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Il nuovo D.M. “EoW” per la gomma vulcanizzata derivante da pneumatici fuori uso
di Anna Mezzanato
Categoria: Rifiuti
Dopo un lungo iter istruttorio, il 1° aprile 2020, il Ministro dell’Ambiente ha firmato il nuovo schema di Decreto sulla cessazione di qualifica di rifiuto per la gomma vulcanizzata derivante dagli pneumatici fuori uso (PFU), grazie al parere favorevole del Consiglio di Stato.
L’obiettivo del Decreto è quello di eliminare le incertezze che tutt’ora sussistono in tale settore, superando quelle differenze che, nell’ambito del regime delle autorizzazioni “caso per caso”, oggi in vigore, possono creare divari competitivi tra impianti di recupero analoghi ma situati in Regioni o Province differenti.
Attraverso riferimenti comuni, gli impianti di recupero avranno, invece, la certezza della qualifica giuridica del materiale recuperato in uscita dall’impianto, e allo stesso tempo le aziende utilizzatrici di granulo e polverino di gomma possono contare su una certificazione di ogni singolo lotto di materiale che ne garantisce qualità, caratteristiche e sicurezza.
Premessa
Prima di analizzare gli ultimi sviluppi dell’atto realizzato dal Ministero dell’Ambiente, occorre premettere qualche breve cenno sul tema in esame.
La cessazione della qualifica di rifiuto (“End Of Waste”), consiste, sotto il profilo operativo, in un processo di recupero eseguito su un rifiuto, al termine del quale esso perde tale qualifica per acquisire quella di prodotto.
Si tratta, quindi, di un processo che permette ad un rifiuto di tornare a svolgere un ruolo utile come prodotto, e non il risultato finale dello stesso. Affinché il rifiuto, una volta assunta tale qualifica, possa tornare nuovamente nel circuito economico deve soddisfare i requisiti individuati dall’art. 184-ter del D.L.vo 152/06[1].
La prima condizione, “a) La sostanza o l’oggetto sono destinati a essere utilizzati per scopi specifici” specifica che la possibilità d’impiego degli output dei processi di recupero deve essere attuale e non semplicemente potenziale.
Materiali, sostanze e oggetti devono poter essere utilizzati per scopi specifici, pertanto in ambiti di applicazione noti e preventivamente individuati. Si deve, quindi, trattare di prodotti diffusi ed atti ad assolvere funzioni conosciute e chiare.
È bene ricordare che tale lettera è stata così modificata dall’art. 14-bis, introdotto dalla Legge 2 novembre 2019, n. 128[2] che ha reso ancor più esplicativo il testo precedente della lett. a) dell’art. 184-ter che riportava “la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici”, rimarcando la necessità probatoria dell’effettivo utilizzo.
La seconda condizione “b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto”, è auto esplicativa. L’esistenza di un mercato o di una domanda dimostra che il bene derivante dal processo di recupero difficilmente sarà abbandonato o smaltito illegalmente perché è ritenuto utile da più soggetti disposti ad acquistarlo.
Anche la terza condizione, “c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti”, ribadisce sia la necessità che i prodotti delle operazioni di recupero abbiano caratteristiche predeterminate, nel rispetto dei requisiti tecnici, e siano in grado di garantire le prestazioni richieste in concrete condizioni di utilizzo o di consumo (scopi specifici) sia che siano pienamente conformi tanto alla legislazione cogente applicabile, quanto alle norme tecniche relative a quel genere di beni.
L’ultima condizione, “d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana”, da un lato ripropone la necessità che il risultato del processo di recupero del rifiuto offra in fase d’uso le garanzie ritenute irrinunciabili per assicurare la tutela della salute e dell’ambiente, dall’altro, con la sua indeterminatezza, provoca rilevanti problemi applicativi. Non è ben chiaro, infatti, quali siano gli impatti ambientali o i rischi per la salute da ritenersi tollerabili.
Come anticipato, il 3 novembre 2019 è entrata in vigore la Legge 128/2019, la quale, all’art. 14-bis, contiene la riforma della “cessazione della qualifica di rifiuto”.
La nuova Legge stabilisce importanti novità, introdotte tramite la modifica dell’art. 184-ter del D.L.vo 152/2006, soprattutto in tema di rilascio e rinnovo delle autorizzazioni End of Waste “caso per caso”.
Come anzidetto, il comma 1 dell’articolo 14-bis, modifica la lettera a) del co. 1 dell’art. 184-ter del D.L.vo 152/2006, sostituendola con “a) la sostanza o l’oggetto sono destinati a essere utilizzati per scopi specifici”.
Il comma 2 dell’art. 14-bis, invece, sostituisce il co. 3 dell’art 184-ter, con il seguente:
“3. In mancanza di criteri specifici adottati ai sensi del comma 2, le autorizzazioni di cui agli articoli 208, 209 e 211 e di cui al titolo III-bis della parte seconda del presente decreto, per lo svolgimento di operazioni di recupero ai sensi del presente articolo, sono rilasciate o rinnovate nel rispetto delle condizioni di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, e sulla base di criteri dettagliati, definiti nell’ambito dei medesimi procedimenti autorizzatori […]. In mancanza di criteri specifici adottati ai sensi del comma 2, continuano ad applicarsi, quanto alle procedure semplificate per il recupero dei rifiuti, le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario n. 72 alla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998, e ai regolamenti di cui ai decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269.”
