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Approcci innovativi di gestione della risorsa suolo

di Alessandro Piro

Categoria: Difesa del suolo

1. Il suolo risorsa vitale.

Il suolo è uno strato di spessore variabile che si forma sulla superficie della Crosta Terrestre, componente fondamentale del paesaggio tale da contribuire alla determinazione della distribuzione sui territori della vegetazione naturale, delle coltivazioni così come degli insediamenti umani; l’importanza del suolo risiede soprattutto nella sua duplice funzione di riserva degli elementi nutritivi e dell’acqua e di supporto meccanico per la vegetazione, consentendo la formazione di boschi, foreste ed aree protette. Il suolo svolge in particolare funzioni ambientali fondamentali che riguardano l’agricoltura, la regolazione idrica connessa alla sicurezza idrogeologica, la regolazione dei cicli biogeochimici di elementi fondamentali per la vita (N, P, S), la degradazione di sostanze inquinanti, la conservazione della biodiversità, la regolazione climatica riferita soprattutto alla funzione di sink carbonico. Il suolo influenza, inoltre, la qualità dell’aria attraverso l’interazione con l’atmosfera ed è una riserva idrica, permettendo la purificazione dell’acqua stessa mediante una continua azione filtrante; se da un lato quindi la qualità delle riserve idriche sotterranee dipende dal destino dei prodotti inquinanti provenienti da attività agricole e/o industriali che poi finiscono presso il suolo stesso, d’altro canto diverse proprietà chimiche e fisiche del suolo agiscono sulla concentrazione e sulla permanenza dei singoli composti inquinanti nel terreno, e quindi sulla probabilità che essi entrino in contatto con le falde acquifere superficiali, contaminandole. Il suolo quindi riveste un ruolo di fondamentale importanza per tutti gli organismi viventi, non solo perché influenza la composizione delle acque e dell’aria, ma soprattutto per il fatto che si va a configurare quale il substrato naturale presso il quale si sviluppano la vegetazione spontanea così come le colture agricole; esso è infatti quindi un sistema dinamico sì effettivamente in equilibrio con gli altri elementi dell’ambiente circostante, ma comunque compromettibile dall’azione antropica: lo sviluppo urbano delle città, l’espansione industriale, la costruzione di infrastrutture, certe pratiche agricole sono tutte attività che nel corso del tempo ne possono determinare, in taluni casi, uno stato di degrado piuttosto accentuato. Il degrado del suolo è quindi un processo sostanzialmente degenerativo ed irreversibile, che si risolve il più delle volte nella sua totale scomparsa o in una perdita della sua fertilità sotto l’aspetto fisico-meccanico e/o chimico-biologico, tale che a causa dei tempi lunghi richiesti dalla pedogenesi, rientra a tutti gli effetti nel fenomeno più vasto del degrado ambientale.

 

2. Pedogenesi ed antroposuoli.

La “nascita” del suolo, o Pedogenesi, corrisponde alla comparsa delle proprietà mineralogiche, fisiche e chimiche ed ha inizio con l’alterazione della Roccia Madre sotto l’azione degli agenti atmosferici e biotici, tale che cinque fattori interdipendenti risultano avere un ruolo importante nella pedogenesi: substrato, tempo, fattori biotici, clima, topografia. Se quindi all’inizio il suolo si sviluppa da materiale parentale poco differenziato, nel corso del tempo si verificano cambiamenti della superficie verso il basso, tramite l’accumulo di sostanza organica in prossimità della superficie ed il movimento verso il basso dei materiali, cambiamenti che vanno a determinare la formazione di “orizzonti”, strati orizzontali che si differenziano per le loro caratteristiche fisiche, chimiche, biologiche, con i cinque fattori citati in precedenza che contribuiscono alla formazione di uno specifico suolo, di specifiche caratteristiche e proprietà. La presenza, la profondità, lo spessore dei singoli orizzonti in suolo risultano essere estremamente variabili, dipendenti dalla combinazione dei fattori che hanno contribuito alla sua formazione ed alla sua evoluzione, molteplicità di fattori e loro azioni nel processo pedogenetico che va a giustificare la grande varietà di processi pedologici che danno origine a suoli diversi.

