanto previsto dall’art. 3 della Dir. 91/156/CEE, contenente il sopra citato concetto di “nocività” si sottolineava, per la prima volta, che l’analisi basilare era quella di poter classificare i rifiuti stessi secondo un primordiale (ed oggi conclamato) “principio di precauzione ambientale”; dunque, considerando che la presenza di talune sostanze (appunto, nocive) avrebbe dovuto porre quello spartiacque necessario tra un rifiuto “pericoloso” ed un “non pericoloso”.
Esistevano, perciò, due elenchi originari di rifiuti, con la netta distinzione tra rifiuti pericolosi e non pericolosi. Tuttavia, vista la previsione normativa di cui all’art. 1, par. 4 della Dir. 91/689/CEE (rifiuti pericolosi) e previa disamina di numerose notifiche ricevute dalla Commissione, si perveniva alla successiva adozione della Dec. 2000/532/CE al fine di unificare il catalogo europeo dei rifiuti con quello dei rifiuti pericolosi, introducendo altresì modifiche sostanziali proprio in riferimento a questi ultimi (28).
Per la prima volta nella decisione del 2000 nasceva l’esigenza di separazione dei rifiuti pericolosi contrassegnati da un asterisco (*) (già previsto dalla Dir. 91/689/CEE), con i restanti rifiuti non recanti, appunto, “caratteristiche di pericolosità” e/o “sostanze pericolose”.
Il principio adottato era che per “sostanza pericolosa” doveva intendersi qualsiasi sostanza “che è o sarà classificata come pericolosa ai sensi della Dir. 67/548/CEE e successive modifiche”, relativa alla classificazione, all’imballaggio e all’etichettatura delle sostanze pericolose (29). Inoltre, si poneva riferimento ai cd. metalli pesanti (30) e si specificava, altresì, che se un rifiuto fosse stato identificato come pericoloso mediante riferimento, specifico o generico, a sostanze pericolose, esso doveva classificarsi come pericoloso; quando tali sostanze avessero raggiunto determinate concentrazioni (ad esempio, con % rispetto al peso) da conferire al rifiuto una o più delle proprietà di cui all’Allegato III della Dir. 91/689/CEE.
In pratica, ex art. 2 della Dec. 2000/532/CE e ss.mm.ii, si prevedeva sostanzialmente un “meccanismo automatico”: a) i rifiuti che presentavano una o più caratteristiche indicate in Allegato III alla Direttiva 91/689/CEE, venivano considerati come “pericolosi”; b) al fine di non dover modificare ripetutamente l’elenco di tali rifiuti, ogni volta che si classificava una “nuova” sostanza come “pericolosa” ai sensi della Dir. 67/548/CEE e fosse stata presente in un rifiuto descritto con voce “speculare”, questo doveva (da quel momento in poi) intendersi classificato come “pericoloso”; c) ovviamente, ciò poteva avvenire qualora la concentrazione della sostanza stessa avesse raggiunto i limiti previsti dall’art. 2 della Dec. 2000/532/CE. Un meccanismo, questo, che riecheggiava il successivo concetto di sostanza pericolosa “pertinente o collegata” alle caratteristiche di pericolosità del prodotto/rifiuto, ovviamente fondato sull’originario concetto di “nocività” delle sostanze rilevanti. In aliis verbis, si concretizzava, già allora, un potenziale “nesso di pertinenzialità” tra sostanza pericolosa e caratteristica di pericolo del rifiuto stesso, in quanto caratteristica originaria del processo del prodotto stesso.
La Dec. 2000/532/CE, poi, veniva modificata dalle Dec. 2001/118/CE (31) e 2001/119/CE (32) della Commissione, dalla Dec. 2001/573/CE (33) del Consiglio e da ultimo dalla Dec. 2014/955/UE (34) della Commissione, viste le numerose notifiche esaminate dalla Commissione a partire dal 2000 e tenuto conto pure dell’evoluzione nelle tecniche di gestione dei rifiuti. E ad oggi, pur in seguito a diverse modifiche intervenute nel tempo, l’elenco degli EER è trasfuso nella nostra normativa nell’Allegato D della Parte IV di cui al D.Lgs. n. 152/2006, con complessivo recepimento di tutte le definizioni di cui alla Dec. 2000/532/CE per come nel tempo modificata, ovvero con ogni richiamo alle specifiche definizioni (35).
Rilevanza dei criteri classificativi
Per una iniziale e corretta gestione dei rifiuti, bisogna necessariamente porre un’esatta classificazione, qualificando il rifiuto secondo l’origine, in rifiuti urbani o rifiuti speciali e, secondo le caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi o non pericolosi (36). La classificazione dei rifiuti è, dunque, un passaggio preliminare e fondamentale i cui effetti si riverberano su tutte le fasi successive della gestione dei rifiuti, ovvero sui trattamenti previsti (recupero e/o smaltimento ecc), sul conferimento presso determinati impianti piuttosto che in altri, sulla produzione o meno di EoW dal ciclo verificato del rifiuto trattato. La stessa classificazione dei rifiuti (in urbani o speciali, e poi in pericolosi o non pericolosi) dipende innanzitutto da come i rifiuti vengono individuati e descritti tramite gli appositi codici dell’Elenco Europeo Rifiuti (EER), seguendo il dettame della Dec. 2000/532/CE e individuando il rifiuto corrispondente nell’elenco riportato nell’Allegato a tale decisione, a sua volta integralmente riportato nell’Allegato D alla Parte IV del nostro D.Lgs. n. 152/2006.
Secondo la Dec. 2000/532/CE, sussistono sostanzialmente tre diverse tipologie di voci di rifiuti, ovvero:
– rifiuti pericolosi “assoluti” e contrassegnati da un asterisco (*), i cd “AH” (Absolute Hazardous);
– rifiuti non pericolosi “assoluti”, per provenienza, con nomenclatura “ANH” (Absolute Non Hazardous);
– rifiuti che possono essere tanto pericolosi “quanto” non pericolosi, a seconda che contengano taluni “componenti pericolosi” o talune “sostanze pericolose” e che queste raggiungano o meno determinate concentrazioni di soglie limite, normativamente previste, evidenziati con le voci “a specchio” MH o MNH (rispettivamente, Mirror Hazardous and Mirror Non Hazardous).
Come detto, classificare un rifiuto come pericoloso o non pericoloso determina riflessi importanti, posto che la classificazione del rifiuto incide sul regime autorizzativo da valutare, sulla destinazione finale del rifiuto, sulle sanzioni previste per i casi di gestione abusiva e con incidenza, soprattutto, sul regime gestionale finalizzato alle operazioni di trattamento, siano esse di recupero e/o di smaltimento.
È opportuno, quindi, sin da adesso ricordare che proprio a seguito di un processo di trattamento, o di pretrattamento, da un’iniziale voce di classificazione si può pervenire alla produzione di un nuovo possibile rifiuto, con presenza di un nuovo soggetto produttore sul quale incombe l’onere di “successiva” classificazione del rifiuto neo-prodotto, in ragione delle sue novelle caratteristiche (37).
In linea con quanto detto, è utile richiamare sinteticamente i principi cardine di cui alla Dir. 2008/98/CE (quadro rifiuti), magari ponendo mente anche a quel passato regolatorio e decisionale comunitario in precedenza citato. In sintesi, secondo i criteri quadro di classificazione, ogni operatore deve:
– utilizzare l’elenco europeo dei rifiuti, di cui alla decisione della Commissione;
– verificare l’utilizzo per categoria e provenienza dei rifiuti, per descrizione di cicli produttivi con ricerca e valutazione del capitolo e sub-capitolo (livello I e II delle coppie di numeri – xx yy):
– individuare le voci di “pericolo assoluto”, per i rifiuti considerati pericolosi senza dover ricorrere a ulteriori valutazioni (formazione per coppie – xx yy zz con *), in ragione di provenienza e composizione;
– parimenti e di converso, valutare quelle voci di “non pericolo assoluto” senza dover ricorrere a ulteriori valutazioni (formazione per coppie – xx yy zz);
– infine, considerare le potenziali e previste “voci a specchio”, definenti la speculare esistenza tra pericolosità/non pericolosità di tipologie similari di rifiuti, in quanto alcuni possono essere o meno pericolosi in ragione di valutazioni ulteriori.
A fini di tale ultima determinazione, si deve definire se i rifiuti oggetto di classificazione presentino:
– anche “solo” una o più delle “caratteristiche di pericolo” definite nella direttiva quadro;
– ovvero, se contengano, previa ricerca, valori di precipui inquinanti al di sopra delle soglie stabilite.
A tutta evidenza, quindi, i previsti criteri di classificazione dei rifiuti trovano fondamento, in primis e per talune tipologie di rifiuti, nella determinazione del ciclo di produttivo generatore del rifiuto; in secundis e per altre tipologie, nella funzione originaria che il prodotto utilizzato possedeva ab origine, ovvero prima della sua destinazione a fine vita. Si è previsto, in sostanza, un meccanismo di coordinamento a formazione sequenziale di “n. 3 coppie di numeri” per le voci di codice EER da dover assegnare ad un dato rifiuto (per capitoli, sub-capitoli e indicazione tipologie). Tale sistema vede le due cifre iniziali corrispondere alle cd “categorie industriali/produttive e generative del rifiuto” (coppia di I livello), le due cifre intermedie riferite alla sub-categoria dei diversi “processi di produzione o attività” generativi del rifiuto (coppia di II livello), e le ultime due cifre riferibili alle specifiche e potenziali “tipologie di rifiuto generabili” (coppia di III livello).
In tal modo, si evidenzia un concetto gerarchico di ricerca pertinenziale rispetto alla genesi e alle caratteristiche del rifiuto, onde classificare correttamente lo stesso, ovvero:
I) preminenza valutativa conferita al cd “ciclo produttivo” o “funzione originaria del prodotto”;
II) valutazione intermedia dei cd “processi di produzione o attività” intrinseche ai differenti comparti di produzione;
III) ricerca finale delle “tipologie di rifiuto generabili”.
Dunque, anche in ragione del passato sopra evidenziato, risulterà chiaro come i criteri di classificazione di matrice euro-unitaria siano rimasti radicati ai primordiali dati di formazione citati. Nonché si è voluta strutturare una formazione ed un utilizzo delle voci EER che potesse risultare coordinata ed in linea con il valore assegnato agli elementi di provenienza ed alle caratteristiche, tenuto conto delle diverse tipologie dei rifiuti.
The “Mirror entrys” case: posizioni dottrinali e giurisprudenziali nazionali ed europee
Le recenti Linee Guida SNPA di cui alla Delibera n. 105/2021 (38), evidenziano, quale previsto orientamento in tema di classificazione dei rifiuti (con evidente interessamento per l’utilizzo delle voci “a specchio”), l’utilità di taluni “chiarimenti interpretativi e specificazioni in relazione alla classificazione dei rifiuti sono contenuti nella sentenza della Corte di Giustizia Europea (Decima Sezione) del 28 marzo 2019, relativa alle cause riunite da C-487/17 a C 489/17”, con citazione delle considerate conclusioni (39). A ciò si aggiunga, prima di ogni altra osservazione, come il MITE fornisca specifico chiarimento (con Circolare del 17.10.2022) alle posizioni espresse nelle Linee Guida citate (approvate con il D.D. 47 del 09.08.2021) in relazione ai rifiuti RAEE, osservando che “[…] la classificazione di un’apparecchiatura dipende quindi dalla presenza o meno di componenti pericolose che può evidentemente essere valutata sulla base delle informazioni fornite dai produttori dell’apparecchiatura stessa” (40).
Sintetizziamo, quindi, il dictum decisorio, assunto con il parto tri-gemellare di natura giurisprudenziale, che – visto la valenza esegetica nel nostro ordinamento – sarebbe stato quanto mai opportuno citare nelle stesse Linee Guida testé richiamate.
Preliminarmente, posto doveroso cenno al disposto dell’art. 184 ed agli Allegati D e I alla Parte IV del nostro D.Lgs. n. 152/2006, la Corte – su tre fronti decisori conseguenziali l’uno all’altro, in medesima udienza – analizza, puntualmente (onde dirimere pure il dibattito dottrinale accesosi), i punti cardine della pronuncia comunitaria d’effetto pregiudiziale, allineandosi chiaramente con quanto statuito dalla GCUE, ovvero che:
– la classificazione dei rifiuti non può considerarsi una mera formalità (42);
– ex art. 7, par. 1, della Dir. 98/2008/CE, nel caso in cui non sia all’istante nota la composizione di un rifiuto che potrebbe rientrare tra quelli classificabili con codici speculari, è obbligo del detentore raccogliere le informazioni idonee ad “acquisire una conoscenza sufficiente” di composizione del rifiuto, per assegnare l’EER appropriato (43);
– oltre ai “Metodi di prova” di cui all’Allegato III della Dir. 98/2008/CE, sussiste la possibilità di fare riferimento:
– alle informazioni di processo chimico o di processo di fabbricazione che “generano i rifiuti”, nonché circa le relative sostanze in ingresso e intermedie, inclusi pareri di esperti;
– alle informazioni fornite dal produttore originario della sostanza o dell’oggetto, prima che diventino rifiuti, ad esempio schede di dati di sicurezza, etichette o schede di prodotto;
– alle banche dati sulle analisi dei rifiuti disponibili a livello di Stati membri;
– al campionamento e all’analisi chimica dei rifiuti, evidenziando che analisi chimica e campionamento devono offrire garanzie di efficacia e di rappresentatività (44);
– se, da un lato, al detentore del rifiuto non possono essere imposti obblighi irragionevoli, dal punto di vista tecnico ed economico, dall’altro questi, “pur non essendo obbligato a verificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa nel rifiuto”, ha comunque l’obbligo di “ricercare quelle che possano ragionevolmente trovarvisi”, escludendosi ogni margine di discrezionalità in tal senso (45);
– l’interpretazione trova conferma nella Comunicazione della Commissione del 2018, contenente orientamenti tecnici sulla classificazione, risultando conforme al principio di precauzione (46);
– non può escludersi che possano essere presi in considerazione anche metodi di prova sviluppati a livello nazionale, a condizione che siano riconosciuti a livello internazionale (47);
– deve sempre sussistere un “bilanciamento tra principio di precauzione, fattibilità tecnica e la praticabilità economica”, affinché i detentori di rifiuti non siano obbligati a verificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa nel rifiuto in esame (de-classificazione – SIC!), ma possano limitarsi a “ricercare le sostanze che possono essere ragionevolmente presenti” e valutare le caratteristiche di pericolo su calcoli o prove in relazione a tali sostanze (48).
Infine, citando il punto 60 della Decisone della CGUE, si evidenzia come per i Giudici europei “una misura di tutela come la classificazione di un rifiuto mediante attribuzione, se pericoloso, di codici a specchio, è necessaria qualora, dopo una valutazione dei rischi quanto più possibile completa tenuto conto delle circostanze specifiche del caso di specie, il detentore di tale rifiuto si trovi nell’impossibilità pratica di determinare la presenza di sostanze pericolose o di valutare la caratteristica di pericolo che detto rifiuto presenta, sebbene tale impossibilità pratica non possa derivare dal comportamento del detentore stesso del rifiuto”. Appariva, quindi, scontato il derivato discostamento della Suprema Corte dalle “due tesi interpretative che si sono contrapposte nel corso degli anni e comunemente individuate come tesi della probabilità e tesi della certezza già ritenute non condivisibili da questa Corte nell’ordinanza di rimessione” (49).
A questo punto è opportuno richiamare i cardini dei due orientamenti dottrinali, attori dell’appassionato dibattito, in modo da avere una visione chiara ed utile al prosieguo argomentativo.
Le due principali posizioni dottrinarie – maggioritarie, ma non isolate (50) – note come “teoria della certezza” e “teoria della probabilità”, si vedevano contrapposte (e magari lo sono ancora!) in quanto:
a) la prima posizione (sostanzialmente della “presunzione di pericolosità”) considera che il rifiuto con voce “a specchio” sarebbe da classificare sempre come pericoloso, salvo che a fronte di una esaustiva conoscenza del rifiuto, basata sull’individuazione analitica di tutte le sostanze che lo compongono, il produttore sia in grado di escludere la presenza di dette sostanze con un metodo di “de-classificazione” del rifiuto in non pericoloso (“presunzione di pericolosità” con onere a carico del produttore/detentore) (51);
b) a mente della seconda posizione (per meglio leggersi, della cd “ricerca pertinenziale”), contrariamente, i rifiuti con codice “a specchio” devono essere oggetto di verifica esclusivamente delle sostanze “probabilmente” rinvenibili nel rifiuto, in quanto inerenti al ciclo produttivo che l’ha generato (52).
Se da un lato, in sentenza, si afferma puntualmente come debba essere “esclusa la presunzione di pericolosità […] ed il conseguente obbligo per il detentore del rifiuto di dimostrarne, attraverso analisi, la non pericolosità, dovendo in alternativa classificare comunque il rifiuto come pericoloso ostandovi in maniera evidente, quanto indicato dai giudici di Lussemburgo nel punto 45 della sentenza”; parimenti, secondo gli Ermellini, neppure può accettarsi la concessione di qualsivoglia “margine di discrezionalità” in capo al detentore del rifiuto circa la natura dell’accertamento, in quanto, pur esulando la verifica di assenza di qualsiasi sostanza pericolosa, comunque devono ricercarsi quelle sostanze “che possano ragionevolmente trovarvisi” (53).
Dunque, a parere di chi scrive, la Corte, calcando le linee della “responsabilità” di gestione nella classificazione del rifiuto ricadente in capo al produttore/detentore, secondo canoni e principi oramai noti, ed allineandosi ai dettami euro-unitari evidenziati dalla CGUE, ha inteso, da un lato, contenere le derive di maggior carico in relazione agli obblighi previsti sulle figure citate; dall’altro, puntualizzare talune esigenze di non elusione di un sistema predeterminato (anche a livello europeo) in termini di tutela ambientale e di concetti, ovviamente, penalmente rilevanti (54).
