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Stefano Maglia

La gestione dei rifiuti tra committenti, appaltatori e sub-appaltatori

di Linda Maestri

Categoria: Rifiuti

L’appalto è il contratto con cui una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro (art. 1655 del nostro codice civile).
L’appaltatore è, quindi, un imprenditore commerciale, la cui attività si sostanzia nella predisposizione e nell’organizzazione di mezzi e prestazioni necessari per il compimento dell’opera o del servizio commessogli: su di lui grava una obbligazione di risultato.
Mentre il diritto civile si occupa delle obbligazioni e responsabilità contrattuali che appaltatore e committente (o appaltante) rispettivamente assumono (l’appalto è un contratto), per determinare le responsabilità connesse alla gestione dei rifiuti prodotti nell’ambito dell’attività appaltata soccorre la nozione di produttore dei rifiuti, contenuta nel D.L.vo 152/2006[1], anche conosciuto come Testo Unico Ambientale.
L’art. 183 del predetto decreto individua il produttore nel “soggetto la cui attività produce rifiuti e il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione (produttore iniziale) o chiunque effettui operazioni di pretrattamento, di miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti (nuovo produttore)[2]”.
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È certo che i rifiuti prodotti nell’esecuzione di un’opera si ritengono prodotti dall’esecutore della stessa: in questo caso, l’appaltatore (e, in caso di sub-appalto, il sub-appaltatore).
La riferibilità giuridica della produzione, invece, non deve essere intesa nel senso di estendere la “paternità” dei rifiuti prodotti a qualsiasi intervento che ne determina la produzione, e quindi all’impresa committente: se produttore è sia il committente sia l’appaltatore, chi trasporta i rifiuti? Con quali documenti?[3]

Come ha sottolineato la Cassazione penale, relativamente ad un committente di lavori edili e al direttore dei lavori, “nessuna fonte legale, né scaturente da norma extra-penale, né da contratto, pone in capo a tali soggetti l’obbligo di garanzia in relazione all’interesse tutelato ed il correlato potere giuridico di impedire che l’appaltatore commetta il reato di abusiva gestione dei rifiuti”[4]. Ciò in quanto i doveri di controllo imposti a tali soggetti “riguardano esclusivamente la conformità della costruzione alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano, al permesso di costruire, nonché l’osservanza delle altre prescrizioni contenute nel testo unico per l’edilizia, mentre nessun obbligo è imposto dalla legge a tali soggetti riguardo alla osservanza della disciplina in materia di smaltimento dei rifiuti”.
Grava, infatti, sull’appaltatore l’obbligo di garanzia in relazione all’interesse tutelato ed al corretto espletamento delle operazioni di raccolta e smaltimento dei rifiuti connessi all’attività edificatoria[5].
In assenza di una specifica norma di legge che preveda il contrario, infatti, l’appaltatore è il soggetto responsabile della corretta gestione dei rifiuti prodotti nella realizzazione dell’opera dedotta nel contratto di appalto. Egli la esegue con i propri mezzi, assumendosene ogni rischio e, di conseguenza, anche le obbligazioni connesse alla corretta esecuzione dell’opera, compresa la gestione dei rifiuti prodotti nel realizzarla[6].

E il committente?

