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La gestione integrata e sostenibile dei territori fluviali attraverso i Contratti di fiume

di Marco Gasparetti

Categoria: Acqua


 
I Contratti di Fiume (CdF) sono uno strumento di governance territoriale che persegue la gestione integrata e sostenibile dei territori fluviali e delle risorse idriche.

 

Essi consistono in un accordo tra soggetti che hanno responsabilità nella gestione e nell’uso delle acque, nella pianificazione del territorio e nella tutela dell’ambiente e sono aperti alla partecipazione di chiunque possa apportare risorse (conoscitive, economiche, progettuali). I CdF promuovono un approccio che cerca di armonizzare gli obiettivi di sviluppo economico, sociale e ambientale al fine di soddisfare le esigenze idriche e territoriali attuali, ma con l’intenzione di preservare e non compromettere gli interessi e i diritti delle generazioni future. Tendono, inoltre, a garantire e promuovere il coinvolgimento di diverse realtà istituzionali (Regioni, Province, Comuni, Autorità di bacino/distretto, Comunità Montane, Parchi, etc.), ma anche dei privati in forma individuale e associata.

 

La partecipazione è una caratteristica fondamentale nei CdF, poiché attraverso la dialettica dei diversi portatori di interesse si può giungere a definire una gestione coerente alle esigenze della risorsa, del territorio e della popolazione. Tuttavia, se da un lato è indubbia la legittima partecipazione dei soggetti pubblici poiché si tratta di definire azioni e obiettivi che incidono sulla pianificazione e programmazione pubblica, dei dubbi potrebbero sorgere in relazione a quella dei privati. Infatti, nonostante essa sia contemplata sia dai protocolli di intesa nazionali e regionali, sia dalla normativa regionale è opportuno riflettere e considerare l’eventualità di imporre una restrizione a questo aspetto, ossia non consentire a un singolo cittadino di aderire al CdF, di sottoscriverlo e parteciparvi, a meno che non dimostri di possedere un interesse qualificato. Questa limitazione è essenziale, poiché un’apertura eccessiva alla partecipazione nell’azione pubblica potrebbe comportare un indebolimento della stessa.

 

 
In conformità alle politiche internazionali (II World Water Forum e ss.) ed europee (Direttiva 2000/60/CE) sul tema, i CdF agiscono e considerano uno specifico ambito territoriale, il bacino idrografico, che viene considerato il luogo ideale per la gestione integrata delle risorse idriche.

Nel contesto normativo italiano e nelle politiche europee è sempre più frequente la promozione di forme co-progettate di governance ambientale. I CdF, ispirandosi ai principi del Green Deal europeo, possono promuovere la transizione ecologica incoraggiando la partecipazione e la condivisione. Inoltre, permettono di armonizzare e coordinare le politiche di tutela delle acque e dalle acque applicando i principi sanciti dalle Direttive 2000/60/CE (Direttiva Quadro sulle Acque), 2007/60/CE (Direttiva Alluvioni) e 92/43/CEE (Direttiva Habitat). Inoltre, inizialmente concepiti per contrastare il degrado ambientale e il rischio idrogeologico, i CdF stanno progressivamente ampliando il proprio ambito di azione, includendo anche la tutela e la valorizzazione del paesaggio in ottemperanza ai principi sanciti dalla Convenzione europea del paesaggio (ex art. 5), poiché i fiumi sono considerati una specifica manifestazione del paesaggio (artt. 131, 134 e 142 d.lgs. 42/2004).

 

A livello nazionale, i CdF sono espressamente disciplinati dall’art. 68 bis D.L.vo 152/2006 (introdotto nel 2015 a recepimento della Direttiva Quadro Acque, dall’articolo 59, comma 1, della L. 221/2015). Tale previsione garantisce una collocazione ai CdF in un corpus normativo idoneo a riconoscerli formalmente; tuttavia, si tratta di un dispositivo scarno e lacunoso sotto differenti punti di vista, ma che soprattutto non permette di inquadrarli giuridicamente e dunque di fornire dei riferimenti normativi omogenei.

 

La maggior parte della dottrina[1] tende a ricondurre i CdF nell’ambito di applicazione degli accordi tra amministrazioni ex art. 15 L. 241/1990 che rappresenta il “genus” da cui derivano tipologie di accordi più specifici disciplinati da leggi speciali. Tra le “species” riconducibili a tale forma di accordi tra P.A. – e che inoltre sia adeguata alle specifiche caratteristiche dei CdF che vedono partecipare anche soggetti privati oltre ad amministrazioni pubbliche – vi sono le forme di programmazione negoziata di cui all’art. 2, c. 203, lett. a), della L. 662/1996.