Una posizione, questa, non nuova al sistema di cautela austera e mediata della Corte di Cassazione in tematiche d’ordine ambientale, ciò nonostante, per come si segnalerà nelle finali osservazioni, forse il dettame della Suprema Corte non è completamente dissimile da almeno una delle posizioni teoriche appena citate.
Allo stato dell’arte, si vorrebbe più che altro comprendere come siffatto dictum decisorio – neppure richiamato in senso alle redatte Linee Guida SNPA 2021/22 – possa concretamente esternarsi nel mondo pratico della classificazione dei rifiuti, con utilizzo delle voci “a specchio” ove necessario e in taluni casi particolari. Ci si pone un tale quesito, in quanto dirigendo uno sguardo analitico sulle pregresse Linee Guida SNPA del 2019 (55), si può verificare come già in queste siano presenti taluni “discostamenti” dai canoni previsti a livello europeo, comunque opportunamente analizzati dalla Suprema Corte nelle pronunce sopra citate (56).
In altre parole, per quel che qui interessa, con un meccanismo di tal guisa, “discostato e/o consentito” dall’approccio comunitario, relativamente ai RAEE si è sostanzialmente escluso – con potenziali conseguenze che meglio vedremo infra – il possibile utilizzo di valutazioni applicative di voci europee “a specchio”, tramite la netta considerazione delle stesse come voci di natura “assoluta”. In più, si tenga conto che al 2019 neppure esisteva, ancora, quella disposizione di cui all’art. 184, co. 5, del D.Lgs. n. 152/2006 sulla quale si fonda, attualmente, l’efficacia “parificata alla legge” delle Linee Guida redatte successivamente nel 2021.
Pertanto, in casi di difficile determinazione della effettiva pericolosità o meno del rifiuto (per sola provenienza e composizione) come nei rifiuti definibili complessi/compositi, non solo si è concretamente escluso il meccanismo di “utilità necessaria” (che la CGUE evidenzia – SIC!) delle cd voci “a specchio”, bensì si sono resi perfettamente inutilizzabili i cardini argomentativi oggetto dello stesso dictum della Suprema Corte. Ed ancora, proprio a voler semplificare la situazione già complessa per gli stessi RAEE (con presenza terminologica, nelle voci EER 16.02.13* “contenenti componenti pericolosi” e 16.02.14 “diverse da quelle di cui alle voci da__a__” o nei codici 16.02.15* “componenti pericolosi” e 16.0216 “componenti […] diversi da quelli di cui alla voce”, espressa con locuzioni “generiche differenziate” necessitanti verifiche di processo originario e/o possibili ricerche pure analitiche di sostanze pertinenti per caratteri di pericolosità originaria/produttiva), in seno alle Linee Guida 2019, si evidenziava finanche come “possibile” la presenza di talune sostanze e componenti che quantomeno godevano di un concreto margine di pericolosità, rispettivamente intrinseco e/o produttivo.
Appare, quindi, senz’altro evidente l’esplosiva commistura tra regole classificatorie riguardanti i rifiuti descritti in senso “assoluto” (provenienza e composizione, magari di natura merceologica e non solo) e ricerche riferibili a concreti codici “a specchio”. Tutto ciò in ragione dell’utilizzo di considerazioni descrittive “possibilistiche”, della trasformazione di talune voci da “specchio” in “assoluti”, con richiamo al precisato onere di verifica (circa l’origine e la composizione del rifiuto) ai fini di una procedura di classificazione ricadente in capo al produttore. Con buona pace di quelle conseguenze sperequative da evitare secondo l’interpretazione fornita dalla CGUE e ampiamente ripresa dalla nostra Corte di legittimità, anche in termini di ricerca di ciò che possa “ragionevolmente trovarvisi”.
Ebbene, forse si può ipotizzare che la scelta di considerare talune voci “in senso assoluto” (verificabili certo per origine) sia imputabile ad “incertezze e/o impossibilità” valutative circa la definizione di taluni componenti e loro sostanze; con diretta conseguenza di evitare, in tal modo, verifiche secondo canoni di voci “a specchio” e motivazioni circa le evidenti ragioni di “pertinenzialità” sostanziale delle ricerche stesse. Tuttavia, si è dimenticato che, in ipotesi di manifeste “incertezze e/o impossibilità” conoscitive sulla composizione di un rifiuto, per rispetto di quel “principio di precauzione” operante in sede ambientale, la scelta finale (ovviamente a carico del produttore – SIC!) di una voce di pericolo assoluto attende, tracotante, dietro l’angolo.
Classificazione RAEE: principi UE ed analisi della Corte dei Conti Europea
Come cennato, anche per i RAEE (57) bisogna innanzitutto determinare la corretta provenienza nonché le caratteristiche di pericolosità, ai fini di una puntuale corretta classificazione e assegnazione del relativo codice EER appropriato. In sostanza, ai fini classificatori, bisogna individuare il codice EER secondo le disposizioni contenute nella Dec. 2000/532/CE e nella Dir. N. 98/2008 su rifiuti, come modificata al suo Allegato III riguardante le caratteristiche di pericolo dal Reg. UE n. 1357/2014.
Orbene, anche qui, ex art. 184 (commi 4 e 5) del D.Lgs. n. 152/06, bisognerebbe: a) determinare l’origine dei rifiuti, distinguendoli tra urbani o speciali; b) determinare la composizione dei rifiuti, al fine di classificarli come pericolosi o non pericolosi (il rifiuto con criterio di “composizione certa o indicata” sarà visto con un codice EER pericoloso in senso “assoluto”); c) determinare “ove necessario” taluni valori limite di concentrazione delle sostanze pericolose, con apposite indagini sulle proprietà di pericolo effettivamente possedute dal rifiuto, onde poterlo classificare con codici EER definiti “a specchio”, in modo tale da poter attribuire il codice EER corretto.
E qui il meccanismo si inceppa, o meglio si è già fermato alle voci a) e b) evidenziate.
Circa la potenziale “pericolosità o non pericolosità”, magari pure intrinseca, risultano interessanti taluni aspetti da verificare prima di continuare.
Sull’origine classificatoria del rifiuto siamo in presenza di una provenienza sia di natura domestica che di natura professionale. A titolo di esempio, possiamo in prima battuta evidenziare che rispetto ai codici EER previsti in elenco, i RAEE (lasciamo per il momento da parte i riferimenti ai “componenti” e loro codici) posso essere suddivisi in:
Apparecchiature fuori uso dalla raccolta dei rifiuti urbani:
– 20 01 21* – tubi fluorescenti ed altri rifiuti contenenti mercurio;
– 20 01 23* – apparecchiature fuori uso contenenti clorofluorocarburi;
– 20 01 35* – apparecchiature fuori uso, diverse da quelle di cui alla voce 20 01 21 e 20 01 23, contenenti componenti pericolosi
– 20 01 36 – apparecchiature fuori uso, diverse da quelle di cui alle voci 20 01 21, 20 01 23 e 20 01 35
Apparecchiature fuori uso da raccolta del settore produttivo:
– 16 02 09* – trasformatori e condensatori contenenti PCB;
– 16 02 10* – apparecchiature fuori uso contenenti PCB o da essi contaminate, diverse da quelle di cui alla voce 16 02 09;
– 16 02 11* – apparecchiature fuori uso, contenenti clorofluorocarburi, HCFC, HFC
– 16 02 12* – apparecchiature fuori uso, contenenti amianto in fibre libere
– 16 02 13* – apparecchiature fuori uso, contenenti componenti pericolosi diversi da quelli di cui alle voci 16 02 09 e 16 02 12
– 16 02 14 – apparecchiature fuori uso, diverse da quelle di cui alle voci da 16 02 09 a 16 02 13
Si può notare come – ai fini di distinzione tra un EER pericoloso e non pericoloso – oltre al caratteristico (*), troviamo le locuzioni “contenenti sostanza pericolosa” espressa, ovvero “contenenti componenti” recanti possibili, o meno, caratteri di pericolosità, ovvero ancora il solo termine “diversi”. La differenza non è marginale, in quanto sapere da parte del produttore che sia presente una “data e certa sostanza” non induce ad alcuna valutazione di scelta, il rifiuto sarà pericoloso.
Mentre, conoscere la presenza di taluni “componenti” in un determinato RAEE necessiterebbe la verifica di pericolosità dello stesso componente, onde poter classificare il rifiuto come pericoloso o non pericoloso, anche rispetto al termine “diversi”.
Posto ciò, la stessa direttiva quadro, nel suo preambolo, sottolinea come sia semplice in taluni casi determinare il rapporto correlante tra “sostanza pericolosa” e “rifiuto” (58).
Tuttavia, in differenti situazioni “tale processo decisionale è più difficile”, tanto da necessitare successivamente l’adozione di quegli “Orientamenti” utili circa la definizione/classificazione stessa dei rifiuti, “comprese informazioni sulle esclusioni dall’ambito di applicazione della direttiva quadro sui rifiuti, nonché esempi desunti dalla giurisprudenza vincolante della CGUE” (59). Ed ancora, la direttiva quadro definisce con il termine “rifiuto pericoloso” al suo art. 3, par. 2 quel “rifiuto che presenta una o più caratteristiche pericolose di cui all’allegato III”, pertanto la conseguenziale determinazione “se una sostanza o un oggetto possano essere considerati un rifiuto a norma della direttiva quadro sui rifiuti è una decisione importante; altrettanto importante è stabilire se un rifiuto debba essere classificato come rifiuto non pericoloso o rifiuto pericoloso”. Al pari di quanto evidenziato, si enuncia ancora che “la gestione dei rifiuti pericolosi è soggetta a condizioni rigorose”, tali da evidenziare la necessaria obbligatorietà “di fornire elementi di prova ai fini della tracciabilità dei rifiuti secondo il sistema messo a disposizione dallo Stato membro” (60). Oltre al doveroso rispetto del “divieto di miscelazione” (onde evitare, ad esempio, miscelazioni con scopo diluitivo delle sostanze pericolose), ovvero ancora, il rispetto degli “obblighi specifici in termini di etichettatura e imballaggio” (61). A ciò si aggiunga che lo stesso testo normativo europeo richiede che i rifiuti pericolosi siano gestiti e trattati esclusivamente in impianti di trattamento dedicati (62).
Su tali temi la stessa Corte dei Conti Europea ha ben tratteggiato il quadro di riferimento attuale, non discostandosi dalle “perplessità” già insite nel contenuto di preambolo della direttiva quadro. Ovvero, ha delineato a chiare lettere che “rispetto alla classificazione di questi rifiuti (pericolosi) sussiste evidentemente una difficoltà negli stati membri, da parte degli operatori di sistema, nell’applicare l’elenco europeo dei rifiuti, anche in ragione di una disomogeneità nella definizione di rifiuti pericolosi tra le normative dell’UE in materia di sostanze chimiche e di rifiuti. In soldoni, trovandosi dinanzi a numerose (quasi la metà) di voci specchio, gli stessi detentori/produttori di rifiuti fanno spesso fatica a stabilire se si tratti di rifiuti pericolosi o meno, dal momento che per farlo avrebbero bisogno di conoscerne la composizione chimica e tali informazioni non sono sempre disponibili, con l’evidente conseguenza che talune tipologie di rifiuti sono magari interpretare e classificate in modo diverso tra loro” (63).
Ecco, dunque, uno dei motivi principe, secondo la C.C.E., per il quale nel 2018 la Commissione ha dovuto affrontare la questione pubblicando gli orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti. Tuttavia, ancora oggi, il problema sembra permanere (64), al più (per come si è potuto notare) relativamente alla casistica delle voci identificative dei RAEE, magari qualche Stato ha ben pensato di evitare talune difficoltà eliminando alla radice il meccanismo delle cd voci “a specchio”, in favore di voci “assolute”.
La C.C.E. continua, poi, nel sottolineare che se pure si è inciso a livello europeo sulla prevenzione nella produzione, sviluppandosi prodotti che siano sostenibili ed il cui impatto ambientale sia minimo, vale a dire perseguendo una progettazione ecocompatibile con netto coordinamento con la direttiva quadro, il meccanismo d’informazione previsto (in favore degli impianti di trattamento) certamente non ha ancora prodotto i risultati sperati, vista l’evidenza di certi dati allarmanti (65).
Difatti, se da un lato la Dir. 2009/125/CE (66) istituisce una cornice per l’elaborazione di requisiti per la progettazione ecocompatibile dei prodotti connessi all’energia e consente l’adozione di requisiti specifici per una tale progettazione, facendo ovviamente salva la normativa dell’Unione in materia di gestione dei rifiuti; dall’altro, la Dir. 2012/19/UE in tema di AEE e RAEE, integra la normativa dell’Unione in materia di gestione dei rifiuti con riferimento esplicito alla Dir. 2008/98/CE.
Tuttavia, ad oggi, bisognerebbe verificare nei livelli nazionali se siffatte disposizioni europee abbiano prodotto i risultati sperati.
Ovvero, se, ad esempio, la circolazione di quelle “pertinenti (anche qui!) informazioni sulla composizione materiale e sul consumo di energia, materiali e/o risorse dei componenti o sottounità” sia divenuta realtà concreta o semplice chimera, anche in vista dell’operatività del Reg. (UE) 2023/1670 del 16/06/2023 (67), di cui tratteremo più avanti. Ovvero ancora, proprio in tema di classificazione dei rifiuti REE e loro cicli di gestione, se si sia riusciti a creare quel sistema effettivamente virtuoso che possa evidenziare numeri e rapporti coerenti tra prodotti destinati ad essere “rifiuti di natura pericolosa”, con ritorno di dati di recupero/riciclo opportunamente esaustivi e connessi con gli input iniziali.
Normativa nazionale sui RAEE, le recenti indicazioni dalle Linee Guida SNPA 2021/22
Innanzitutto, il D.Lgs. n. 49 del 2014, già citato, recante norme di attuazione della Dir. 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE), ricalca ovviamente le linee tracciate dalla direttiva attuata. Il D.Lgs. n. 49/2014 è adottato in ragione di una riduzione dell’uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, con riferimento anche al recupero/smaltimento di tali sostanze potenzialmente presenti nei rifiuti e mira a prevenire e ridurre gli impatti negativi derivanti dalla progettazione e dalla produzione delle apparecchiature elettriche ed elettroniche (68). Ed ancora, il decreto si coordina e non pregiudica le normative europee in materia di sicurezza, di salute, di sostanze chimiche e loro registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione (REACH), nonché quelle di cui alla progettazione ecocompatibile e sulla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature ed in tema di gestione rifiuti.
Al netto, poi, di ogni definizione riguardante i RAEE contenuta nel decreto (69), in relazione alle indicazioni di trattamento, si cita la definizione di “rimozione”, quale “operazione manuale, meccanica, chimica o metallurgica in seguito alla quale le sostanze, le miscele e le componenti pericolose sono confinate in un flusso identificabile o sono una parte identificabile di un flusso nel processo di trattamento. Una sostanza, una miscela o una componente è identificabile se può essere monitorata per verificare che il trattamento è sicuro per l’ambiente” (70). Si noti, quindi, che l’identificazione della “sostanza/miscela/componenti pericolosi” si può ottenere solo ove si monitori un flusso definito di processo, anche ai fini del trattamento da dover poi scegliere, in sicurezza ambientale. Pertanto, ai fini classificativi ed identificativi anche del rifiuto, bisognerebbe comunque effettuare una indagine conoscitiva tanto dei componenti presenti, tanto delle sostanze e delle miscele, nei casi rispettivamente previsti.
Tutto ciò con sequenza logica tra rifiuto in ingresso, suo “trattamento adeguato” scelto con rispetto dei canoni ambientali, e rifiuto e/o possibili EoW in uscita.
Se, difatti, si pone mente a quanto previsto dall’art. 18, in tema di “trattamento adeguato”, allora ben si comprende come i RAEE non solo possano essere interessati dalla presenza di talune sostanze di natura pericolosa, bensì quei trattamenti adeguati devono rispettare parametri stringenti quali quelli previsti dagli Allegati VII (ovvero, criteri di gestione, compresa la “messa in sicurezza” – SIC!) e VIII (requisiti impianto). Secondo uno schema che pare richiamare nettamente quello previsto dal D.Lgs. n. 209/2003 in tema di disciplina sulle autodemolizioni e correlativi VFU.
In sostanza, gli Allegati VII e VIII sono il mantra gestionale in tema di trattamento RAEE di natura pericolosa (71), con buona pace dei soli impianti in procedura semplificata ex art. 216 del D.Lgs. n. 152/2006 (riguardanti i soli rifiuti non pericolosi), che vedono il pieno vigore applicativo dei DD.MM. 02/05/98 e n. 161 del 12/06/2002 in ragione di quel “decreto attuativo” (ex co. 4 dell’art 214) non ancora emanato.
Deve considerarsi, altresì, che ogni disposizione in tema di RAAE (ex art. 2) risulta strutturalmente compatibile con ogni disposizione normativa (nazionale ed europea) prevista: i) dal Reg. n. 1907/2006/CE riguardante la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH); ii) dalla Dir. 2009/125/CE sulla “progettazione ecocompatibile dei prodotti” connessi all’energia (72); iii) dalla Dir. 2011/65/UE sulla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche; iv) ed, ovviamente, dalla Parte IV del D.Lgs. n. 152/2006 e ss.ii.mm.
