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Stefano Maglia

HSE Manager e delega di funzioni: quali differenze tra sicurezza lavoro e ambiente?

di Stefano Maglia

Categoria: Sicurezza lavoro

HSE manager e delega di funzioni: quali differenze tra sicurezza lavoro e ambiente?
HSE Manager: “Figura professionale che supporta l’organizzazione nel conseguimento dei relativi obiettivi in ambito HSE sulla base delle proprie specifiche conoscenze, abilità e competenze“. Cosi viene definito dalla Norma UNI 11720:2018.
Ma quali sono queste specifiche conoscenze, abilità e competenze e quali sono le responsabilità e i rischi che coinvolgono questa importantissima figura professionale?
 
La maggior parte delle volte accade che venga nominato HSE un RSPP/ASPP a cui si aggiungono improvvisamente e senza preparazioni specifiche responsabilità anche in materia ambientale (la “E” dell’HSE) senza alcuna specifica preparazione, pensando che tra le discipline “Sicurezza lavoro” e “Ambiente” vi siano solo affinità. Grave errore.
 
Non solo tra le due discipline vi sono profondissime differenze normative e strutturali, ma vi sono istituti che pur chiamandosi allo stesso modo hanno in realtà discipline molto diverse. Un esempio per tutti è quello della “delega di funzioni”, a cui dedichiamo questo commento.
 
Indice:
Identificazione del HSE Manager
Differenze tra HSE Manager e responsabile ambientale
Delega di funzione sicurezza lavoro
Delega di funzione ambientale
Condizioni oggettive di ammissibilità
Condizioni soggettive di ammissibilità
Note

 

Identificazione del HSE Manager

 

Sempre più organizzazioni, sia pubbliche sia private, sentono la necessità di dotarsi di figure professionali in grado di supportarle nel percorso verso il pieno rispetto dei requisiti in ambito HSE e di svolgere un ruolo di spinta al miglioramento continuo nelle aree della prevenzione e tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e della protezione dell’ambiente.
HSE è l’acronimo di “Health, Safety & Environment” (letteralmente: Salute, Sicurezza e Ambiente): l’HSE Manager è la figura che si occupa della gestione di questi aspetti all’interno dell’ecosistema aziendale di attività e processi.
Si tratta di una figura professionale in grado di intercettare la domanda di quelle organizzazioni che vedono sempre più l’integrazione tra i temi della sicurezza, della salute e dell’ambiente come la modalità più efficiente ed efficace per perseguire la conformità legislativa e le strategie aziendali, in una prospettiva di miglioramento continuo.
Pertanto, attraverso la definizione delle conoscenze, abilità e competenze del Manager HSE è quindi possibile offrire al mercato un quadro di riferimento certo e univoco per l’individuazione di tale figura professionale.
 
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Differenze tra HSE Manager e responsabile ambientale

 

L’HSE manager non è da confondere con il responsabile ambientale. Infatti, sebbene non esista, nella normativa vigente, una specifica definizione di responsabile ambientale, a differenza di quanto avviene nella disciplina sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (si pensi, per esempio, alla definizione dell’RSPP, il “Responsabile del servizio di prevenzione e protezione”contenuta nell’art. 2, comma 1, lett. f), D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81), è possibile ricavarne le caratteristiche tipiche a partire dalle diverse forme che la responsabilità allo stesso ascrivibile può assumere.
Si tratta, in particolare, di distinguere la figura del responsabile ex lege rispetto a quella del responsabile contrattuale, in quanto vi è una differenza sostanziale fra la responsabilità ex lege, ossia quella prevista da una norma di legge, e quella contrattuale, vale a dire quella di matrice civilistica.
 