Sostanzialmente si afferma che, in mancanza di Regolamenti UE o Decreti nazionali “End of Waste”, le autorità locali riprendono il potere/dovere di autorizzarecaso per casoin procedura ordinaria (ex art. 208 TUA o AIA), rilasciando o rinnovando le medesime nel rispetto non solo delle condizioni generali previste dal comma 1, ma anche nel rispetto di prescrizioni che dovranno necessariamente includere i cinque punti elencati dalla lett. a) a e) del comma 3.
Con riferimento alle procedure semplificate di recupero, si continuano invece ad applicare il D.M. 5 febbraio 1998 ed il D.M. 161/2002.
Dopo il comma 3 dell’art. 184-ter D.L.vo 152/2006, sono stati inseriti ulteriori commi. Fra questi si segnalano il co. 3-bis e 3-ter, i quali dispongono che le autorità competenti al rilascio delle autorizzazioni di cui al comma 3 comunicano all’ISPRA i nuovi provvedimenti autorizzatori adottati, riesaminati o rinnovati, affinché l’Istituto o l’ARPA competente controlli a campione la conformità delle modalità operative e gestionali degli impianti. L’ISPRA o l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente comunica gli esiti della verifica al Ministero dell’Ambiente.
In virtù di tali ultime disposizioni, il SNPA si è dato dei criteri univoci ed omogeni enucleati e diffusi attraverso le Linee guida[3], in base alle quali l’ISPRA procederà alle suddette operazioni di controllo sulle autorizzazioni “caso per caso”.
Contenuti e criticità del nuovo schema di Decreto
Il nuovo Decreto per la cessazione della qualifica di rifiuto della gomma vulcanizzata, ricavata dagli pneumatici fuori uso, è composto da 6 articoli e 3 allegati, con cui vengono fissati da un lato i requisiti tecnici, soddisfatti i quali il rifiuto cessa di essere tale, e dall’altro gli scopi specifici per quali può essere destinato nonché il modello di dichiarazione di conformità da utilizzare.
Il primo schema di Decreto, elaborato dal Ministero dell’Ambiente nel 2017, era stato oggetto di revisione da parte del Consiglio di Stato, mentre, all’inizio del 2018 è stato bocciato dalla Commissione Europea, in quanto aveva ravvisato una possibile restrizione nell’utilizzo della gomma vulcanizzata granulare. Sulla base dei due pareri, è stato oggi ripresentato, in forma e contenuti aggiornati, per consentire il recepimento delle osservazioni comunitarie.
Lo scorso 3 dicembre 2019, il Consiglio di Stato, si è, quindi, espresso con un nuovo parere reso il 23 dicembre 2019 (n. 3186), con il quale ha ritenuto superati quasi tutti i rilievi precedentemente presentati.
L’articolo1 (“Oggetto e finalità”) prevede che il Decreto disciplini i criteri specifici in presenza dei quali la “gomma vulcanizzata cessa di essere qualificata come rifiuto ai sensi e per gli effetti dell’articolo 184-ter del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152” (comma 1). Il secondo comma esclude dall’ambito d’applicazione del Decreto la gomma vulcanizzata qualificata come sottoprodotto, ai sensi dell’art. 184-bis del D.L.vo 152/06.
L’articolo 2 (“Definizioni”) richiama le definizioni di cui all’articolo 183 del T.U.A., integrate con le seguenti definizioni: “pneumatici”, “PFU”, “gomma vulcanizzata”, “gomma vulcanizzata granulare (GVG)”, “lotto”, “produttore”, “dichiarazione diconformità”, “autorità competente”.
Dalla lettura degli articoli 1 e 2 dello schema del D.M. in commento emerge, tuttavia, una certa incertezza terminologica: l’art. 1 parla di “gomma vulcanizzata derivante da pneumatici fuori uso” senza specificare che la stessa può derivare anche da “sfridi di gomma vulcanizzata, qualificati come rifiuti […]”.
Il motivo per cui non è stata replicata la medesima definizione rappresenta probabilmente una svista del Legislatore. Sarebbe stato più opportuno, al fine di scongiurare eventuali incertezze, riportare nel testo del primo articolo la tipica espressione comune a molti alti legislativi “come definito all’articolo 2, comma 1, lettera c)”.
Le stesse definizioni di “pneumatico” e “pneumaticofuori uso” non coincidono pienamente con quelle riportate nel nuovo Regolamento relativo alla gestione dei PFU, da poco adottato con Decreto n. 182/2019[4].
Rispettivamente, nello schema di D.M. EoW per “pneumatico” si intende: “componenti delle ruote costituiti da un involucro prevalentemente in gomma e destinati a contenere fluidi”, nel Regolamento n. 182/2019 gli pneumatici sono invece definiti “componenti delle ruote dei veicoli costituiti da un involucro elastico di gomma, rinforzato da tele, reti metalliche o altri materiali, destinato a conte nere fluidi in pressione ovvero camere d’aria”.