In breve, l’attenzione a determinate sostanze è questione principe in tema di RAEE e loro processo di gestione, secondo mirati canoni autorizzativi e di classificazione dei rifiuti stessi (73). Nel dettaglio, ex art. 19, è richiesto, tanto ai titolari dei centri di raccolta che agli impianti di “trattamento adeguato” (74), di annotare su apposita sezione del registro di cui all’articolo 190, co. 1 del D.Lgs. n. 152/2006, sia il peso dei RAEE, sia i componenti di composizione, sia i materiali e sostanze in uscita dai centri di raccolta (output) nonché dagli stessi impianti di trattamento. Inoltre, proprio al fine di agevolare operazioni di manutenzione, ammodernamento, riparazione, nonché di preparazione per il riutilizzo e di trattamento dei RAEE, i produttori devono fornire (pena sanzioni ex art. 38) agli impianti di trattamento adeguato e di riciclaggio (gli impianti in procedura ex art. 216 pare non rientrino nel novero – SIC!) tutte quelle “informazioni gratuite in materia di preparazione per il riutilizzo e di trattamento adeguato”.
Se si pone, poi, sguardo alla descrizione della cd “messa in sicurezza”, non v’è chi non veda saltare agli occhi immediatamente la descrizione dei “componenti” con sostanze pericolose descritte e relative a voci definite in termini assoluti (ad esempio, 16 02 09*/16 02 10*/16 02 11*/16 02 12* ed altri); nonché, precisazioni in tema di taluni componenti (come circuiti stampati non superiori a 10cm2, condensatori, componenti contenti fibre ceramiche refrattarie, condensatori elettrolitici, componenti contenenti sostanze radioattive (75) ed altro) tutti contenenti “potenzialmente” sostanze pericolose e tutti, si vuole aggiungere, “potenzialmente” presenti in numerosissime tipologie di apparecchiature.
A questo punto, appare chiaro – per come vedremo – il perché talune indicazioni siano presenti nelle Linee Guida SNPA del 2021/22, nonché il motivo per cui il MITE, con Circolare 128108 del 17 ottobre 2022 (76), abbia inteso precisare che le scelte operate nelle citate Linee Guida in tema di classificazione riferibile ai RAEE evidenzino sostanzialmente “un approccio analogo a quello utilizzato per i veicoli fuori uso, in base al quale il codice pericoloso o non pericoloso è connesso alla messa in atto o meno delle procedure di bonifica del veicolo. La classificazione di un’apparecchiatura dipende quindi dalla presenza o meno di componenti pericolose che può evidentemente essere valutata sulla base delle informazioni fornite dai produttori dell’apparecchiatura stessa”.
Un dato, questo, che, proprio in ragione di una dimenticata e manifesta diversità tra un RAEE ed un VFU, non solo necessita di approfondimento, bensì evidenzia una serie di “criticità” in tema di classificazione, di gestione e destinazione dei rifiuti.
Per di più, fa emergere risvolti di raffronto anche relativamente ai parametri di ecosostenibilità d’ordine produttivo, circa le sostanze pericolose che in sede UE sono indicate, il più delle volte, come oggetto necessariamente di verifica puntuale in sede classificatoria, sulla scorta di una intrinseca “pertinenza” nei prodotti/rifiuti elettronici derivante dai processi di produzione.
Essenzialmente, se l’asserzione parallela con i VFU è corretta, ovvero “il codice pericoloso o non pericoloso è connesso alla messa in atto o meno delle procedure di bonifica del veicolo”, allora la possibile filiera ciclica di natura virtuosa prevederebbe: i) RAEE “pericolosi” verso primo ingresso in impianti di “trattamento adeguato” (ex artt. 208 e 213); ii) oggetto di messa in sicurezza, prima di ogni altro trattamento; iii) uscita produttiva di EoW di processo, oppure successivo (possibile) passaggio di rifiuti “non pericolosi” anche ad impianti autorizzati in procedura semplificata (ex artt. 214/216); iv) oppure, primo ingresso in questi ultimi impianti dei soli RAEE “non pericolosi”, non necessitanti di alcuna messa in sicurezza bensì possibilmente oggetto di preparazione al riutilizzo (77) o trattamenti di recupero (compreso il riciclo) per produzione di EoW.
Ma siamo sicuri che questo è ciò che accade? Oppure se – tanto da parte del MITE, quanto del SNPA con l’ultimo suo report triennale di verifiche (78) – si è obliato sul fatto che, in taluni casi (magari anche numerosi – SIC!), si verifichino anomalie classificative nel ciclo sopra ipotizzato, tali da poter incidere anche sulla effettiva esplicazione del ciclo stesso?
Entriamo però nel dettaglio di quanto contenuto, in tema di classificazione dei rifiuti RAEE, nelle recenti Linee Guida SNPA del 2021/22.
Con la già citata Circolare del 2022 il MITE ha inteso evidenziare, descrivendo in termini di gerarchia delle fonti, la forza vincolante, nel nostro ordinamento, delle citate linee guida in tema di classificazione dei rifiuti (79). Dopo disamina dei punti relativi alla “Relazione tecnica, giudizio di classificazione e relativa forma”, con evidenti riferimenti anche agli “Orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti” del 2018 (80) si delinea, in apparenza, un approccio cauto e di prevenzione ambientale. Il MITE considera rilevante, in tema di codici “a specchio” tra cui scegliere, classificare un rifiuto con adeguata motivazione e ricerca tecnica delle caratteristiche di pericolo o delle sostanze, accompagnate da documentazione esaustiva (pure analitica qualora necessario), in modo tale da fornire chiara evidenza al processo decisionale e valutativo effettuato ai fini della classificazione del rifiuto.
Tuttavia, nulla si precisa in termini di ricerca di quali sostanze trattasi, ovvero: tutte quelle esistenti in un dato rifiuto (cd ricerca al 99,9% sul totale del peso rifiuto), o diversamente quelle (a tutta evidenza e per prassi tecnica consolidata) riscontrabili concretamente, con superamento dei limiti consentiti?
Ed ancora, in riferimento all’analogia posta tra RAEE e i ben definiti VFU (81), tanto il MITE quanto SNPA dimenticano una sostanziale differenza di fondo, ovvero che:
a) ogni tipologia di veicolo a fine vita diventa VFU classificabile con (*), in quanto contiene sostanze/miscele o componenti contenenti sostanze pericolose, per definizione univoca merceologia e di prodotto; quindi, un veicolo con EER 16 01 04* necessariamente deve prima passare per conferimento presso impianto di demolizione, ove, secondo “messa in sicurezza” ex D.Lgs. n. 209/2003 può essere trasformato in rifiuto in uscita recante EER 16 01 06, ovvero di natura non pericolosa;
b) non tutte le tipologie di RAEE a fine vita sono classificabili ab origine con (*), vista la casistica numerosa di prodotto e di composizione; un RAEE “può” essere classificato, in primo ingresso, ad esempio con EER 16 02 13* così come “può” ricevere l’EER 16 02 14, in quanto non tutti necessitano del “trattamento adeguato” e della “messa in sicurezza” ex D.Lgs. 49/2014 (infatti, sussistono differenze in tema autorizzativo).
Pertanto, la posizione assunta nelle Linee Guida, di certo, pone “criticità” in tema di rifiuti RAEE, proprio in ragione della diversificata origine produttiva e dei numerosi componenti con i quali sono prodotti. Al pari di come, visto il contenuto dalla stessa Dir. 2012/19/UE, le “informazioni” da rendere agli impianti di trattamento sono di contenuto articolato e “segnalano […] le diverse componenti e i diversi materiali delle AEE, nonché il punto in cui le sostanze e le miscele pericolose si trovano nelle AEE” (82).
Precisazioni, queste, mirate e coordinabili con l’esigenza di effettuare ricerche di sostanze pericolose in diversi punti e componenti chiave; detto in altre parole, seguendo un criterio che sia il più vicino possibile alla “pertinenzialità” della ricerca della sostanza/e potenzialmente/i rinvenibile/i in un RAEE o suoi componenti.
Sempre negli “Orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti” del 2018 (83), proprio relativamente alla procedura classificativa dei RAEE (punto non citato nelle Linee Guida SNPA – SIC!) si evidenzia che: “i valori di soglia basati sui codici di indicazione di pericolo si riferiscono allo stato in cui si trovano i rifiuti nel momento in cui ne viene effettuata la classificazione (ossia lo stato in cui vengono solitamente trasferiti e successivamente gestiti).
Per quanto riguarda il caso dei RAEE, qualora si debbano classificare apparecchi interi ciò potrebbe implicare la necessità di considerare il peso dell’apparecchio come base per i limiti di concentrazione applicati per le sostanze pericolose. Qualora si debbano classificare frazioni separate (ad esempio in seguito a un trattamento selettivo), il peso delle frazioni separate deve essere considerato come base per i limiti di concentrazione applicati”.
A parere di chi scrive, quindi, l’eliminazione del meccanismo di voci considerabili “a specchio” certamente non migliora i problemi di classificazione in tema RAEE. Difatti – per come vedremo – i rischi di possibili incidenze critiche potranno verificarsi sia in un senso che in un altro, ovvero invertendosi la classificazione di un rifiuto da pericoloso a non pericoloso, o viceversa.
Confermandosi così, proprio quei profili iniziali di perplessità evidenziati di recente dalla Corte dei Conti Europea, che riporta un aumento di prodotti definibili pericolosi (anche a fine vita), a fronte di un aumento di gestione/trattamento di “speculari” (mi si passi il termine!) rifiuti non pericolosi.
Alcune osservazioni d’ordine pratico
A questo punto, proviamo a verificare cosa possono generare tali “limitati scostamenti” (84) in tema di classificazione dei cd RAEE.
Innanzitutto, la classificazione sembrerebbe necessitare di una verifica della presenza o meno di componenti pericolose nel complesso dell’apparecchiatura, tramite informazioni fornite dai produttori dell’apparecchiatura stessa. Pertanto, stante la necessaria documentazione atta a dimostrare il processo decisionale seguito, rispetto ad un lotto di apparecchiature fuori uso – onde pervenire ad un’assegnazione del codice “pericoloso assoluto” o “non pericoloso assoluto” (ad esempio, per i cd RAEE speciali o professionali) – condurrebbe non solo a verificare la composizione stessa delle predette apparecchiature (per riscontro delle componenti/sostanze chiaramente descritte, nei codici EER 16 02 12*-16 02 11*-16 02 10*-16 02 09*), bensì per i casi più complessi (riferiti alla sola contrapposizione tra apparecchiature contenenti e non “componenti pericolosi” – codici EER 16 02 14 vs 16 02 13* ) ad acquisire informazioni e schede tecniche dai produttori delle “singole” apparecchiature, predisposte per adeguato conferimento presso impianto autorizzato.
Un meccanismo questo, rispetto ai casi più complessi, che ovviamente lascia spazio ad innumerevoli risvolti in tema di corretta (o meno) assegnazione dei relativi codici EER dei RAEE.
D’altronde, per impostazione europea si prevede una valutazione “speculare” stante la previsione di codici “a specchio” (per gli EER 16 02 14 – 16 02 16 e 20 01 36) con conseguente possibile valutazione di presenza di sostanze pericolose in rapporto di %/peso del rifiuto conferito o esitato; mentre, a livello nazionale si vorrebbe la sola verifica minima (per così dire!) della presenza o meno (descritta “possibile”, ma in termini assoluti) di “componenti pericolosi”, oppure nel caso dei “componenti rimossi” di possibile presenza di “sostanze pericolose” (descritta anche qui “possibile”, ma in termini “assoluti”).
Insomma, due diverse logiche di accertamento, la prima fondata su un approccio coerente con tutte le tipologie di rifiuti e, dunque, sul rilievo fondante della ricerca “pertinente” di una o più “sostanze pericolose rilevanti per limiti” in un dato peso di rifiuto; la seconda, fondata su di un concetto “assoluto” d’origine produttiva e di composizione del RAEE, tuttavia applicato con margini definiti come di “possibile presenza”.
Ed ancora, l’esistenza di numerose tipologie di apparecchiature (85) e loro composizione, di certo non agevola la potenziale classificazione delle stesse in una situazione di tal guisa. Con riferimento, poi, ai “componenti rimossi”, ed alle sostanze “possibilmente” presenti/caratterizzanti in punto di pericolosità, la logica ricognitiva diventa ancora più fumosa.
Un disordine valutativo e classificativo che potevamo di certo risparmiarci.
Invero, se, da una lato, si pensa ai RAEE contenenti (o meno) determinati e descritti componenti (come potranno essere le batterie, taluni componenti contenenti mercurio, tubi catodici, condensatori contenenti PCB), fare riferimento ai codici “assoluti” sopra citati (dal 09 al 12 di coppia finale) non pone, ovviamente, problemi di rilevanza alcuna, in quanto la descrizione “certa” della sostanza nociva nel codice, la conoscenza della tipologia del bene/rifiuto, uniti al dato di provenienza, chiude il cerchio circa l’assegnazione del corrispettivo codice EER. In altri casi, invece, ab origine “speculari” (generici e/o non descritti puntualmente), proprio la “possibile presenza” di talune sostanze pericolose complica notevolmente le cose.
Proviamo, ad esempio, ad analizzare il raffronto di casistica posto proprio nelle stesse Linee Guida 2021/22 (86), tra tipologie di RAEE identificate in “PC desktop e notebook”.
Tali apparecchiature, nella pratica quotidiana degli impianti di trattamento (magari per chi è solito verificarne il dato concreto ed empirico) sono, il più delle volte, accettati in conferimento con classificazione recante EER 16 02 14, ovvero (allo stato dell’arte) una voce di non pericoloso assoluto. Indicazioni di tal guisa, inoltre, si rinvengono sui maggiori siti web relativi a consorzi, aziende ed enti pubblici (87). Ciò induce a ritenere che, per tali rifiuti elettronici, sia stata valutata l’assenza (per conoscenza della tipologia di prodotti/rifiuti e loro composizione) di “componenti pericolosi” e nessun’altra indagine (analitica e/o tecnica) sarà stata effettuata ai fini di classificazione ed assegnazione del relativo codice EER.
Eppure, nello schema redatto dal SNPA pare intendersi nettamente il contrario, ovvero che siffatte apparecchiature ben potrebbero ricevere l’assegnazione del codice EER 16 02 13*, ovvero quel codice che evidenzia le “apparecchiature fuori uso, contenenti componenti pericolosi diversi da quelli di cui alle voci 16 02 09 e 16 02 12”. Tutto ciò, in quanto “possono contenere” componenti “diversi” da trasformatori e condensatori contenenti PCB o non contenere fibre libere di amianto e, quindi, recare componenti pericolosi per “altre e/o diverse” sostanze/miscele.
Difatti, nel lato di destra dello schema del SNPA si evidenziano taluni “componenti” possibilmente presenti all’interno tanto dei PC desktop che dei notebook (88), segnatamente (oltre alle diverse componenti indicate in apparenza con una evidenziazione per così dire “neutra”) si precisa che:
– Le schede elettroniche “possono” contenere:
manganese, antimonio; cobalto, titanio, cromo, argento, oro, platino ecc.
resine fenoliche, epossidiche, amminiche, carta inerte con ossido di silicio, poliesteri, ecc, fibre di vetro, materiale ceramico
composti inorganici come semiconduttori: germanio, arseniuri e fosfuri di indio e gallio
altro: vernici, fissanti e diluenti, cere, coloranti, adesivi, colle, ecc.
– I PC “possono” inoltre contenere:
ritardanti di fiamma bromurati o PVC e ftalati (ad esempio, nella civetteria)
metalli pesanti quali piombo, zinco, stagno, ecc.,
solventi (come elettroliti) nei condensatori, in funzione del tipo di funzionamento.
Un elenco, questo, che a tutta evidenza fornisce un quadro di “possibili componenti pericolosi” perché “contenenti sostanze pericolose” presenti in tali apparecchiature, unite a talune descrizioni di sostanze (ad esempio, metalli pesanti quali piombo, zinco, stagno, ecc.) comunque riferite alle apparecchiature stesse. Se a questo dato colleghiamo quanto affermato nelle Linee Guida, ovvero che “la procedura di classificazione di un rifiuto e, quindi, anche l’individuazione del pertinente codice e delle eventuali caratteristiche di pericolo, deve essere attuata dal produttore, alcune indicazioni sulle HP usualmente associate alle apparecchiature rientranti nei cinque raggruppamenti di cui al DM 185/2007 possono essere fornite dal Centro di Coordinamento RAEE, dal SNPA e dalle singole Agenzie regionali, anche attraverso procedure di caratterizzazione specificatamente sviluppate allo scopo di valutare le caratteristiche di pericolo da associare alle diverse tipologie di RAEE o ai raggruppamenti di cui al DM 185/2007”, allora mal di comprende la mitigata e poco chiara, presa di posizione valutativa in tema RAEE da parte dello stesso SNPA.
Difatti, nello schema citato a mero titolo esemplificativo, l’Ente si esprime con termini del tipo “possono contenere”, senza delineare con doverosa fermezza l’esistenza o meno di “sostanze pericolose” nei citati “componenti”, moderatamente descritti come “possibilmente pericolosi”. Di converso, prima di questa casistica, si sceglie il metodo di voci in senso “assoluto” e si rammenta la responsabilità della classificazione in capo al soggetto produttore, senza tuttavia delineare pregnanti indicazioni sulla composizione dei RAEE stessi, sulle HP necessitate e riferite ai singoli rifiuti; anzi, demandando ad informazioni (non meglio pervenute) rinvenibili presso il Centro di Coordinamento RAEE, addirittura presso lo stesso SNPA (magari avrebbero fatto prima ad inserirle – SIC!) o presso le singole Agenzie Regionali. Ed ancora, riferendosi alle indicazioni sulle HP necessitate per i singoli rifiuti, che le stesse potrebbero rinvenirsi anche tramite alcune imprecisate “procedure di caratterizzazione della pericolosità” sviluppate ed associate tanto alle diverse tipologie di RAEE, quanto addirittura alle intere classi dei Raggruppamenti ex DM 185/2007.