Nella prassi, accade frequentemente che le aziende, specialmente quelle di grandi dimensioni, affidino la gestione dei propri adempimenti ambientali a un soggetto terzo, che, mediante la sottoscrizione di apposito contratto, si impegna in nome e per conto dell’azienda in questione ad eseguire le attività ivi previste, esonerando il committente da qualsiasi responsabilità.
Tuttavia, vi sono taluni adempimenti ambientali, con le relative responsabilità, che non possono essere attribuiti contrattualmente dalle aziende ad un soggetto terzo in quanto individuati ed assegnati per legge.
Di conseguenza, un contratto di per sé solo non è sufficiente a consentire la deresponsabilizzazione di un soggetto normativamente ritenuto responsabile di un adempimento ambientale. Ciò non toglie, comunque, che tale contratto possa rivelarsi uno strumento utile ai fini dell’ottenimento di un risarcimento del danno in sede di regolamentazione dei rapporti fra le parti, nonché per l’utilizzo come parziale esimente in sede di applicazione di eventuali sanzioni.
 
Dunque, non resta che precisare che il responsabile ambientale si identifica in colui che risulta essere imputabile di eventuali adempimenti, obblighi e divieti di natura ambientale.
Uno degli argomenti più delicati e complessi è quello relativo alla delega di funzioni ed alla sua efficacia sia in materia di sicurezza lavoro che ambientale.
 

Delega di funzione sicurezza lavoro

 

Il d.lgs. 81/2008 – Testo Unico sulla sicurezza in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro – ha apportato importanti novità rispetto al precedente decreto in materia di sicurezza sul lavoro (ovvero il decreto 626/1994) tra le quali vi è l’introduzione della “delega di funzioni”disciplinata dall’articolo 16.
Ai sensi del sopra citato articolo, la facoltà di ricorrere alla delega di funzione viene affidata al Datore di lavoro che decide personalmente il proprio delegato che risponde a determinati requisiti[1].
Per definizione, la delega è un atto di trasferimento di competenze organizzative e gestionali ai fini della salute dei lavoratori e sicurezza dell’unità produttiva per avere una migliore attuazione degli specifici obblighi di legge assegnati al datore di lavoro.
 
Si rende necessario precisare come ciò non significhi che il datore di lavoro (che delega) non sia più responsabile delle proprie azioni anzi è soggetto a responsabilità per culpa in eligendo e/o vigilando.
Infatti, la delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in campo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni a questo trasferite.
Può, infatti, incorrere in culpa in eligendo nel caso in cui il datore non abbia scelto con i giusti criteri il delegante il quale non possiede i requisiti e le capacità richieste dalla funzione.
Può, invece, essere incorrere in culpa in vigilando quando gli sia rimproverabile la mancata vigilanza sull’operato del proprio delegato.
 
Il soggetto delegato può comunque delegare – parlandone prima con il datore di lavoro – per alcune specifiche funzioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro alle medesime condizione citate precedentemente.
Inoltre, la delega di funzioni per essere valida deve rispondere a precisi requisiti.
A tale delega deve essere, infatti, data tempestiva ed adeguata pubblicità, a cura del datore di lavoro che può adempiervi tramite i metodi che ritiene più opportuni (apposizioni in bacheca, riunioni).
 
Infatti, perché la delega possa avere effetti giuridici occorre che la stessa sia redatta nel rispetto dei principi normativi sanciti all’art. 16 del d.lgs. n. 81/2008, quali:

  • La forma scritta, che permette di risolvere sul piano sostanziale della validità della delega le difficoltà probatorie inerenti all’identificazione dei responsabili di un illecito nelle organizzazioni complesse;
  • La data certa, prevista al comma 1, lett. a) dell’articolo in questione, comporta che il documento abbia una data che non possa essere alterata;
  • L’autonomia di spesa, per cui il delegato deve avere autonomia di spesa e di gestione da parte del datore di lavoro, per espletare in maniera consona i compiti che gli vengono attribuiti.

 

Pertanto, la delega per avere efficacia legale deve presentare dei requisiti specifici:

  • deve essere formale, diretta, dettagliata nella sua sostanza, con adeguata pubblicità ai fini della conoscenza da parte dei lavoratori;
  • il delegato deve avere tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalle specifiche funzioni richieste;
  • deve essere accettata dal delegato per iscritto e con atto avente data certa;
  • deve attribuire al delegato l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate.