Identificare l’appaltatore quale produttore dei rifiuti non significa esimere il committente da ogni responsabilità. Si è, infatti, consolidata una linea giurisprudenziale secondo la quale questi risponde, in concorso con l’appaltatore, in ragione della particolarità dell’obbligazione dedotta o in uno specifico caso: quello dell’ingerenza o controllo diretto sull’attività di quest’ultimo[7], la cui valutazione è rimessa, caso per caso, al giudice.
Ma cosa si intende per ingerenza? Il committente vanta, per legge, solamente il diritto di controllare lo svolgimento dei lavori, e di verificarne, a proprie spese, lo stato (art. 1662 del codice civile); viceversa, l’appaltatore esegue l’opera commessagli con mezzi propri.
È, quindi, lo stesso contratto di appalto a non contemplare ingerenze da parte del committente nelle attività dell’appaltatore, essendo improntato all’autonomia gestionale di quest’ultimo[8]: il committente risulta ingerente, pertanto, ogni qual volta si intrometta, o eserciti una qualsiasi influenza, nell’attività appaltata. E’ chiara, ad esempio, l’ingerenza del committente che, di fatto, dirige l’attività dell’appaltatore.
Di conseguenza, essendo l’appalto connaturato dall’autonomia gestionale dell’appaltatore, che non ammette intromissioni da parte del committente (al di fuori del mero diritto di controllare lo svolgimento dei lavori e di verificarne lo stato), tale prestazione costituisce un’attività a sé stante, della quale l’appaltatore assume ogni rischio e obbligazione connessa. Il committente che, invece, assume un maggiore (nonché atipico) grado di coinvolgimento e partecipazione nell’esecuzione dell’opera o servizio appaltato, ne assume anche le obbligazioni connesse, tra cui figura la corretta gestione dei rifiuti prodotti.
Ciò trova conferma, peraltro, nelle più recenti pronunce della Cassazione penale.
È stato, infatti, ribadito che è sempre l’appaltatore il titolare degli obblighi connessi al corretto smaltimento dei rifiuti prodotti nell’ambito di un contratto di appalto, ed è lui a rispondere dell’eventuale gestione non autorizzata di tali rifiuti.
È doveroso segnalare che, fermo restando che “nel caso in cui vi sia ingerenza, o controllo diretto dei lavori, da parte del committente, i relativi obblighi connessi alla gestione di tali rifiuti si estendono anche a suo carico”[9], nella realtà pratica l’assenza di un tale diretto coinvolgimento da parte del committente nella esecuzione delle opere appaltate ha condotto i giudici all’esclusione della sua responsabilità.
L’ingerenza del committente, infatti, deve essere dimostrata: “in caso di appalto, la responsabilità della stazione appaltante, in relazione all’eventuale produzione di rifiuti derivanti dall’esecuzione della prestazione oggetto di appalto, è limitata ai casi in cui sia stata dimostrata un’ingerenza, ovvero un controllo diretto, nell’esecuzione dell’opera stessa da parte del committente, tale da comportare l’estensione anche a carico di questo dei doveri diversamente riferiti al solo soggetto appaltatore, specialmente quando il fatto riguardante l’eventuale gestione dei rifiuti non è riconducibile all’esecuzione di quanto dedotto in contratto”[10].
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Appaltatore e sub-appaltatore: chi è il produttore dei rifiuti?

Nell’ambito di un contratto di appalto può accadere, poi, che l’appaltatore decida, a sua volta, di appaltare l’opera o il servizio oggetto del contratto, assumendo il ruolo di committente verso un terzo soggetto, un sub-appaltatore. Il sub-appalto costituisce, quindi, un contratto distinto dal contratto principale. In questo caso, la giurisprudenza ha sostenuto che “l’appaltante non ha nessun obbligo giuridico di intervenire nella gestione dei rifiuti prodotti dalla ditta subappaltatrice, né di garantire che la stessa venga effettuata correttamente[11].
Così, al pari del committente, anche l’appaltatore non può essere identificato, nell’ambito di un contratto di sub-appalto, quale produttore dei rifiuti derivanti dall’esecuzione dell’opera sub-appaltata: tale qualifica appartiene, infatti, al sub-appaltatore[12].
Il ragionamento si basa, in realtà, su quanto affermato in una precedente sentenza4, nella quale si afferma che “entrambe le qualità, di committente, cui deve essere equiparata quella di appaltante nell’ipotesi del subappalto, e di direttore dei lavori, non determinano alcun obbligo di legge di intervenire nella gestione dei rifiuti prodotti dalla ditta appaltatrice o subappaltatrice ovvero di garantire che la stessa venga effettuata correttamente”.
È stato, pertanto, concluso che neppure dai “principi generali che regolano i compiti del direttore dei lavori o i rapporti tra la ditta appaltante e quella appaltatrice o subappaltatrice derivano obblighi di intervenire per il rispetto da parte della ditta esecutrice dei lavori della normativa in materia di rifiuti”: di conseguenza, “salva l’ipotesi di un diretto concorso nella commissione del reato, non può ravvisarsi alcuna responsabilità a carico di tali soggetti, ai sensi dell’art. 40, comma 2, c.p.., per non essere intervenuti al fine di impedire violazioni della normativa in materia di rifiuti da parte della ditta appaltatrice”.