Sul punto, il meccanismo “a specchio” di matrice europea serviva proprio ad evidenziare, per esclusione rispetto al codice pericoloso, la necessità di una verifica di sussistenza e livelli di talune sostanze pericolose potenzialmente presenti in un RAEE (il citato EER 16 02 14 – “apparecchiature fuori uso, diverse da quelle di cui alle voci da 16 02 09 a 16 02 13“ pone esclusione “da/a” di altre tipologie); in modo tale, da stabilirne presenza/assenza in relazione ai componenti e, dunque, all’apparecchiatura stessa, con rapporto di %/peso sul rifiuto stesso.
Se poi, con tale meccanismo valutativo di voci “non più a specchio ma assolute”, si pone mente proprio a ciò che muove il comparto di recupero/riciclo, ovvero la valorizzazione della materia (classificabile come EoW nel rispetto dei canoni normativi e del ciclo produttivo autorizzato) anche riferibile alle componenti di maggior pregio (circuiti stampati, magneti, connettori e altro) in quanto possibilmente contenenti metalli nobili, preziosi e/o terre rare, allora il discorso si connota ancor più di ulteriori “criticità”.
Basti solo riflettere sulle ripercussioni di cicli di processo autorizzativi (anche in termini di livelli di emissioni e non solo) in rapporto a trattamenti di recupero con fusione pirometallurgia, ovvero di estrazione in idrometallurgia finale (89).
Difatti, nello stesso schema citato, taluni componenti (come le schede elettroniche) si ritiene “possono contenere” certe sostanze di natura pericolosa (tra cui, metalli pesanti, ritardanti di fiamma e/o altro), senza tuttavia considerare che ciascun apparecchio detiene al proprio interno un circuito stampato (il più delle volte sopra i 10 cm2 e che comanda le diverse funzionalità elettroniche). Pertanto, in assenza d’indagine circa il criterio di rapporto %/peso, l’evidente possibilità che quantomeno l’80/90% dei RAEE, conferiti per la prima volta in impianto autorizzato, possano risultare – in termini di voci “assolute” – classificabili come rifiuti di natura pericolosa, potrebbe divenire una concreta realtà a dir poco manifesta.
E se colleghiamo a ciò quel richiamo inziale posto nelle stesse Linee Guida circa la valenza applicativa del “principio di precauzione”(90), di cui alla sentenza della Corte di Giustizia Europea del 28 /03/2019 (cause riunite da C-487/17 a C 489/17) (91), allora l’approcciato “discostamento” dallo schema europeo – così come pensato, unitamente alle generiche valutazioni del tipo “possono contenere” – certamente incrementa (e non risolve) il problema delineato; relativo tanto alla classificazione dei rifiuti pericolosi, quanto alla tracciabilità/gestione degli stessi ed alla successiva produzione degli EoW senza relativi impatti sull’ambiente. Per giunta, lasciando in totale balia valutativa qualsivoglia soggetto produttore (primario o secondario), il quale, onde evitare qualunque addebito di natura amministrativa e finanche penale, magari penserà bene proprio di accedere a quella dimostrata regola di precauzione testé richiamata.
Per citare un ultimo esempio, pensiamo al conferimento di RAEE classificati con codice “NPA” (seguendo i parametri del SNPA), dunque, con voce EER 16 02 14, e valutiamo – a seguito dei successivi trattamenti di disassemblaggio, manuale e non – la potenziale classificazione in uscita dei rifiuti producibili.
Anche qui, in realtà, i codici europei 16 02 15* e 16 02 16 – “speculari” tra loro in origine – diventano nelle tabelle SNPA codici PA ed NPA, ovvero assoluti. Orbene, la domanda sorge spontanea in termini pratici: quale gestore di impianto di trattamento, con ingresso di apparecchiature recanti voce NPA (16 02 14), previo trattamento delle stesse, dormirebbe sonni tranquilli con una classificazione in uscita di componenti rimossi (circuiti stampati, ad esempio) con voce EER magari diversa dal 16 02 16?
Ed ancora, classificazione e gestione in trattamento così tracciati ben potrebbero rilevare “possibili e anomali” riscontri quando, a seguito di frantumazione e/o di trattamento meccanico dei RAEE, le frazioni di rifiuti esitati tornerebbero a ricevere assegnazione di codici con metodi di voci “a specchio”, così come quelli, rispettivamente, rientranti nelle serie 19 10 xx (ad esempio, il 19 10 05* vs 19 10 06) o nelle serie 19 12 xx (ad esempio, 19 12 11* e 19 12 12). Difatti, per queste voci i discostamenti dallo schema europeo non sussistono, pertanto permangono (per il “nuovo” produttore) onere di relativi campionamenti del lotto di rifiuti, di descrizione tecnica e giudizio di classificazione, e ove necessario di test analitici di ricerca di talune “sostanze pericolose” con verifica di superamento (o meno) dei limiti di concentrazione.
A tutta evidenza, su tale ultimo aspetto, le Linee Guida tacciono inesorabilmente, citando l’uso dei codici post trattamento dei RAEE con sola elencazione delle voci utilizzabili (92). Senza neppure accennare, vista l’indicazione del “possono contenere”, ad una potenziale ricerca limitata alle “pertinenti” sostanze pericolose (comunque, indicate – SIC!) e loro concentrazioni soglia. Ricerca, questa, condotta da una necessaria assenza di discrezionalità per il produttore proprio in ragione di possibili ed utili indicazioni tecniche, magari fornite dall’Ente redigente le predette linee guida.
Ricerche e sostanze “pertinenti”: anche alla luce del novello Reg. UE 1670/2023.
Osservazioni d’ordine conclusivo devono, comunque, muoversi dai rilievi forniti circa la dicotomica valutazione tra “certezza” e “probabilità” in tema di classificazione di rifiuti con voci “a specchio”, ricordando che la prima affonda le radici logiche sul concetto di “pericolosità presunta”, mentre la seconda trae spunto da un concetto perno europeista, sulla “ricerca mirata e pertinenziale”.
Se da un lato, la stessa Corte di legittimità, nel solco di motivazioni della CGUE, ha ritenuto di sconfessare l’esistenza di una “pericolosità presunta”, collegata alla ricerca in termini di “certezza” complessiva di ogni sostanza presente in un rifiuto, quale preludio ad una incompresa “de-classificazione” del rifiuto; dall’altro, in assenza di immediata conoscenza della composizione del rifiuto potenzialmente pericoloso, certamente rileva l’onere d’accertamento di ogni informazione idonea, tale da consentire quell’acquisizione sufficiente di composizione e di conseguenza attribuire al rifiuto la voce EER appropriata. Tutto ciò senza “margine di discrezionalità” eccessivamente ampio, ma comunque direzionato (rectius = orientato) verso quelle sostanze “che possano ragionevolmente trovarvisi”. In quanto, l’esclusione di scelte arbitrarie circa le modalità di classificazione ed accertamento della pericolosità serve, ovviamente, a poter allontanare l’aggiramento di precise indicazioni normative e regolamentari circa le modalità di qualificazione del rifiuto sub iudice.
E fin qui, l’argomentazione svolta, pare non collidere con la prospettata testi della “ricerca pertinenziale” (maggiormente condivisibile da chi scrive).
L’unico dato stridente con la seconda tesi dottrinale risiede nel fatto che gli Ermellini escludano che “l’analisi dei rifiuti a specchio, al fine di determinarne la pericolosità, deve riguardare solo le sostanze che, in base al processo produttivo, è possibile possano conferire al rifiuto stesso caratteristiche di pericolo”, in quanto non rappresentativa dei principi europei evidenziati dalla stessa CGUE.
A tal fine, forse è il caso di evidenziare che – al pari del nesso di causalità giuridicamente rilevante tra azione ed evento, finalisticamente orientato alla determinazione del “se una azione è causativa, secondo alta probabilità logico-giuridica, di un dato un evento dannoso (93)“, senza dover ricercare e/o disaminare tutte quelle possibili azioni, o anche concause, possibilmente esistenti nel mondo empirico e possibilmente incidenti sulla producibilità di quel dato evento – anche in tema di ricerca (di sostanze pericolose) utile alla classificazione di un dato rifiuto, quel che dovrebbe contare (con ovvia esclusione di ogni discrezionalità umana) è la direzione altamente logica verso quella “probabile presenza” di date sostanze intese quali “rilevanti pertinenze”, in seno al prodotto e poi al rifiuto.
A ben notare tale concetto di “pertinenzialità” (nel prodotto e nel rifiuto) non è stato, di sicuro, dimenticato nella normazione europeistica nell’ottica di tematiche ambientali.
Innanzitutto, la Dir. 98/2008/CE ha precisato la portata dei concetti di “prevenzione”, “riutilizzo”, “preparazione per il riutilizzo”, “trattamento” e “riciclaggio”, riferendoli ai prodotti/rifiuti in quanto valutati armonicamente, tanto che la stessa Dir. Quadro introduceva la cd. “responsabilità estesa del produttore”, onde sostenere una progettazione e una produzione dei beni che potessero arrecare minor incidenza ambientale durante l’intero ciclo di vita dei prodotti stessi (94). Le precisate nozioni di riciclaggio, recupero e della ERP, recavano, quindi, quella visione complessivamente unitaria e d’insieme di “economia circolare”.
Con la seguente Dir. 2018/851/UE (95) si modificava sostanzialmente la Dir. 2008/98/CE, in diversi punti qui d’interesse, onde proseguire quella strada imposta dall’Accordo sul Clima di Parigi del 2015, con cui si imprimeva deciso slancio alla prevenzione e riduzione dei rifiuti in linea con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile (96). Si evidenziava, quindi, che tra gli Stati membri esistevano grandi differenze in tema gestione rifiuti, con particolare riguardo al riciclaggio/recupero dei rifiuti stessi e valorizzazione delle cd. CRM (critical raw materials), quelle materie prime di grande importanza per l’economia, ma oggetto di approvvigionamento “associato a un elevato livello di rischio” (97). Con l’adeguata precisazione che nel momento in cui prodotti/materiali/sostanze diventavano rifiuti – e per la presenza di sostanze pericolose risultavano inadatti ad un concreto riciclaggio o recupero di materie prime secondarie di elevata qualità – bisognava incidere a monte e non a valle. Ovvero, occorreva promuovere misure dirette a ridurre le sostanze pericolose in tutti i materiali e i prodotti, compresi quelli riciclati, garantendo informazioni sufficienti (da parte dei produttori) sulla presenza (o meno) di sostanze pericolose e in particolare di sostanze “estremamente preoccupanti” durante l’intero ciclo di vita dei beni citati (98). Migliorare, altresì, la coerenza tra il diritto dell’Unione sui rifiuti, sulle sostanze chimiche e sui prodotti, e la garanzia di quelle informazioni sopra dette (su sostanze pericolose e preoccupanti) sull’intero ciclo di vita dei prodotti/materiali ed anche in fase di rifiuto.
Tutto ciò, al fine ultimo di aumentare i tassi di preparazione per il riutilizzo ed il riciclaggio, nonché di consentire un riciclaggio di elevata qualità con impiego di materie prime secondarie di altrettanta qualità derivanti dal recupero. Si inseriva, inoltre, la distinzione (rispetto alla presenza o meno di sostanze di cui all’Allegato III della Dir. 2008/98/CE) tra rifiuto pericoloso e non pericoloso, ma non nel senso che dal primo si possa “de-classificare” al secondo, dimostrandosi l’assenza di tutte le possibili sostanze pericolose potenzialmente previste.
Si poneva un nesso tra composizione del prodotto/rifiuto e presenza intrinseca di talune sostanze generanti possibili caratteri di pericolosità, con rilevanza su fase produttiva, ciclo di vita del prodotto nonché fase di gestione del bene divenuto rifiuto (99). Il diretto collegamento di natura “pertinenziale” tra sostanze (pericolose e non) rispetto alle caratteristiche intrinseche di prodotto, o di un bene divenuto rifiuto, veniva talmente accentuato tanto da reputarsi finanche necessarie verifiche ai fini dei criteri di qualità delle ex MPS (ora EoW) “compresi i valori limite per le sostanze inquinanti, se necessario”. Per i soggetti, poi, che per primi rimettevano in circolazione determinate (ex) MPS, le stesse dovevano soddisfare “i pertinenti requisiti ai sensi della normativa applicabile in materia di sostanze chimiche e prodotti collegati […] prima che la normativa sulle sostanze chimiche e sui prodotti si applichi al materiale che ha cessato di essere considerato un rifiuto” (100).
A quanto pare, quindi, l’UE ha sempre inteso soppesare e valorizzare la “rilevanza pertinenziale” del rapporto tra prodotto/rifiuto e sostanze pericolose da ricercare ed eliminare, sia in fase ab origine produttiva che in fase di classificazione e gestione del rifiuto.
La stessa recente normazione comunitaria conferma, ancora una volta, quanto fin qui sostenuto.
Invero, già nel 2009, si è impressa una forte spinta al raccordo tra eco-progettazione, processi di produzione e modelli di consumo, ambito di gestione rifiuti e mercato delle materie prime da recupero, con piena attenzione alla riduzione delle “pertinenti” sostanze nocive/inquinanti.
Con la Dir. 2009/125/CE (101) si sono definiti i requisiti relativi alla progettazione ecocompatibile dei prodotti connessi all’energia, mirando all’approccio di sviluppo di quel concetto innovativo di “ciclo di vita ambientale” di un prodotto (102). Ovverosia, si è voluto creare un quadro normativo – sulla progettazione eco-compatibile – unitario e complementare alle altre normative di allora, relative ai rifiuti (RAEE) ed alla restrizione d’uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE), alle disposizioni relative alla classificazione, all’imballaggio e all’etichettatura delle sostanze pericolose (Reg. CLP), nonché al Reg. n. 1907/2006 (REACH) (103).
Approdiamo, dunque, al novello Reg. 2023/1670/UE (104) con cui (a norma della Dir. 2009/125/CE) si sono delineate proprio le specifiche per la progettazione eco-compatibile per smartphone, telefoni cellulari (diversi dagli smartphone), telefoni cordless e tablet. Il regolamento si fonda su uno studio preparatorio che ha individuato gli aspetti ambientali da affrontare in relazione all’efficienza delle risorse ovvero, prevenzione dell’obsolescenza precoce, riparabilità, affidabilità dei prodotti e dei loro componenti chiave, nonché riutilizzabilità e tasso di riciclabilità degli stessi.
Tasso di riciclabilità indicato, per la prima volta, in sede regolatoria europea (in relazione a possibili RAEE) e oggetto di misura con il “Rcyc”, ovvero “il tasso di riciclabilità, espressa in %” (105). Per comprenderne il significato – onde percepire anche il motivo per il quale tale tasso “Rcyc” debba essere espresso nelle schede di prodotto ed oggetto di adeguate informazioni previste verso gli impianti di trattamento dei prodotti a fine vita – basta scorrere l’intero regolamento fino al suo Allegato III-bis, denominato “Metodi provvisori” di natura tecnica, utili alla determinazione della conformità e della verifica della conformità ai requisiti del presente regolamento (106).
Nella tabella 3 allegata si evince come l’Rcyc si riferisca e sia da “calcolare come tasso di riciclabilità basato sulla massa, con il seguente scenario di riferimento a fine vita” (con metodica EN 45555:2019) (107):
– batteria: le masse di Co, Li (Rcyc, Li 90 %) contano ai fini del tasso di riciclabilità;
– parti mono-materiale rimosse durante l’estrazione della batteria: le masse di acciaio, Al, Mg, plastica o rame contano ai fini del tasso di riciclabilità;
– tutte le altre parti: le masse di Cu, Co, Sn (Rcyc, Sn 50 %), Ni (Rcyc, Ni 85 %), In (Rcyc, In 50 %), Au, Ag, PGM (Rcyc, PGM 95 %) contano ai fini del tasso di riciclabilità;
– diversamente, per il contenuto di “materie prime essenziali” la metodica EN 45558:2019 (108) deve applicarsi all’oro seguendo lo stesso approccio delle materie prime essenziali.
Per di più, oltre a prevedere obblighi in tema di documentazione tecnica produttiva (109), fabbricanti, importatori e mandatari, a partire dal 20 giugno 2025, dovranno mettere a disposizione (su un sito web ad accesso libero e per modello di prodotto) informazioni sullo smantellamento dei componenti di cui all’Allegato VII, punto 1, della Dir. 2012/19/UE (110). Nonché, andranno inseriti anche gli indicatori dei “requisiti di riciclabilità” (diversi per ciascuna tipologia prevista dal regolamento), ovvero “la gamma di peso indicativa delle materie prime essenziali e dei materiali pertinenti a livello ambientale seguenti” (111):
i) cobalto nella batteria (con indicazione di gamma di peso)
ii) tantalio nei condensatori (con indicazione di gamma di peso);
iii) neodimio negli altoparlanti, nei motori a vibrazione e negli altri magneti (con indicazione di gamma di peso);
iv) oro (112) in tutti i componenti (con indicazione di gamma di peso);
v) nonché, il valore indicativo del tasso di riciclabilità Rcyc.
In sostanza, ben sarà possibile – tramite le citate indicazioni di gamma di peso e tasso di riciclabilità Rcyc – poter determinare anche i contenuti in % delle stesse sostanze in relazione al peso del prodotto/rifiuto o ai suoi componenti essenzialmente considerati.
Tutto ciò, ovviamente, fa emergere alcuni quesiti: come dovrà intendersi il riferimento a “materie prime essenziali e dei materiali pertinenti a livello ambientale” nella misura in cui si rendesse opportuna la ricerca, in riferimento ad un RAEE, di determinate sostanze (potenzialmente pericolose) ai fini di una sua classificazione? Ed ancora, bisognerà comunque ricercare tutte le potenziali sostanze ivi presenti ai fini della pericolosità del prodotto/rifiuto, esulando dalle indicazioni fornite e dai contenuti di normazione europea che tanto incentrano l’attenzione su determinate sostanze “preoccupanti” e pure “pertinenti”?