 

In conclusione, si può affermare che la delega di funzioni ha nel suo essere la finalità di facilitare l’operato all’interno di un’azienda e non deve essere intesa come un semplice e comodo scarico di responsabilità da parte del delegante verso il delegato.
Da ultimo, si sottolinea il problema che spesso si verifica riferito alla mancanza di pubblicità in caso di delega. I lavoratori, infatti, il più delle volte non sono a conoscenza del continuo aggiornamento dei ruoli all’interno della propria azienda e quindi del dinamico organigramma. Sono, quindi, i datori di lavoro chiamati ad informare tutti i dipendenti dell’aggiornamento del proprio organigramma informandoli tempestivamente.
 

Uno screenshot del corso Master On Line HSE Manager (modalità e-Learning)

Uno screenshot del corso Master On Line HSE Manager (modalità e-Learning).

 

Delega di funzione ambientale

 

Il tema della delega di funzioni in campo ambientale riveste un’importanza tutt’altro che secondaria, in quanto coinvolge situazioni di imputabilità personale che potrebbero avere conseguenze anche penali non indifferenti nei confronti del legale rappresentante dell’azienda.
Innanzitutto è opportuno chiarire che se per “delega di funzioni”s’intende comunemente il trasferimento degli obblighi dal soggetto su cui gravano ex lege ad un’altra persona incaricata del loro soddisfacimento in sua vece, non è altrettanto pacifica la sua disciplina: infatti, nel nostro ordinamento non esiste alcuna disposizione che regoli questo istituto nel campo ambientale frutto dunque della sola elaborazione giurisprudenziale della Corte di Cassazione.
 
Infatti, nonostante il nostro ordinamento positivo abbia accolto il principio secondo cui è esclusa la responsabilità penale diretta delle persone giuridiche, sicché la qualità di soggetto attivo del reato viene ricondotta in capo alla sola persona fisica.
Ad oggi, la delega di funzioni scriminante la responsabilità penale, pur non esistendo come istituto giuridico (in quanto non esplicitato in alcuna norma giuridica), ma generato solo dalla prassi giurisprudenziale delle sezioni penali della Suprema Corte, è una prassi da ritenersi lecita, ammissibile e consolidata, ma solo in presenza di precise condizioni.
L’istituto della delega di funzioni, che trae origine dalla normativa sulla prevenzione degli infortuni e dell’igiene del lavoro, è successivamente filtrato anche tra le tematiche ambientali e, prendendo le mosse dal concetto di mandato previsto dal Codice civile (Art. 1703 Cod. civ. “Il mandato è il contratto col quale una parte si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell’altra”), si è caratterizzata nella pratica come un trasferimento della posizione di potere dal legale rappresentante al soggetto da questi delegato.
 
Infatti, come correttamente sottolineato in Cass. pen., sez. III, n. 1112 del 26 maggio 2004, ric. Carraturo, “la ratio della previsione della delega trova unanime collocazione nella molteplicità di compiti e di obblighi penalmente sanzionati, nella necessaria conoscenza di specifiche regole tecniche, nella esigenza di protezione dei beni oggetto di tutela in maniera più incisiva e nella dimensione e complessità del fenomeno aziendale”.
Nonostante si sia ripetutamente affermato che l’istituto della delega di funzioni sia stato elaborato solo dalla giurisprudenza, si rinvengono all’interno della stessa due differenti orientamenti. Un primo indirizzo (ormai da ritenersi superato), infatti, creatosi in particolare nell’alveo della tutela dall’inquinamento idrico, ha escluso che nel nostro ordinamento sia ammissibile l’ipotesi della delega di funzioni in campo ambientale, sul presupposto, già segnalato, che non esiste una previsione legislativa in tal senso e che la responsabilità penale è esclusivamente personale e, pertanto, non derogabile.
 
Sul versante opposto, si è andato poi via via profilando un orientamento (oggi senz’altro prevalente) che ha osservato la gestione pratica della realtà aziendale e ha convenuto sull’impossibilità del titolare di adempiere ai numerosi obblighi a suo carico: sulla scorta di questi rilievi, è stato ammesso il decentramento funzionale che determina, di conseguenza, un mero trasferimento degli obblighi con la conseguente assunzione di responsabilità proprie.
In linea di principio, l’efficacia liberatoria della delega sul versante della responsabilità penale è subordinata alla sussistenza di precisi presupposti-condizioni elaborati, volta per volta, dalla giurisprudenza, che possono essere raccolti in due gruppi: Condizioni oggettive di ammissibilità e Condizioni soggettive di ammissibilità.

