Preveniamo rischi Risolviamo problemi Formiamo competenze
"Mi occupo di diritto ambientale da oltre trent’anni TuttoAmbiente è la guida più autorevole per la formazione e la consulenza ambientale Conta su di noi" Stefano Maglia
Governance Ambientale Aziendale: cos’è, come si garantisce, come si ottiene
di Stefano Maglia
Categoria: Responsabilità ambientali
Per Governance Ambientale Aziendale si intende una organizzazione, gestione e controllo aziendale effettivamente ed efficacemente conforme alla corretta gestione e sostenibilità ambientale. Per capire a fondo di cosa si tratta e perché è sempre più importante, è necessario intanto capire chi sono i soggetti che dovrebbero essere interessati a raggiungere questo obiettivo.
Sei un imprenditore, un Amministratore Delegato, un dirigente o un manager che vuole crescere in:
sicurezza e compliance: riducendo i rischi e i costi ed aumentando competenze e consapevolezza ambientale?
sostenibilità e performance: per affrontare le sfide del futuro e le esigenze del mercato?
efficienza e serenità: ovvero in organizzazione, controllo ed effettiva prevenzione?
Vorresti dunque sapere come gestire, organizzare e far crescere la tua azienda con efficienza, sicurezza, serenità e sostenibilità, senza rischi ambientali e reputazionali?
Sono Stefano Maglia, Presidente di TuttoAmbiente Spa, e dopo oltre 35 anni di esperienza nel campo della gestione ambientale, con particolare attenzione agli aspetti legati alla prevenzione al rischio ambientale di impresa, ho deciso di creare un sistema certificato di consulenza strategica ambientale al fine di offrire alle aziende uno strumento, anzi, un vero e proprio METODO di Governance Ambientale Aziendale, al fine di rispondere appunto a questi 3 fondamentali desideri e obiettivi di ogni imprenditore.
Ambiente e impresa: un binomio ed un rapporto che ha subito in questi ultimi decenni molteplici trasformazioni, vissute ed affrontate il più delle volte senza la necessaria consapevolezza e lungimiranza.
Chi, come me, ha conosciuto e vissuto tutte queste fasi come formatore e consulente giuridico ambientale per centinaia di aziende, è stato ed è testimone diretto di questi cambiamenti, a partire proprio dai soggetti che vengono coinvolti sul terreno delle scelte ambientali e relative competenze e responsabilità.
Per tanto, troppo tempo i vertici aziendali hanno tuttalpiù vissuto il rapporto con la gestione ambientale con superficialità, distacco ed una certa dose di incoscienza, delegando alle figure più operative il ruolo di referenti verso una disciplina considerata meramente tecnica, senza alcuna consapevolezza dei rischi e delle opportunità che questa nasconde.
In particolare a metà degli anni 80, sulla spinta, da un lato, della nascita del concetto di sviluppo sostenibile e, dall’altro, del riconoscimento nazionale ed internazionale delle prime gravi emergenze ambientali e dalla conseguente nascita delle prime normative di settore (di cui sono stato in quegli anni il primo a codificarne i contenuti) nasce nelle aziende più “evolute” una prima esigenza: formare e ottenere risposte per figure prevalentemente tecniche ed operative in ambito aziendale, insomma un livello di governance a livello base, per ubbidire a normative che mutano continuamente, prevalentemente strutturate sulla base del principio del command&control.
C’è bisogno sia di autorevoli pareri scritti (vero scudo nei confronti di eventuali contestazioni da parte di organi di vigilanza e controllo) sia di un continuo confronto operativa (Help desk) anche mediante periodici incontri on site (e da remoto) ed un costante servizio di aggiornamento normativo e documentale. Insomma ci si confronta con la normativa ambientale sostanzialmente solo su due binari: obblighi (di valenza prevalentemente tecnica) ed emergenze. Quindi in questa fase anche la consulenza è prevalentemente “reattiva” (risposte a quesiti, dubbi)
Da qui scaturisce sempre più anche un’altra esigenza, quella di una formazione prevalentemente operativa, puntuale ed autorevole, anche con progettazione di percorsi formativi personalizzati e redazione di linee guida operative. Così, pian piano sale il livello di attenzione, ma mai una vera consapevolezza dei rischi. Perché?
2. HSE e dintorni: sì, ma quale “E”?
Contemporaneamente, mentre la prevenzione ai rischi relativi alla sicurezza sui luoghi di lavoro diventa un obbligo per tutte le imprese a partire dalla metà degli anni 90, questo medesimo obbligo riferito alla prevenzione ai rischi ambientali non viene mai normato, lasciando libera sostanzialmente l’impresa di concentrarsi solo sui rischi tipici di impresa, economici e di mercato, senza la necessaria attenzione e consapevolezza al rischio ambientale.
Insomma, una inconsapevole esposizione al rischio ambientale nasce proprio dal fatto che la prevenzione ambientale aziendale non è mai diventata obbligatoria. È solo una scelta.
Lentamente ma inesorabilmente inizia comunque a formarsi un primo livello di consapevolezza della difficoltà e dei rischi della gestione ambientale (anche sulla spinta delle sanzioni che arrivano sempre più salate) che porta da un lato a cercare (o formare) figure sempre più “alte”, che fungano anche da scudo o prima barriera nei confronti dei costi, ma specialmente dei rischi penali, che possono colpire i legali rappresentanti dell’azienda.
Cresce dunque sempre più l’esigenza di creare figure all’interno dell’azienda di livello – definirei – intermedio, seppur atipici: i responsabili ambientali (o HSE Manager), che diventano i nuovi referenti per richieste di consulenze o per esigenze formative sempre più articolate e complesse, il più delle volte RSPP mandati allo sbaraglio con responsabilità più o meno effettive, sulla base di mere “investiture” dall’alto. Portatori di “E” (Environment) quasi sempre senza alcuna specifica preparazione e consapevolezza delle effettive responsabilità. E così di fatto queste figure non rappresentano alcuna reale barriera alle responsabilità ambientali dei vertici dell’azienda!
Anche la consulenza diventa sempre più “proattiva”, per anticipare dubbi e problemi e per formulare proposte operative, anche identificando le opportunità offerte dalla normativa.
Pochi anni dopo nascono poi due importantissimi istituti relativi alla governance aziendale, paralleli alla disciplina della sicurezza sul lavoro, che solo nel tempo assumeranno valore anche nel campo ambientale: il D.Lvo 231 e la delega di funzioni. Ma sono utilizzate poco, male e superficialmente.
E i rischi, anche reputazionali, aumentano, e ve lo dice uno che è stato il primo a realizzare un volume sulla “231 ambiente” (con il compianto amico Rino Pavanello) nel 2011 e uno dei primi ad occuparsi della delega di funzioni ambientali sin dal 2000.
3. Organigramma e governance non sono sinonimi. MOG e deleghe sono cose serie
Organigramma e Governance: si tratta in entrambi i casi di istituti volontari (che si aggiungono in qualche modo a quelli della certificazione ambientale), utilizzati in realtà raramente e con scarsa competenza, pensando che queste investiture dall’alto (caso della delega di funzioni) possano generare automaticamente “slittamenti” di responsabilità verso il basso. Falso!
In ogni caso entrambi gli strumenti iniziano a venire utilizzati in campo ambientale sostanzialmente solo attorno al 2010, pochi anni dopo l’entrata in vigore del Testo Unico Ambientale (2006), ma il più delle volte come meri strumenti di deresponsabilizzazione dei vertici (spesso basati esclusivamente sulla struttura dell’organigramma) o come mere integrazioni di modelli organizzativi varati ed attuati quasi esclusivamente sui reati di natura societaria e di sicurezza lavoro, con ODV composti solo da figure quasi mai esperte di gestione ambientale (ricordo che i reati presupposto ambientali sono stati inseriti nella 231 solo dal 2011!). E un MOG insufficiente è un MOG inesistente.