Per PFU, nel Decreto EoW si legge: “lo pneumatico fuori uso qualificato come rifiuto”, nel Regolamento “gli pneumatici, rimossi dal loro impiego a qualunque punto della loro vita, dei quali il detentore si disfi, abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi, e che non sono fatti oggetto di ricostruzione o di successivo riutilizzo”.
Si evidenzia, pertanto, una maggior specificazione dei termini nel Regolamento rispetto alla formulazione proposta nel D.M. EoW.
Sulla definizione di “autorità competente”, il Ministero ha conservato l’attuale formulazione che viene giustificata in ragione del fatto che la stessa consentirebbe agevolmente agli operatori di identificare l’Ente cui presentare l’istanza autorizzatoria, ovvero la comunicazione di cui all’art. 216 del D.L. vo n. 152/2006, contemplando le diverse ed eterogenee ipotesi autorizzative (autorizzazione ordinaria, ex art. 208 del D.L.vo n. 152/2006, procedura semplificata, di cui al predetto art. 216, autorizzazione integrata ambientale e autorizzazione unica ambientale).
L’articolo 3 (“Criteri ai fini della cessazione della qualifica di rifiuto. Scopi specifici di utilizzabilità”) dispone che la gomma vulcanizzata cessa di essere qualificata come rifiuto, ai sensi dell’art. 184-ter del D.L.vo 152/06, ed è qualificata come gomma vulcanizzata granulare (GVG) se risulta conforme alle specifiche di cui all’Allegato 1.
A sua volta, l’Allegato 1 stabilisce le verifiche da effettuare sulla GVG: nello specifico, sono indicati i parametri da analizzare, con i rispettivi valori limite.
Il comma 2 dell’articolo 3 definisce gli scopi specifici per cui è utilizzabile il materiale che ha cessato di essere rifiuto, la cui elencazione si rinviene nell’Allegato 2.
L’articolo 4 (“Dichiarazione di conformità e modalità di detenzione dei campioni”) stabilisce che il produttore di gomma vulcanizzata granulare (GVG), all’esito del processo di produzione, rediga per ciascun lotto una dichiarazione di conformità in base al modello di cui all’Allegato 3, attestante il rispetto dei criteri di cui all’articolo 3, comma l, e la invii, “con una delle modalità di cui all’art. 65 del D.L.vo7 marzo 2005, n. 82, all’autorità competente e all’Agenzia di protezione ambientale territorialmente competente” (comma l). Come si legge nel recente parere del Consiglio di Stato, il Ministero, nel riscrivere il testo, ha precisato che l’autorità competente è il soggetto che rilascia “l’autorizzazione ai sensi del Titolo III-bis della Parte II o del Titolo I, Capo IV, della Parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”, ossia l’autorità destinataria della comunicazione di cui all’articolo 216 del medesimo decreto.
Sul punto l’ISPRA, nel suo parere del 7 maggio 2019, prot. 0029424, aveva altresì segnalato che «all’art. 4 “Dichiarazione di conformità e modalità di detenzione del campione” manca tra i destinatari della dichiarazione di conformità il detentore successivo». Non consta che il Ministero abbia tenuto conto, nella stesura del nuovo decreto, del rilievo formulato da ISPRA. Il Consiglio di Stato richiama, pertanto, l’attenzione del Ministero affinché valuti l’opportunità di integrare la diposizione normativa in esame con le osservazioni formulate da IPRA.
Il comma 2, prevede che il produttore conservi presso l’impianto di produzione, o presso la propria sede legale, la dichiarazione di conformità, mettendola a disposizione delle autorità di controllo che la richiedono. Il produttore (comma 3) conserva, altresì, presso l’impianto di produzione, o presso la propria sede legale, un campione di gomma vulcanizzata granulare (GVG) prelevato, al termine del processo produttivo, in conformità alla norma UNI 10802:2013, ai fini della verifica di sussistenza dei requisiti di cui all’articolo 3.
L’articolo 5 (“Sistema di gestione ambientale”) prevede, al comma l, che le disposizioni di cui all’articolo 4, comma 3, relative all’obbligo di tenuta del campione di gomma vulcanizzata granulare (GVG), non si applicano alle imprese in possesso delle certificazioni ambientali UNI EN ISO 14001 ed EMAS.
L’articolo 6 (“Norme transitorie e finali”) prevede che “il produttore, entro 120 giorni dall’entrata in vigore dello stesso, presenta all’autorità competente un aggiornamento della comunicazione effettuata ai sensi dell’articolo 216 o un’istanza di aggiornamento dell’autorizzazione ai sensi del Titolo III-bis della Parte II e del Titolo I, Capo IV, della Parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”.
Passando all’esame degli Allegati, nel primo vengono definite le caratteristiche fisico- geometriche che la gomma vulcanizzata granulare deve possedere, le modalità di verifica e campionamento dei campioni di gomma vulcanizzata granulare in uscita nonché le verifiche sui rifiuti in ingresso dell’impianto di recupero.