Condizioni oggettive di ammissibilità

 

1. Dimensione dell’impresa o esigenze organizzative: la tradizionale giurisprudenza aveva sempre sostenuto che la delega poteva escludere la responsabilità del titolare solo laddove l’impresa avesse notevoli dimensioni, tali da rendere impossibile il controllo dell’intera attività produttiva in capo ad una sola persona (per esempio, Cass. pen., sez. III, n. 8538 del 14 settembre 1993, ric. Robba, ha stabilito che “in tema di tutela delle acque dall’inquinamento, la delega a terzi può escludere la responsabilità del titolare solo quando l’azienda ha notevoli dimensioni e si articola in varie branche, che rendano impossibile ad una sola persona il controllo dell’intera attività produttiva”). Più di recente, però, con la sentenza Cass. pen., sez. III, n. 28126 del 23 giugno 2004, ric. Carraturo, si è addirittura affermato che la delega di funzioni di rilevanza penale è applicabile anche alle piccole imprese: infatti, la distinzione tra imprese di grandi dimensioni e quelle medio-piccole non ha particolare rilievo, in quanto la necessità di decentrare compiti e responsabilità non può essere esclusa a priori nelle imprese di dimensioni più modeste, vista la sempre crescente complessità dell’attività produttiva moderna. “La tesi contraria che ancorava l’efficacia penalistica della delega alla notevole dimensione dell’azienda, non solo era priva di specifico fondamento testuale, ma è ora in contrasto con la recente evoluzione legislativa, che positivamente riconosce pieno diritto di cittadinanza alla delega di funzioni, indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda”(Cass. pen., sez. III, n. 33308 del 13 settembre 2005), specialmente in considerazione delle particolari competenze (specializzazioni) necessarie in campo ambientale. Ciò non esclude, tuttavia, la concorrente responsabilità del vertice e la necessità di verificare ex ante l’idoneità del soggetto delegato[2]. In maniera del tutto contraddittoria, la stessa sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21745 del 7 maggio 2004, ric. Valle, aveva pochi mesi prima peraltro palesemente negato la possibilità di delega in tali casi, poiché il sopraccitato assunto non è “sufficiente ad escludere la responsabilità del titolare in considerazione delle modeste dimensioni dell’impresa”. In ogni caso è possibile affermare che più che di “dimensioni”, sia opportuno riferirsi all’ “articolazione”tecnico-funzionale-logistica dell’impresa. Più recentemente la Cassazione si è particolarmente concentrata sul concetto di esigenze organizzative;
 
2. Certezza: con il requisito della “certezza”si vuole indicare che la delega deve avere un contenuto chiaro e puntuale, completo e ben determinato, riportante la specifica indicazione dei poteri delegati, così da non lasciare dubbi circa la portata del conferimento stesso, perché in caso contrario risulta arduo dar prova della delega e non si può considerare dismesso da parte del delegante il potere relativo alla stessa attività delegata. Infatti, con la sentenza n. 26390 dell’11 giugno 2004, la III sezione penale della Corte di Cassazione ha ribadito ancora una volta che “in tema di responsabilità penale all’interno di un ente collettivo, la delega di funzioni, perché possa considerarsi liberatoria nei confronti di chi non abbia la rappresentanza e gestione, deve avere comunque forma espressa e contenuto chiaro …”. Se l’atto di delega deve essere inequivoco, pare logico dedurre che deve, altresì, essere espresso e non implicito, sicché la delega non può essere desunta dalla ripartizione interna all’azienda dei compiti assegnati ad altri dipendenti (cfr. Cassazione Penale, sezione IV, sentenza n. 39 del 9 gennaio 2001, ric. Colombo), in quanto il delegato deve essere messo nelle condizioni di conoscere le responsabilità che gli sono attribuite. Anche se sul requisito della forma scritta si rinvengono altre pronunce in questo senso (ad esempio, secondo la Corte pen., sez. III, sentenza n. 5777 del 12 febbraio 2004, ric. Maraglio, la delega di funzioni fatta oralmente è inefficace e non permette di trasferire la responsabilità penale dal soggetto preposto alla gestione dei rifiuti in una s.p.a. ad un altro soggetto presunto incaricato), la sentenza n. 22931 del 26 maggio 2003 della Corte di Cassazione Penale, ric. Conci, ha contrariamente stabilito che, nonostante la delega di funzioni debba avere forma espressa e contenuto chiaro, non è richiesta la forma scritta. Una recente pronuncia della Suprema Corte (S.C.) (Cass. pen., sez. III, n. 13706 del 19 aprile 2006, ric. Auletta) ribadisce che “la forma scritta, ancorché non richiesta per la validità dell’atto, ha tuttavia un’efficacia determinante ai fini della prova”;
 