E basta un deposito temporaneo che non rispetta le condizioni previste dal TUA per innescare un effetto domino di questo tipo: gestione rifiuti non autorizzata (reato) + reato presupposto 231 (fino a centinaia di migliaia di € di sanzione amministrativa). Lo sapevi?
L’incompetenza fa solo danni. E la giurisprudenza è giustamente implacabile. Alcuni dati: nonostante la pandemia solo nel 2020 sono stati contestati 34.867 reati ambientali, 95 al giorno! Lo sapevi?
Non solo: mediamente nove deleghe di funzioni ambientali su dieci non vengono riconosciute valide in cassazione e così un “delegante” paga spese legali per tre gradi di giudizio (da 20.000 € in su…) e poi la responsabilità penale rimane comunque sulle sue spalle. Bella mossa!
Ricordo che le sanzioni puniscono non tanto chi sbaglia, ma chi non dimostra di aver fatta la scelta giusta! E come si fa?
4. Competenza e consapevolezza: con l’ambiente non si scherza
Intanto la giurisprudenza comincia ad emanare anche sentenze che non solo estendono in molti casi sempre più la responsabilità ambientale (co-responsabilità) del vero responsabile ambientale dell’impresa, ma chiariscono sempre più in vari passaggi la rilevanza ed importanza della materia, fino a giungere recentemente ad affermare persino l’obbligo di “informazione e conoscenza” per chi si occupa di ambiente in azienda. Insomma, con l’ambiente non si scherza, ne’ si improvvisa.
Volete una dimostrazione? Ecco alcune significative sentenze della Corte di cassazione penale:
“In campo ambientale la sempre maggiore complessità dell’attività produttiva dell’impresa moderna e le congerie di norme da osservare, spesso richiedono il possesso di conoscenze tecniche specialistiche non comuni tali da imporre il ricorso ad esperti” (Cass. Pen. 28126/04);
“Il soggetto che svolga professionalmente una specifica attività nel settore ambientale può invocare l’ignoranza incolpevole della legge penale facendo venir meno l’elemento soggettivo del reato, solo qualora dimostri «di aver fatto tutto il possibile per richiedere alle autorità competenti i chiarimenti necessari e per informarsi in proprio, ricorrendo ad esperti giuridici»” (Cass. Pen. 2246/17);
“Chi opera nel settore ambientale ha l’obbligo di acquisire informazioni circa la specifica normativa applicabile e di adempiere correttamente e con l’ordinaria diligenza all’obbligo di informazione e di conoscenza dei precetti normativi” (Cass. Pen. 33102/22).
Quindi:
Difficoltà della materia;
Non si improvvisa;
Necessità di farsi guidare da esperti.
E io credo tanto nella vera competenza Ambientale, che addirittura nel 2013 ho persino fondato (e attualmente presiedo) Ass.I.E.A (Associazione Italiana Esperti Ambientali), l’unica che può qualificare questa figura professionale.
5. Dall’Agenda 2030 all’aumento di sanzioni, problemi, responsabilità: che fare?
Nel 2015, mentre a New York viene sottoscritta da 193 Paesi l’Agenda 2030 con i 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile, da noi entra in vigore la legge 68 sugli ecoreati (di cui sono stato nel 1999 uno degli esperti che l’hanno impostata) che inasprisce fortemente ed ulteriormente le sanzioni ambientali: si pensi che dal 2020 si sono aperti circa 900 procedimenti all’anno per delitti ambientali, in cui si rischiano fino a 10 anni di reclusione!
Comincia di conseguenza a crescere sempre più – ma sempre troppo poco e troppo lentamente – la consapevolezza o, meglio, l’indifferibile necessità per le aziende più evolute di ottenere aiuto nella interpretazione di norme sempre più complesse ed in continua evoluzione ed aggiornamento sul terreno della gestione ambientale in modo contemporaneamente difensivo (attenzione ai rischi) ed evolutivo (attenzione alla sostenibilità) per soddisfare i bisogni di un mercato che produce sempre più una nuova crescente esigenza: “le politiche ambientali come necessità, più che come consiglio” (Sole 24 Ore 15/11/22). Insomma attenzione non più soltanto al problem solving ma anche al risk management, attraverso un autorevole e costante training per le figure più operative dell’azienda.
Ma affidandosi a chi? Attenzione! Le figure di consulente ambientale, esperto ambientale e responsabile ambientale, sono tutte figure atipiche! In caso di inesperienza possono fare solo danni!
Infine la pandemia, il Recovery Plan, il PNRR ,la crisi energetica, la guerra e le nuove politiche europee (ESG, tassonomia, DNSH, ecc…) creano le basi affinché l’esigenza di compliance ambientale effettiva spinga le figure apicali delle aziende (AD, management) ad essere gli interlocutori principali dei veri esperti ambientali – come noi! – per poter agire con sicurezza nella prevenzione e valutazione dei rischi ambientali anche economici ed anche personali: si pensi che da luglio 2022 (art. 2476 cod. civ. come modificato dal “codice della crisi) “gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale”! Lo sapevi?
Provo a semplificare: l’azienda viene sanzionata pesantemente direttamente o attraverso il procedimento accessorio della 231 per centinaia di migliaia di euro. Se questa sanzione deriva dal fatto che l’AD non si era attivato per avere un sistema di governance ambientale efficace o solo perché il CDA non aveva mai ritenuto importante affidarsi a veri esperti o avere un MOG efficacemente attuato, questi soldi ora vengono prelevati anche dalle tasche degli amministratori.
Ora è più chiaro? Lo sapevi?
6. Un Risk manager che non considera i rischi ambientali non serve!
I rischi ambientali tipici di un’impresa sono dunque diventati ormai un tassello fondamentale del risk management aziendale. Identificarli, analizzarli, gestirli, ridurli o eliderli laddove possibile, è la vera mission di un vero ed efficace risk manager, questa nuova figura professionale entrata a far parte delle grandi aziende.
La necessità di integrarli nel proprio Enterprise Risk Model (ERM) deve diventare una prerogativa indispensabile per poter considerare anche i nuovi rischi ambientali, ossia quelli climatici (sia fisici sia finanziari), rischi nuovi che però hanno un elevato impatto sul business di una grande società.
Gestire i rischi rappresenta dunque una delle attività base per garantire una valida ed efficace governance ambientale non solo per poter ridurre i costi delle polizze assicurative per il danno ambientale ma anche per iniziare a considerare il Rischio in termini di opportunità e gestirlo come tale nell’ottica di rendere il proprio business sempre più resiliente alle sfide del futuro.
La gestione dei rischi ambientali oggi ha addirittura uno strumento ad hoc, molto più operativo di una ISO 14001 o del Reg. EMAS. Nel giugno 2021 è stata pubblicata la nuova Prassi di Riferimento UNI Pdr 107:2021 “Ambiente Protetto – Linee guida per la prevenzione dei danni all’ambiente – Criteri tecnici per un’efficace gestione dei rischi ambientali”, emanata da Pool Ambiente.
Tale strumento rappresenta una vera e propria linea guida in grado di garantire un’efficace prevenzione dei danni all’ambiente e alle risorse naturali. L’applicazione di tale strumento consente alle aziende anche un significativo risparmio economico per i costi delle polizze assicurative.
E un risk manager che non inserisce la prevenzione ai rischi ambientali nei suoi compiti ed obiettivi è un risk manager insufficiente, se non inutile!