Sempre con riferimento all’Allegato 1 del D.M. si ripropongono le stesse incertezze terminologiche, laddove non si afferma al paragrafo d) “verifiche sui rifiuti in ingresso”che si tratta di sfridi di gomma vulcanizzata derivante da pneumatici fuori uso, anche in tale sede si opera un rinvio tacito al quadro definitorio di cui all’art. 2.
Nell’Allegato 2 vengono, invece, dettagliati gli impieghi della gomma vulcanizzata granulare (OVO) in processi di trasformazione manifatturiera e nell’utilizzo tal quale. Viene richiamata la normativa europea e nazionale che definisce le limitazioni all’uso di determinate sostanze in specifici campi di impiego.
Infine, l’Allegato 3 riporta il modello di autodichiarazione che il produttore di gomma vulcanizzata granulare deve presentare al fine di attestare il rispetto dei criteri di cui all’articolo 3, comma l. L’art. 3, comma 1 rimanda a sua volta, oltre alle caratteristiche dell’Allegato 1 anche i macro-requisiti ex art. 184-ter del D.L.vo 152/06. Questi ultimi non vengono, tuttavia, specificati nel modello di autodichiarazione da compilare.
Rilievi tecnici delle imprese di settore
Rispetto al Decreto in esame non si sono fatte attendere le osservazioni di UNIRIGOM, aderente a FISE-UNICIRCULAR, associazione di categoria che riunisce le principali azienda nazionali operanti nel settore del recupero degli Pneumatici Fuori Uso (PFU) e degli elastomeri in genere.
I principali rilievi mossi dalle imprese riguardano perlopiù i possibili impatti tecnici e gestionali conseguenti al Decreto ministeriale.
In particolare, ritengono che l’elenco di applicazioni della gomma vulcanizzata granulare (GVG), non più rifiuto, stabilito nell’allegato 2 del Decreto, sia riduttivo rispetto ai potenziali e futuri impieghi ammissibili nei limiti di cui ai Regolamenti e alle Direttive europee citate al paragrafo 2 dell’allegato 2.
Criticato anche l’art. 4, che impone l’obbligo di una dichiarazione di conformità in capo alle imprese, sprovviste di certificazione ambientale UNI EN ISO 14001 ed EMAS, attestante l’avvenuta trasformazione del materiale da rifiuto in prodotto, ritenuta ridondante e superflua. Secondo la percezione del comparto imprenditoriale, dette istanze sembrano assumere un approccio inquisitorio, tradendo malcelata sfiducia nei confronti delle responsabilità ambientale del mondo produttivo.
In materia di campionamento, oltre alla norma UNI 10802-2013, occorrerebbe citare anche la norma EN 14243-1:2019, che fornisce le definizioni generali per la raccolta dei campioni e la preparazione di un campione rappresentativo al fine di determinarne dimensioni e impurità, specifica e valevole per tutti gli Stati membri dell’Unione Europea nonché per gli stati EFTA e SEE.
Con riferimento all’art. 6, i 120 giorni concessi alle imprese, dopo l’entrata in vigore del Decreto, non sarebbero sufficienti per integrare gli impianti di trattamento attualmente esistenti con le migliorie strutturali necessarie e gli impianti di lavaggio (funzionali alla rimozione delle impurità dalla superficie dei PFU).
Vengono considerate limitanti anche le istanze di cui all’allegato 1 del Decreto, il quale esclude dai materiali in ingresso i PFU derivanti da stock storici, non comprendendo perché la loro origine rappresenti un fattore discriminante rispetto ai PFU più recenti.
Vieppiù, le dimensioni del lotto da campionare, fissate dal paragrafo c) del primo allegato, sono considerate troppo grandi e ciò implicherebbe, in caso di non conformità, la retrocessione del lotto a rifiuto, creando per l’impresa conseguenze economiche rilevanti sia in termini di costi di gestione che di analisi chimiche.
Per quanto riguarda gli impianti deputati al lavaggio dei materiali in ingresso, le aziende del settore si auspicano che il Ministero promuova il rilascio delle Autorizzazioni e l’adozione della norma UNI, predisposta dal Gruppo di Lavoro GL14 del Comitato Tecnico Ambientale dell’UNI per la pulizia degli PFU. Tale norma tecnica è, infatti, in via di validazione formale e prossima alla pubblicazione.
Queste in sintesi le principali osservazioni del comparto produttivo, che ci auguriamo vengano comprese e accolte dal Legislatore, assieme ai rilievi di natura giuridica sopra esposti.
Piacenza, 28 aprile 2020
[1] Decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, Norme in materia ambientale. Pubblicato in GU n. 88 del 14 aprile 2006 ed entrato in vigore il 29 aprile 2006.
[2]Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 settembre 2019, n. 101, recante disposizioni urgenti per la tutela del lavoro e per la risoluzione di crisi aziendali (c.d. D.L.Crisi). Pubblicata sulla G.U. n. 257 del 2 novembre 2019 ed in vigore dal 3 novembre 2019.
[3] approvate con Delibera del Consiglio SNPA con seduta del 06 febbraio 2020. Doc. n. 62/20.
[4] Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare del 19 novembre 2019, n. 182. Regolamento recante la disciplina dei tempi e delle modalità attuative dell’obbligo di gestione degli pneumatici fuori uso, ai sensi dell’articolo 228, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Pubblicato sulla GU n. 93 del’8 aprile 2020.