Ovvero, i dati relativi al contenuto informativo degli stessi prodotti saranno dirimenti ai fini orientativi di una ricerca di natura “pertinenziale” per la classificazione del rifiuto?
Forse, si può finalmente sostenere che si è dinanzi all’ulteriore conferma che l’impostazione normativa europea sia ancorata fortemente a concetti di “ricerca pertinenziale” diretta sul prodotto e/o sul rifiuto. Indagine, questa, rivolta a quelle sostanze caratterizzanti l’intrinseca pericolosità degli stessi, nel rispetto di metodi di prova ampiamente indicati e riconosciuti, prima ancora applicati ai prodotti e, poi, ai rifiuti stessi; con precisata assenza di qualsivoglia discrezionalità umana, mai consentita, prevista e ovviamente manifestamente vietata.
Pertanto, con riferimento alla questione riguardante la dicotomica differenza di “approccio” (se così vuol chiamarsi), relativa alla considerazione di voci “assolute” o voci “a specchio” riferibile ai codici EER di cui ai RAEE presente nelle Linee Guida SNPA del 2021/22, forse sarebbe quantomeno necessaria una revisione d’impostazione in considerazione anche dei contenuti di cui al novello Reg. 1670/2023.
Le suindicate “criticità”, derivanti dalla scelta di voci considerate in termini “assoluti” ma accompagnate da valutazioni di presenza di talune sostanze in termini “probabilistici”, lascerebbe (per come già considerato) esposte numerose tipologie di RAEE ad una classificazione in termini di pericolosità.
In ossequio a quel principio di “precauzione ambientale” vista la ragionevole non adeguata conoscenza (in termini possibilistici) della composizione del prodotto divenuto rifiuto e dei suoi componenti.
Sostanzialmente, se da un lato l’approccio euro-indicato pone considerazione primaria sul “prodotto”, sulla sua genesi di processo, sulla sua composizione in termini di rapporti tra materie/sostanze potenzialmente nocive e massa dello stesso (o dei suoi componenti) e solo dopo sul rifiuto divenuto tale, allora sarebbe quantomeno opportuno che le anzidette Linee Guida SNPA recepissero siffatta impostazione, a ben vedere chiara e in continua evoluzione in tal senso.
Ciò in quanto, riferimenti sulla composizione originaria e strutturalmente eco-compatibile dei prodotti elettronici, certamente metterebbero l’Ente SNPA nella condizione di poter magari formare un elenco “indicativo e armonizzato” di tipologie di AEE/RAEE (pur riferibili, poi, ai diversi raggruppamenti e non viceversa) in base ad una verifica di concreta presenza di quelle “pertinenti sostanze di rilevanza ambientale” (quanto meno in termini di valori medi rispetto alla massa, calcolabili anche con le norme tecniche ut supra evidenziate).
Difatti, se si sceglie la strada di considerare le voci EER quali tutte di matrice “assoluta”, di contro non possono perdersi di vista le effettive caratteristiche intrinseche dei prodotti, così come l’origine di processo produttivo che li ha generati, l’utilizzo e la presenza di determinate sostanze di natura pericolosa, anche in riferimento agli stessi componenti di fabbricazione. Così come non si possono, in linea di massima, lasciar cadere talune criticità e conseguenze generabili, in presenza di evidenti incertezze e lacune orientative, in capo ai singoli produttori originari e non.
All’opposto, ove mai si dovesse rivedere – primario auspicio per chi scrive – l’impostazione “discostata”, sarebbe comunque opportuno che le predette Linee Guida ponessero riferimenti espliciti ai dettami regolatori di nuovo conio europeo. Nonché, ulteriori richiami manifesti alle potenziali composizioni e sostanze effettivamente contenute nei prodotti elettronici e loro componenti (magari formando un elenco, pur non esaustivo, di corrispondenza con l’Rcyc basato sulla massa e per media sui prodotti), onde così fornire casistiche empiriche e valutative, tali da poter, a loro volta, orientare quelle ricerche di natura “pertinenziale” verso chiare e definite “pertinenti sostanze di rilevanza ambientale”.
Tutto ciò, forse, consentirebbe perfino di poter ri-allineare quei riscontri in negativo evidenziati da ultimo dalla stessa Corte dei Conti Europea, onde invertire quella tendenza di maggior quota di prodotti immessi nel mercato e contenenti “pertinenti” sostanze di natura pericolosa, a fronte di una maggior quota di rifiuti classificati e gestiti come non pericolosi.
Riferimenti in nota
(1) Nel novembre 2023, l’UE ha raggiunto un accordo provvisorio su una legge europea sulle materie prime critiche, poiché si prevede che la domanda aumenterà esponenzialmente nei prossimi anni. Inoltre, in data 12/12/2023 il Parlamento UE ha dato il via libera ai piani per migliorare l’approvvigionamento dell’UE di materie prime strategiche, in modo tale da garantire l’approvvigionamento e la sovranità dell’UE, riducendo la burocrazia autorizzativa, promuovendo l’innovazione e sviluppando materiali alternativi, con obiettivi di riciclaggio ambiziosi fino al 25% della provenienza da processi di riciclo (https://www.europarl.europa.eu/news/ro/press-room/20231208IPR15763/materii-prime-critice-pe-asigura-aprovizionarea-si-suveranitatea-ue).
(2) C.D.C. UE – Analisi IT 04 – Azione dell’UE e sfide esistenti in materia di rifiuti elettrici ed elettronici – 2021 (Sezione I – “Uso sostenibile delle risorse naturali” – su sito eca.europa.eu), abstract finale “La presente analisi è incentrata sul ruolo e sulle azioni che l’UE ha intrapreso per rispondere alla gestione dei rifiuti elettrici ed elettronici. In media, negli Stati membri dell’Unione si raccolgono e recuperano più rifiuti di questo tipo che nella maggior parte dei paesi terzi. L’UE, dopo aver raggiunto nel suo insieme gli obiettivi stabiliti in passato per la raccolta e il recupero dei rifiuti elettrici ed elettronici, se ne è prefissata di più ambiziosi. Restano tuttavia sfide da affrontare. L’analisi della Corte ne mette in luce, infatti, per quanto riguarda: il rispetto dei vigenti requisiti di trattamento dei rifiuti in questione; la lotta alla loro gestione irregolare, alle spedizioni illegali e ad altre attività criminose; l’ulteriore aumento della raccolta, del riciclaggio e del riutilizzo di questi rifiuti “.
(3) C.D.C. UE – Analisi IT 02 – Azioni dell’UE per fare fronte ai volumi crescenti di rifiuti pericolosi – 2023 (Sezione I – “Uso sostenibile delle risorse naturali” – su sito eca.europa.eu), abstract finale “delle azioni dell’UE volte a far fronte ai rifiuti pericolosi. Tali rifiuti sono potenzialmente nocivi per la salute delle persone e per l’ambiente. Le iniziative dell’UE si sono concentrate sulla prevenzione, ma la produzione di rifiuti pericolosi è in costante aumento dal 2004. Il loro trattamento in sicurezza è ostacolato da difficoltà quali ad esempio un tracciamento non affidabile. Tuttora, più del 50 % dei rifiuti pericolosi dell’UE vengono smaltiti. Il loro riciclo è limitato da impedimenti tecnici e dalla mancanza di opportunità di mercato per i rifiuti riciclati. Inoltre, il traffico illecito continua ad essere un’attività lucrativa. Le sfide future sono rappresentate dalla gestione delle quantità crescenti di rifiuti pericolosi, dal miglioramento della loro classificazione, dall’assicurare la loro tracciabilità dalla produzione al trattamento finale, dalla limitazione dello smaltimento aumentandone il riciclo, e dal contrasto al traffico illecito “.
(4) G.U.U.E. del 22.11.2008, L 312/3, modificata dalla Dir. 2018/851/UE del 30/05/2018.
(5) Il principio della “gerarchia dei rifiuti”, ove le opzioni preferibili sono prevenzione e preparazione per il riutilizzo, seguite da recupero/riciclo e, in ultima istanza, smaltimento; il principio di “precauzione”, per riduzione di sostanze pericolose nei rifiuti come misura di precauzione; il principio “chi inquina paga” e quello della “responsabilità estesa del produttore”, per garantire che il peso delle azioni di chi produce rifiuti o contamina l’ambiente gravi interamente sulle sue spalle.
(6) In disamina, ai punti 20 e 21 si pone proprio l’accento “su informazioni di dominio pubblico o su materiale raccolto appositamente a tal fine “, relativi a rifiuti elettrici ed elettronici e rifiuti di plastica.
(7) C.D.C. UE – Analisi IT 02 – cit. – 2023, Allegato II – Procedure di infrazione in materia di rifiuti pericolosi. Nel periodo tra il 1990 e il 2022, la Commissione ha avviato 216 procedure di infrazione nei confronti degli Stati membri, come riportato nella tabella di seguito. La tabella non include i casi di infrazione avviati nei confronti del Regno Unito nello stesso arco di tempo. Tali procedure riguardano nello specifico l’ambito dei rifiuti pericolosi, dei policlorodifenili (PCB) e dei policlorotrifenili (PCT). I PCB e i PCT sono un insieme di sostanze chimiche sintetiche impiegate principalmente nelle apparecchiature elettriche.
(8) G.U.C.E. del 6.9.2000, L 226/3.
(9) G.U.U.E. del 31.12.2008, L 353/1 – Il regolamento definisce con il termine di “sostanza” sia gli elementi chimici che i relativi composti (art. 2, punto 7). Pertanto, anche ai fini della classificazione dei rifiuti, i composti individuati dal suddetto regolamento sono a tutti gli effetti da intendersi come sostanze. Con il termine di “miscela” (i vecchi “preparati” ai sensi della direttiva 1999/45/CE) viene, invece, indicata (art. 2, punto 8), “una miscela o una soluzione composta di due o più sostanze “. In base al regolamento, la differenza tra sostanza e miscela è, pertanto, rappresentata dal fatto che quest’ultima si configura come un insieme di più sostanze. Ciascuna sostanza in quanto tale o in quanto contenuta all’interno di una miscela deve, ove ne ricorrano le condizioni, essere registrata a norma del REACH e notificata a norma del CLP, dal fabbricante o importatore della sostanza o della miscela. Ed ancora, quanto riportato dal regolamento CLP in relazione alla classificazione delle singole sostanze costituisce un riferimento solo ai fini dell’individuazione delle sostanze pericolose e delle classi, categorie, indicazioni o informazioni supplementari di pericolo di appartenenza. Regolamento di recente modificato dal Reg. Delegato (UE) 2023/707 del 19/12/2022 per quanto riguarda i criteri e le classi di pericolo per la classificazione, l’etichettatura e l’imballaggio delle sostanze e delle miscele.
(10) G.U.U.E. del 29.5.2007, L 136/3 – Il regolamento 2006/1907/CE riguarda la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH) e rappresenta la normativa europea di riferimento sulle sostanze chimiche. Esso si applica alle sostanze in quanto tali, in miscele o in articoli.
(11) G.U.U.E. del 31.5.2008, L 142/1 – istitutivo dei “metodi di prova” previsti dal Reg. 2006/1907/CE.
(12) G.U.U.E. del 19.12.2014, L 365/89 – sostituisce l’Allegato III della direttiva 2008/98/CE che elenca le caratteristiche di pericolo per i rifiuti, mentre il Reg. 2017/997/UE modifica l’Allegato III della direttiva quadro in ordine alla caratteristica di pericolo HP14 “Ecotossico”.
(13) G.U.U.E. del 25.6.2019, L 169/45 – relativo agli inquinanti organici persistenti (regolamento POPs).
(14) A meno che non sia espressamente previsto da questa normativa (ad esempio, per i valori limite relativi ai POPs), che eventuali valori limite specifici di concentrazione contemplati dalla normativa CLP non debbano essere presi in considerazione.
(15) Reg. 1907/2006 REACH (art. 3, punto 37), scenari d’esposizione definiti come “l’insieme delle condizioni, comprese le condizioni operative e le misure di gestione dei rischi, che descrivono il modo in cui la sostanza è fabbricata o utilizzata durante il suo ciclo di vita e il modo in cui il fabbricante o l’importatore controlla o raccomanda agli utilizzatori a valle di controllare l’esposizione delle persone e dell’ambiente. Questi scenari d’esposizione possono coprire un processo o un uso specifico o più processi o usi specifici, se del caso “.
(16) Si rammenta, ad esempio, che proprio i metodi di prova da utilizzare in ambito REACH, sono richiamati dalla normativa sulla classificazione dei rifiuti.
(17) Ovvio che le operazioni di smaltimento o recupero comportanti il recupero/riciclaggio e la rigenerazione/reimpiego dei POPs sono vietate.
(18) G.U.U.E. del 12.7.2006, L 190/1 – sul punto basta citare gli articoli 34 e 36 del Regolamento, ove si è imposto il divieto di esportare rifiuti destinati a smaltimento al di fuori dei paesi EE/EFTA (European Free Trade Association), nonché rifiuti di natura pericolosa di provenienza UE verso tutti i paesi non aderente OCSE. Quanto alle procedure di esportazione consentite, in sintesi si prevede: a) ex art. 18, obblighi generali d’informazione per rifiuti non pericolo (lista verde); b) ex artt. 3, 4 e ss. notifica e autorizzazioni preventive scritte per rifiuti pericolosi (lista ambra). In sostanza, la Dir. 2008/98/CE viene comunque considerata per stabilire se taluni rifiuti possano essere esportati verso alcuni paesi extra-UE e non appartenenti all’OCSE (ex art. 36, paragrafo 1), diversamente nel documento di notifica e di movimento la classificazione dei rifiuti deve avvenire in conformità alle voci di cui agli allegati III e IV con riferimento ai codici della convenzione di Basilea e dell’OCSE. In tale convenzione si rinvengono pure i codici da utilizzare per le caratteristiche di pericolo (codici H) e le operazioni di trattamento (codici D e R) da inserire nei documenti citati. Del pari, secondo medesima ricerca di voci (che per le apparecchiature elettriche ed elettroniche o suoi componenti, pur sempre non pericolosi, sono i rispettivi codici CG010 e CG020), deve effettuarsi l’identificazione dei rifiuti nel documento di cui all’Allegato VII (cd. Annex VII – sostitutivo per nostro FIR) in caso di spedizioni soggette ex art. 18 agli obblighi generali d’informazione.
(19) G.U.U.E. del 9.4.2018, C 124/1 – Comunicazione Commissione – Orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti (2018/C 124/01).
(20) L’attribuzione delle caratteristiche di pericolosità viene, quindi, espletata mediante le opportune verifiche da effettuarsi secondo i criteri e sulla base dei valori limite specificati dall’Allegato III alla direttiva 2008/98/CE, così come sostituito dal Reg. 2014/1357/UE e dal Reg. 2017/997/UE.
(21) Continuando: “a meno che non si applichino le esclusioni di cui all’articolo 20 della direttiva 2008/98/CE “.
(22) Il riferimento è posto alle note: a) 1.1.3.1. Note relative all’identificazione, alla classificazione e all’etichettatura delle sostanze: note B, D, F, J, L, M, P, Q, E ed U.; b) 1.1.3.2 Note relative alla classificazione e all’etichettatura delle miscele: note 1, 2, 3 e 5. Si vedano le recenti modifiche di cui al Reg. Delegato (UE) 2023/707 del 19/12/2022 per quanto riguarda i criteri e le classi di pericolo per la classificazione, l’etichettatura e l’imballaggio delle sostanze e delle miscele.
(23) G.U.C.E. del 25/7/75, n. L 194
(24) G.U.C.E. del 26/3/91, n. L 78/36
(25) G.U.C.E. del 7/1/94, n. L 005 – con la quale si è data attuazione dell’art. 1, par. 1, lett. a), della direttiva 91/156/CEE.
(26) G.U.C.E. del 23/4/92, n. L 31 – L’elenco di rifiuti pericolosi previsto doveva tener conto dell’origine e della composizione dei rifiuti e, eventualmente, dei valori limite di concentrazione, nonché doveva essere riesaminato periodicamente e, se necessario, modificato. Venivano, pertanto, definiti “rifiuti pericolosi” quelli che possedevano una delle caratteristiche elencate in allegato III, ovvero le cd. “caratteristiche di pericolo dei rifiuti”; nonché, si introduceva con l’art. 2 l’ormai noto “divieto di miscelazione” di diverse categorie di rifiuti pericolosi o di rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi, e sue possibili deroghe solo nel caso in cui fossero rispettate le condizioni di cui all’art. 4 della direttiva 91/156/CEE.
(27) G.U.C.E. del 31/12/94, n. L 356/14 – L’elenco de quo, veniva concepito considerando che i rifiuti individuati dovevano presentare una o più delle caratteristiche indicate nell’Allegato III della Dir. 91/689/CEE ed in particolare una o più delle caratteristiche riportate all’art. 1 della Dec. 94/904/CE.
(28) Decisione della Commissione 2000/532/CE (G.U.C.E. del 6/9/2000, n. L 226/3) – Nel novello elenco (operativo dal 1.1.2002) venivano ampliate le tipologie di rifiuti qualificabili come pericolose, in relazione a quanto previsto dall’Allegato III della Direttiva 91/689/CEE.
(29) Direttiva del Consiglio del 27/06/1967 (G.U.C.E. del 16/8/67, n. L1 96), concernente il riavvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative alla classificazione, all’imballaggio e all’etichettatura delle sostanze pericolose e successive modifiche, citata in nota (1) all’art. 2 della Decisione della Commissione 2000/532/CE.
(30) Dec. 2000/532/CE – Allegato: ovvero, “qualunque composto di antimonio, arsenico, cadmio, cromo-VI, rame, piombo, mercurio, nichel, selenio, tellurio, tallio e stagno anche quando tali metalli siano in forme metalliche classificate come pericolose “.