 

Il dispositivo dell’art. 68 bis, nonostante i suoi limiti, pone in risalto i caratteri fondamentali dei CdF e afferma che sono strumenti volontari rimessi alla libera e autonoma volontà delle parti coinvolte, sia pubbliche sia private; sottolinea la loro attitudine strumentale alla definizione e attuazione degli strumenti di pianificazione di distretto, non potendo sostituirsi ad essi o modificarli, ma essendovi vincolati. Sono inoltre ricondotti formalmente tra gli strumenti di programmazione negoziata poiché permettono la gestione di un bene comune secondo moduli consensuali e non autoritativi.

 
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Tra le lacune normative sicuramente manca la definizione del processo di adozione del CdF, circostanza a cui si può porre rimedio richiamando i documenti elaborati dal Tavolo Nazionale dei Contratti di Fiume[2], ma che essendo atti di soft law forniscono linee guida, principi o prassi senza avere la forza giuridica vincolante di una legge. È opportuno osservare, sulla base delle indicazioni di tali atti, che quando si fa riferimento ai CdF occorre distinguere due momenti fondamentali perché il CdF da un lato consiste in un accordo essenzialmente organizzativo tra le pubbliche amministrazioni, con la possibilità di coinvolgere anche soggetti privati, da un altro un accordo programmatico che richiede un’ulteriore implementazione attraverso potenziali nuovi e differenti strumenti di amministrazione contrattata a seconda dei soggetti chiamati ad intervenire e alle specifiche azioni programmate che devono essere attuate.

 

Da ciò discende che il primo momento è quello che permette di individuare il CdF così come formalizzato all’esito del processo di negoziazione. Il secondo momento riguarda, invece, gli strumenti attuativi utilizzabili dopo la definizione e la condivisione dei Piani d’Azione che confluiscono nel CdF stesso. Questa struttura ha fatto sì che le maggiori esperienze di CdF sviluppate in Italia utilizzassero lo strumento dell’Accordo Quadro che allo stesso modo si compone di un Accordo organizzativo e programmatico e di Accordi operativi funzionali a realizzare gli obiettivi e le azioni definite.

 

Ad ogni modo, nonostante l’assenza di una disciplina omogenea a livello nazionale, è uno strumento che è sempre più riconosciuto e richiamato nelle Strategie e nelle Politiche nazionali ed europee che gli riconoscono un ruolo cruciale nella gestione sostenibile delle risorse idriche e nella prevenzione del rischio idrogeologico. Questo riconoscimento si traduce in opportunità concrete di finanziamento attraverso diversi strumenti e programmi, offrendo una solida base per lo sviluppo e l’implementazione di tali iniziative a livello locale e regionale.

 

Il nuovo quadro finanziario pluriennale dell’Unione Europea (2021-2027) mette a disposizione risorse significative (pari a 1.210,9 miliardi di euro) per affrontare le sfide della pandemia di Covid-19 e dei cambiamenti climatici. Tale bilancio a lungo termine è integrato da ulteriori 806,9 miliardi di euro attraverso il piano per la ripresa dell’Europa Next Generation EU (NGEU). Entrambi sono finalizzati a sostenere la ripresa economica e a implementare le priorità delle politiche dell’UE, tra le quali sono inclusi gli obiettivi del Green Deal europeo. La Politica di Coesione 2021-2027, che dispone di risorse per un totale di 373 miliardi di euro, prevede anche finanziamenti aggiuntivi nel contesto del NGEU e del Fondo per una transizione giusta. Inoltre, sebbene i CdF non siano esplicitamente menzionati in alcuni regolamenti o programmi di finanziamento settoriali, possono comunque beneficiare di queste iniziative attraverso altre categorie o strumenti previsti. In particolare, nel regolamento relativo al Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) e al Fondo di Coesione (FC), i CdF rientrano nella categoria delle Strategie Territoriali (ST), come definite negli articoli 22, 23 e 24 del regolamento generale per il periodo 2021-2027 e dunque possono beneficiare di finanziamenti destinati a tali iniziative. Inoltre, dato che l’Investimento Territoriale Integrato (ITI) rappresenta uno dei tre strumenti previsti per attuare le strategie territoriali, i CdF possono accedere a ulteriori risorse per la gestione sostenibile delle risorse idriche e la promozione della trasformazione ecologica dei territori fluviali.

