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Gli strumenti volontari di politica ambientale

di Vittorio Biondi

Categoria: Certificazioni ambientali

Sette anni orsono, il Quinto programma politico e d’azione per l’ambiente della CEE affermava che “la realizzazione dell’equilibrio auspicato tra attività umana e sviluppo da un lato e protezione dall’altro richiede una ripartizione delle responsabilità chiaramente definita rispetto ai consumi e al comportamento nei confronti dell’ambiente e delle risorse naturali. Mentre le misure ambientali prese in precedenza erano di natura prescrittiva e seguivano l’approccio “non si deve”, la nuova strategia si basa su un approccio del tipo “agiamo insieme” e rispecchia la nuova consapevolezza del mondo industriale e produttivo che l’industria non costituisce soltanto una parte importante del problema ambientale, ma è anche parte della sua soluzione. La nuova strategia presuppone in particolare un rafforzamento del dialogo col settore industriale e l’incoraggiamento a concludere accordi su base volontaria o ad adottare altre forme di autoregolamentazione”.

Negli anni successivi alla pubblicazione del Quinto Programma, gli sforzi della Commissione nel campo delle politiche per l’ambiente sono stati rivolti alla messa a punto di strumenti in grado di realizzare i principi sovraesposti. Tre sono le tipologie di strumenti volontari varati a livello comunitario e particolarmente significativi per la discontinuità che hanno segnato nei confronti delle tradizionali politiche basate sull’approccio cosiddetto “non si deve”, altrimenti noto come “comando e controllo”: l’etichettatura ecologica di prodotto (Reg. CEE n. 880/92, Ecolabel), i sistemi di gestione ambientale e audit (Reg. CEE n. 1836/93, EMAS) e l’insieme di iniziative normalmente accomunate sotto il termine di accordi volontari. A questi tre strumenti volontari si aggiunge la direttiva sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (Dir. 96/61/CE, Ippc) che, pur non essendo uno strumento volontario, rappresenta da molti punti di vista un elemento di forte novità rispetto alle politiche ambientali fino ad oggi messe in atto.

Pur nella diversità dei contenuti, delle modalità applicative e dei destinatari, ciascuno strumento è caratterizzato dal tentativo di utilizzare i meccanismi di mercato come leva per indurre nelle imprese, soprattutto in quelle operanti in ambito industriale, comportamenti che vadano oltre la mera conformità alle norme in vigore, perseguendo il principio del miglioramento continuo delle prestazioni.

L’ecolabel ha rappresentato un tentativo particolarmente rivolto alle imprese produttrici di beni di largo consumo (elettrodomestici, carta di vario genere, lampadine, detersivi, vernici, T-shirt, etc.). Questo strumento non ha avuto fino ad oggi una diffusione particolarmente massiccia (circa 180 prodotti in tutta Europa); le ragioni di questo decollo faticoso risiedono nella complessità della sua applicazione, nelle diffuse resistenze incontrate nel mondo industriale, nella oggettiva concorrenza dei marchi ecologici nazionali (su tutti, il Blau Angel tedesco, risalente al lontano 1978, che compare oggi su circa 4.000 prodotti).

Un percorso diverso è quello dell’EMAS, il Regolamento fino ad oggi rivolto alle attività industriali e finalizzato a un miglioramento degli aspetti organizzativi e gestionali interni alle aziende e dei loro rapporti con il pubblico. In meno di quattro anni il numero di siti industriali ad aver ottenuto la registrazione nell’apposito elenco comunitario ha superato le duemila unità, con una presenza assolutamente preponderante della Germania (più del 70% dei siti), seguita a distanza dall’Austria e dalla Svezia (circa 150), che a loro volta precedono tutti gli altri paesi membri, tranne Grecia e Portogallo che non hanno ancora registrato alcun sito (al momento in cui scriviamo, in Italia i siti registrati sono sedici, ma almeno altrettanti sono in attesa di ottenere l’ambito riconoscimento entro la fine dell’anno). Tra i settori industriali maggiormente rappresentati troviamo la chimica, la lavorazione dei metalli, l’alimentare, le apparecchiature elettroniche e ottiche, il settore automobilistico.

Gli accordi volontari rappresentano una delle frontiere più interessanti nel campo delle politiche ambientali, poiché dimostrano caratteristiche di flessibilità ed efficacia che in altri strumenti volontari difettano. L’opportunità di innescare processi di negoziazione volontaria tra la Pubblica Amministrazione e soggetti privati (imprese, associazioni di categoria, associazioni ambientaliste, etc.) finalizzati all’assunzione di impegni connessi al miglioramento della qualità dell’ambiente rappresenta una prospettiva di sicuro interesse nel processo di progressiva integrazione degli strumenti di comando e controllo. A partire dalla metà degli anni Ottanta fino alla fine del 1998 sono stati censiti dall’Agenzia Europea per l’Ambiente circa 300 accordi volontari in campo ambientale. In questo caso, Olanda (103) e Germania (93) sono i due Paesi membri in cui questa famiglia di strumenti si è particolarmente diffusa soprattutto nel corso dell’ultimo decennio.

