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Stefano Maglia

I confini della green economy

di Stefano Leoni

Categoria: Rifiuti

Da lungo tempo ci si chiede quale sia il perimetro della green economy o, se siete meno ambiziosi, solo quello dell’economia circolare e della bioeconomia. Di fronte a questa domanda le risposte sono state le più disparate.

 

C’è chi individua il limes declinandolo per settori di attività, altri invece sostengono che per far parte della green economy basti vantare il ricorso alle Best Available Technologies (BAT) o infine chi afferma che è green chi opera softly, ponendo così il problema di determinare quando un’attività è da considerare morbida.

Tutti e tre gli approcci portano però a conclusioni difficili da digerire. È sufficiente lavorare nella gestione dei rifiuti per essere green? O rispettare le migliori BAT per sostenere che una raffineria di petrolio è green? Oppure lavorare in un’attività agricola mirata a prodotti di qualità?

Dare una risposta definitiva ad una simile ricerca non è ancora possibile, tuttavia negli ultimi tempi sono state lasciate delle impronte che segnano un percorso interessante. Queste tracce le sta lasciando la Commissione europea disciplinando un settore finora non preso in sufficiente considerazione da chi si occupa di green economy: la finanza.

 

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Alla fine del 2019 fu emanato il regolamento europeo n. 2088 che si prefigge di disciplinare l’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari, con lo scopo di introdurre nell’ordinamento giuridico norme armonizzate sulla trasparenza per i partecipanti ai mercati finanziari e i consulenti finanziari per quanto riguarda l’integrazione dei rischi di sostenibilità e la considerazione degli effetti negativi per la sostenibilità nei loro processi e nella comunicazione delle informazioni connesse alla sostenibilità relative ai prodotti finanziari.

In altre parole, lo scopo di questo provvedimento è quello di consentire a chi intende delegare l’utilizzo dei propri risparmi in operazioni finanziarie di verificare che questi siano impiegati per investimenti non solo sostenibili economicamente, ma anche ambientalmente e socialmente. Questa trasparenza consentirebbe ad un risparmiatore ambientalmente sensibile di orientare i propri investimenti in impieghi non impattanti o che addirittura promuovono lo sviluppo sostenibile.

 

Ciò appare più chiaro leggendo la definizione di «investimento sostenibile», ossia quello effettuato in un’attività economica che contribuisce a un obiettivo ambientale, misurato, ad esempio, mediante indicatori chiave di efficienza delle risorse concernenti l’impiego di energia, l’impiego di energie rinnovabili, l’utilizzo di materie prime e di risorse idriche e l’uso del suolo, la produzione di rifiuti, le emissioni di gas a effetto serra nonché l’impatto sulla biodiversità e l’economia circolare o un investimento in un’attività economica che contribuisce a un obiettivo sociale, in particolare un investimento che contribuisce alla lotta contro la disuguaglianza, o che promuove la coesione sociale, l’integrazione sociale e le relazioni industriali, o un investimento in capitale umano o in comunità economicamente o socialmente svantaggiate a condizione che tali investimenti non arrechino un danno significativo a nessuno di tali obiettivi e che le imprese che beneficiano di tali investimenti rispettino prassi di buona governance, in particolare per quanto riguarda strutture di gestione solide, relazioni con il personale, remunerazione del personale e rispetto degli obblighi fiscali.

 

In questa definizione di sostenibilità, quindi, convivono gli aspetti ambientale e sociale, oltre implicitamente a quello economico. Una disciplina importante per l’avanzamento delle politiche di tutela ambientale, che ha imposto l’obbligo in capo a chi intende partecipare ai mercati finanziari – ossia un’assicurazione, un ente pensionistico, un gestore di fondi o anche un ente creditizio che offre servizi di gestione del portafoglio – di pubblicare sui loro siti web informazioni circa le rispettive politiche sull’integrazione dei rischi di sostenibilità nei loro processi decisionali relativi agli investimenti.
 

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Tuttavia, ciò lasciava ancora impregiudicato cosa si intendesse per sostenibilità. Un salto in avanti è stato operato con la pubblicazione del regolamento europeo 2020/852 che istituisce un quadro per favorire gli investimenti ecosostenibili. Il perseguimento di tale obiettivo emerge sin dall’art. 1 – stabilisce i criteri per determinare se un’attività economica possa considerarsi ecosostenibile – e raggiunge l’apice all’art. 17, laddove declina il principio del danno significativo agli obiettivi ambientali. Ma andiamo per gradi.

 

Per misurare l’ecosostenibilità vengono presi in considerazione i seguenti obiettivi ambientali:

a) la mitigazione dei cambiamenti climatici;

b) l’adattamento ai cambiamenti climatici;

c) l’uso sostenibile e la protezione delle acque e delle risorse marine;

d) la transizione verso un’economia circolare;

e) la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento;

f) la protezione e il ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.