3. Effettivo trasferimento dei poteri in capo al delegato, con l’attribuzione di una completa autonomia decisionale e di gestione, oltre alla possibilità di far fronte alle necessità più urgenti con idonea capacità di spesa. In questo requisito sono in realtà condensate tre condizioni che devono ugualmente sussistere ai fini dell’effettività della delega, affinché, cioè, questa non sia meramente fittizia e non sia un mezzo artificioso per scaricare la responsabilità a livelli mansionali inferiori ed inadeguati. A questo proposito, la sopraccitata sentenza n. 22931/2003 ha correttamente aggiunto che il delegato deve essere dotato di autonomia gestionale e di capacità di spesa nella materia delegata, sicché possa esercitare effettivamente la responsabilità assunta. Sul punto si segnala altresì la recentissima sentenza della Cass. Pen., Sez. Unite, n. 38343 del 18 novembre 2014, secondo la quale la delega di funzioni ” … nei limiti in cui è consentita dalla legge, opera la traslazione dal delegante al delegato di poteri e responsabilità che sono proprie del delegante medesimo. Questi, per così dire, si libera di poteri e responsabilità che vengono assunti a titolo derivativo dal delegato. La delega, quindi, determina la riscrittura della mappa dei poteri e delle responsabilità. Residua, in ogni caso … un obbligo di vigilanza “alta”, che riguarda il corretto svolgimento delle proprie funzioni da parte del soggetto delegato. Ma ciò che qui maggiormente rileva è che non vi è effetto liberatorio senza attribuzione reale di poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa pertinenti all’ambito delegato. In breve, la delega ha senso se il delegante (perché non sa, perché non può, perché non vuole agire personalmente) trasferisce incombenze proprie ad altri, cui attribuisce effettivamente i pertinenti poteri”.
 
4. Precise ed ineludibili norme interne o disposizioni statutarie che disciplinano il conferimento della delega, nonché adeguata pubblicità della stessa. In base a quanto sopra evidenziato, e nel rispetto di una corretta etica aziendale, pare più che opportuno che il conferimento della delega sia disciplinato da specifiche norme ed al contempo sia facilmente conoscibile dal maggior numero di persone: a questo proposito la Cass. pen., sez. III, con la sentenza n. 8092 del 15 luglio 1994, ric. Casetti, ha stabilito che l’attribuzione esclusiva di compiti deve risultare da precise norme interne preventivamente fissate ed approvate dai competenti organi, in quanto le cc.dd. mansioni di fatto non valgono ad escludere la responsabilità di chi per legge è tenuto ad espletarle. Non è indispensabile che “la delega”sia prevista, per esempio, nello statuto della società, ma è comunque necessario che non ci sia, perlomeno, alcuna norma statutaria che lo vieti esplicitamente;
 
5. Onerosità della delega: in linea del tutto teorica la delega può essere a titolo gratuito o oneroso, però la dottrina prevalente e con essa la giurisprudenza ritengono che la delega rappresenti un quid pluris da retribuire obbligatoriamente in aggiunta a quanto già pattuito tra le parti all’interno del contratto di lavoro.