Per quanto concerne la direttiva Ippc, essa è in corso di recepimento da parte dei diversi Paesi membri ed è quindi impossibile valutarne l’impatto sulla legislazione ambientale nazionale e sulle imprese interessate. Questo si presenta comunque come significativo sia nei confronti della Pubblica Amministrazione, cui chiede di adottare le misure necessarie per il pieno coordinamento della procedura […]al fine di garantire un approccio integrato effettivo di tutte le autorità competenti per questa procedura” (art. 7), sia nei confronti delle imprese, cui si chiede, tra l’altro, di gestire gli impianti in modo “…che siano prese le opportune misure di prevenzione dell’inquinamento, applicando segnatamente le migliori tecniche disponibili” (art. 3). Sebbene la direttiva riguardi solo una ristretta categoria di imprese (in termini sia di settori coinvolti, sia di dimensioni minime delle singole imprese, entrambi specificati nell’allegato I), il suo recepimento è destinato a segnare profondamente l’assetto legislativo e gli iter autorizzativi adottati dai singoli Stati membri.

Il periodo successivo alla pubblicazione del Quinto Programma ha rappresentato una fase di transizione e di sperimentazione da parte della Commissione di cui è oggi possibile e opportuno compiere una prima valutazione; questo processo di riesame dell’efficacia delle politiche varate negli anni scorsi è attualmente in corso e sta producendo i primi risultati in termini di revisione degli strumenti adottati negli anni scorsi. Uno degli esempi più significativi è rappresentato dalla revisione in corso del succitato Reg. 1836/93 sui sistemi di gestione ambientale e audit (EMAS). Nel documento proposto dalla Commissione, infatti, frutto di un anno di elaborazione e di consultazioni con tutte le parti interessate, sono contenuti alcuni elementi che fanno tesoro dell’esperienza di questo primo quinquennio di vita del Regolamento e cercano di rimuovere alcuni degli ostacoli che ne hanno rallentato la (pur significativa) diffusione.

Gli obiettivi della revisione enunciati e le modalità attraverso le quali essi sono perseguiti dalla Commissione sono così riassumibili:

aumentare il potenziale di EMAS a contribuire allo sviluppo sostenibile, ampliando il campo di applicazione del Regolamento a tutti i settori di attività compresi quelli non industriali (servizi, trasporti, turismo, pubblica amministrazione, etc.)

razionalizzare il rapporto con le norme internazionali esistenti nel settore ambientale, a partire dall’inclusione della norma ISO 14001 come possibile riferimento per la strutturazione del sistema di gestione ambientale delle imprese che vogliano ottenere la registrazione EMAS

aumentare la partecipazione dei dipendenti alla gestione ambientale delle imprese, includendola come requisito sin dal primo articolo del Regolamento riguardante i suoi obiettivi fondamentali

aumentare la visibilità della partecipazione ad EMAS per le imprese, adottando un logo visibile e riconoscibile per favorire la promozione di EMAS e fornire alle organizzazioni un mezzo per dare pubblicità alla loro partecipazione

aumentare la coerenza dell’attuazione del Regolamento negli Stati membri, attraverso l’istituzione di un forum degli organismi nazionali di accreditamento e di un forum degli organismi competenti ai fini di una comprensione e di un’applicazione comuni dei requisiti.

Come si può constatare da questo elenco sintetico, le modifiche proposte dalla Commissione vanno nel senso di aumentare l’attrattiva del Regolamento nei confronti del mondo produttivo, rendendolo più aderente all’approccio sviluppato a livello industriale (l’inclusione della norma ISO 14001 per quanto concerne i requisiti del sistema di gestione), rafforzando i benefici di carattere commerciale dell’adesione (la possibilità di utilizzare un logo), correggendo i limiti più evidenti (il coinvolgimento dei lavoratori nella gestione ambientale dell’impresa e la garanzia di una maggiore omogeneità nell’applicazione tra i diversi Stati membri). A queste modifiche va inoltre aggiunto un esplicito riferimento, inserito su proposta dell’organismo competente italiano, alla possibilità di estendere l’adesione a EMAS oltre i confini di una singola impresa attraverso specifiche modalità volte a garantire il coinvolgimento di contesti produttivi particolari quali i distretti e i poli industriali.

Se il Consiglio accoglierà le proposte della Commissione, la nuova versione di EMAS potrà realizzare con ancora maggiore efficacia i principi contenuti nel Quinto Programma che, a distanza di sette anni, si conferma una preziosa guida all’evoluzione delle politiche comunitarie per l’ambiente.

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