Se da un lato la formazione di suoli ben sviluppati richiede migliaia di anni, d’altro canto a partire da suoli “naturali” spesso si arriva alla predisposizione di suoli antropogenici, definiti dall’ International Committee on Anthropogenic Soils (ICOMANTH) quali “suoli interessati profondamente da disturbi e trasporto legati alle attività dell’Uomo”. La comprensione dei processi evolutivi e delle loro conseguenti proprietà fondamentali può determinare dei benefici pratici sia a livello ambientale sia nelle procedure di valutazione per scopi pianificatori e gestionali dei suoli e del territorio, interesse al giorno d’oggi amplificato dalla loro crescente espansione territoriale nel Pianeta per cause assai disparate come industrializzazione, urbanizzazione, colonizzazione agricola, inquinamento, determinanti un’evoluzione pedologica pressochè antropocentrica.

 

3. Aree degradate.

I suoli di zone urbane e/o possono divenire soggetti ad azioni antropiche molto impattanti, tra le quali fenomeni di compattamento dovuto al passaggio di veicoli pesanti, rimozione del fertile strato superficiale organico, contaminazione proveniente da scarichi industriali e impianti di varia natura, influenzanti fortemente le caratteristiche originarie. In generale tali pratiche di utilizzo del suolo comportano l’assenza del normale processo di pedogenesi, un’eterogeneità elevata e quindi una reale difficoltà nel prevederne la natura, condizioni che possono costituire una riduzione di fertilità, tale che già per la coltivazione di piante ornamentali tradizionali, arbusti e specie da bordure fiorite, risulta essere necessario un forte impiego di risorse (apporto di sostanza organica, lavorazioni, irrigazione, controllo delle malerbe), con inevitabili conseguenze in termini di costi e di impatto ambientale. Di conseguenza sempre maggiore interesse nel corso degli anni è stato rivolto alla gestione di tali aree marginali con specie spontanee e/o native, una valida alternativa alle classiche piante ornamentali, in quanto meno esigenti e più performanti nel colonizzare velocemente suoli poveri di nutrienti, richiedenti meno acqua e fertilizzanti supplementari. Altro aspetto interessante da prendere in considerazione è l’utilizzo di compost, ottima soluzione per l’apporto di sostanza organica al suolo, la cui azione miglioratrice si va ad esplicare efficacemente dal punto di vista chimico-fisico-biologico; a tal proposito quindi un eventuale piano di restauro pedologico dovrebbe prevedere, anche solo su quella parte della superficie da recuperare più vulnerabile, l’uso di tali matrici alloctone al elevata Capacità di Scambio Cationico CSC e sufficientemente strutturanti, in grado quindi sia di esprimere la loro “carica” nei confronti di cationi utili realizzando il loro lento rilascio, sia di facilitare l’aggregazione delle particelle minerali fini con formazione di una porosità utile ai fini del raggiungimento di una sufficiente Capacità Idrica di Campo. Le aree urbane e prossime alle città presentano molti spazi potenzialmente adatti alla diffusione di fiori spontanei: giardini pubblici e privati, campi da gioco, discariche, aree ex industriali, argini di fiumi e canali, terrapieni di ferrovie, orti familiari e terreni agricoli, luoghi che in prospettiva possono contribuire alla conservazione della biodiversità se soggetti ad una corretta pianificazione.

 

4.Suolo e obiettivi di sviluppo sostenibile.