7. Benvenuti nell’Era ESG: ma quale “E”?
In questi ultimi anni, anche perché abbagliati dalle enormi risorse del PNRR e dalla necessità di accedere a finanziamenti “green”, o per soddisfare le esigenze di stakeholders e di un mercato sempre più attenti e sensibili al tema della sostenibilità ambientale, gli imprenditori cominciano a prendere dimestichezza con un nuovo acronimo sempre più utilizzato, spesso a sproposito: ESG (Environmental, Social, Governance).
Bene! Ma di quale “E” stiamo parlando?
In realtà oltre a questo acronimo, vi è un altro termine – connesso alla “E” – assai inflazionato e molto spesso utilizzato con superficialità: sostenibilità. Insomma, sembra in particolare quasi prender finalmente vita e forma, anche a livello di sensibilità aziendale/industriale, il concetto di sviluppo sostenibile, nato in realtà parecchi anni fa (nel 1987, ebbene sì, sempre negli anni’80) con la Commissione Bruntland, ovvero la Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo.
È giunta dunque l’ora di farlo uscire dall’armadio delle buone intenzioni?
Anche io (e la mia squadra di TuttoAmbiente) che sin da allora ho studiato, analizzato e cercato di far applicare quel fondamentale principio che nasce dalla consapevolezza di pensare sempre alle generazioni future, ho dovuto studiare, analizzare e cercare di far applicare nell’ambito della mia ormai più che trentennale esperienza e competenza, anche la nuova disciplina ESG, con particolare riferimento ovviamente alla “E” sulla base dei “miei” abituali strumenti di lavoro: le norme (in particolare il Reg. UE 852/20).
Del resto Hauptmann ricorda che “una volta che sei diventato maestro di una cosa, diventa subito allievo di un’altra”.
E così anche la nostra attività di alta ed autorevole consulenza e formazione per le imprese, muta ed evolve, confrontandosi sempre più coi vertici delle aziende più sensibili a questi temi, in particolare a quello della effettiva sostenibilità ambientale applicata, che si aggiunge a quello della prevenzione del rischio ambientale.
Troppo spesso, come accadeva in una vecchia pubblicità, “ESG: basta la parola”, per aprire scrigni ed orizzonti.
Ma attenzione! Anche qui ci vogliono esperti, non maghi!
8. Cerchi Sostenibilità? Sì, ma come? E quale reale “circular economy”?
Rimaniamo ancora un istante sul fattore “E” di HSE e di ESG. Abbiamo dunque capito che molta di quella “E” si basa sul concetto di Economia circolare, come confermato dallo stesso Reg. UE 852/20.
Ripeto: ci vogliono esperti e non maghi, che mettano a terra i dettami normativi, in particolare proprio quelli indicati nel Regolamento 852 sulle tassonomie, che definisce le condizioni “normative” (!) indispensabili affinchè un’attività economica possa qualificarsi realmente come ecosostenibile.
E con un Regolamento Europeo non si scherza! Vale di più di una legge dello Stato ed entra in vigore immediatamente. Lo sapevi?
Inoltre ancor più recentemente è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale europea la Dir. 2464/22, con ulteriori importantissime modifiche sul terreno della rendicontazione societaria di Sostenibilità, che dovrà essere recepita da tutti gli Stati membri entro il 6 luglio 2024.
Ma in realtà sono già molti anni che affianchiamo con successo numerose (e prestigiose) aziende per sfruttare al massimo e con successo gli strumenti “normativi” già esistenti della circular economy (sottoprodotti, simbiosi industriale, riconversioni, EPR, ecc.) per ottenere un triplice obiettivo:
Competitività sul mercato;
Risparmio di risorse;
Contribuire ad un futuro migliore.
Per esempio già nel DL Crescita del 2019 (!) sono stati previsti incentivi per progetti di ricerca volti alla riconversione dei processi produttivi in ottica circolare, ad un uso, cioè, più efficiente e sostenibile delle risorse. Lo sapevi? Noi ce ne occupiamo già da anni. I finanziamenti “verdi” non nascono col PNRR o coi fondi ESG! E “la trasformazione dei processi produttivi verso modelli ecologicamente sostenibili è la più grande rivoluzione nella storia dell’economia industriale” (Sole 24Ore 2.12.22).
Sono assolutamente d’accordo, e tu?
9. Dalla compliance ESG alla governance ambientale: perché?
Ecco allora che per far fronte a tutta questa mole di analisi delle informazioni e dei dati, alla corretta reportistica conforme ai diversi standard, a questa nuova forma integrata di compliance ESG, il termine G (Governance) dei fantomatici fattori ESG ha acquisito una rilevanza sempre maggiore proprio perché, spesso si è registrata una forte carenza in questo aspetto.
È emerso un forte gap nella Governance Ambientale delle aziende in termini di management, gestione dei rischi ambientali e climatici, di competenze e di coordinamento con gli stakeholder al fine di evitare il rischio del greenwashing e la sostenibilità di facciata che di fatto non è integrata con lo sviluppo e soprattutto con il futuro del business aziendale.
Quante aziende, ad oggi, hanno una valida ed effettiva Governance ambientale, in grado di gestire e monitorare tutti gli aspetti ambientali legati anche alla sostenibilità, senza rischiare ogni giorno sanzioni o segnalazioni di greenwashing da parte delle NGOs?
10. L’ambiente pilastro fondamentale della sostenibilità
Recentemente è dunque entrato nel mondo delle aziende, anche il tema fondamentale della sostenibilità. All’inizio era intesa prevalentemente come responsabilità sociale d’impresa, dove si trattavano in modo abbastanza blando temi legati ad aspetti sociali e agli impatti dell’attività aziendale sull’ambiente. Oggi il contesto è radicalmente cambiato e le organizzazioni si trovano di fronte a nuovi obblighi normativi di rendicontazione sul proprio operato che hanno impatti sulle performance.
Si sono infatti strutturati organi e standard internazionali di rendicontazione della sostenibilità, quali ad esempio il GRI (Global Reporting Initiative), il SASB (Sustainability Accounting Standards Board), l’IIRF (International Integrated Reporting Framework), il TCFD (Task Force on Climate Related Disclosure), che sono largamente riconosciuti come punti di riferimento affidabili.
L’Europa ha anch’essa normato per le proprie aziende la rendicontazione in materia non finanziaria, che dal 1 gennaio 2024 con la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), diventerà “di sostenibilità”. Le imprese dovranno render conto dei propri obiettivi ambientali in modo prospettico, comunicando con chiarezza le strategie per perseguirli e i risultati di questo impegno anno per anno. Ciò riguarderà per prime le grandi imprese, ma “a cascata” poi andrà a coinvolgere gradualmente tutto il sistema delle imprese.
Inoltre, sono anche sorti numerosi strumenti di valutazione della sostenibilità, i cosiddetti “rating”.
Ma è possibile misurare effettivamente la sostenibilità?
11. È misurabile l’effettiva sostenibilità ambientale applicata? Ecco TAESI
Abbiamo visto che con il citato Regolamento della Tassonomia UE, n. 852/2020, sono stati determinati con precisione i criteri cui deve rispondere un’attività per essere considerata un investimento ecosostenibile. A questo punto l’ambiente dev’essere considerato dall’impresa in un’ottica prospettica, strategica del tutto nuova. Oltre naturalmente allo sguardo dal punto di vista normativo e operativo che deve rimanere vigile.
Perché tutto ciò? Perché il climate change è ahimè una cosa seria e pertanto l’Europa si è prefissata di raggiungere la climate neutrality entro il 2050. Tutte queste misure vanno in quella direzione.
E a proposito di nuove sfide, tra le tante, quella della circular economy inizia ad essere sempre più fondamentale per le imprese che vogliono innovarsi e dare un contributo positivo al cambiamento climatico.