(31) Decisione del 16/01/2001 (G.U.C.E. del 16/2/2001, L 47) che modifica l’elenco dei rifiuti istituito dalla Dec. 2000/532/CE; con successive rettifiche (G.U.C.E. del 2/10/2001, n. L 262; G.U.C.E. del 27/4/2002, n. L 112).
Per quanto riguarda la caratterizzazione dei rifiuti, la Decisione 2001/118/CE e le successive integrazioni, introduce nuove categorie (capitoli), che consentono di codificare più dettagliatamente i rifiuti, Ad esempio, nel capitolo 16 – “Rifiuti non specificati altrimenti nell’elenco”, sono stati introdotti quattro sub-capitoli Ulteriori novità relative al citato capitolo 16, si riscontrato nei sub-capitoli 1601 e 1602. Nel sub-capitolo 16 01, ora denominato “Veicoli fuori uso appartenenti a diversi modi di trasporto (comprese le macchine mobili non stradali) e rifiuti prodotti dallo smantellamento e dalla manutenzione di vicoli”, confluiscono, oltre i veicoli, anche tutti i rifiuti provenienti dalla manutenzione e dalla demolizione degli stessi Il sub-capitolo 16 02 che, precedentemente, includeva anche rifiuti provenienti dalla demolizione dei veicoli, i rifiuti derivanti dall’industria per la produzione di convertitori in plastica o dai processi di lavorazione dell’amianto, viene ora definito “Scarti provenienti da apparecchiature elettriche ed elettroniche”, e individua, unicamente, i rifiuti provenienti da dette apparecchiature.
L’adeguamento dell’elenco, per le suddette tipologie di rifiuti, rivestiva particolare rilievo, alla luce dell’applicazione della Dir. 2000/53/CE sui veicoli fuori uso e delle proposte di direttive sulle apparecchiature elettriche ed elettroniche.
(32) G.U.C.E. del 16/2/2001, L 47, che modifica la decisione 2000/532/CE.
(33) G.U.C.E. del 23/7/2001, L 203, che modifica l’elenco dei rifiuti contenuto nella Dec. 2000/532/CE.
(34) G.U.U.E. 30/12/2014, n. L 370/44, la quale, ad esempio, con novelle disposizioni stabiliva che il superamento dei valori limite stabiliti dall’Allegato IV al Reg. 2019/1021/UE per i POPs elencati nella suddetta decisione, comporta la classificazione dei rifiuti come pericolosi. Per gli altri POPs elencati negli allegati del Reg. 2019/1021/UE, valgono i criteri e i limiti generali previsti dalla normativa sulla classificazione dei rifiuti. In ogni caso, nella gestione dei rifiuti contenenti le sostanze di cui all’allegato IV del regolamento POPs, comprese quelle non elencate nella Dec. 2000/532/CE, bisogna rispettare le disposizioni previste dal suddetto regolamento 2019/1021/UE e, in particolare, di quanto indicato al suo articolo 7.
(35) Allegato D, Parte IV, D.Lgs. 152/2006: “definizioni: “sostanza pericolosa” (classificata tale in quanto conforme ai criteri di cui alle parti da 2 a 5 dell’allegato I del regolamento (CE) n. 1272/2008 – cd. Reg. CLP); “metallo pesante” (qualunque composto di antimonio, arsenico, cadmio, cromo (VI), rame, piombo, mercurio, nichel, selenio, tellurio, tallio e stagno, anche quando tali metalli appaiono in forme metalliche nella misura in cui questi sono classificate come pericolose); “policlorodifenili e policlorotrifenili” (PCB – conformi alla definizione di cui all’articolo 2, lettera a), della direttiva 96/59/CE del Consiglio); “metalli di transizione” (composti seguenti di scandio vanadio, manganese, cobalto, rame, ittrio, niobio, afnio, tungsteno, titanio, cromo, ferro, nichel, zinco, zirconio, molibdeno e tantalio, anche quando tali metalli appaiono in forme metalliche, nella misura in cui questi sono classificati come pericolosi); “stabilizzazione” (processi che modificano la pericolosità dei componenti dei rifiuti e trasformano i rifiuti pericolosi in rifiuti non pericolosi); “solidificazione” (processi che influiscono esclusivamente sullo stato fisico dei rifiuti per mezzo di appositi additivi, senza modificare le proprietà chimiche dei rifiuti stessi); “rifiuto parzialmente stabilizzato” (contiene, dopo il processo di stabilizzazione, componenti pericolosi, che non sono stati completamente trasformati in componenti non pericolosi e che potrebbero essere rilasciati nell’ambiente nel breve, medio o lungo periodo) “.
(36) Ovviamente, anche ex art. 184 (commi 4 e 5) del D.Lgs. n. 152/06.
(37) È bene fin d’ora citare la recente Sentenza TAR Veneto n. 1533/2023 – pubblicata il 31/10/2023 – ove si ribadiscono taluni concetti interpretativi rispetto alla classificazione di un rifiuto derivante dal trattamento meccanico (EER 19.12.12) e sua corretta assegnazione di voce classificativa in ragione di taluni elementi. Si richiama nel testo motivo la Sentenza della CGUE del 11/11/2021 (in causa C-315/20), e si ribadisce che “non è dirimente l’attribuzione di un dato codice al fine di sussumere il rifiuto tra quelli speciali, tanto da precisare che “i rifiuti urbani non differenziati che siano stati classificati alla voce 19 12 12 del CER a seguito di un trattamento meccanico ai fini del loro recupero energetico, trattamento che non ha tuttavia sostanzialmente alterato le proprietà iniziali di tali rifiuti, devono essere considerati come rientranti tra i rifiuti urbani non differenziati provenienti dalla raccolta domestica, previsti da tali disposizioni, nonostante il fatto che queste ultime menzionino il codice 20 03 01 del CER” (§ 29) “. Ed ancora, i giudici amministrativi di primo grado ribadiscono circa l’art. 184 del D.Lgs. n. 152/06 che “conformemente al diritto euro-unitario ritenendo che “al rifiuto derivante da un’operazione di trattamento può essere legittimamente attribuito un codice CER nuovo rispetto a quello che il rifiuto aveva in origine solo se i due rifiuti sono diversi e cioè se l’operazione di recupero o di smaltimento ha prodotto un nuovo rifiuto” (cit. sent. del C.d.S. n. 5242/2014; per un caso di rifiuto secco non riciclabile originato dalla raccolta differenziata effettuata nella provincia di Treviso e sottoposto ad un procedimento industriale che lo aveva trasformato in combustibile da rifiuto, ossia in un prodotto del tutto nuovo e diverso da quello originario, si veda C.d.S. n. 2812/2016). Anche in tempi più recenti il Consiglio di Stato ha avuto modo di ribadire che la possibilità di attribuire a un rifiuto il codice 19.12.12 dipende dall’accertamento della coesistenza di due elementi, vale a dire che non siano presenti componenti pericolose e che il materiale in questione sia assoggettato ad una procedura preliminare qualificabile come “trattamento meccanico”, aggiungendo che “ciò che conta è la natura effettiva del rifiuto alla luce delle caratteristiche che il medesimo presenta in esito al processo di trattamento cui è sottoposto” (cfr. C.d.S. n. 849/2023) “.
(38) Linee Guida SNPA di cui alla Delibera n. 105/2021, così come approvate con D.D. del MITE n. 47 del 09/08/2021, pubblicate sul sito web del MITE e sito web del SNPA. Approvazione avvenuta stante le modifiche intervenute ad opera del D.Lgs. n. 116/2020, recante l’attuazione della Dir. UE 2018/851 che a sua volta ha modificato la Dir. 2008/98/CE relativa ai rifiuti, nonché l’attuazione della Dir. UE 2018/852 che modifica la Dir. 1994/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, con modifiche alla Parte IV del D.Lgs. n. 152/2006; ed ancora, visto il novellato testo dell’art. 184, co. 5 del D.Lgs. n. 152/2006, ove si è prevista l’approvazione da parte del MITE delle Linee Guida redatte dal SNPA, ai fini di una corretta attribuzione ad opera del produttore dei Codici EER dei rifiuti e delle loro caratteristiche di pericolo.
(39) Segnatamente si riporta il testo motivazionale: 1. “l’allegato III della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive, come modificata dal regolamento (UE) n. 1357/2014 della Commissione, del 18 dicembre 2014, nonché l’allegato della decisione 2000/532/CE della Commissione, del 3 maggio 2000, che sostituisce la decisione 94/3/CE che istituisce un elenco di rifiuti conformemente all’articolo 1, lettera a), della direttiva 75/442/CEE del Consiglio relativa ai rifiuti e la decisione 94/904/CE del Consiglio che istituisce un elenco di rifiuti pericolosi ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 91/689/CEE del Consiglio relativa ai rifiuti pericolosi, come modificata dalla decisione 2014/955/UE della Commissione, del 18 dicembre 2014, devono essere interpretati nel senso che il detentore di un rifiuto che può essere classificato sia con codici corrispondenti a rifiuti pericolosi sia con codici corrispondenti a rifiuti non pericolosi, ma la cui composizione non è immediatamente nota, deve, ai fini di tale classificazione, determinare detta composizione e ricercare le sostanze pericolose che possano ragionevolmente trovarvisi onde stabilire se tale rifiuto presenti caratteristiche di pericolo, e a tal fine può utilizzare campionamenti, analisi chimiche e prove previsti dal regolamento (CE) n. 440/2008 della Commissione, del 30 maggio 2008, che istituisce dei metodi di prova ai sensi del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH) o qualsiasi altro campionamento, analisi chimica e prova riconosciuti a livello internazionale. 2. Il principio di precauzione deve essere interpretato nel senso che, qualora, dopo una valutazione dei rischi quanto più possibile completa tenuto conto delle circostanze specifiche del caso di specie, il detentore di un rifiuto che può essere classificato sia con codici corrispondenti a rifiuti pericolosi sia con codici corrispondenti a rifiuti non pericolosi si trovi nell’impossibilità pratica di determinare la presenza di sostanze pericolose o di valutare le caratteristiche di pericolo che detto rifiuto presenta, quest’ultimo deve essere classificato come rifiuto pericoloso. “
(40) Circolare MITE del 17-10-2022 (Dipartimento Sviluppo Sostenibile), fonte sito web del MITE.
(41) Sentenze Cassazione Penale, Sez. 3, nn. 47288/47298/47290, per tutte ud. 09/10/2019.
(42) con riferimento al punto 38 della Decisone della CGUE – nelle Sentenze Cassazione Penale 2019 supra cit.
(43) con riferimento ai punti 38, 39, 40 e 41 della Decisone della CGUE – nelle Sentenze Cassazione Penale 2019 supra cit.
(44) con riferimento ai punti 42, 43 e 44 della Decisone della CGUE – nelle Sentenze Cassazione Penale 2019 supra cit.
(45) con riferimento ai punti 45 e 46 della Decisone della CGUE – nelle Sentenze Cassazione Penale 2019 supra cit.
(46) G.U.U.E. del 9.4.2018, C 124/1 – Comunicazione cit. (2018/C 124/01) – con riferimento ai punti 47 e 48 della Decisone della CGUE) e con riferimento ai punti 57 e 58 della Decisone della CGUE – nelle Sentenze Cassazione Penale 2019 supra cit.
(47) con riferimento ai punti 49, 50, 51, 52 e 53 della Decisone della CGUE – nelle Sentenze Cassazione Penale 2019 supra cit.
(48) Con riferimento al punto 59 della Decisone della CGUE – nelle Sentenze Cassazione Penale 2019 supra cit., segue netto richiamo all’art. 4, par. 2, co. 3 della Dir. 2008/98/CE, il quale stabilisce che “gli Stati membri devono tener conto non soltanto dei principi generali in materia di protezione dell’ambiente di precauzione e sostenibilità, ma anche della fattibilità tecnica e della praticabilità economica, della protezione delle risorse nonché degli impatti complessivi sociali, economici, sanitari e ambientali, con la conseguenza che il legislatore dell’Unione, nel settore specifico della gestione dei rifiuti, ha effettuato un bilanciamento tra principio di precauzione, fattibilità tecnica e la praticabilità economica, affinché i detentori di rifiuti non siano obbligati a verificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa nel rifiuto in esame, ma possano limitarsi a ricercare le sostanze che possono essere ragionevolmente presenti e valutare le sue caratteristiche di pericolo sulla base di calcoli o mediante prove in relazione a tali sostanze“.
(49) in Sentenze Cassazione Penale 2019 supra cit.
(50) Descrizioni brevi in riferimento alle diverse teorie dottrinali, anche minoritarie, da Roberto Losengo in “Rifiuti con codici “a specchio”: dopo il vademecum della cassazione sulla pronuncia pregiudiziale della Corte di Giustizia continua la “guerra d’opinione” sulla classificazione (e si rischia di dimenticare il diritto penale), in RGA – Rivista Giuridica Ambiente – N. 11 del marzo 2020 su www.rgaonline.it, quale commento alla Sentenza Cass. Pen., Sez. III – 9/10/2019 (dep. 21 novembre 2019), n. 47288 / 47289 / 47290. Si descrivono come minoritarie e/o attenuate le tesi:
A) della “certezza scientifica”, che vuole un collegamento mitigato tra “certezza e verità” (così nell’articolo di W. Formenton, M. Farina, G .Salghini, L. Tonello, F. Albrizio, Codici a specchio: fra certezza scientifica e verità, in Lexambiente.it, 7/7/2017), evidenziando come, da un lato, sia necessaria una ineluttabile conoscenza del rifiuto, senza la quale la ricerca delle sostanze pericolose si risolverebbe in una “lotteria“; dall’altro, si osteggia apertamente la teoria della caratterizzazione integrale e certa del rifiuto, in quanto impossibile scientificamente. Per gli stessi Autori rilevano, La classificazione dei rifiuti con codici a specchio e la “probatio diabolica”, in Lexambiente.it, 28/04/2017; ancora, si allinea M. Franco, in Codici a specchio: nasce il partito della ‘incertezza’ scientifica, in Lexambiente.it, 19/07/2017, con buona analisi anche di diversi orientamenti di altri Paesi europei in ordine alla classificazione dei rifiuti.
B) della “certezza attenuata”, prospettata come alternativa a conclusione dell’articolo di A. Galanti, La classificazione dei rifiuti con “codice specchio” – Dalla Commissione europea un contributo di chiarezza, in Diritto Penale Contemporaneo, 5/2018. Qui l’autore prende ragionevole spunto dalla Comunicazione della Commissione UE 2018/C 124/01 del 9/04/2018, “Orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti”, per proporre uno schema fasico della classificazione del rifiuto, che, previa sommaria conoscenza del rifiuto e del processo che lo ha generato, si deve procedere ad una selezione delle sostanze attraverso una relazione illustrativa che costituisca una “linea guida” per il laboratorio di analisi. Al termine di tale valutazione, se la composizione del rifiuto rimane sconosciuta il rifiuto dovrà essere classificato come pericoloso (quindi, si ritiene di escludere quell’inversione della prova), nel rispetto della corretta applicazione dei principi comunitari e del principio di precauzione.
(51) Esaustiva disamina di tale teoria la si rinviene in Alberto Galanti, La classificazione dei rifiuti con “codice specchio”. Dalla Commissione europea un contributo di chiarezza, in Dir. Penale Contemporaneo – 5/2018 (su https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/). L’autore delinea che “Secondo la tesi più restrittiva il rifiuto con codice specchio è sempre classificato, ab origine, come pericoloso. Tuttavia, il produttore del medesimo, ha una opportunità, che può decidere o meno di sfruttare, ossia quella di “declassificare” il rifiuto in non pericoloso. Per fare ciò, il produttore dovrebbe avere una conoscenza completa della composizione del rifiuto, tale da escludere la presenza di sostanze pericolose. Il produttore, quindi, non gli organi di controllo. Tale asserzione non è apodittica, ma si basa su dati testuali, ossia sullo stesso elenco europeo dei rifiuti “.
Secondo tale orientamento, si veda M. Sanna, I codici a specchio, in Lexambiente.it, 30/01/2013 e soprattutto di G. Amendola, M. Sanna, Codici a specchio, basta confusione, facciamo chiarezza, in Lexambiente.it, 28/07/2017. In tale ultimo testo si precisa che “Per la separazione dei diversi gruppi di sostanze, sfruttando le loro differenze di volatilità e solubilità nei diversi solventi, si ricorrerà a metodi chimici e fisici. Su questi criteri si basa appunto la sistematica di Staudinger, messa a punto negli anni ‘30 del secolo scorso e ripresa successivamente dai vari manuali, che naturalmente potrà essere adattata impiegando le moderne strumentazioni. Separate le diverse classi di sostanze presenti (quali, ad esempio, le ammine, le ammidi, i fenoli, le aldeidi, i nitro composti, ecc.), si procederà al loro riconoscimento utilizzando i metodi strumentali attualmente disponibili “.
(52) Tesi, questa, che si contrappone nettamente a quella sopra citata; si veda S. MAGLIA, I rifiuti pericolosi e le voci a specchio: come classificarli correttamente? su Lexambiente.it, 28/02/2014, ove si precisa che “in caso di voci a specchio per verificare la pericolosità di un rifiuto non è ovviamente necessario verificare analiticamente la presenza di tutte le migliaia di sostanze pericolose esistenti e determinarne la concentrazione, ma deve essere indagata la presenza delle sostanze che con più elevato livello di probabilità potrebbero essere presenti nel rifiuto e, con riferimento a quelle, verificare il superamento dei limiti di concentrazione, ove previsti“.
