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I rifiuti a rischio infettivo e la loro sterilizzazione
di Chiara Zorzino
Categoria: Rifiuti
I rifiuti a rischio infettivo rientrano nella categoria dei rifiuti pericolosi, ai sensi dell’art. 184, c. 4, D. L. vo n. 152/06 “Norme in materia ambientale”, che recita: “Sono rifiuti pericolosi quelli che recano le caratteristiche di cui all’allegato I[1] della parte quarta del presente decreto”. La normativa in materia di rifiuti sanitari, D.P.R. n. 254 del 15 luglio 2003, essendo posta in rapporto di specialità rispetto al D.L. vo sopracitato, entra maggiormente nel merito della questione, regolamentando, ex art. 1, comma 5, i rifiuti sanitari, alle lettere da a) ad e), ma anche, alla lettera g): “i rifiuti speciali, prodotti al di fuori delle strutture sanitarie, che come rischio risultano analoghi ai rifiuti pericolosi a rischio infettivo, con l’esclusione degli assorbenti igienici.” In particolare, questa categoria di rifiuti, è meglio definita all’art. 2, comma 1, lett. i): “rifiuti speciali, prodotti al di fuori delle strutture sanitarie, che come rischio risultano analoghi ai rifiuti pericolosi a rischio infettivo: i rifiuti speciali, di cui al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, prodotti al di fuori delle strutture sanitarie, con le caratteristiche di cui all’articolo 2, comma 1, lettera d[2]), quali ad esempio quelli prodotti presso laboratori di analisi microbiologiche di alimenti, di acque, o di cosmetici, presso industrie di emoderivati, istituti estetici e similari. Sono esclusi gli assorbenti igienici;”. I rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo, definiti appunto dall’art. 2, comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 254/2003, a differenza di quelli non pericolosi presentano un rischio infettivo o un rischio di altro genere (per lo più chimico). Tali rifiuti sono tutti globalmente ricompresi, come da definizione normativa, nei CER 18.01.03 e 18.02.02[3]. Ebbene, quando è richiesta la loro sterilizzazione? La sterilizzazione, viene definita, all’art. 2, comma 1, lettera m) come un “abbattimento della carica microbica tale da garantire un S.A.L. (Sterility Assurance Level) non inferiore a 10-6. La sterilizzazione è effettuata secondo le norme UNI 10384/94, parte prima, mediante procedimento che comprenda anche la triturazione e l’essiccamento ai fini della non riconoscibilità e maggiore efficacia del trattamento, nonché della diminuzione di volume e di peso dei rifiuti stessi…”. Le modalità di sterilizzazione dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo, con dettagli in merito alle autorizzazioni richieste agli impianti e alle responsabilità dei direttori/gestori degli impianti, sono disciplinati all’art. 7. All’art. 9, invece, il D.P.R. regolamenta inoltre il deposito temporaneo, il deposito preliminare, la messa in riserva, la raccolta e il trasporto dei rifiuti sanitari sterilizzati, in particolare, al comma 1, si legge: “1. I rifiuti sanitari sterilizzati di cui all’articolo 2, comma 1, lettera g), numero 8), assimilati ai rifiuti urbani, devono essere raccolti e trasportati con il codice CER 20 03 01, utilizzando appositi imballaggi a perdere, anche flessibili, di colore diverso da quelli utilizzati per i rifiuti urbani e per gli altri rifiuti sanitari assimilati, recanti, ben visibile, l’indicazione indelebile «Rifiuti sanitari sterilizzati» alla quale dovrà essere aggiunta la data della sterilizzazione” e al comma 2: “2. Le operazioni di raccolta e trasporto dei rifiuti sanitari sterilizzati, assimilati ai rifiuti urbani, … sono sottoposte al regime giuridico ed alle norme tecniche che disciplinano la gestione dei rifiuti urbani”. Per quanto concerne quelli non assimilati ai rifiuti urbani, il comma 3 precisa che se smaltiti fuori dell’ambito territoriale ottimale (ATO) presso impianti di incenerimento di rifiuti urbani o discariche di rifiuti non pericolosi “…devono essere raccolti e trasportati separatamente dai rifiuti urbani”, mentre il comma successivo riporta che se “avviati in impianti di produzione di combustibile derivato da rifiuti (CDR) od avviati in impianti che utilizzano i rifiuti sanitari sterilizzati come mezzo per produrre energia, devono essere raccolti e trasportati separatamente dai rifiuti urbani utilizzando il codice CER 19 12 10”. L’art. 8[4] fornisce le disposizioni in merito al deposito temporaneo, deposito preliminare, messa in riserva, raccolta e trasporto dei rifiuti sanitari (non sterilizzati) ed è evidente la differenza nelle operazioni di gestione richieste rispetto a quelli sterilizzati. Ne consegue una chiara deduzione, confermata da quanto riportato all’art. 2 del citato D.P.R.: “Possono essere sterilizzati unicamente i rifiuti sanitari pericolosi a solo rischio infettivo. …. La sterilizzazione dei rifiuti sanitari a rischio infettivo è una facoltà esercitabile ai fini della semplificazione delle modalità di gestione dei rifiuti stessi..”.