A fine novembre 2022, da ultimo, è stata pubblicata una nuova specifica tecnica UNI/TS 11820 “Misurazione della circolarità – Metodi ed indicatori per la misurazione dei processi circolari nelle organizzazioni”, ossia un nuovo strumento operativo promosso anche dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, che sarà da precursore al futuro standard ISO 59020, che rappresenterà la norma sulla circolarità riconosciuta a livello internazionale.
Ecco allora che un’azienda che vorrà mettere in atto politiche e strategie e processi di economia circolare che davvero mirino a raggiungere in particolare l’Obiettivo n. 12 “Garantire modelli di consumo e produzione sostenibili” dell’Agenda 2030, non potrà fare a meno di applicare tali strumenti ed essere protagonista dell’economia circolare, traendone vantaggi sia economici sia ambientali che reputazionali.
Solo chi riuscirà a dimostrare l’effettivo livello (rating) di sostenibilità (ambientale) potrà “comunicare” con successo e senza rischi di greenwashing questo risultato.
Il Sole 24Ore del 29.12.2022: “Dal 1°gennaio le imprese non finanziarie obbligate alla pubblicazione della dichiarazione di carattere non finanziario (Dnf) dovranno comunicare indicatori fondamentali di prestazione (Kpl) che misurano l’effettivo grado di sostenibilità ambientale.”
Nasce così TAESI ® (TuttoAmbiente Environmental Sustainability Index), l’indice di sostenibilità ambientale applicata creato dai veri esperti della “E” di TuttoAmbiente guidati da me.
12. Aumentano esigenze, aumentano necessità, aumentano i livelli di applicazione della governance
È ormai dunque indispensabile alzare il livello di consapevolezza ai vertici aziendali della governance, sia nella creazione di competenze adeguate (a vari livelli) ma anche nella comunicazione con gli stakeholder (azionisti, clienti, banche) sempre più attenti al “fattore ambiente”, non solo quindi per commercializzare al meglio i propri prodotti ma anche per accedere ai finanziamenti. Ma attenzione: le truffe e le fuffe abbondano ed i rischi – anche reputazionali – anche.
Emblematica in tal senso è anche la recente riforma della Costituzione (marzo 2022) in cui nell’art. 41 sulla iniziativa economica sono inseriti per la prima volta alcuni termini chiave poco considerati in una superficiale lettura: “non può recare danno alla salute e all’ambiente” (DNSH), “fini sociali e ambientali” (ES). Ci avevate fatto caso?
L’evoluzione dei soggetti coinvolti è dunque completata: figure operative + figure intermedie + figure apicali.
Tutte devono operare come un’unica squadra con un unico obiettivo, pur nel rispetto delle rispettive funzioni e competenze: consolidare, proteggere e far crescere la propria azienda con sicurezza, competenze e visione.
Bisogna farsi guidare da veri esperti per identificare correttamente ed efficacemente ruoli, compiti e responsabilità ambientali e per individuare quegli strumenti indispensabili (deleghe, MOG, ecc.) per proteggersi e proteggere l’azienda da rischi e pesante sanzioni, ovviamente attraverso periodici meeting di confronto coi vertici aziendali.
Spetta però ai vertici di ogni azienda operare questa scelta e decidere da chi farsi guidare per essere davvero vincenti.
Un bravo allenatore in questo campo non può che essere il vero esperto ambientale, che possa guidare con successo sia la difesa (dai rischi) che l’attacco (visione del futuro). Ne sei convinto anche tu?
13. Dalla Governance alla Governance Ambientale Aziendale
Dunque l’ambiente ora è necessariamente un imprescindibile fattore strategico di sviluppo, che si deve inserire volente o nolente nell’ambito del tipico concetto di Governance Aziendale modulato nelle sue tipiche 4 aree:
Amministrazione (dialogo tra soci e direzione);
Organizzazione (ruoli, deleghe, responsabilità, modelli di gestione);
Gestione del rischio (identificazione, analisi e mitigazione dei rischi);
Comunicazione con gli stakeholder (interni ed esterni).
Ecco, la Governance Ambientale Aziendale quando viene adeguatamente, efficacemente, effettivamente applicata in tutte le sue fasi, compresa ovviamente la sostenibilità applicata, effettiva e dimostrabile (anche per non scivolare nel green washing con gravi rischi anche reputazionali) diventa uno strumento davvero indispensabile per una azienda che vuole rafforzarsi e crescere con una visione e con un futuro, ma ovviamente solo con l’ausilio di veri ed autorevoli esperti che non solo possono garantire la prevenzione al rischio ambientale, ma anche proporre soluzioni di sostenibilità ambientale applicata (es. sottoprodotti, simbiosi industriale, ecc).
Le aziende, specialmente medie e grandi lo sanno: ci vuole tantissimo per acquisire una reputazione forte e spendibile, ma pochissimo per perderla in un baleno!
Il Sole 24Ore 8 dicembre 2022: “Le imprese qualificate da report integrati in grado di fornire una visione completa e veritiera della governance e delle procedure adottate, saranno sempre più apprezzate non solo dal Sistema bancario e da consumatori e investitori, ma anche dai propri dipendenti e collaboratori. Il benessere interiore, ancor più quando è frutto di una politica di sostenibilità, genera incremento reputazionale e produttività.”
Ne sei convinto anche tu?
Sull’argomento TuttoAmbiente pubblica anche un’autorevole e approfondita rivista, scaricala sul sito dedicato: www.governanceambientaleaziendale.it
14. Metodo TuttoAmbiente: quali vantaggi? Quali benefici?
TuttoAmbiente, in oltre vent’anni della sua attività, ha contribuito con successo universalmente riconosciuto, a supportare ed aiutare oltre 2000 aziende italiane a prevenire rischi e sanzioni ed a formare migliaia di figure professionali, ed ha tutt’ora il privilegio di interfacciarsi con diversi case studies che contribuiscono a creare un know-how unico.
Gli esperti ed i professionisti che collaborano con TuttoAmbiente consentono di affrontare gli aspetti ambientali a 360 gradi fornendo soluzioni rapide, efficaci ed autorevoli.
Come io sono stato pioniere della codificazione ambientale italiana, TuttoAmbiente è stata pioniere della prevenzione e formazione ambientale ed oggi lo è anche per l’intera governance ambientale aziendale in grado di gestire i rischi ambientali e al tempo stesso di usufruire delle innumerevoli opportunità della transizione ecologica per un futuro solido e resiliente del proprio business.
Infatti una azienda con una visione strategica non può guardare solo troppo vicino o troppo lontano: troppo vicino non scorgi il futuro, troppo lontano non scorgi gli ostacoli. È indispensabile una visione di insieme, che solo i veri esperti della “E” possono offrire.
Impresa e ambiente devono dunque coesistere per avere entrambe un futuro con un futuro e per contribuire ad un futuro realmente sostenibile.
E la mia e la nostra storia sono la maggior garanzia per raggiungere effettivamente ed efficacemente questi obiettivi.
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Governance Ambientale Aziendale: cos’è, come si garantisce, come si ottiene
di Stefano Maglia
Per Governance Ambientale Aziendale si intende una organizzazione, gestione e controllo aziendale effettivamente ed efficacemente conforme alla corretta gestione e sostenibilità ambientale. Per capire a fondo di cosa si tratta e perché è sempre più importante, è necessario intanto capire chi sono i soggetti che dovrebbero essere interessati a raggiungere questo obiettivo.
Sei un imprenditore, un Amministratore Delegato, un dirigente o un manager che vuole crescere in:
Vorresti dunque sapere come gestire, organizzare e far crescere la tua azienda con efficienza, sicurezza, serenità e sostenibilità, senza rischi ambientali e reputazionali?