Per completezza si osserva che Alberto Galanti, in La classificazione dei rifiuti con “codice specchio” sopra cit. (su https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/), sostiene che le analisi andrebbero limitate ad alcuni set analitici ricavati da una verifica della presumibile composizione del rifiuto, anche secondo un Parere pro-veritate dell’ordine dei Chimici del Lazio, Umbria, Abruzzo e Molise, datato 12/02/2017 e citato. Ed ancora, l’Autore sinteticamente delinea come tale teoria “critica serratamente la c.d. “teoria della certezza” sotto numerosi profili “, ovvero:
– il testo e lo spirito della normativa comunitaria sui codici a specchio – direttamente applicabile – non fa alcun riferimento a presunzioni di pericolosità del rifiuto o tantomeno ad onere di prova “esaustiva” su tutte le sostanze pericolose;
– non esistono criteri e metodologici vincolanti per la ricerca delle sostanze pericolose;
– imporre un tale onere probatorio (prova esaustiva) sul rifiuto non pone parametri di possibilità scientifica;
– sotto il profilo strettamente amministrativo e, soprattutto, penale invertire l’onere della prova a carico del gestore presuppone un definito onere di prova liberatoria “esaustiva”, attualmente non codificato;
– vista la prevalenza della fonte comunitaria, a partire dal 1° giugno 2015 (data di entrata in vigore del Regolamento (Ue) 1357/2014 e della Decisione 2014/955 Ue, citati), i criteri di analisi e ricerca sulla natura del rifiuto sono riferibili al caso specifico, dunque devono risultare “opportuni”, “proporzionati” e “pertinenti” nell’ambito di una “attività a contenuto valutativo”.
(53) Così in Sentenze Cassazione Penale 2019 supra cit.
(54) Invero, nelle Sentenze Cassazione Penale 2019 supra cit., si osserva come la CGUE intende “escludere radicalmente la possibilità di arbitrarie scelte da parte del detentore del rifiuto circa le modalità di qualificazione del rifiuto ed accertamento della pericolosità“, significa ulteriormente che la sottolineata “impossibilità di imporre al detentore del rifiuto irragionevoli obblighi sia dal punto di vista tecnico che economico, non può assolutamente, a fronte di quanto più diffusamente stabilito dai medesimi giudici, essere utilizzato come pretesto per aggirare le precise indicazioni circa le modalità di qualificazione del rifiuto, essendo chiaro che se la composizione del rifiuto non è immediatamente nota (circostanza che rende, evidentemente, non necessaria l’analisi) il detentore deve raccogliere informazioni, tali da consentirgli una “sufficiente” conoscenza di tale composizione e l’attribuzione al rifiuto del codice appropriato“. Pertanto, quella raccolta di informazioni, citata dalla CGUE “va necessariamente effettuata secondo la precisa metodologia specificata, che non prevede esclusivamente il campionamento e l’analisi chimica“; così come non condivisibile deve ritenersi “l’affermazione del Tribunale secondo cui “l’analisi del rifiuti “a specchio”, al fine di determinarne la pericolosità, deve riguardare solo le sostanze che, in base al processo produttivo, è possibile possano conferire al rifiuto stesso caratteristiche di pericolo” in quanto riduttiva rispetto alla metodologia individuata nella pronuncia della Corte di giustizia“.
(55) Redatte a distanza di poco più di un mese dall’avvento di tali principi delineati dalla Corte di legittimità e che avrebbero, sin da allora, dovuto guidare o quantomeno coadiuvare l’opera pratica in ambito classificatorio.
(56) Linee Guida SNPA del 27/11/2019 adottate con Delibera n .61/2019 – reperibili in raccolte su sito web SNPA. Già qui si rinviene la precisazione che “ […] l’interpretazione fornita si discosta solo in casi limitati da quella riportata nella Comunicazione della Commissione europea contenente gli “Orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti” “, giustificando siffatte scelte di discostamento (con interpretazione di talune voci come codici “assoluti” e non “a specchio”, tra cui i codici previsti per i RAEE), con l’assunto che la stessa Comunicazione della Commissione europea del 2018 riporta (al paragrafo 1.2.1 dell’allegato 1) che “l’interpretazione dei tipi di voce riportata“ nell’elenco dei rifiuti commentato “è una delle interpretazioni possibili che tiene conto in maniera equilibrata delle opinioni formulate da diversi Stati membri. Esistono interpretazioni diverse a livello di Stati membri e anch’esse possono essere consultate “.
(57) Principale fonte normativa, nel nostro ordinamento, che individua e definisce l’ambito degli AEE e dei RAEE è il D.Lgs. n. 49/2014, coordinato con ogni disposizione rilevante del D.Lgs. n. 152/06. Un AEE diventa RAEE quando, ex art. 183, co. 1 lett. a) del T.U. Ambiente, il detentore si disfi, abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi di apparecchiature elettriche ed elettroniche fuori uso (in quanto guaste, inutilizzate o obsolete), inclusi tutti i componenti, sottoinsiemi e materiali di consumo che sono parte integrante del prodotto nel momento in cui diventi per l’appunto rifiuto. Dal 15/08/2018 è divenuto operativo, altresì, il cd. “open scope”, che ha introdotto aperture sulle classificazioni degli AEE con il passaggio, dalle precedenti 10, alle attuali 6 categorie con arricchimento delle tipologie stesse degli elenchi, in modo tale da ampliare la casistica di apparecchiature rientranti nella classificazione di AEE. Categorie, queste, che servono per identificare gruppi di AEE immessi nel mercato, da cui si possono ricondurre tipologie di apparecchiature elettriche e/o elettroniche che termineranno il loro ciclo di vita e, pertanto, da gestire in qualità di RAEE.
(58) Si veda il rapporto descritto, su origine e composizione, nella determinazione delle voci in senso assoluto.
(59) Pare ad esempio utile citare, anche la pronuncia di Corte di Giustizia Europea del 22 giugno 2000 (causa C-318/98) in ordine al percorso della corretta identificazione di un rifiuto come pericoloso o meno. Rispetto alla pregressa normativa, la Corte evidenziava che “55. È sufficiente ricordare al riguardo che, a termini dell’art. 1, n. 4, della Dir. 91/689, i rifiuti figuranti nell’elenco dei “rifiuti pericolosi” devono possedere almeno una delle caratteristiche elencate nell’allegato III della direttiva stessa e che tale elenco terrà conto dell’origine e della composizione dei rifiuti ed eventualmente dei valori limite di concentrazione. 56. Dal tenore stesso di tale disposizione emerge che, con riguardo alla nozione di “rifiuto pericoloso”, il criterio determinante consiste nell’accertamento se il rifiuto possegga almeno una delle caratteristiche indicate nell’allegato III della Dir. 91/689. Se l’inclusione nell’elenco dei “rifiuti pericolosi” si basa effettivamente sull’origine del rifiuto, ciò non implica che la determinazione precisa di tale origine sia indispensabile ai fini della classificazione del rifiuto stesso come pericoloso. Infatti, l’origine di un rifiuto non è l’unico criterio di qualificazione della sua pericolosità, bensì costituisce uno dei fattori di cui l’elenco dei rifiuti pericolosi si limita a “tener conto”. 57. Ciò premesso, la prima questione dev’essere risolta nel senso che l’art. 1, n. 4, della Dir. 91/689 e la Dec. 94/904 devono essere interpretati nel senso che la determinazione dell’origine di un rifiuto non costituisce una condizione necessaria per poterlo classificare, in un caso concreto, come rifiuto pericoloso. “
(60) si veda art. 17 Dir. 2008/98/CE
(61) si veda art. 19 Dir. 2008/98/CE
(62) Con autorizzazione speciale, così come richiesto a norma degli articoli da 23 a 25 della Dir. Quadro, nonché autorizzati secondo le normative di cui alla direttiva relativa alle discariche di rifiuti e alla direttiva sulle emissioni industriali. Le proprietà dei rifiuti che li rendono pericolosi, di cui all’allegato III della Dir. quadro, sono state recentemente adattate al progresso scientifico mediante il Reg. 1357/2014/UE, applicabile a decorrere dal 10/06/2015 e dal Reg. 2017/997/UE, applicabile a decorrere dal 5/07/2018.
(63) In C.D.C. UE – Analisi IT 02 – cit. – su sito eca.europa.eu, si pone riferimento già alla Relazione del 2017 finanziata dalla Commissione sulla gestione dei rifiuti pericolosi negli Stati membri.
(64) In C.D.C. UE – Analisi IT 02 – cit. – su sito eca.europa.eu, si pone l’accento sul caso delle batterie agli ioni litio, presenti in diversi prodotti oramai dell’elettronica, dei veicoli, ma non possedenti un codice nel EER definitivo, con l’unico possibile utilizzo di codice a disposizione quello generico per “altre batterie e accumulatori”, tipologia che rientra nella categoria dei rifiuti di “non pericolo assoluto”. Dal canto, il riferimento è anche posto alla normativa UE relativa alle sostanze chimiche, rispetto alla quale le proprietà che definiscono un rifiuto come pericolose, elencate nella direttiva quadro, sono per lo più in linea con le classi di pericolo usate nell’UE per individuare le sostanze pericolose di cui dal Regolamento CLP relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio delle sostanze e delle miscele.
(65) In C.D.C. UE – Analisi IT 02 – cit. – su sito eca.europa.eu, si evidenziano lacune informative concernente le quantità comunicate di rifiuti pericolosi trattati rispetto a quelli prodotti nell’UE; errori di comunicazione dati dovuta a metodi differenti di comunicazione dei dati tra la produzione e il trattamento di detti rifiuti; rifiuti che contengono sostanze sia pericolose che non pericolose dovrebbero essere registrati come rifiuti pericolosi al 100 %; quantità di rifiuti pericolosi trattati divergente rispetto a quelli prodotti; scarsa incidenza di rifiuti pericolosi preparati per il riutilizzo; operatori di riciclo che non dispongono di informazioni sulla composizione chimica dei prodotti e rifiuti trattati; bassa incidenza, ancora, nella raccolta differenziata per i rifiuti pericolosi prodotti nelle case delle famiglie, rifiuti pericolosi riciclati derivanti da prodotti di consumo (come apparecchiature elettriche ed elettroniche o batterie portatili); difficoltà per gli Stati membri, pur in presenza di legislazioni nazionali conformi a regole rigide europee, nell’applicarle la tracciabilità (dalla produzione fino al trattamento finale) dei rifiuti pericolosi e il divieto di miscelazione; non dichiarare i rifiuti che contenevano le sostanze pericolose come pericolosi, ovvero dichiararli come non pericolosi; flussi di rifiuti pericolosi maggiormente interessati dalle spedizioni illecite riferiti alle apparecchiature elettriche ed elettroniche, ai veicoli fuori uso e alle plastiche contenenti sostanze pericolose.
(66) G.U.U.E. del 31/10/2009, L 285/10 – si richiama l’Articolo 11 – Disposizioni per i componenti e le sottounità – Le misure di esecuzione possono imporre a un fabbricante o al suo mandatario che immettono sul mercato e/o mettono in servizio componenti e sottounità di fornire al fabbricante di un prodotto contemplato dalle misure di esecuzione le pertinenti informazioni sulla composizione materiale e sul consumo di energia, materiali e/o risorse dei componenti o sottounità.
(67) G.U.U.E. del 31.8.2023, L 214/47 – Regolamento che stabilisce le specifiche per la progettazione ecocompatibile di smartphone, telefoni cellulari diversi dagli smartphone, telefoni cordless e tablet a norma della direttiva 2009/125/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che modifica il regolamento (UE) 2023/826 della Commissione.
(68) Riducendo altresì gli impatti negativi in ossequio ai principi e criteri di cui agli articoli 177, 178, 178-bis, 179, 180, 180-bis e 181 del D.Lgs. n. 152/06, così nel rispetto pure del D.Lgs. 151/2005, recante attuazione della Dir. 2002/96/CE e della Dir. 2003/108/CE, relative alla riduzione dell’uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché allo smaltimento dei rifiuti.
(69) In riferimento ai RAEE si sono poste quattro definizioni: a) RAEE provenienti dai nuclei domestici: ovvero originati dai nuclei domestici e quelli di origine commerciale, industriale, istituzionale e di altro tipo, analoghi, per natura e quantità, a quelli originati dai nuclei domestici, nonché i rifiuti delle AEE che potrebbero essere usate sia dai nuclei domestici che da utilizzatori diversi dai nuclei domestici sono in ogni caso considerati RAEE provenienti dai nuclei domestici; b) RAEE professionali: quelli diversi da quelli provenienti dai nuclei domestici di cui alla lettera specificata; c) RAEE equivalenti: ovvero, ritirati a fronte della fornitura di una nuova apparecchiatura, che abbiano svolto la stessa funzione dell’apparecchiatura fornita; d) RAEE storici: quelli derivanti da apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato prima del 13 agosto 2005.
(70) Art. 4 lett. S), del D.Lgs. n. 49/2014.
(71) In quest’ambito, “messa in sicurezza” consolidata nell’Allegato VII, del D.Lgs. 49/2014, da titolo “Modalità di gestione dei RAEE negli impianti di trattamento di cui all’articolo 18, co. 2”; Allegato VIII, dal titolo “Requisiti tecnici degli impianti di trattamento di cui all’articolo 18, co. 2 del presente decreto”.
(72) Recepita dal D.Lgs. n. 15/2011.
(73) Quanto ai rifiuti di natura pericolosa, il raccordo nazionale è dato dalla definizione, ex art., co. 1 lett. z): “”rifiuto pericoloso”: i rifiuti che presentano le caratteristiche indicate nell’articolo 183, comma 1, lettera b), del D.L.gs. n. 152/2006; “
(74) Si tenga presente che il “trattamento adeguato” (con messa in sicurezza), ex art. 20 successivo, è richiesto agli impianti o le imprese che effettuano operazioni di trattamento di RAEE autorizzate ai sensi dell’articolo 208 o dell’articolo 213 del D.Lgs. n. 152/2006; mentre con separato decreto (ad oggi si applica ancora il D.M. 05/02/98) adottato ai sensi dell’art. 214 del D.Lgs. n. 152/2006, si gestiscono in sede autorizzatoria (ex art. 216) le operazioni di recupero dei RAEE non pericolosi (in conformità alle prescrizioni tecniche stabilite dagli Allegati VII e VIII del D.Lgs. n. 49/2014), sottoposte alle procedure semplificate.
(75) Se prima il riferimento per la gestione dei rifiuti radioattivi e controlli di natura radiometrica doveva intendersi (anche per il D.M. 02/05/98 – ma solo con espresso richiamo per taluni rifiuti metallici) al D.Lgs. n. 230/95, ora il riferimento è posto al recente D.Lgs. n. 101/2020, in vigore dal 27/08/2020, che abroga e sostituisce integralmente il precedente.
(76) Circolare MITE del 17-10-2022 (Dipartimento Sviluppo Sostenibile), fonte sito web del MITE.
(77) Il riferimento è anche al novello DECRETO del 10/07/2023, n. 119 da titolo “Regolamento recante determinazione delle condizioni per l’esercizio delle preparazioni per il riutilizzo in forma semplificata, ai sensi dell’articolo 214-ter del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”, entrato in vigore il 16/09/2023 (GU n.204 del 01-09-2023).
(78) Si veda SNPA, Relazione tecnica relativa agli esiti delle attività di vigilanza e controllo effettuate dal SNPA dal 2019 al 2022 presso gli impianti di gestione rifiuti ai sensi dell’art. 206-bis del D.lgs. 152/06, Pubblicazioni tecniche SNPA, 2023 (ISBN <978-88-448-1190-7>), adottata con seduta del 11.10.2023, Doc. n. 221/23, pubblicata su sito web, https://www.snpambiente.it/snpa; nella relazione citata non vi è traccia di controlli relativi ai flussi “circolari” dei RAEE tra impianti diversamente autorizzati, al pari di come non v’è nulla in tema di controlli effettuati rispetto ai flussi e documentazione, relativi a spedizioni di RAEE, secondo il dettame del Reg. 1013/2006/UE.
(79) il Legislatore ha previsto all’art. 185, co. 5 del D.Lgs. n. 152/06, l’approvazione da parte del Ministero della transizione ecologica (sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano) di specifiche “linee guida” redatte dal SNPA (Sistema Nazionale per la Protezione e la ricerca Ambientale) ai fini di una armonizzazione e corretta attribuzione, pur sempre ad opera del produttore, dei codici dei rifiuti e delle caratteristiche di pericolo dei medesimi. Con il D.D. n. 47 del 9 agosto 2021, il MITE ha approvato le predette Linee Guida, di cui alla delibera del Consiglio del SNPA il 18/05/2021, n. 105, integrate dal sotto-paragrafo “3.5.9 – Rifiuti prodotti dal trattamento meccanico/meccanico-biologico dei rifiuti urbani indifferenziati”, al Capitolo 3.
(80) Si riporta quanto segue: qualora un rifiuto sia assegnato a una voce ANH (Absolute Non Hazardous, assoluta di non pericolo), si specifica che tali linee intendono “evidenziare è che sia messa in atto una procedura nella quale sia chiaro il motivo per cui sono state fatte determinate scelte e, nel caso, di potenziale pericolosità, sia esplicitata la ragione che ha portato a ricercare talune sostanze “.
(81) Si veda Circolare MITE del 17-10-2022 (Dipartimento Sviluppo Sostenibile), fonte sito web del MITE, punto n. 3 dal titolo “Analisi merceologiche/schede/manuali prodotto”.
(82) Art. 15 Dir. UE 2012/19, che prevede altresì che tali informazioni “Vengono messe a disposizione dei centri di preparazione per il riutilizzo e degli impianti di trattamento e riciclaggio da parte dei produttori di AEE in forma di manuali o attraverso gli strumenti elettronici (ad esempio CD-Rom e servizi on line) “, così come ripreso nel nostro D.Lgs. n. 49/2014.
(83) G.U.U.E. del 9.4.2018, C 124/1 – Comunicazione della Commissione – cit., (2018/C 124/01), pag. 66.