[1] Parte IV – Allegato I – Caratteristiche di pericolo per i rifiuti – H9 “Infettivo”: sostanze contenenti microrganismi vitali o loro tossine, conosciute o ritenute per buoni motivi come cause di malattie nell’uomo o in altri organismi viventi. [2] D.P.R. n. 254 del 15 luglio 2003. Art. 2, lett. d): “rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo: i seguenti rifiuti sanitari individuati dalle voci 18.01.03 e 18.02.02 nell’allegato A della citata direttiva in data 9 aprile 2002: 1) tutti i rifiuti che provengono da ambienti di isolamento infettivo nei quali sussiste un rischio di trasmissione biologica aerea, nonché da ambienti ove soggiornano pazienti in isolamento infettivo affetti da patologie causate da agenti biologici di gruppo 4, di cui all’allegato XI del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni; 2) i rifiuti elencati a titolo esemplificativo nell’allegato I del presente regolamento che presentano almeno una delle seguenti caratteristiche: 2a) provengano da ambienti di isolamento infettivo e siano venuti a contatto con qualsiasi liquido biologico secreto od escreto dei pazienti isolati; 2b) siano contaminati da: 2b1) sangue o altri liquidi biologici che contengono sangue in quantità tale da renderlo visibile; 2b2) feci o urine, nel caso in cui sia ravvisata clinicamente dal medico che ha in cura il paziente una patologia trasmissibile attraverso tali escreti; 2b3) liquido seminale, secrezioni vaginali, liquido cerebro-spinale, liquido sinoviale, liquido pleurico, liquido peritoneale, liquido pericardico o liquido amniotico; 3) i rifiuti provenienti da attività veterinaria, che: 3a) siano contaminati da agenti patogeni per l’uomo o per gli animali; 3b) siano venuti a contatto con qualsiasi liquido biologico secreto od escreto per il quale sia ravvisato, dal medico veterinario competente, un rischio di patologia trasmissibile attraverso tali liquidi“. [3] GUAGNINI G., “Sui contenitori dei rifiuti sanitari pericolosi” in www.tuttoambiente.it. [4] Così l’art. 8 al comma 1: “..il deposito preliminare, la raccolta ed il trasporto dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo devono essere effettuati utilizzando apposito imballaggio a perdere, anche flessibile, recante la scritta «Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo» e il simbolo del rischio biologico o, se si tratta di rifiuti taglienti o pungenti, apposito imballaggio rigido a perdere, resistente alla puntura, recante la scritta «Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo taglienti e pungenti», contenuti entrambi nel secondo imballaggio rigido esterno, eventualmente riutilizzabile previa idonea disinfezione ad ogni ciclo d’uso, recante la scritta «Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo». Si aggiunge inoltre che: “2. Gli imballaggi esterni di cui al comma 1 devono avere caratteristiche adeguate per resistere agli urti ed alle sollecitazioni provocate durante la loro movimentazione e trasporto, e devono essere realizzati in un colore idoneo a distinguerli dagli imballaggi utilizzati per il conferimento degli altri rifiuti …”
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I rifiuti a rischio infettivo e la loro sterilizzazione
di Chiara Zorzino
I rifiuti a rischio infettivo rientrano nella categoria dei rifiuti pericolosi, ai sensi dell’art. 184, c. 4, D. L. vo n. 152/06 “Norme in materia ambientale”, che recita: “Sono rifiuti pericolosi quelli che recano le caratteristiche di cui all’allegato I[1] della parte quarta del presente decreto”. La normativa in materia di rifiuti sanitari, D.P.R. n. 254 del 15 luglio 2003, essendo posta in rapporto di specialità rispetto al D.L. vo sopracitato, entra maggiormente nel merito della questione, regolamentando, ex art. 1, comma 5, i rifiuti sanitari, alle lettere da a) ad e), ma anche, alla lettera g): “i rifiuti speciali, prodotti al di fuori delle strutture sanitarie, che come rischio risultano analoghi ai rifiuti pericolosi a rischio infettivo, con l’esclusione degli assorbenti igienici.” In