 

Condizioni soggettive di ammissibilità

 

1. La capacità e l’idoneità tecnica del soggetto delegato: il delegante è chiamato a scegliere intuitu personae il delegato, in modo che questi possa esercitare la responsabilità con la dovuta professionalità, perché in caso di scelta impropria del collaboratore permane la responsabilità del delegante. La Corte di Cassazione Penale, sezione III, con la sentenza n. 19560 del 28 aprile 2004, ric. Buriola, ha espressamente fatto riferimento alla possibilità del delegante di demandare determinate attività “ad altri soggetti tecnicamente preparati”, ma, qualora non si sia provveduto ad una valida delega, sussiste la “responsabilità penale (del delegante) perché il legale rappresentante, anche se non svolge mansioni tecniche, è pur sempre preposto alla gestione della società”(nello stesso senso si è anche pronunciata la S.C. con la sentenza n. 39949 del 22 ottobre 2003 e non diversamente la III sezione penale della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 2860 del 30 novembre 1998, aveva già affermato che “il soggetto obbligato si può liberare dalla responsabilità penale solo nel caso in cui … abbia preventivamente trasferito – gli obblighi di prevenzione in materia di gestione dei rifiuti – ad altro soggetto, a condizione che il soggetto delegato sia idoneo da un punto di vista professionale”).
 
2. Divieto di ingerenza da parte del delegante nell’espletamento dell’attività del delegato: affinché la delega sia valida, l’autonomia decisionale del delegato deve necessariamente essere scevra da ogni intrusione del delegante. Sul punto, la Corte di Cassazione Penale, sezione IV, sentenza n. 13726 del 18 ottobre 1990, ric. Sbaraglia, ha statuito che “è vietato al delegante ogni intromissione sia tecnica che decisionale nella sfera di operatività attribuita al delegato; in caso contrario la condotta posta in essere dovrebbe essere imputata direttamente al primo”.
 
3. Insussistenza di una richiesta d’intervento da parte del delegato: qualora il soggetto delegato si trovi in una situazione di impossibilità oggettiva ad agire in maniera autonoma e solleciti l’intervento del delegante, questi non può esimersi richiamandosi all’esistenza della delega ed asserendo che non sia compito suo. Deve, invece, intervenire in aiuto del delegato, anche se ciò gli comporterà nuovamente l’assunzione di responsabilità penale. Infatti, Cass. Pen., sez. III, n. 13706 del 19 aprile 2006, ric. Auletta precisa che non vi deve essere “una richiesta d’intervento da parte del delegato rimasta inevasa …[sicché] la delega è inidonea ad esonerare da responsabilità il delegante solo nei casi in cui il delegato abbia inutilmente segnalato al preponente un problema … che non aveva i mezzi per risolvere”.
 
4. Mancata conoscenza della negligenza o della sopravvenuta inidoneità del delegato: presupposto di questo requisito soggettivo è che il delegato sia tecnicamente idoneo allo svolgimento dei compiti delegatigli, sicché, qualora venga meno la sua professionalità, il delegante “ha il preciso dovere di intervenire per rimuovere la situazione antigiuridica, poiché la delega, in quel momento, non vale ad esonerarlo da responsabilità” (Cass. pen., sezione IV, sentenza n. 13303 del 10 ottobre 1989, ric. Tedeschi). In genere, la dottrina maggioritaria ritiene che permanga sempre in capo al delegante uno specifico obbligo di vigilanza e di controllo sull’attività del delegato, ma non riguardo ad ogni singola attribuzione, bensì relativamente alla gestione complessiva delle sue attribuzioni.
 
5. Accettazione volontaria delle delega da parte del delegato: quest’ultimo requisito è necessario affinché il delegato abbia la piena consapevolezza dei compiti che si assume e della responsabilità cui va incontro.
Tra la giurisprudenza, si segnala la sentenza Cass. Pen. n. 8275 del 3 marzo 2010, che riassume gli anzidetti requisiti, stabilendo che “in materia ambientale, per attribuirsi rilevanza penale all’istituto della delega di funzioni, è necessaria la compresenza di precisi requisiti:

  • a) la delega deve essere puntuale ed espressa, con esclusione in capo al delegante di poteri residuali di tipo discrezionale;
  • b) il delegato deve essere tecnicamente idoneo e professionalmente qualificato per lo svolgimento del compito affidatogli;
  • c) il trasferimento delle funzioni delegate deve essere giustificato in base alle dimensioni dell’impresa o, quantomeno, alle esigenze organizzative della stessa;
  • d) la delega deve riguardare non solo le funzioni ma anche i correlativi poteri decisionali di spesa;
  • e) l’esistenza della delega deve essere giudizialmente provata in modo certo”.