E’ interessante, altresì, verificare alla Nota (1), paragrafo 1.2.1 dell’Allegato 1 (elenco codici commentato) della Comunicazione, cosa si cita in riferimento alle singole voci “specchio” MH e MNH: “Ad esempio, cfr. le voci contrassegnate con A, B e C nella tabella […] Per le voci contrassegnate con «B», l’interpretazione riportata nel documento di orientamento del Regno Unito differisce dall’interpretazione precedentemente descritta, cfr. https://www.gov.uk/government/publications/waste-classification-technical-guidance “; in sostanza, al 2018 risultava che lo stesso meccanismo era adottato, per nel voci B (riferite, pure, a taluni voci MH e MNH dei RAEE) solo dal Regno Unito. Tuttavia il meccanismo appare differente da quello applicato nel nostro ordinamento, in quanto (previa traduzione letterale) nelle “Guidance on the classification and assessment of waste (1st Edition v1.2.GB) Technical Guidance WM3”, in Appendix A “How to use the List of Waste” (pag. A44) nel riquadro “Example 6 – Waste electronic and electrical equipment (WEEE)”, si cita testualmente “Le voci 20 01 35* e 16 02 13* sono voci di pericolo assoluto perché un “componente pericoloso” non è una sostanza pericolosa né in modo specifico né in generale. È la presenza o l’assenza di un componente pericoloso nell’apparecchiatura che determina l’utilizzo del codice. Se nell’apparecchiatura non è presente alcun componente pericoloso, sarebbe appropriato 20 01 36 o 16 02 14“[…]; tuttavia, e dimostrando il diverso iter gestionale di quel paese, si precisa che “La voce viene utilizzata se l’apparecchiatura contiene un componente valutato come pericoloso a causa di tale sostanza (ad esempio componenti contenenti amianto come cavi, rondelle o isolanti). In caso contrario devono essere prese in considerazione le altre voci di questo sottocapitolo (sia pericolose che non pericolose). I RAEE di piccole dimensioni raccolti in comune dai siti di servizi civici, a meno che i RAEE pericolosi non siano stati identificati e rimossi, devono essere codificati con la doppia codifica 20 01 35* e 20 01 36. (Nota: in Scozia i rifiuti sarebbero classificati come 20 01 35* e la presenza di rifiuti non pericolosi inseriti nella scritta “. Dunque, nei paesi anglosassoni, in taluni casi (quale forma di precauzione ambientale), viene addirittura utilizzata anche la doppia codifica, ovvero l’annotazione della presenza di rifiuti non pericolosi durante raccolta, trasporto e magari pure in fase di conferimento.
(84) È il caso di citare che siffatti “limitati discostamenti” hanno interessato anche voci riferibili al capitolo e sub-capitolo relativo al cd. VFU sopra citati. Anche qui, pur sempre valutandosi con ricadute in tema di apparecchi elettronici possibilmente presenti nei complessi VFU, troviamo discostamenti dal quadro valutativo europeo del 2018 operato dalla Commissione, ovvero le voci EER 16 01 22 componenti non specificati altrimenti (possibilmente utilizzabili, ad esempio, per i rifiuti costituiti dalle cd. “centraline auto”, alimentati dalle batterie e contenenti circuiti stampati) era in origine MNH in riferimento alle “speculari” voci di cui agli EER 16 01 08*/09* (dunque necessitanti meccanismi valutati di voci “a specchio”), rispettivamente componenti contenenti mercurio e componenti contenenti PCB (in coerenza con il meccanismo europeo sopra descritto); mentre nel nostro sistema diventato tutte, per riferimento nelle Linee Guida, rispettivamente NPA la prima (16 01 22) ed PA entrambe le seconde. Pur se in presenza di una voce 16 01 99 (comunque considerata a livello europeo ANH in senso assoluto) e identificante possibili i rifiuti non pericolosi (assoluti) “non specificati altrimenti”.
(85) Il D.Lgs. n. 49/2014 suddivide le AEE in n. 6 categorie, di cui all’allegato III, ed in un elenco non esaustivo delle stesse apparecchiature riferite alle suddette categorie previsto nell’allegato IV del medesimo decreto. Come richiamato nelle stesse Linee Guida, il D.M n. 185/2007, a sua volta, prevede la ripartizione dei RAEE provenienti dai centri di raccolta in 5 Raggruppamenti, tutti richiamanti le apparecchiature oggetto di produzione, le quali a fine vita si trasformano in RAEE e ricadono nei potenziali 5 Raggruppamenti: R1 – Freddo e clima; R2 – Altri grandi bianchi; R3 – TV e Monitor; R4 – IT e Consumer Electronics; R5 – Sorgenti luminose.
(86) Si veda schema a pag. 83 Linee Guida 2021/22.
(87) Si vede, ad esempio, la Circolare n. 25/2023 del CNR – Amministrazione Centrale (Prot. N. 262992/2023) del 11/09/2023, recante in allegato le adottate “Linee guida sulle procedure di gestione dei Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (RAEE)” del 08/08/2023 (su web CNR all’indirizzo https://www.urp.cnr.it/documentotesto.php?id=25&anno=2023).
(88) Si indica che i Pc possono contenere: “Contenitore (“case”) in metallo ferroso con inserti di plastica e gomma; scheda madre; hard disk; banchi di memoria RAM; schede audio, video, ethernet; microprocessore (CPU); sistema di alimentazione o cavetteria; batteria di memoria; connettori plastici; lettori DVD/CD e masterizzatori; lettori Floppy-disk; ventola della CPU, ecc. “Mentre, per i computer portatili si indica che “contengono i medesimi componenti dei personal computer, ma con differenti disposizioni e dimensioni. A tali componenti si aggiungono però: batteria di alimentazione; schermo integrato LCD o LED “
(89) È interessante, brevemente, osservare sul punto la specifica tipologia prevista e richiamata nel DM 02/05/98 relativamente alle procedure semplificate: 5.6 Tipologia (voci in ingresso): “rottami elettrici ed elettronici contenenti e non metalli preziosi [160216] [160214] [200136] [200140] “. Provenienza rifiuti (5.6.1): “industria componenti elettronici; costruzione, installazione e riparazione apparecchiature elettriche e elettroniche, “altre” attività di recupero (quali?); attività commerciali, industriali e di servizio“. Caratteristiche del rifiuto (5.6.2): “oggetti di pezzatura variabile, “esclusi” tubi catodici (unica citazione di esclusione), costituiti da parti in resine sintetiche, vetro o porcellana e metalli assiemati, alcuni con riporto di metalli preziosi quali Ag 0,05-15%, Au 0,0025%, Pt fino a 0,2%, Pd fino a 0,5% e contenenti Cu fino a 50%, Pb fino a 5%, Ni fino a 10%, Zn fino a 5%, Fe fino a 80%, ottone e bronzo fino al 15%, Cr <5%, Cd <0,006% (tutte sostanze e/o metalli pesanti possibilmente presenti, da/come valutate/considerare?). Attività di recupero consentite (5.6.3): a) separazione dei componenti contenenti metalli preziosi; pirotrattamento, macinazione e fusione delle ceneri, raffinazione per via idrometallurgica [R4]; b) macinazione e granulazione della gomma e della frazione plastica e recupero nell’industria delle materie plastiche [R3]. Caratteristiche delle materie prime e/o dei prodotti ottenuti (ora EoW) (5.6.4): a) metalli preziosi e altri metalli ferrosi e non ferrosi nelle forme usualmente commercializzate; b) prodotti plastici e in gomma nelle forme usualmente commercializzate (quale certificazione di qualità/processo segue, forse i Regg. UE 333/11 o 715/13 oppure no? E con quali riscontri analitici in termini di sostanze presenti?).
(90) Sul tema, interessante disamina di tale principio è affrontata da Rosa Bertuzzi, Andrea Tedaldi in “Il principio di precauzione in materia ambientale”, rinvenibile sul web in https://www.tuttoambiente.it/commenti-premium/principio-precauzione-materia-ambientale-tentativi-definizione-livello-sovranazionale-esempi-italiano-francese/.
(91) Il riferimento posto è nelle Linee Guida SNPA di cui alla Delibera n. 105/2021, così come approvate, alla pronuncia pregiudiziale della C.G.C.U, collegata alle Sent. Cassazione Penale, Sez. 3, nn. 47288/47298/47290, ud. 09/10/2019.
(92) Si elencano: componenti rimossi dalle apparecchiature fuori uso: 16 02 15* – componenti pericolosi rimossi da apparecchiature fuori uso e 16 02 16 – componenti rimossi da apparecchiature fuori uso, diversi da quelli di cui alla voce 16 02 15; pile e accumulatori (paragrafo 16 06); toner in polvere esauriti (08 03 17* o 08 03 18), gruppi cartuccia esauriti, contenenti toner residuo, nero o colorato (EER 16 02 15* o 16 02 16); solventi organici, refrigeranti e propellenti di scarto (capitolo 14); rifiuti generati da operazioni di frantumazione dei RAEE (paragrafo 19 10); metalli ferrosi e non ferrosi, plastica, gomma, legno, vetro, ecc. provenienti dal trattamento meccanico dei RAEE (paragrafo 19 12); oli (capitolo 13).
(93) Di recente, si veda Sent. Cass. Pen., Sez. V, 27/02/2014, n. 9695, ove si precisa (in tema di contenuti peritali) che un “giudizio di alta probabilità logica” non definisce il nesso causale in sé e per sé, piuttosto evidenzia quel criterio di metodo con il quale l’accertamento probatorio procede sulla verifica del nesso causale, il quale deve consentire di fondare, all’esito di un completo e attento vaglio critico, un convincimento dotato di un elevato grado di credibilità razionale. Orientamento che fonda radici sui rilevanti principi contenuti nella storica Sent. Cass. Pen. SS.UU., n. 30328 del 10 luglio 2002, Franzese, secondo cui al fine di stabilire la sussistenza del nesso di causalità, posta una probabile spiegazione causale dell’evento (su basi di legge statistica o universale sufficientemente valide) al caso concreto, occorre successivamente verificare, attraverso un metodo di giudizio “di alta probabilità logica”, l’attendibilità, in concreto, della spiegazione causale probabile.
(94) Nel preambolo della Dir. 2008/98/CE, si ambisce alla “società del riciclaggio”, con produzione di beni ecosostenibili e riduzione rifiuti.
(95) G.U.U.E. del 14.6.2018, L 150/109.
(96) Agenda 2030, adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU del 25/09/2015, con relativi SDGs (o 17-Goals) da perseguire, tutti complementari tra loro in una visione d’insieme, onde superare il concetto “business as usual” per uno sviluppo sostenibile globale.
(97) Si veda punto 36) Dir. 851/2018.
(98) Si veda punto 38) Dir. 851/2018, ove si ritiene: “ […] necessario promuovere misure intese a ridurre la presenza di sostanze pericolose in tutti i materiali e i prodotti, inclusi i materiali riciclati, e garantire che siano comunicate informazioni sufficienti sulla presenza di sostanze pericolose e in particolare di sostanze estremamente preoccupanti durante l’intero ciclo di vita dei prodotti e dei materiali. Al fine di conseguire tali obiettivi, è necessario migliorare la coerenza tra il diritto dell’Unione in materia di rifiuti, sulle sostanze chimiche e sui prodotti e assegnare all’Agenzia europea delle sostanze chimiche il ruolo di garantire che le informazioni sulla presenza di sostanze estremamente preoccupanti siano disponibili durante l’intero ciclo di vita dei prodotti e dei materiali, anche in fase di rifiuto“.
(99) Tanto da inserire il cd “regime di responsabilità estesa del produttore” (ERP), che nel nostro ordinamento è stato recepito solo di recente con il D.Lgs. n. 116/2020 (con modifiche al D.lgs. 152/2006), con cui si è rivisitata la cd. ERP, introducendo la definizione di “regime di responsabilità estesa del produttore”, diretto ad assicurare che ai produttori di beni corrisponda la responsabilità finanziaria e/o organizzativa della gestione della fase del ciclo di vita in cui il prodotto diventa un rifiuto.
(100) In breve, si strutturavano parametri di vaglio in seno alla Commissione per verifiche e miglioramenti dei livelli di protezione dell’ambiente, in tema di “cessazione della qualifica di rifiuto” (ex MPS ora EoW). Poteri di vaglio diretti sulle normative nazionali in tema di: a) materiali di rifiuto in entrata ammissibili ai fini dell’operazione di recupero; b) processi e tecniche di trattamento consentiti; c) criteri di qualità per i materiali di cui è cessata la qualifica di rifiuto ottenuti dall’operazione di recupero in linea con le norme di prodotto applicabili, compresi i valori limite per le sostanze inquinanti, se necessario; d) requisiti affinché i sistemi di gestione dimostrino il rispetto dei criteri relativi alla cessazione della qualifica di rifiuto, compresi il controllo della qualità, l’automonitoraggio e l’accreditamento, se del caso; e) un requisito relativo alla dichiarazione di conformità.
(101) G.U.U.E. del 31/10/2009, L 285/10, quale rifusione della Dir. 2005/32/CE su specifiche di progettazione ecocompatibile dei prodotti.
(102) Concetto illustrato nella Comunicazione della Commissione del 18/06/2003 dal titolo “Politica integrata dei prodotti — Sviluppare il concetto di ciclo di vita ambientale “.
(103) Lasciando impregiudicate le normative in materia di gestione rifiuti e di sostanze chimiche, si prevede che in riferimento agli “aspetti ambientali significativi“ di un prodotto, fabbricanti e produttori, devono: a) tener conto di un concetto di “fine vita”, nel senso di prodotto che è giunto al termine del suo primo uso fino allo smaltimento definitivo; b) descrivere e informare sulle possibilità di reimpiego, riciclaggio e recupero dei materiali utilizzati; c) verificare la generazione prevista di rifiuti pericolosi e non; d) evitare l’uso di sostanze classificate come pericolose per la salute e/o per l’ambiente; e) nonché fornire informazioni per gli impianti di trattamento in merito a smontaggio, riciclaggio o smaltimento a fine vita, in ragione ovviamente delle sostanze e materiali presenti nei prodotti.
(104) G.U.U.E. del 31.8.2023, L 214/47.
(105) Reg. 2023/1670/UE, definizioni al punto 44).
(106) Reg. 2023/1670/UE – ALLEGATO III – Misurazioni e calcoli – punto n. 2: “Se non esistono norme tecniche pertinenti e fino alla pubblicazione nella GU degli estremi delle norme armonizzate di cui sopra, si applicano i metodi di prova provvisori di cui all’allegato III bis o altri metodi affidabili, accurati e riproducibili che tengano conto dei metodi più avanzati generalmente riconosciuti “.
(107) UNI CEI EN 45555:2020 – Metodi generali per valutare la riciclabilità e il recupero dei prodotti connessi all’energia, su https://store.uni.com/uni-cei-en-45555-2020 (La norma fornisce una metodologia generale per: – valutare la riciclabilità dei prodotti connessi all’energia; – valutare il recupero dei prodotti connessi all’energia; – valutare la capacità di accedere o rimuovere determinati componenti o assemblaggi da prodotti connessi all’energia per facilitarne il riciclaggio potenziale o altre operazioni di recupero; – valutare la riciclabilità delle materie prime essenziali dei prodotti connessi all’energia. Recepisce: EN 45555:2019).
(108) UNI CEI EN 45558:2021 – Metodo generale per dichiarare l’uso di materie prime critiche nei prodotti connessi all’energia, su https://store.uni.com/uni-cei-en-45558-2021 (In conformità alla richiesta di normazione M/543 è necessario considerare i metodi di “Uso e la riciclabilità delle materie prime critiche per l’UE, elencate dalla Commissione Europea”. La presente norma facilita questo requisito descrivendo informazioni appropriate sui materiali critici. Recepisce: EN 45558:2019).
(109) Si comprendono anche le informazioni indicate nell’allegato VI del collegato Reg. Delegato (UE) 2023/1669, che integra il Reg. (UE) 2017/1369 per quanto riguarda l’etichettatura energetica degli smartphone e dei tablet.
(110) Deve anche intendersi salvo l’articolo 15, par. 1, della direttiva 2012/19/UE – che rimane pienamente operativo: Articolo 15 – Informazione degli impianti di trattamento – 1. Al fine di agevolare la preparazione per il riutilizzo e il trattamento corretto ed ecocompatibile dei RAEE, compresi la manutenzione, l’ammodernamento, la riparazione e il riciclaggio, gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che i produttori forniscano informazioni gratuitamente in materia di preparazione per il riutilizzo e il trattamento per ogni tipo di nuove AEE immesso per la prima volta sul mercato dell’Unione entro un anno dalla data di immissione sul mercato dell’apparecchiatura. Le informazioni segnalano, nella misura in cui ciò è necessario per i centri di preparazione per il riutilizzo e gli impianti di trattamento e riciclaggio al fine di uniformarsi alle disposizioni della presente direttiva, le diverse componenti e i diversi materiali delle AEE, nonché il punto in cui le sostanze e le miscele pericolose si trovano nelle AEE. Vengono messe a disposizione dei centri di preparazione per il riutilizzo e degli impianti di trattamento e riciclaggio da parte dei produttori di AEE in forma di manuali o attraverso gli strumenti elettronici (ad esempio CD-Rom e servizi on line).
(111) Reg. 2023/1670/UE – ALLEGATO II – Specifiche per la progettazione ecocompatibile, segnatamente nelle sub-sezioni “Requisiti di riciclabilità” delle diverse tipologie.
(112) Il riferimento al nobile metallo “oro” magari è preludio di ampliamento delle materie (attualmente 34 con anche sottogruppi, di cui singoli elementi pari a 51) “strategiche” (in cui neppure è attualmente inserito) se non anche “critiche”, oggetto di specifica proposta di normazione del 16.03.2023, con presentazione da parte della Commissione Ue di proposta di Regolamento al fine di istituire un quadro normativo che possa garantire un approvvigionamento sicuro e sostenibile di materie prime critiche e strategiche, con potenziale modifica i regolamenti (UE) 168/2013, (UE) 2018/858, 2018/1724 e (UE) 2019/1020.
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