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Il nuovo D.M. “EoW” per la gomma vulcanizzata derivante da pneumatici fuori uso
di Anna Mezzanato
Dopo un lungo iter istruttorio, il 1° aprile 2020, il Ministro dell’Ambiente ha firmato il nuovo schema di Decreto sulla cessazione di qualifica di rifiuto per la gomma vulcanizzata derivante dagli pneumatici fuori uso (PFU), grazie al parere favorevole del Consiglio di Stato.
L’obiettivo del Decreto è quello di eliminare le incertezze che tutt’ora sussistono in tale settore, superando quelle differenze che, nell’ambito del regime delle autorizzazioni “caso per caso”, oggi in vigore, possono creare divari competitivi tra impianti di recupero analoghi ma situati in Regioni o Province differenti.
Attraverso riferimenti comuni, gli impianti di recupero avranno, invece, la certezza della qualifica giuridica del materiale recuperato in uscita dall’impianto, e allo stesso tempo le aziende utilizzatrici di granulo e polverino di gomma possono contare su una certificazione di ogni singolo lotto di materiale che ne garantisce qualità, caratteristiche e sicurezza.
Prima di analizzare gli ultimi sviluppi dell’atto realizzato dal Ministero dell’Ambiente, occorre premettere qualche breve cenno sul tema in esame.
La cessazione della qualifica di rifiuto (“End Of Waste”), consiste, sotto il profilo operativo, in un processo di recupero eseguito su un rifiuto, al termine del quale esso perde tale qualifica per acquisire quella di prodotto.
Si tratta, quindi, di un processo che permette ad un rifiuto di tornare a svolgere un ruolo utile come prodotto, e non il risultato finale dello stesso. Affinché il rifiuto, una volta assunta tale qualifica, possa tornare nuovamente nel circuito economico deve soddisfare i requisiti individuati dall’art. 184-ter del D.L.vo 152/06[1].
La prima condizione, “a) La sostanza o l’oggetto sono destinati a essere utilizzati per scopi specifici” specifica che la possibilità d’impiego degli output dei processi di recupero deve essere attuale e non semplicemente potenziale.
Materiali, sostanze e oggetti devono poter essere utilizzati per scopi specifici, pertanto in ambiti di applicazione noti e preventivamente individuati. Si deve, quindi, trattare di prodotti diffusi ed atti ad assolvere funzioni conosciute e chiare.
È bene ricordare che tale lettera è stata così modificata dall’art. 14-bis, introdotto dalla Legge 2 novembre 2019, n. 128[2] che ha reso ancor più esplicativo il testo precedente della lett. a) dell’art. 184-ter che riportava “la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici”, rimarcando la necessità probatoria dell’effettivo utilizzo.
La seconda condizione “b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto”, è auto esplicativa. L’esistenza di un mercato o di una domanda dimostra che il bene derivante dal processo di recupero difficilmente sarà abbandonato o smaltito illegalmente perché è ritenuto utile da più soggetti disposti ad acquistarlo.
Anche la terza condizione, “c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti”, ribadisce sia la necessità che i prodotti delle operazioni di recupero abbiano caratteristiche predeterminate, nel rispetto dei requisiti tecnici, e siano in grado di garantire le prestazioni richieste in concrete condizioni di utilizzo o di consumo (scopi specifici) sia che siano pienamente conformi tanto alla legislazione cogente applicabile, quanto alle norme tecniche relative a quel genere di beni.
L’ultima condizione, “d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana”, da un lato ripropone la necessità che il risultato del processo di recupero del rifiuto offra in fase d’uso le garanzie ritenute irrinunciabili per assicurare la tutela della salute e dell’ambiente, dall’altro, con la sua indeterminatezza, provoca rilevanti problemi applicativi. Non è ben chiaro, infatti, quali siano gli impatti ambientali o i rischi per la salute da ritenersi tollerabili.
Come anticipato, il 3 novembre 2019 è entrata in vigore la Legge 128/2019, la quale, all’art. 14-bis, contiene la riforma della “cessazione della qualifica di rifiuto”.
La nuova Legge stabilisce importanti novità, introdotte tramite la modifica dell’art. 184-ter del D.L.vo 152/2006, soprattutto in tema di rilascio e rinnovo delle autorizzazioni End of Waste “caso per caso”.
Come anzidetto, il comma 1 dell’articolo 14-bis, modifica la lettera a) del co. 1 dell’art. 184-ter del D.L.vo 152/2006, sostituendola con “a) la sostanza o l’oggetto sono destinati a essere utilizzati per scopi specifici”.
Il comma 2 dell’art. 14-bis, invece, sostituisce il co. 3 dell’art 184-ter, con il seguente:
“3. In mancanza di criteri specifici adottati ai sensi del comma 2, le autorizzazioni di cui agli articoli 208, 209 e 211 e di cui al titolo III-bis della parte seconda del presente decreto, per lo svolgimento di operazioni di recupero ai sensi del presente articolo, sono rilasciate o rinnovate nel rispetto delle condizioni di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, e sulla base di criteri dettagliati, definiti nell’ambito dei medesimi procedimenti autorizzatori […]. In mancanza di criteri specifici adottati ai sensi del comma 2, continuano ad applicarsi, quanto alle procedure semplificate per il recupero dei rifiuti, le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario n. 72 alla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998, e ai regolamenti di cui ai decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269.”
