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Fu vera inerzia? (A proposito del decreto sull'assimilazione)
di Massimo Medugno
Categoria: Rifiuti
“Il Ministero dell’Ambiente pur tenuto ad adottare la regolamentazione suddetta, risulta non avere ancora completato l’iter relativo, avendo soltanto avviato “le attività propedeuticheall’adozione del decreto in questione”» cosa che «rende illegittima l’inerzia tenuta dal Ministero».
Per questo motivo, hanno stabilito i giudici, il Ministero dell’Ambiente dovrà adottare «di concerto con il Ministro dello Sviluppo Economico il decreto che fissi i criteri per l’assimilabilità dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani, nel termine di giorni 120» dalla data della sentenza. Insomma dopo vent’anni di attesa, il regolamento dovrebbe vedere la luce.
Inerzia del Ministero? O il decreto sull’assimilazione è la vittima, forse tra le più illustri, dell’incapacità dei diversi portatori di interessi di trovare la necessaria condivisione su temi fondamentali?
Voglio ricordare che il tema dell’assimilazione e della privativa veniva già evidenziato nel 1996 dall’Autorità Garante, prima che fosse varato il Decreto Ronchi.
Definire i criteri di assimilazione rappresenta, un’operazione essenziale per dare certezze ad un settore privato, quello della raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti speciali, che svolge una funzione di servizio essenziale per le imprese ma che si trova ad operare spesso entro confini incerti, che dipendono da decisioni delle diverse amministrazioni locali.
Dunque, il decreto rappresenta un presupposto indispensabile per la tutela dei principi di libera concorrenza, efficienza, economicità e sostenibilità economica.
Per nostra fortuna le norme già vigenti possono aiutarci.
Infatti , la disciplina della TARI, dettata alla legge 27 dicembre 2013, n. 147, all’art. 1, comma 649, pone il divieto di assimilazione dei rifiuti speciali prodotti dalle attività produttive e dai magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all’esercizio di tali attività.
Tale interpretazione ha trovato conferma nella risoluzione del Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento delle Finanze, n. 2/DF del 9 dicembre 2014, con la quale è stato stabilito il divieto di assimilazione dei rifiuti speciali prodotti nelle aree produttive, nei magazzini intermedi di produzione e di stoccaggio dei prodotti finiti, nonché nelle aree scoperte asservite al ciclo produttivo.
Sul punto va ricordata anche la Corte di Giustizia europea (caso C-254/08 del 16 luglio 2009, caso C-551/13 del 18 dicembre 2014), secondo cui i criteri adottati per la definizione del costo del servizio pubblico non devono comportare per gli utenti “costi manifestamente non commisurati ai volumi o alla natura dei rifiuti da essi producibili”.
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Fu vera inerzia? (A proposito del decreto sull'assimilazione)
di Massimo Medugno
“Il Ministero dell’Ambiente pur tenuto ad adottare la regolamentazione suddetta, risulta non avere ancora completato l’iter relativo, avendo soltanto avviato “le attività propedeutiche all’adozione del decreto in questione”» cosa che «rende illegittima l’inerzia tenuta dal Ministero».
Per questo motivo, hanno stabilito i giudici, il Ministero dell’Ambiente dovrà adottare «di concerto con il Ministro dello Sviluppo Economico il decreto che fissi i criteri per l’assimilabilità dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani, nel termine di giorni 120» dalla data della sentenza. Insomma dopo vent’anni di attesa, il regolamento dovrebbe vedere la luce.
Inerzia del Ministero? O il decreto sull’assimilazione è la vittima, forse tra le più illustri, dell’incapacità dei diversi portatori di interessi di trovare la necessaria condivisione su temi fondamentali?
Voglio ricordare che il tema dell’assimilazione e della privativa veniva già evidenziato nel 1996 dall’Autorità Garante, prima che fosse varato il Decreto Ronchi.
Definire i criteri di assimilazione rappresenta, un’operazione essenziale per dare certezze ad un settore privato, quello della raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti speciali, che svolge una funzione di servizio essenziale per le imprese ma che si trova ad operare spesso entro confini incerti, che dipendono da decisioni delle diverse amministrazioni locali.
Dunque, il decreto rappresenta un presupposto indispensabile per la tutela dei principi di libera concorrenza, efficienza, economicità e sostenibilità economica.
Per nostra fortuna le norme già vigenti possono aiutarci.
Infatti , la disciplina della TARI, dettata alla legge 27 dicembre 2013, n. 147, all’art. 1, comma 649, pone il divieto di assimilazione dei rifiuti speciali prodotti dalle attività produttive e dai magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all’esercizio di tali attività.
Tale interpretazione ha trovato conferma nella risoluzione del Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento delle Finanze, n. 2/DF del 9 dicembre 2014, con la quale è stato stabilito il divieto di assimilazione dei rifiuti speciali prodotti nelle aree produttive, nei magazzini intermedi di produzione e di stoccaggio dei prodotti finiti, nonché nelle aree scoperte asservite al ciclo produttivo.
Sul punto va ricordata anche la Corte di Giustizia europea (caso C-254/08 del 16 luglio 2009, caso C-551/13 del 18 dicembre 2014), secondo cui i criteri adottati per la definizione del costo del servizio pubblico non devono comportare per gli utenti “costi manifestamente non commisurati ai volumi o alla natura dei rifiuti da essi producibili”.
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