Sono Stefano Maglia, Presidente di TuttoAmbiente Spa, e dopo oltre 35 anni di esperienza nel campo della gestione ambientale, con particolare attenzione agli aspetti legati alla prevenzione al rischio ambientale di impresa, ho deciso di creare un sistema certificato di consulenza strategica ambientale al fine di offrire alle aziende uno strumento, anzi, un vero e proprio METODO di Governance Ambientale Aziendale, al fine di rispondere appunto a questi 3 fondamentali desideri e obiettivi di ogni imprenditore.
E come e perché solo il METODO TUTTOAMBIENTE®© può aiutarti a raggiungere questi obiettivi di effettiva GOVERNANCE AMBIENTALE AZIENDALE?
Continua a leggere e lo scoprirai.
Indice:
Capitolo 1 – Impresa e ambiente: binomio in evoluzione
Capitolo 2 – HSE e dintorni: sì, ma quale “E”?
Capitolo 3 – Organigramma e governance non sono sinonimi. MOG e deleghe sono cose serie
Capitolo 4 – Competenza e consapevolezza: con l’ambiente non si scherza
Capitolo 5 – Dall’Agenda 2030 all’aumento di sanzioni, problemi, responsabilità: che fare?
Capitolo 6 – Un Risk manager che non considera i rischi ambientali non serve
Capitolo 7 – Benvenuti nell’Era ESG: ma quale “E”?
Capitolo 8 – Cerchi Sostenibilità? Sì, ma come? E quale reale “circular economy”?
Capitolo 9 – Dalla compliance ESG alla governance ambientale: perché?
Capitolo 10 – L’ambiente pilastro fondamentale della sostenibilità
Capitolo 11 – È misurabile l’effettiva sostenibilità ambientale applicata? Ecco TAESI
Capitolo 12 – Aumentano esigenze, aumentano necessità, aumentano i livelli di applicazione della governance
Capitolo 13 – Dalla Governance alla Governance Ambientale Aziendale
Capitolo 14 – Metodo TuttoAmbiente: quali vantaggi? Quali benefici?
Capitolo 15 – Il Metodo TuttoAmbiente: come si articola?
Capitolo 16 – Perché scegliere noi?
1. Impresa e ambiente: binomio in evoluzione
Ambiente e impresa: un binomio ed un rapporto che ha subito in questi ultimi decenni molteplici trasformazioni, vissute ed affrontate il più delle volte senza la necessaria consapevolezza e lungimiranza.
Chi, come me, ha conosciuto e vissuto tutte queste fasi come formatore e consulente giuridico ambientale per centinaia di aziende, è stato ed è testimone diretto di questi cambiamenti, a partire proprio dai soggetti che vengono coinvolti sul terreno delle scelte ambientali e relative competenze e responsabilità.
Per tanto, troppo tempo i vertici aziendali hanno tuttalpiù vissuto il rapporto con la gestione ambientale con superficialità, distacco ed una certa dose di incoscienza, delegando alle figure più operative il ruolo di referenti verso una disciplina considerata meramente tecnica, senza alcuna consapevolezza dei rischi e delle opportunità che questa nasconde.
In particolare a metà degli anni 80, sulla spinta, da un lato, della nascita del concetto di sviluppo sostenibile e, dall’altro, del riconoscimento nazionale ed internazionale delle prime gravi emergenze ambientali e dalla conseguente nascita delle prime normative di settore (di cui sono stato in quegli anni il primo a codificarne i contenuti) nasce nelle aziende più “evolute” una prima esigenza: formare e ottenere risposte per figure prevalentemente tecniche ed operative in ambito aziendale, insomma un livello di governance a livello base, per ubbidire a normative che mutano continuamente, prevalentemente strutturate sulla base del principio del command&control.
C’è bisogno sia di autorevoli pareri scritti (vero scudo nei confronti di eventuali contestazioni da parte di organi di vigilanza e controllo) sia di un continuo confronto operativa (Help desk) anche mediante periodici incontri on site (e da remoto) ed un costante servizio di aggiornamento normativo e documentale.
Insomma ci si confronta con la normativa ambientale sostanzialmente solo su due binari: obblighi (di valenza prevalentemente tecnica) ed emergenze.
Quindi in questa fase anche la consulenza è prevalentemente “reattiva” (risposte a quesiti, dubbi)
Da qui scaturisce sempre più anche un’altra esigenza, quella di una formazione prevalentemente operativa, puntuale ed autorevole, anche con progettazione di percorsi formativi personalizzati e redazione di linee guida operative.
Così, pian piano sale il livello di attenzione, ma mai una vera consapevolezza dei rischi. Perché?
2. HSE e dintorni: sì, ma quale “E”?
Contemporaneamente, mentre la prevenzione ai rischi relativi alla sicurezza sui luoghi di lavoro diventa un obbligo per tutte le imprese a partire dalla metà degli anni 90, questo medesimo obbligo riferito alla prevenzione ai rischi ambientali non viene mai normato, lasciando libera sostanzialmente l’impresa di concentrarsi solo sui rischi tipici di impresa, economici e di mercato, senza la necessaria attenzione e consapevolezza al rischio ambientale.
Insomma, una inconsapevole esposizione al rischio ambientale nasce proprio dal fatto che la prevenzione ambientale aziendale non è mai diventata obbligatoria. È solo una scelta.
Lentamente ma inesorabilmente inizia comunque a formarsi un primo livello di consapevolezza della difficoltà e dei rischi della gestione ambientale (anche sulla spinta delle sanzioni che arrivano sempre più salate) che porta da un lato a cercare (o formare) figure sempre più “alte”, che fungano anche da scudo o prima barriera nei confronti dei costi, ma specialmente dei rischi penali, che possono colpire i legali rappresentanti dell’azienda.
Cresce dunque sempre più l’esigenza di creare figure all’interno dell’azienda di livello – definirei – intermedio, seppur atipici: i responsabili ambientali (o HSE Manager), che diventano i nuovi referenti per richieste di consulenze o per esigenze formative sempre più articolate e complesse, il più delle volte RSPP mandati allo sbaraglio con responsabilità più o meno effettive, sulla base di mere “investiture” dall’alto. Portatori di “E” (Environment) quasi sempre senza alcuna specifica preparazione e consapevolezza delle effettive responsabilità. E così di fatto queste figure non rappresentano alcuna reale barriera alle responsabilità ambientali dei vertici dell’azienda!
Anche la consulenza diventa sempre più “proattiva”, per anticipare dubbi e problemi e per formulare proposte operative, anche identificando le opportunità offerte dalla normativa.
Pochi anni dopo nascono poi due importantissimi istituti relativi alla governance aziendale, paralleli alla disciplina della sicurezza sul lavoro, che solo nel tempo assumeranno valore anche nel campo ambientale: il D.Lvo 231 e la delega di funzioni. Ma sono utilizzate poco, male e superficialmente.
E i rischi, anche reputazionali, aumentano, e ve lo dice uno che è stato il primo a realizzare un volume sulla “231 ambiente” (con il compianto amico Rino Pavanello) nel 2011 e uno dei primi ad occuparsi della delega di funzioni ambientali sin dal 2000.
3. Organigramma e governance non sono sinonimi. MOG e deleghe sono cose serie
Organigramma e Governance: si tratta in entrambi i casi di istituti volontari (che si aggiungono in qualche modo a quelli della certificazione ambientale), utilizzati in realtà raramente e con scarsa competenza, pensando che queste investiture dall’alto (caso della delega di funzioni) possano generare automaticamente “slittamenti” di responsabilità verso il basso. Falso!