particolare, questa categoria di rifiuti, è meglio definita all’art. 2, comma 1, lett. i): “rifiuti speciali, prodotti al di fuori delle strutture sanitarie, che come rischio risultano analoghi ai rifiuti pericolosi a rischio infettivo: i rifiuti speciali, di cui al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, prodotti al di fuori delle strutture sanitarie, con le caratteristiche di cui all’articolo 2, comma 1, lettera d[2]), quali ad esempio quelli prodotti presso laboratori di analisi microbiologiche di alimenti, di acque, o di cosmetici, presso industrie di emoderivati, istituti estetici e similari. Sono esclusi gli assorbenti igienici;”.
I rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo, definiti appunto dall’art. 2, comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 254/2003, a differenza di quelli non pericolosi presentano un rischio infettivo o un rischio di altro genere (per lo più chimico). Tali rifiuti sono tutti globalmente ricompresi, come da definizione normativa, nei CER 18.01.03 e 18.02.02[3].
Ebbene, quando è richiesta la loro sterilizzazione? La sterilizzazione, viene definita, all’art. 2, comma 1, lettera m) come un “abbattimento della carica microbica tale da garantire un S.A.L. (Sterility Assurance Level) non inferiore a 10-6. La sterilizzazione è effettuata secondo le norme UNI 10384/94, parte prima, mediante procedimento che comprenda anche la triturazione e l’essiccamento ai fini della non riconoscibilità e maggiore efficacia del trattamento, nonché della diminuzione di volume e di peso dei rifiuti stessi…”.
Le modalità di sterilizzazione dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo, con dettagli in merito alle autorizzazioni richieste agli impianti e alle responsabilità dei direttori/gestori degli impianti, sono disciplinati all’art. 7.
All’art. 9, invece, il D.P.R. regolamenta inoltre il deposito temporaneo, il deposito preliminare, la messa in riserva, la raccolta e il trasporto dei rifiuti sanitari sterilizzati, in particolare, al comma 1, si legge: “1. I rifiuti sanitari sterilizzati di cui all’articolo 2, comma 1, lettera g), numero 8), assimilati ai rifiuti urbani, devono essere raccolti e trasportati con il codice CER 20 03 01, utilizzando appositi imballaggi a perdere, anche flessibili, di colore diverso da quelli utilizzati per i rifiuti urbani e per gli altri rifiuti sanitari assimilati, recanti, ben visibile, l’indicazione indelebile «Rifiuti sanitari sterilizzati» alla quale dovrà essere aggiunta la data della sterilizzazione” e al comma 2: “2. Le operazioni di raccolta e trasporto dei rifiuti sanitari sterilizzati, assimilati ai rifiuti urbani, … sono sottoposte al regime giuridico ed alle norme tecniche che disciplinano la gestione dei rifiuti urbani”. Per quanto concerne quelli non assimilati ai rifiuti urbani, il comma 3 precisa che se smaltiti fuori dell’ambito territoriale ottimale (ATO) presso impianti di incenerimento di rifiuti urbani o discariche di rifiuti non pericolosi “…devono essere raccolti e trasportati separatamente dai rifiuti urbani”, mentre il comma successivo riporta che se “avviati in impianti di produzione di combustibile derivato da rifiuti (CDR) od avviati in impianti che utilizzano i rifiuti sanitari sterilizzati come mezzo per produrre energia, devono essere raccolti e trasportati separatamente dai rifiuti urbani utilizzando il codice CER 19 12 10”. L’art. 8[4] fornisce le disposizioni in merito al deposito temporaneo, deposito preliminare, messa in riserva, raccolta e trasporto dei rifiuti sanitari (non sterilizzati) ed è evidente la differenza nelle operazioni di gestione richieste rispetto a quelli sterilizzati. Ne consegue una chiara deduzione, confermata da quanto riportato all’art. 2 del citato D.P.R.: “Possono essere sterilizzati unicamente i rifiuti sanitari pericolosi a solo rischio infettivo. …. La sterilizzazione dei rifiuti sanitari a rischio infettivo è una facoltà esercitabile ai fini della semplificazione delle modalità di gestione dei rifiuti stessi..”.