Sostanzialmente si afferma che, in mancanza di Regolamenti UE o Decreti nazionali “End of Waste”, le autorità locali riprendono il potere/dovere di autorizzare caso per caso in procedura ordinaria (ex art. 208 TUA o AIA), rilasciando o rinnovando le medesime nel rispetto non solo delle condizioni generali previste dal comma 1, ma anche nel rispetto di prescrizioni che dovranno necessariamente includere i cinque punti elencati dalla lett. a) a e) del comma 3.
Con riferimento alle procedure semplificate di recupero, si continuano invece ad applicare il D.M. 5 febbraio 1998 ed il D.M. 161/2002.
Dopo il comma 3 dell’art. 184-ter D.L.vo 152/2006, sono stati inseriti ulteriori commi. Fra questi si segnalano il co. 3-bis e 3-ter, i quali dispongono che le autorità competenti al rilascio delle autorizzazioni di cui al comma 3 comunicano all’ISPRA i nuovi provvedimenti autorizzatori adottati, riesaminati o rinnovati, affinché l’Istituto o l’ARPA competente controlli a campione la conformità delle modalità operative e gestionali degli impianti. L’ISPRA o l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente comunica gli esiti della verifica al Ministero dell’Ambiente.
In virtù di tali ultime disposizioni, il SNPA si è dato dei criteri univoci ed omogeni enucleati e diffusi attraverso le Linee guida[3], in base alle quali l’ISPRA procederà alle suddette operazioni di controllo sulle autorizzazioni “caso per caso”.
Il nuovo Decreto per la cessazione della qualifica di rifiuto della gomma vulcanizzata, ricavata dagli pneumatici fuori uso, è composto da 6 articoli e 3 allegati, con cui vengono fissati da un lato i requisiti tecnici, soddisfatti i quali il rifiuto cessa di essere tale, e dall’altro gli scopi specifici per quali può essere destinato nonché il modello di dichiarazione di conformità da utilizzare.
Il primo schema di Decreto, elaborato dal Ministero dell’Ambiente nel 2017, era stato oggetto di revisione da parte del Consiglio di Stato, mentre, all’inizio del 2018 è stato bocciato dalla Commissione Europea, in quanto aveva ravvisato una possibile restrizione nell’utilizzo della gomma vulcanizzata granulare. Sulla base dei due pareri, è stato oggi ripresentato, in forma e contenuti aggiornati, per consentire il recepimento delle osservazioni comunitarie.
Lo scorso 3 dicembre 2019, il Consiglio di Stato, si è, quindi, espresso con un nuovo parere reso il 23 dicembre 2019 (n. 3186), con il quale ha ritenuto superati quasi tutti i rilievi precedentemente presentati.
L’articolo 1 (“Oggetto e finalità”) prevede che il Decreto disciplini i criteri specifici in presenza dei quali la “gomma vulcanizzata cessa di essere qualificata come rifiuto ai sensi e per gli effetti dell’articolo 184-ter del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152” (comma 1). Il secondo comma esclude dall’ambito d’applicazione del Decreto la gomma vulcanizzata qualificata come sottoprodotto, ai sensi dell’art. 184-bis del D.L.vo 152/06.
L’articolo 2 (“Definizioni”) richiama le definizioni di cui all’articolo 183 del T.U.A., integrate con le seguenti definizioni: “pneumatici”, “PFU”, “gomma vulcanizzata”, “gomma vulcanizzata granulare (GVG)”, “lotto”, “produttore”, “dichiarazione di conformità”, “autorità competente”.
Dalla lettura degli articoli 1 e 2 dello schema del D.M. in commento emerge, tuttavia, una certa incertezza terminologica: l’art. 1 parla di “gomma vulcanizzata derivante da pneumatici fuori uso” senza specificare che la stessa può derivare anche da “sfridi di gomma vulcanizzata, qualificati come rifiuti […]”.
Il motivo per cui non è stata replicata la medesima definizione rappresenta probabilmente una svista del Legislatore. Sarebbe stato più opportuno, al fine di scongiurare eventuali incertezze, riportare nel testo del primo articolo la tipica espressione comune a molti alti legislativi “come definito all’articolo 2, comma 1, lettera c)”.
Le stesse definizioni di “pneumatico” e “pneumatico fuori uso” non coincidono pienamente con quelle riportate nel nuovo Regolamento relativo alla gestione dei PFU, da poco adottato con Decreto n. 182/2019[4].
Rispettivamente, nello schema di D.M. EoW per “pneumatico” si intende: “componenti delle ruote costituiti da un involucro prevalentemente in gomma e destinati a contenere fluidi”, nel Regolamento n. 182/2019 gli pneumatici sono invece definiti “componenti delle ruote dei veicoli costituiti da un involucro elastico di gomma, rinforzato da tele, reti metalliche o altri materiali, destinato a conte nere fluidi in pressione ovvero camere d’aria”.