In ogni caso entrambi gli strumenti iniziano a venire utilizzati in campo ambientale sostanzialmente solo attorno al 2010, pochi anni dopo l’entrata in vigore del Testo Unico Ambientale (2006), ma il più delle volte come meri strumenti di deresponsabilizzazione dei vertici (spesso basati esclusivamente sulla struttura dell’organigramma) o come mere integrazioni di modelli organizzativi varati ed attuati quasi esclusivamente sui reati di natura societaria e di sicurezza lavoro, con ODV composti solo da figure quasi mai esperte di gestione ambientale (ricordo che i reati presupposto ambientali sono stati inseriti nella 231 solo dal 2011!). E un MOG insufficiente è un MOG inesistente.
E basta un deposito temporaneo che non rispetta le condizioni previste dal TUA per innescare un effetto domino di questo tipo: gestione rifiuti non autorizzata (reato) + reato presupposto 231 (fino a centinaia di migliaia di € di sanzione amministrativa). Lo sapevi?
L’incompetenza fa solo danni. E la giurisprudenza è giustamente implacabile.
Alcuni dati: nonostante la pandemia solo nel 2020 sono stati contestati 34.867 reati ambientali, 95 al giorno! Lo sapevi?
Non solo: mediamente nove deleghe di funzioni ambientali su dieci non vengono riconosciute valide in cassazione e così un “delegante” paga spese legali per tre gradi di giudizio (da 20.000 € in su…) e poi la responsabilità penale rimane comunque sulle sue spalle. Bella mossa!
Ricordo che le sanzioni puniscono non tanto chi sbaglia, ma chi non dimostra di aver fatta la scelta giusta!
E come si fa?
4. Competenza e consapevolezza: con l’ambiente non si scherza
Intanto la giurisprudenza comincia ad emanare anche sentenze che non solo estendono in molti casi sempre più la responsabilità ambientale (co-responsabilità) del vero responsabile ambientale dell’impresa, ma chiariscono sempre più in vari passaggi la rilevanza ed importanza della materia, fino a giungere recentemente ad affermare persino l’obbligo di “informazione e conoscenza” per chi si occupa di ambiente in azienda. Insomma, con l’ambiente non si scherza, ne’ si improvvisa.
Volete una dimostrazione? Ecco alcune significative sentenze della Corte di cassazione penale:
Quindi:
E io credo tanto nella vera competenza Ambientale, che addirittura nel 2013 ho persino fondato (e attualmente presiedo) Ass.I.E.A (Associazione Italiana Esperti Ambientali), l’unica che può qualificare questa figura professionale.
5. Dall’Agenda 2030 all’aumento di sanzioni, problemi, responsabilità: che fare?
Nel 2015, mentre a New York viene sottoscritta da 193 Paesi l’Agenda 2030 con i 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile, da noi entra in vigore la legge 68 sugli ecoreati (di cui sono stato nel 1999 uno degli esperti che l’hanno impostata) che inasprisce fortemente ed ulteriormente le sanzioni ambientali: si pensi che dal 2020 si sono aperti circa 900 procedimenti all’anno per delitti ambientali, in cui si rischiano fino a 10 anni di reclusione!
Comincia di conseguenza a crescere sempre più – ma sempre troppo poco e troppo lentamente – la consapevolezza o, meglio, l’indifferibile necessità per le aziende più evolute di ottenere aiuto nella interpretazione di norme sempre più complesse ed in continua evoluzione ed aggiornamento sul terreno della gestione ambientale in modo contemporaneamente difensivo (attenzione ai rischi) ed evolutivo (attenzione alla sostenibilità) per soddisfare i bisogni di un mercato che produce sempre più una nuova crescente esigenza: “le politiche ambientali come necessità, più che come consiglio” (Sole 24 Ore 15/11/22).
Insomma attenzione non più soltanto al problem solving ma anche al risk management, attraverso un autorevole e costante training per le figure più operative dell’azienda.
Ma affidandosi a chi? Attenzione! Le figure di consulente ambientale, esperto ambientale e responsabile ambientale, sono tutte figure atipiche! In caso di inesperienza possono fare solo danni!
Infine la pandemia, il Recovery Plan, il PNRR ,la crisi energetica, la guerra e le nuove politiche europee (ESG, tassonomia, DNSH, ecc…) creano le basi affinché l’esigenza di compliance ambientale effettiva spinga le figure apicali delle aziende (AD, management) ad essere gli interlocutori principali dei veri esperti ambientali – come noi! – per poter agire con sicurezza nella prevenzione e valutazione dei rischi ambientali anche economici ed anche personali: si pensi che da luglio 2022 (art. 2476 cod. civ. come modificato dal “codice della crisi) “gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale”! Lo sapevi?
Provo a semplificare: l’azienda viene sanzionata pesantemente direttamente o attraverso il procedimento accessorio della 231 per centinaia di migliaia di euro. Se questa sanzione deriva dal fatto che l’AD non si era attivato per avere un sistema di governance ambientale efficace o solo perché il CDA non aveva mai ritenuto importante affidarsi a veri esperti o avere un MOG efficacemente attuato, questi soldi ora vengono prelevati anche dalle tasche degli amministratori.
Ora è più chiaro? Lo sapevi?
6. Un Risk manager che non considera i rischi ambientali non serve!
I rischi ambientali tipici di un’impresa sono dunque diventati ormai un tassello fondamentale del risk management aziendale. Identificarli, analizzarli, gestirli, ridurli o eliderli laddove possibile, è la vera mission di un vero ed efficace risk manager, questa nuova figura professionale entrata a far parte delle grandi aziende.
La necessità di integrarli nel proprio Enterprise Risk Model (ERM) deve diventare una prerogativa indispensabile per poter considerare anche i nuovi rischi ambientali, ossia quelli climatici (sia fisici sia finanziari), rischi nuovi che però hanno un elevato impatto sul business di una grande società.
Gestire i rischi rappresenta dunque una delle attività base per garantire una valida ed efficace governance ambientale non solo per poter ridurre i costi delle polizze assicurative per il danno ambientale ma anche per iniziare a considerare il Rischio in termini di opportunità e gestirlo come tale nell’ottica di rendere il proprio business sempre più resiliente alle sfide del futuro.
La gestione dei rischi ambientali oggi ha addirittura uno strumento ad hoc, molto più operativo di una ISO 14001 o del Reg. EMAS. Nel giugno 2021 è stata pubblicata la nuova Prassi di Riferimento UNI Pdr 107:2021 “Ambiente Protetto – Linee guida per la prevenzione dei danni all’ambiente – Criteri tecnici per un’efficace gestione dei rischi ambientali”, emanata da Pool Ambiente.
Tale strumento rappresenta una vera e propria linea guida in grado di garantire un’efficace prevenzione dei danni all’ambiente e alle risorse naturali. L’applicazione di tale strumento consente alle aziende anche un significativo risparmio economico per i costi delle polizze assicurative.
E un risk manager che non inserisce la prevenzione ai rischi ambientali nei suoi compiti ed obiettivi è un risk manager insufficiente, se non inutile!
7. Benvenuti nell’Era ESG: ma quale “E”?
In questi ultimi anni, anche perché abbagliati dalle enormi risorse del PNRR e dalla necessità di accedere a finanziamenti “green”, o per soddisfare le esigenze di stakeholders e di un mercato sempre più attenti e sensibili al tema della sostenibilità ambientale, gli imprenditori cominciano a prendere dimestichezza con un nuovo acronimo sempre più utilizzato, spesso a sproposito: ESG (Environmental, Social, Governance).
Bene! Ma di quale “E” stiamo parlando?
In realtà oltre a questo acronimo, vi è un altro termine – connesso alla “E” – assai inflazionato e molto spesso utilizzato con superficialità: sostenibilità.