Molte strategie globali, compresi gli obiettivi di sviluppo sostenibile, fanno riferimento direttamente e indirettamente all’uso del territorio ed al suolo, dal momento che molti degli SDGs non risultano essere raggiungibili senza suoli in salute ed un uso sostenibile del territorio; nell’ottica, sempre più auspicabile, di una maggiore conoscenza e difesa dei suoli a livello planetario, il suolo si erge quale risorsa naturale molto difficile da rinnovare e costosa da recuperare, tale che ogni fenomeno di degrado e /o di incauta trasformazione dei suoi caratteri originari si traduce in una perdita molto grave per l’umanità intera. Il suolo è inoltre un vero e proprio contenitore di informazioni, in quanto dalle sue caratteristiche si possono comprendere aspetti dell’ ambiente in cui è collocato, come ad esempio il drenaggio, la fertilità, la stabilità dei caratteri che consentono da un punto vista tecnico-pedologico l’individuazione degli usi e dei tipi di gestione più adatti, occorre pertanto approfondirne la conoscenza per conoscere i fenomeni fisici e chimici che ne regolano la vita ed un uso corretto. Considerando l’ampia distribuzione di aree moderatamente o gravemente affette da uno stato degrado più o meno avanzato, una gestione efficace della gestione suolo rientra appieno in ottica Agenda 2030, ove soprattutto l’obiettivo 15 dell’Agenda riguarda proprio la vita sulla terra e la protezione, il ripristino e l’uso sostenibile dell’ecosistema terrestre, ove in particolare è stato riconosciuto al suolo, in quanto principale sink di assorbimento carbonico, un ruolo fondamentale per il conseguimento degli obiettivi climatici al 2030 e al 2050. Ciò detto il degrado del suolo è dovuto a più cause, tra quali sicuramente gli impatto antropici già citati in precedenza, ma anche a condizioni meteorologiche estreme, ove i cambiamenti climatici stanno favorendo una crescente desertificazione, tale che la World Health Organization (WHO) ha sancito che “degradazione del suolo e desertificazione riducono la produzione alimentare e idrica; le popolazioni sono messe sotto pressione e costrette a spostarsi in aree più ospitali, con il conseguente diffondersi di malattie infettive”. E’ bene tener presente tuttavia che la ricerca pedologica ed in genere le attività di controllo ambientale richiedono tempi lunghi, al contrario, la degradazione del suolo può avvenire in alcuni casi in tempi brevi e può giungere uno stato irreversibile, così una norma deontologica che qualunque figura tecnica deve sempre tener presente è appunto la sostenibilità di eventuali interventi, ove una visione complessiva delle funzioni del suolo, spesso in competizione tra loro, può individuare una soluzione di equilibrio che consente il miglior risultato per un fine ed il miglior pregiudizio per gli altri.

 

5. Possibili risvolti applicativi.

Se da un lato per poter gestire e conservare la “risorsa” suolo è infatti indispensabile conoscere la distribuzione spazio-temporale delle sue caratteristiche onde poterne evitare la diminuzione del valore economico-sociale-ecologico a breve e lungo termine, una gestione innovativa di suoli antropizzati potrebbe quindi trovare possibili rivolti applicativi presso particolari contesti che necessitano di politiche sostenibili dal punto di vista socio-economico-ambientale, luoghi che possono andare a contribuire ad obiettivi di tutela ambientale se soggetti ad una corretta pianificazione soprattutto nell’ottica di modellizzazioni dei meccanismi determinanti il “sequestro” di carbonio del suolo, sotto diverse condizioni ambientali così come in relazione a diversi substrati pedogenetici. E’ chiaro infatti che trovandosi spesso di fronte a varie modalità di degradazione di suoli d’interesse che, a vario titolo, contribuiscono allo scadimento dei terreni ed in molti casi dei paesaggi delle aree coinvolte, presso tali suoli materiali spesso alloctoni, organici e/o minerali, eventualmente presenti possono andare incontro ad una pedogenesi diversa da quella dei suoli originari. Per raggiungere quindi efficacemente obiettivi di prevenzione di ulteriori danni ambientali è necessario mettere a sistema competenze scientifiche multidisciplinari e disporre di infrastrutture che consentano di attuare azioni articolate su più fronti diversi, ma strettamente correlate ed interagenti. Essendo in primis evidente che il diverso uso del suolo così come il successo della sua gestione richiedono entrambi sia conoscenze di base delle caratteristiche del sistema d’interesse sia un elevato livello d’amministrazione, un eventuale corretto “restauro pedologico” dovrebbe prevedere, come già anticipato in precedenza, anche solo su quella parte della superficie da recuperare più vulnerabile, l’uso di materiali alloctoni fertilizzanti sufficientemente strutturanti, quindi eventualmente anche compost da rifiuti, se ovviamente compatibile con i requisiti vigenti in ambito di tutela ambientale e sanitaria.

Ciò detto, già da qualche decennio è noto che suoli degradati possono quindi rappresentare una reale risorsa di naturalizzazione tramite comunità erbacee di specie spontanee, spesso diffuse presso suoli aridi e sassosi, quindi particolarmente adatte a crescere su substrati poveri di sostanza organica, richiedenti meno acqua così come meno fertilizzanti supplementari, approccio che può consentire il recupero di aree incolte o di difficile gestione, migliorandone la fruibilità.

 

Piacenza, 3 maggio 2022

 

 

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