 

E per considerare un’attività economica ecosostenibile si devono riscontrare le seguenti condizioni:

  1. contribuisce in modo sostanziale al raggiungimento di uno o più degli obiettivi ambientali indicati nel regolamento;
  2. non arreca un danno significativo a nessuno degli obiettivi ambientali;
  3. è svolta nel rispetto delle garanzie minime di salvaguardia previste dallo stesso regolamento; e
  4. è conforme ai criteri di vaglio tecnico fissati dalla Commissione.

 

Le prime due lettere possono sembrare in contraddizione – ciò che contribuisce in modo sostanziale al raggiungimento di un obiettivo ambientale comprova implicitamente che non può nuocere allo stesso -, ma solo in apparenza, perché un investimento che ci può avvicinare ad un determinato obiettivo ambientale può allontanarci da un altro. Un esempio è dato dall’incenerimento dei rifiuti, anche se precede il recupero energetico.

 

Infatti, se il bilancio delle emissioni evitate del recupero energetico da rifiuti – denominato incenerimento dal diritto europeo – può risultare positivo rispetto alla pratica del loro smaltimento e, così, avvicinandoci agli obiettivi climatici, ci allontana di molto dall’obiettivo di circolarità. A tal proposito l’art. 17 (danno significativo agli obiettivi ambientali) afferma esplicitamente che se l’investimento comporta un significativo aumento dell’incenerimento dei rifiuti deve ritenersi dannoso allo sviluppo dell’economia circolare. In altri termini un simile investimento non è considerato ecosostenibile.

 

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Per valutare se un’attività contribuisce in maniera sostanziale ad un obiettivo ambientale il regolamento elenca una serie esaustiva di elementi. Sempre rimanendo in tema di economia circolare l’art. 13 dispone che Si considera che un’attività economica dà un contributo sostanziale alla transizione verso un’economia circolare, compresi la prevenzione, il riutilizzo e il riciclaggio dei rifiuti, se:

a) utilizza in modo più efficiente le risorse naturali, compresi i materiali a base biologica di origine sostenibile e altre materie prime, nella produzione, anche attraverso:

i) la riduzione dell’uso di materie prime primarie o aumentando l’uso di sottoprodotti e materie prime secondarie; o

ii) misure di efficienza energetica e delle risorse;

b) aumenta la durabilità, la riparabilità, la possibilità di miglioramento o della riutilizzabilità dei prodotti, in particolare nelle attività di progettazione e di fabbricazione;

c) aumenta la riciclabilità dei prodotti, compresa la riciclabilità dei singoli materiali ivi contenuti, anche sostituendo o riducendo l’impiego di prodotti e materiali non riciclabili, in particolare nelle attività di progettazione e di fabbricazione;

d) riduce in misura sostanziale il contenuto di sostanze pericolose e sostituisce le sostanze estremamente preoccupanti in materiali e prodotti in tutto il ciclo di vita, in linea con gli obiettivi indicati nel diritto dell’Unione, anche rimpiazzando tali sostanze con alternative più sicure e assicurando la tracciabilità dei prodotti;

e) prolunga l’uso dei prodotti, anche attraverso il riutilizzo, la progettazione per la longevità, il cambio di destinazione, lo smontaggio, la rifabbricazione, la possibilità di miglioramento e la riparazione, e la condivisione dei prodotti;

f) aumenta l’uso di materie prime secondarie e il miglioramento della loro qualità, anche attraverso un riciclaggio di alta qualità dei rifiuti;

g) previene o riduce la produzione di rifiuti, anche la produzione di rifiuti derivante dall’estrazione di minerali e dalla costruzione e demolizione di edifici;

h) aumenta la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio dei rifiuti;

i) potenzia lo sviluppo delle infrastrutture di gestione dei rifiuti necessarie per la prevenzione, la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio, garantendo al contempo che i materiali di recupero siano riciclati nella produzione come apporto di materie prime secondarie di elevata qualità, evitando così il downcycling;

j) riduce al minimo l’incenerimento dei rifiuti ed evita lo smaltimento dei rifiuti, compresa la messa in discarica, conformemente ai principi della gerarchia dei rifiuti;

k) evita e riduce la dispersione di rifiuti; o

l) sostiene una attività elencate alle lettere da a) a k) …

 

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Questa puntuale elencazione avviene anche per gli altri obiettivi, fornendo così un quadro di riferimento su ciò che può essere considerato green, ma anche aiutandoci a smascherare il cosiddetto greenwashing.

 

Il regolamento, quindi, rappresenta una notevole passo in avanti, ma comunque è solo una tappa della marcia che ha intrapreso la Commissione europea. Se, infatti, rispettare questi orientamenti è ancora una facoltà per i soggetti privati, lo è meno per gli Stati membri.

 

Infatti con il Piano Next Generation – per intenderci il Recovery Plan – il principio del danno significativo ad un obiettivo ambientale è diventato un discrimine per l’accesso a tali fondi. Il Recente documento “Guidance to member States recovery and resilience plan” – SWD(2021) 12 final – pubblicato il 22 gennaio 2021 impone che tutti gli investimenti non devono generare questa tipologia di danno, pena la loro esclusione dall’utilizzo di detti fondi.

 

 

Piacenza, 16 marzo 2021

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