[1] Parte IV – Allegato I – Caratteristiche di pericolo per i rifiuti – H9 “Infettivo”: sostanze contenenti microrganismi vitali o loro tossine, conosciute o ritenute per buoni motivi come cause di malattie nell’uomo o in altri organismi viventi.
[2] D.P.R. n. 254 del 15 luglio 2003. Art. 2, lett. d): “rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo: i seguenti rifiuti sanitari individuati dalle voci 18.01.03 e 18.02.02 nell’allegato A della citata direttiva in data 9 aprile 2002:
1) tutti i rifiuti che provengono da ambienti di isolamento infettivo nei quali sussiste un rischio di trasmissione biologica aerea, nonché da ambienti ove soggiornano pazienti in isolamento infettivo affetti da patologie causate da agenti biologici di gruppo 4, di cui all’allegato XI del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni;
2) i rifiuti elencati a titolo esemplificativo nell’allegato I del presente regolamento che presentano almeno una delle seguenti caratteristiche:
2a) provengano da ambienti di isolamento infettivo e siano venuti a contatto con qualsiasi liquido biologico secreto od escreto dei pazienti isolati;
2b) siano contaminati da:
2b1) sangue o altri liquidi biologici che contengono sangue in quantità tale da renderlo visibile;
2b2) feci o urine, nel caso in cui sia ravvisata clinicamente dal medico che ha in cura il paziente una patologia trasmissibile attraverso tali escreti;
2b3) liquido seminale, secrezioni vaginali, liquido cerebro-spinale, liquido sinoviale, liquido pleurico, liquido peritoneale, liquido pericardico o liquido amniotico;
3) i rifiuti provenienti da attività veterinaria, che:
3a) siano contaminati da agenti patogeni per l’uomo o per gli animali;
3b) siano venuti a contatto con qualsiasi liquido biologico secreto od escreto per il quale sia ravvisato, dal medico veterinario competente, un rischio di patologia trasmissibile attraverso tali liquidi“.
[3] GUAGNINI G., “Sui contenitori dei rifiuti sanitari pericolosi” in www.tuttoambiente.it.
[4] Così l’art. 8 al comma 1: “..il deposito preliminare, la raccolta ed il trasporto dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo devono essere effettuati utilizzando apposito imballaggio a perdere, anche flessibile, recante la scritta «Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo» e il simbolo del rischio biologico o, se si tratta di rifiuti taglienti o pungenti, apposito imballaggio rigido a perdere, resistente alla puntura, recante la scritta «Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo taglienti e pungenti», contenuti entrambi nel secondo imballaggio rigido esterno, eventualmente riutilizzabile previa idonea disinfezione ad ogni ciclo d’uso, recante la scritta «Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo». Si aggiunge inoltre che: “2. Gli imballaggi esterni di cui al comma 1 devono avere caratteristiche adeguate per resistere agli urti ed alle sollecitazioni provocate durante la loro movimentazione e trasporto, e devono essere realizzati in un colore idoneo a distinguerli dagli imballaggi utilizzati per il conferimento degli altri rifiuti …”
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