Insomma, sembra in particolare quasi prender finalmente vita e forma, anche a livello di sensibilità aziendale/industriale, il concetto di sviluppo sostenibile, nato in realtà parecchi anni fa (nel 1987, ebbene sì, sempre negli anni’80) con la Commissione Bruntland, ovvero la Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo.
È giunta dunque l’ora di farlo uscire dall’armadio delle buone intenzioni?
Anche io (e la mia squadra di TuttoAmbiente) che sin da allora ho studiato, analizzato e cercato di far applicare quel fondamentale principio che nasce dalla consapevolezza di pensare sempre alle generazioni future, ho dovuto studiare, analizzare e cercare di far applicare nell’ambito della mia ormai più che trentennale esperienza e competenza, anche la nuova disciplina ESG, con particolare riferimento ovviamente alla “E” sulla base dei “miei” abituali strumenti di lavoro: le norme (in particolare il Reg. UE 852/20).
Del resto Hauptmann ricorda che “una volta che sei diventato maestro di una cosa, diventa subito allievo di un’altra”.
E così anche la nostra attività di alta ed autorevole consulenza e formazione per le imprese, muta ed evolve, confrontandosi sempre più coi vertici delle aziende più sensibili a questi temi, in particolare a quello della effettiva sostenibilità ambientale applicata, che si aggiunge a quello della prevenzione del rischio ambientale.
Troppo spesso, come accadeva in una vecchia pubblicità, “ESG: basta la parola”, per aprire scrigni ed orizzonti.
Ma attenzione! Anche qui ci vogliono esperti, non maghi!
8. Cerchi Sostenibilità? Sì, ma come? E quale reale “circular economy”?
Rimaniamo ancora un istante sul fattore “E” di HSE e di ESG.
Abbiamo dunque capito che molta di quella “E” si basa sul concetto di Economia circolare, come confermato dallo stesso Reg. UE 852/20.
Ripeto: ci vogliono esperti e non maghi, che mettano a terra i dettami normativi, in particolare proprio quelli indicati nel Regolamento 852 sulle tassonomie, che definisce le condizioni “normative” (!) indispensabili affinchè un’attività economica possa qualificarsi realmente come ecosostenibile.
E con un Regolamento Europeo non si scherza! Vale di più di una legge dello Stato ed entra in vigore immediatamente. Lo sapevi?
Inoltre ancor più recentemente è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale europea la Dir. 2464/22, con ulteriori importantissime modifiche sul terreno della rendicontazione societaria di Sostenibilità, che dovrà essere recepita da tutti gli Stati membri entro il 6 luglio 2024.
Ma in realtà sono già molti anni che affianchiamo con successo numerose (e prestigiose) aziende per sfruttare al massimo e con successo gli strumenti “normativi” già esistenti della circular economy (sottoprodotti, simbiosi industriale, riconversioni, EPR, ecc.) per ottenere un triplice obiettivo:
Per esempio già nel DL Crescita del 2019 (!) sono stati previsti incentivi per progetti di ricerca volti alla riconversione dei processi produttivi in ottica circolare, ad un uso, cioè, più efficiente e sostenibile delle risorse.
Lo sapevi? Noi ce ne occupiamo già da anni.
I finanziamenti “verdi” non nascono col PNRR o coi fondi ESG!
E “la trasformazione dei processi produttivi verso modelli ecologicamente sostenibili è la più grande rivoluzione nella storia dell’economia industriale” (Sole 24Ore 2.12.22).
Sono assolutamente d’accordo, e tu?
9. Dalla compliance ESG alla governance ambientale: perché?
Ecco allora che per far fronte a tutta questa mole di analisi delle informazioni e dei dati, alla corretta reportistica conforme ai diversi standard, a questa nuova forma integrata di compliance ESG, il termine G (Governance) dei fantomatici fattori ESG ha acquisito una rilevanza sempre maggiore proprio perché, spesso si è registrata una forte carenza in questo aspetto.
È emerso un forte gap nella Governance Ambientale delle aziende in termini di management, gestione dei rischi ambientali e climatici, di competenze e di coordinamento con gli stakeholder al fine di evitare il rischio del greenwashing e la sostenibilità di facciata che di fatto non è integrata con lo sviluppo e soprattutto con il futuro del business aziendale.
Quante aziende, ad oggi, hanno una valida ed effettiva Governance ambientale, in grado di gestire e monitorare tutti gli aspetti ambientali legati anche alla sostenibilità, senza rischiare ogni giorno sanzioni o segnalazioni di greenwashing da parte delle NGOs?
10. L’ambiente pilastro fondamentale della sostenibilità
Recentemente è dunque entrato nel mondo delle aziende, anche il tema fondamentale della sostenibilità. All’inizio era intesa prevalentemente come responsabilità sociale d’impresa, dove si trattavano in modo abbastanza blando temi legati ad aspetti sociali e agli impatti dell’attività aziendale sull’ambiente. Oggi il contesto è radicalmente cambiato e le organizzazioni si trovano di fronte a nuovi obblighi normativi di rendicontazione sul proprio operato che hanno impatti sulle performance.
Si sono infatti strutturati organi e standard internazionali di rendicontazione della sostenibilità, quali ad esempio il GRI (Global Reporting Initiative), il SASB (Sustainability Accounting Standards Board), l’IIRF (International Integrated Reporting Framework), il TCFD (Task Force on Climate Related Disclosure), che sono largamente riconosciuti come punti di riferimento affidabili.
L’Europa ha anch’essa normato per le proprie aziende la rendicontazione in materia non finanziaria, che dal 1 gennaio 2024 con la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), diventerà “di sostenibilità”. Le imprese dovranno render conto dei propri obiettivi ambientali in modo prospettico, comunicando con chiarezza le strategie per perseguirli e i risultati di questo impegno anno per anno. Ciò riguarderà per prime le grandi imprese, ma “a cascata” poi andrà a coinvolgere gradualmente tutto il sistema delle imprese.
Inoltre, sono anche sorti numerosi strumenti di valutazione della sostenibilità, i cosiddetti “rating”.
Ma è possibile misurare effettivamente la sostenibilità?
11. È misurabile l’effettiva sostenibilità ambientale applicata? Ecco TAESI
Abbiamo visto che con il citato Regolamento della Tassonomia UE, n. 852/2020, sono stati determinati con precisione i criteri cui deve rispondere un’attività per essere considerata un investimento ecosostenibile. A questo punto l’ambiente dev’essere considerato dall’impresa in un’ottica prospettica, strategica del tutto nuova. Oltre naturalmente allo sguardo dal punto di vista normativo e operativo che deve rimanere vigile.
Perché tutto ciò? Perché il climate change è ahimè una cosa seria e pertanto l’Europa si è prefissata di raggiungere la climate neutrality entro il 2050. Tutte queste misure vanno in quella direzione.
E a proposito di nuove sfide, tra le tante, quella della circular economy inizia ad essere sempre più fondamentale per le imprese che vogliono innovarsi e dare un contributo positivo al cambiamento climatico.
A fine novembre 2022, da ultimo, è stata pubblicata una nuova specifica tecnica UNI/TS 11820 “Misurazione della circolarità – Metodi ed indicatori per la misurazione dei processi circolari nelle organizzazioni”, ossia un nuovo strumento operativo promosso anche dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, che sarà da precursore al futuro standard ISO 59020, che rappresenterà la norma sulla circolarità riconosciuta a livello internazionale.
Ecco allora che un’azienda che vorrà mettere in atto politiche e strategie e processi di economia circolare che davvero mirino a raggiungere in particolare l’Obiettivo n. 12 “Garantire modelli di consumo e produzione sostenibili” dell’Agenda 2030, non potrà fare a meno di applicare tali strumenti ed essere protagonista dell’economia circolare, traendone vantaggi sia economici sia ambientali che reputazionali.