Per PFU, nel Decreto EoW si legge: “lo pneumatico fuori uso qualificato come rifiuto”, nel Regolamento “gli pneumatici, rimossi dal loro impiego a qualunque punto della loro vita, dei quali il detentore si disfi, abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi, e che non sono fatti oggetto di ricostruzione o di successivo riutilizzo”.
Si evidenzia, pertanto, una maggior specificazione dei termini nel Regolamento rispetto alla formulazione proposta nel D.M. EoW.
Sulla definizione di “autorità competente”, il Ministero ha conservato l’attuale formulazione che viene giustificata in ragione del fatto che la stessa consentirebbe agevolmente agli operatori di identificare l’Ente cui presentare l’istanza autorizzatoria, ovvero la comunicazione di cui all’art. 216 del D.L. vo n. 152/2006, contemplando le diverse ed eterogenee ipotesi autorizzative (autorizzazione ordinaria, ex art. 208 del D.L.vo n. 152/2006, procedura semplificata, di cui al predetto art. 216, autorizzazione integrata ambientale e autorizzazione unica ambientale).
L’articolo 3 (“Criteri ai fini della cessazione della qualifica di rifiuto. Scopi specifici di utilizzabilità”) dispone che la gomma vulcanizzata cessa di essere qualificata come rifiuto, ai sensi dell’art. 184-ter del D.L.vo 152/06, ed è qualificata come gomma vulcanizzata granulare (GVG) se risulta conforme alle specifiche di cui all’Allegato 1.
A sua volta, l’Allegato 1 stabilisce le verifiche da effettuare sulla GVG: nello specifico, sono indicati i parametri da analizzare, con i rispettivi valori limite.
Il comma 2 dell’articolo 3 definisce gli scopi specifici per cui è utilizzabile il materiale che ha cessato di essere rifiuto, la cui elencazione si rinviene nell’Allegato 2.
L’articolo 4 (“Dichiarazione di conformità e modalità di detenzione dei campioni”) stabilisce che il produttore di gomma vulcanizzata granulare (GVG), all’esito del processo di produzione, rediga per ciascun lotto una dichiarazione di conformità in base al modello di cui all’Allegato 3, attestante il rispetto dei criteri di cui all’articolo 3, comma l, e la invii, “con una delle modalità di cui all’art. 65 del D.L.vo7 marzo 2005, n. 82, all’autorità competente e all’Agenzia di protezione ambientale territorialmente competente” (comma l). Come si legge nel recente parere del Consiglio di Stato, il Ministero, nel riscrivere il testo, ha precisato che l’autorità competente è il soggetto che rilascia “l’autorizzazione ai sensi del Titolo III-bis della Parte II o del Titolo I, Capo IV, della Parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”, ossia l’autorità destinataria della comunicazione di cui all’articolo 216 del medesimo decreto.
Sul punto l’ISPRA, nel suo parere del 7 maggio 2019, prot. 0029424, aveva altresì segnalato che «all’art. 4 “Dichiarazione di conformità e modalità di detenzione del campione” manca tra i destinatari della dichiarazione di conformità il detentore successivo». Non consta che il Ministero abbia tenuto conto, nella stesura del nuovo decreto, del rilievo formulato da ISPRA. Il Consiglio di Stato richiama, pertanto, l’attenzione del Ministero affinché valuti l’opportunità di integrare la diposizione normativa in esame con le osservazioni formulate da IPRA.
Il comma 2, prevede che il produttore conservi presso l’impianto di produzione, o presso la propria sede legale, la dichiarazione di conformità, mettendola a disposizione delle autorità di controllo che la richiedono. Il produttore (comma 3) conserva, altresì, presso l’impianto di produzione, o presso la propria sede legale, un campione di gomma vulcanizzata granulare (GVG) prelevato, al termine del processo produttivo, in conformità alla norma UNI 10802:2013, ai fini della verifica di sussistenza dei requisiti di cui all’articolo 3.
L’articolo 5 (“Sistema di gestione ambientale”) prevede, al comma l, che le disposizioni di cui all’articolo 4, comma 3, relative all’obbligo di tenuta del campione di gomma vulcanizzata granulare (GVG), non si applicano alle imprese in possesso delle certificazioni ambientali UNI EN ISO 14001 ed EMAS.
L’articolo 6 (“Norme transitorie e finali”) prevede che “il produttore, entro 120 giorni dall’entrata in vigore dello stesso, presenta all’autorità competente un aggiornamento della comunicazione effettuata ai sensi dell’articolo 216 o un’istanza di aggiornamento dell’autorizzazione ai sensi del Titolo III-bis della Parte II e del Titolo I, Capo IV, della Parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”.
Passando all’esame degli Allegati, nel primo vengono definite le caratteristiche fisico- geometriche che la gomma vulcanizzata granulare deve possedere, le modalità di verifica e campionamento dei campioni di gomma vulcanizzata granulare in uscita nonché le verifiche sui rifiuti in ingresso dell’impianto di recupero.
Sempre con riferimento all’Allegato 1 del D.M. si ripropongono le stesse incertezze terminologiche, laddove non si afferma al paragrafo d) “verifiche sui rifiuti in ingresso” che si tratta di sfridi di gomma vulcanizzata derivante da pneumatici fuori uso, anche in tale sede si opera un rinvio tacito al quadro definitorio di cui all’art. 2.