Conclusioni

Alla luce di tutto quanto sopra, sembra ormai essersi consolidato un orientamento giurisprudenziale secondo il quale è l’appaltatore, in quanto titolare di un’obbligazione alla quale provvede con piena autonomia gestionale, il produttore dei rifiuti derivanti dall’esecuzione dell’opera o servizio commessogli e, come tale, il diretto responsabile della loro corretta gestione. Lo stesso vale per il sub-appaltatore.
Quanto al committente, invece, e all’appaltatore che, a sua volta, concede in sub-appalto l’esecuzione dell’opera, la sua responsabilità in tal senso è eventuale, in quanto conseguente alla sua ingerenza nell’esecuzione o nell’organizzazione dell’attività oggetto del contratto.

Piacenza, 28.05.2018

[1] Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, Norme in materia ambientale, pubblicato sulla G.U. n. 88 del 14 aprile 2006 – Suppl. Ordinario n. 96, in vigore dal 29 aprile 2006, ad eccezione delle disposizioni della Parte seconda, in vigore dal 12 agosto 2006.

[2] Si segnala, sul punto, che la Direttiva 2008/98/CE (Direttiva quadro sui rifiuti) lo definisce, invece, quale “la persona la cui attività produce rifiuti (produttore iniziale di rifiuti) o chiunque effettui operazioni di pretrattamento, miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti”. La versione italiana reca la congiunzione “e”, con problemi pratici non indifferenti, come per il caso della corretta individuazione del produttore nell’ambito, appunto, di un contratto di appalto, di sub-appalto o di attività di manutenzione. Sul punto, S. Maglia, La gestione dei rifiuti dalla A alla Z, V ed., edizioni Tuttoambiente, 2018, p. 196.

[3] Si veda S. Maglia, La gestione dei rifiuti dalla A alla Z, op. cit.

[4] Cassazione Penale, Sez. III n. 25041 del 22 giugno 2011.

[5] Cassazione Penale, Sez. III n. 37547 del 13 settembre 2013.

[6] Per rischio deve intendersi il rischio tecnico, inteso nel senso di considerare, nell’organizzare i lavori, anche i danni che provengano da forza maggiore, dalla cattiva organizzazione o dalla scelta dei collaboratori.

[7] Cassazione Penale, Sez. III n. 11029 del 16 marzo 2015, sulla cui disamina si rimanda a “Appalto e individuazione del produttore di rifiuti: le ultime indicazioni della giurisprudenza”, pubblicato su www.tuttoambiente.it , e Cassazione Penale, Sez. III, n. 12971 del 26 marzo 2015 .

[8] Si veda G. Guagnini, “Appalto e individuazione del produttore di rifiuti: le ultime indicazioni della giurisprudenza”, op. cit.

[9] Cassazione Penale, Sez. III n. 223 del 9 gennaio 2018.

[10] Cassazione Penale, Sez. III, n. 19152 del 4 maggio 2018.

[11] Cassazione Penale, Sez. III n. 1581 del 16 gennaio 2018.

[12] Si segnala, in argomento, M. Balossi, “Fin dove arriva la responsabilità del produttore in caso di sub-appalto?”, pubblicato su www.tuttoambiente.it : “Il fatto che tale attività possa essere intesa in senso sia materiale che giuridico consente di ritenere come tale, per esempio, non solo chi materialmente opererà (p.es., il sub-appaltatore), ma anche colui che (p.es., l’appaltatore) da un lato ha un obbligo contrattuale di realizzazione di un’attività che produrrà rifiuti e contemporaneamente un obbligo di vigilanza su un soggetto “delegato” a tal fine”.

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