 

Con la recente sentenza Cass. Pen. n. 46237 del 19 novembre 2013 si è affermato che “Una volta che sia provata la sussistenza delle condizioni richieste per il rilascio della delega di funzioni in materia ambientale, la responsabilità penale del delegato non è in discussione”.
 
Quindi, si ribadisce, la delega di funzioni è un istituto giurisprudenziale, privo di modulistica: diversamente accade nel campo della sicurezza sul lavoro, ove l’istituto della delega è normativamente previsto dall’art. 16[3] del D.L.vo n. 81/2008 (T.U. Sicurezza Lavoro).

Note
 
[1] In mancanza di detti requisiti, si segnala la sentenza della Corte di Cassazione n. 14352/2018, nella quale, in materia di responsabilità penale del datore di lavoro e del preposto in caso di mancanza dei requisiti formali della delega, ha chiarito che il ruolo ricoperto dai due soggetti e, in particolare, l’inesistenza di un formale atto di delega ai sensi dell’articolo 16 del Decreto Legislativo n. 81/2008, non risultando chiaramente se il direttore del cantiere fosse un delegato o un soggetto preposto alla sicurezza del cantiere da parte del datore di lavoro, “non dovendosi trascurare che […] il preposto e il datore di lavoro hanno due posizioni di garanzia distinte e concorrenti. E qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell’obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l’omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione”. Inoltre, richiamando un orientamento giurisprudenziale ormai costante (a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite 14 ottobre 1992, n. 9874), la Cassazione ha precisato che: “l’individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e sull’igiene del lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto (ossia alla sua funzione formale)”
 
Ha, poi, ritenuto che: “in materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, possono essere trasferiti ad altri soggetti a condizione che il relativo atto di delega, ex art. 16 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, riguardi un ambito ben definito e non l’intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa, fermo restando, comunque, l’obbligo per il datore di lavoro di vigilare e di controllare che il delegato usi correttamente la delega, secondo quanto la legge prescrive”.
 
Quanto alla forma della delega, la Corte ha precisato che: “l’efficacia devolutiva della delega di funzioni è subordinata all’esistenza di un atto traslativo dei compiti connessi alla posizione di garanzia del titolare, che sia connotato dai requisiti della chiarezza e della certezza, i quali possono sussistere a prescindere dalla forma impiegata”.
[2] Conf. Cass. Pen., sez. III, n. 22931 del 26 maggio 2003, ric. Conci, secondo la quale ai fini della validità della delega non sono richiesti “requisiti dimensionali dell’impresa tali da imporre il decentramento delle mansioni”.
 
[3] L’art. 16 del D.L.vo n. 81/2008 così dispone: “1. La delega di funzioni da parte del datore di lavoro, ove non espressamente esclusa, è ammessa con i seguenti limiti e condizioni:
a) che essa risulti da atto scritto recante data certa;
b) che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
c) che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
d) che essa attribuisca al delegato l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate;
e) che la delega sia accettata dal delegato per iscritto.
 
2. Alla delega di cui al comma 1 deve essere data adeguata e tempestiva pubblicità.
 
3. La delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite. (L’obbligo di cui al primo periodo si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all’articolo 30, comma 4.)
3-bis. Il soggetto delegato può, a sua volta, previa intesa con il datore di lavoro delegare specifiche funzioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro alle medesime condizioni di cui ai commi 1 e 2. La delega di funzioni di cui al primo periodo non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al delegante in ordine al corretto espletamento delle funzioni trasferite. Il soggetto al quale sia stata conferita la delega di cui al presente comma non può, a sua volta, delegare le funzioni delegate”.
 

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