Nell’Allegato 2 vengono, invece, dettagliati gli impieghi della gomma vulcanizzata granulare (OVO) in processi di trasformazione manifatturiera e nell’utilizzo tal quale. Viene richiamata la normativa europea e nazionale che definisce le limitazioni all’uso di determinate sostanze in specifici campi di impiego.
Infine, l’Allegato 3 riporta il modello di autodichiarazione che il produttore di gomma vulcanizzata granulare deve presentare al fine di attestare il rispetto dei criteri di cui all’articolo 3, comma l. L’art. 3, comma 1 rimanda a sua volta, oltre alle caratteristiche dell’Allegato 1 anche i macro-requisiti ex art. 184-ter del D.L.vo 152/06. Questi ultimi non vengono, tuttavia, specificati nel modello di autodichiarazione da compilare.
Rispetto al Decreto in esame non si sono fatte attendere le osservazioni di UNIRIGOM, aderente a FISE-UNICIRCULAR, associazione di categoria che riunisce le principali azienda nazionali operanti nel settore del recupero degli Pneumatici Fuori Uso (PFU) e degli elastomeri in genere.
I principali rilievi mossi dalle imprese riguardano perlopiù i possibili impatti tecnici e gestionali conseguenti al Decreto ministeriale.
In particolare, ritengono che l’elenco di applicazioni della gomma vulcanizzata granulare (GVG), non più rifiuto, stabilito nell’allegato 2 del Decreto, sia riduttivo rispetto ai potenziali e futuri impieghi ammissibili nei limiti di cui ai Regolamenti e alle Direttive europee citate al paragrafo 2 dell’allegato 2.
Criticato anche l’art. 4, che impone l’obbligo di una dichiarazione di conformità in capo alle imprese, sprovviste di certificazione ambientale UNI EN ISO 14001 ed EMAS, attestante l’avvenuta trasformazione del materiale da rifiuto in prodotto, ritenuta ridondante e superflua. Secondo la percezione del comparto imprenditoriale, dette istanze sembrano assumere un approccio inquisitorio, tradendo malcelata sfiducia nei confronti delle responsabilità ambientale del mondo produttivo.
In materia di campionamento, oltre alla norma UNI 10802-2013, occorrerebbe citare anche la norma EN 14243-1:2019, che fornisce le definizioni generali per la raccolta dei campioni e la preparazione di un campione rappresentativo al fine di determinarne dimensioni e impurità, specifica e valevole per tutti gli Stati membri dell’Unione Europea nonché per gli stati EFTA e SEE.
Con riferimento all’art. 6, i 120 giorni concessi alle imprese, dopo l’entrata in vigore del Decreto, non sarebbero sufficienti per integrare gli impianti di trattamento attualmente esistenti con le migliorie strutturali necessarie e gli impianti di lavaggio (funzionali alla rimozione delle impurità dalla superficie dei PFU).
Vengono considerate limitanti anche le istanze di cui all’allegato 1 del Decreto, il quale esclude dai materiali in ingresso i PFU derivanti da stock storici, non comprendendo perché la loro origine rappresenti un fattore discriminante rispetto ai PFU più recenti.
Vieppiù, le dimensioni del lotto da campionare, fissate dal paragrafo c) del primo allegato, sono considerate troppo grandi e ciò implicherebbe, in caso di non conformità, la retrocessione del lotto a rifiuto, creando per l’impresa conseguenze economiche rilevanti sia in termini di costi di gestione che di analisi chimiche.
Per quanto riguarda gli impianti deputati al lavaggio dei materiali in ingresso, le aziende del settore si auspicano che il Ministero promuova il rilascio delle Autorizzazioni e l’adozione della norma UNI, predisposta dal Gruppo di Lavoro GL14 del Comitato Tecnico Ambientale dell’UNI per la pulizia degli PFU. Tale norma tecnica è, infatti, in via di validazione formale e prossima alla pubblicazione.
Queste in sintesi le principali osservazioni del comparto produttivo, che ci auguriamo vengano comprese e accolte dal Legislatore, assieme ai rilievi di natura giuridica sopra esposti.
Piacenza, 28 aprile 2020
[1] Decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, Norme in materia ambientale. Pubblicato in GU n. 88 del 14 aprile 2006 ed entrato in vigore il 29 aprile 2006.
[2] Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 settembre 2019, n. 101, recante disposizioni urgenti per la tutela del lavoro e per la risoluzione di crisi aziendali (c.d. D.L.Crisi). Pubblicata sulla G.U. n. 257 del 2 novembre 2019 ed in vigore dal 3 novembre 2019.
[3] approvate con Delibera del Consiglio SNPA con seduta del 06 febbraio 2020. Doc. n. 62/20.
[4] Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare del 19 novembre 2019, n. 182. Regolamento recante la disciplina dei tempi e delle modalità attuative dell’obbligo di gestione degli pneumatici fuori uso, ai sensi dell’articolo 228, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Pubblicato sulla GU n. 93 del’8 aprile 2020.
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