 

A livello nazionale, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) rappresenta un’importante fonte di finanziamento per i CdF. Il Decreto Legislativo del 31 maggio 2021, n. 77, coordinato con la Legge di conversione del 29 luglio 2021, n. 108, menziona espressamente i CdF come strumento prioritario per contrastare il dissesto idrogeologico nell’ambito di attuazione del PNRR. L’Atto della Camera dei deputati, Risoluzione conclusiva 8‐00092, approvata il 18 novembre 2020 ha impegnato il Governo a promuovere il rafforzamento dell’istituto dei CdF. Più nello specifico, gli impegni riguardano:

(1) la promozione, per quanto di competenza, dei CdF affinché trovino un adeguato riconoscimento nella programmazione regionale 2021‐2027 per il tramite delle Regioni interessate attraverso premialità e incentivi nelle misure dei programmi FEARS‐PSR, FESR, FSE;

(2) l’assunzione di iniziative volte a valorizzare il coinvolgimento di soggetti privati, in particolare degli agricoltori, che tramite i CdF accettano di svolgere attivamente un ruolo di presidio e manutenzione del territorio;

(3) l’adozione di iniziative per destinare una quota percentuale di risorse europee e nazionali in materia di dissesto idrogeologico e cambiamenti climatici a interventi individuati nei CdF.

 

Sono poi più volte richiamati nel Piano Strategico Nazionale della Politica Agricola Comune 2023‐2027, quali opportunità di diffusione sul territorio di azioni ambientali collettive e di cooperazione per lo sviluppo dei territori in osservanza e nel rispetto della strategia delle aree interne. Infine, nell’Accordo di Partenariato, politica di coesione 2021-27, i CdF vengono riconosciuti come strumenti che permettono di facilitare e promuovere iniziative di tutela ambientale che coinvolgono direttamente le comunità locali. Questo coinvolgimento attivo delle comunità è cruciale per garantire che le politiche ambientali siano realmente adattate alle esigenze e alle realtà locali, che siano sostenute da un ampio consenso sociale e che gli obiettivi del Green Deal europeo siano raggiunti in modo equo ed inclusivo.

 

I CdF rappresentano, dunque, un modello innovativo di governance ambientale che promuove la partecipazione e la condivisione delle responsabilità nella gestione e tutela delle risorse idriche.

I sistemi fluviali, per le loro caratteristiche, sono luoghi che si prestano all’applicazione di forme flessibili di contrattazione perché sono territori in cui convergono piani, programmi, diritti e interessi di soggetti, pubblici e privati, diversi.

 

A queste condizioni si somma la fragilità delle reti fluviali italiane che sono particolarmente vulnerabili al rischio di erosione del suolo e ad eventi idrogeologici e sono altresì soggette a influenze antropiche, edilizie, produttive e climatiche. Condizioni che compromettono i territori, la qualità e la quantità della risorsa e degli ecosistemi. Attraverso i CdF e adottando uno sguardo ampio sulle esigenze e gli interessi dell’intero territorio di progetto è dunque possibile conciliare e riorganizzare la complessità istituzionale e relazionale e superare situazioni conflittuali, per definire priorità e obiettivi nell’interesse dell’intero sistema fluviale e dei suoi fruitori.

 

Ad oggi in Italia si contano più di 200 iniziative e tutte le regioni italiane prevedono dei riferimenti normativi sui CdF. La Lombardia tra tutte si è distinta per la sua lungimiranza sul tema sottoscrivendo il primo CdF nel 2004 e, in assenza di riferimenti normativi omogenei, gli ha riconosciuto, tramite la L.R. 14 marzo 2003 n. 2 e il suo regolamento attuativo, una specifica veste giuridica (Accordo Quadro di Sviluppo Territoriale) per promuovere e agevolarne la diffusione.

 

Attraverso una combinazione di sforzi a livello locale, nazionale ed europeo, è possibile massimizzare il potenziale di questo strumento per garantire la sostenibilità dei sistemi fluviali e la tutela dell’ambiente per le generazioni presenti e future.

 

Tuttavia, restano ancora da colmare alcune lacune normative e definire meglio i loro processi di adozione e implementazione. È necessario garantire una maggiore chiarezza e coerenza giuridica per assicurare il pieno sviluppo e l’efficacia di questo strumento.

[1]V. Parisio, Risorse idriche, contratti di fiume e amministrazione condivisa, in Federalismi.it, 2023, 23; M. Vernola, I Contratti di fiume nella pianificazione ambientali in Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it, 2021, 2; M. Cicoria, Brevi riflessioni sui profili privatistici del “contratto di fiume”, in Rivista scientifica trimestrale di diritto amministrativo, 2022, 2.

[2] V. Carta Nazionale dei Contratti di Fiume e documento integrativo del 12 marzo 2015 “Definizioni e Requisiti Qualitativi di Base dei Contratti di fiume”.

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