Solo chi riuscirà a dimostrare l’effettivo livello (rating) di sostenibilità (ambientale) potrà “comunicare” con successo e senza rischi di greenwashing questo risultato.
Il Sole 24Ore del 29.12.2022: “Dal 1°gennaio le imprese non finanziarie obbligate alla pubblicazione della dichiarazione di carattere non finanziario (Dnf) dovranno comunicare indicatori fondamentali di prestazione (Kpl) che misurano l’effettivo grado di sostenibilità ambientale.”
Nasce così TAESI ® (TuttoAmbiente Environmental Sustainability Index), l’indice di sostenibilità ambientale applicata creato dai veri esperti della “E” di TuttoAmbiente guidati da me.
12. Aumentano esigenze, aumentano necessità, aumentano i livelli di applicazione della governance
È ormai dunque indispensabile alzare il livello di consapevolezza ai vertici aziendali della governance, sia nella creazione di competenze adeguate (a vari livelli) ma anche nella comunicazione con gli stakeholder (azionisti, clienti, banche) sempre più attenti al “fattore ambiente”, non solo quindi per commercializzare al meglio i propri prodotti ma anche per accedere ai finanziamenti. Ma attenzione: le truffe e le fuffe abbondano ed i rischi – anche reputazionali – anche.
Emblematica in tal senso è anche la recente riforma della Costituzione (marzo 2022) in cui nell’art. 41 sulla iniziativa economica sono inseriti per la prima volta alcuni termini chiave poco considerati in una superficiale lettura: “non può recare danno alla salute e all’ambiente” (DNSH), “fini sociali e ambientali” (ES). Ci avevate fatto caso?
L’evoluzione dei soggetti coinvolti è dunque completata: figure operative + figure intermedie + figure apicali.
Tutte devono operare come un’unica squadra con un unico obiettivo, pur nel rispetto delle rispettive funzioni e competenze: consolidare, proteggere e far crescere la propria azienda con sicurezza, competenze e visione.
Bisogna farsi guidare da veri esperti per identificare correttamente ed efficacemente ruoli, compiti e responsabilità ambientali e per individuare quegli strumenti indispensabili (deleghe, MOG, ecc.) per proteggersi e proteggere l’azienda da rischi e pesante sanzioni, ovviamente attraverso periodici meeting di confronto coi vertici aziendali.
Spetta però ai vertici di ogni azienda operare questa scelta e decidere da chi farsi guidare per essere davvero vincenti.
Un bravo allenatore in questo campo non può che essere il vero esperto ambientale, che possa guidare con successo sia la difesa (dai rischi) che l’attacco (visione del futuro).
Ne sei convinto anche tu?
13. Dalla Governance alla Governance Ambientale Aziendale
Dunque l’ambiente ora è necessariamente un imprescindibile fattore strategico di sviluppo, che si deve inserire volente o nolente nell’ambito del tipico concetto di Governance Aziendale modulato nelle sue tipiche 4 aree:
Ecco, la Governance Ambientale Aziendale quando viene adeguatamente, efficacemente, effettivamente applicata in tutte le sue fasi, compresa ovviamente la sostenibilità applicata, effettiva e dimostrabile (anche per non scivolare nel green washing con gravi rischi anche reputazionali) diventa uno strumento davvero indispensabile per una azienda che vuole rafforzarsi e crescere con una visione e con un futuro, ma ovviamente solo con l’ausilio di veri ed autorevoli esperti che non solo possono garantire la prevenzione al rischio ambientale, ma anche proporre soluzioni di sostenibilità ambientale applicata (es. sottoprodotti, simbiosi industriale, ecc).
Le aziende, specialmente medie e grandi lo sanno: ci vuole tantissimo per acquisire una reputazione forte e spendibile, ma pochissimo per perderla in un baleno!
Il Sole 24Ore 8 dicembre 2022: “Le imprese qualificate da report integrati in grado di fornire una visione completa e veritiera della governance e delle procedure adottate, saranno sempre più apprezzate non solo dal Sistema bancario e da consumatori e investitori, ma anche dai propri dipendenti e collaboratori. Il benessere interiore, ancor più quando è frutto di una politica di sostenibilità, genera incremento reputazionale e produttività.”
Ne sei convinto anche tu?
Sull’argomento TuttoAmbiente pubblica anche un’autorevole e approfondita rivista, scaricala sul sito dedicato: www.governanceambientaleaziendale.it
14. Metodo TuttoAmbiente: quali vantaggi? Quali benefici?
Il Metodo TuttoAmbiente®© è dunque il primo sistema certificato, secondo lo standard UNI 17065, che è in grado di affiancare i vertici delle aziende più lungimiranti, in un cammino sicuro e consapevole verso uno sviluppo ed una crescita realmente ambientalmente sostenibili e senza rischi, con una organizzazione di funzioni, compiti, deleghe e responsabilità, ben chiare, definite e certe, risparmiando altresì su spese legali, sanzionatorie, ecc. e contemporaneamente potendo accedere a finanziamenti ed ad un mercato sempre più sensibile e propenso a premiare chi si sforza di offrire prodotti e processi più sostenibili, nell’ambito di un processo certificato e proattivo diviso in cinque fasi che produrranno una sorta di Total Environmental Solution (TES) che crea sicurezza e sviluppo.
TES = Environmental safe & awareness + environmental sustenibility & organization
Insomma:
Fino ad oggi tutto questo non era possibile.
Ora sì.
15. Il Metodo TuttoAmbiente: come si articola?
Il “Metodo” si articola in 5 fasi che devono “camminare” contemporaneamente:
Fase A
Affiancamento e aggiornamento continuo della compliance ambientale (Environmental Safety&Problem solving)
Fase B
Creazione e sviluppo delle competenze e della consapevolezza ambientale (Environmental Training)
Fase C
Verifica ed implementazione del risk management ambientale (Environmental Risk Management)
Fase D
Valutazione della sostenibilità ambientale applicata (Environmental Sustainability Index – TAESI)
Fase E
Verifica e costruzione della effettiva e strategica Governance ambientale (Environmental Corporate Governance)
Per saperne di più ti invito ad andare alla pagina MetodoTuttoAmbiente.it.
16. Perché scegliere noi?
TuttoAmbiente, in oltre vent’anni della sua attività, ha contribuito con successo universalmente riconosciuto, a supportare ed aiutare oltre 2000 aziende italiane a prevenire rischi e sanzioni ed a formare migliaia di figure professionali, ed ha tutt’ora il privilegio di interfacciarsi con diversi case studies che contribuiscono a creare un know-how unico.
Gli esperti ed i professionisti che collaborano con TuttoAmbiente consentono di affrontare gli aspetti ambientali a 360 gradi fornendo soluzioni rapide, efficaci ed autorevoli.
Come io sono stato pioniere della codificazione ambientale italiana, TuttoAmbiente è stata pioniere della prevenzione e formazione ambientale ed oggi lo è anche per l’intera governance ambientale aziendale in grado di gestire i rischi ambientali e al tempo stesso di usufruire delle innumerevoli opportunità della transizione ecologica per un futuro solido e resiliente del proprio business.
Infatti una azienda con una visione strategica non può guardare solo troppo vicino o troppo lontano: troppo vicino non scorgi il futuro, troppo lontano non scorgi gli ostacoli. È indispensabile una visione di insieme, che solo i veri esperti della “E” possono offrire.
Impresa e ambiente devono dunque coesistere per avere entrambe un futuro con un futuro e per contribuire ad un futuro realmente sostenibile.
E la mia e la nostra storia sono la maggior garanzia per raggiungere effettivamente ed efficacemente questi obiettivi.
Per saperne di più ti invito ad andare alla pagina MetodoTuttoAmbiente.it.
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