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Stefano Maglia

Il punto sul riutilizzo e sulla preparazione per il riutilizzo: il caso del Friuli Venezia Giulia

di Stefano Maglia, Silvia Bettineschi

Categoria: Rifiuti

 

La Direttiva europea 2008/98/CE[1], in armonia con la propria finalità di minimizzazione della produzione di rifiuti e di ottimizzazione della gestione degli stessi, ha introdotto due fondamentali concetti normativi, quello di “riutilizzo” e quello di “preparazione per il riutilizzo[2], intendendo con il primo “qualsiasi operazione attraverso la quale prodotti o componenti che non sono rifiuti sono reimpiegati per la stessa finalità per la quale erano stati concepiti” e con il secondo “le operazioni di controllo, pulizia, e riparazione attraverso cui prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti sono preparati in modo da poter essere reimpiegati senza altro pretrattamento” (art. 3, punti 1-17).
Tali definizioni sono state recepite in modo pressoché identico in Italia dal D.Lgs. 3 dicembre 2010 n. 205[3], il quale le ha introdotte nell’art. 183, comma 1, lett. q) e lett. r), D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152[4].
L’art. 179 del D.lgs. 152/2006 ha modificato gli originali criteri di priorità nella gestione dei rifiuti, inserendo, dopo la prevenzione, la preparazione per il riutilizzo. Si tratta, come recita l’articolo stesso, di “un ordine di priorità di ciò che costituisce la migliore opzione ambientale”.
Da quest’ordine di priorità si può trarre spunto per individuare la differenza tra i due concetti suddetti: mentre il riutilizzo riguarda un prodotto o una componente che non è rifiuto e si colloca, dunque, nell’ambito della prevenzione, la preparazione per il riutilizzo riguarda un prodotto o una componente diventato rifiuto. Solo quest’ultima, concordemente ritenuta dalla dottrina una delle forme di recupero, necessiterà di un’autorizzazione, la quale, al momento, come si dirà di seguito, comporta qualche problema pratico[5].
La preminenza data al riutilizzo e alla preparazione per il riutilizzo induce a focalizzarsi sullo stato attuale del loro processo evolutivo, soprattutto in quanto, come recita l’art. 180-bis, comma 2 del D.Lgs. n. 152/2006, entro il termine di 6 mesi, dunque entro il mese di giugno del 2011, si sarebbe dovuto emanare un DM per definire le modalità operative per la costituzione e il sostegno di centri e reti accreditati di riparazione/riutilizzo “compresa la definizione di procedure autorizzative semplificate e di un catalogo esemplificativo di prodotti e rifiuti di prodotti che possono essere sottoposti, rispettivamente, a riutilizzo o a preparazione per il riutilizzo”.
Ad oggi, a distanza di più di quattro anni, nessun provvedimento è stato emanato dal Ministero competente. L’inerzia sconsiderata del legislatore nazionale perdura in modo ostinato. Tale lacuna nella normativa statale induce a riflettere, ma soprattutto ad analizzare più da vicino se vi siano stati eventuali interventi recenti da parte di una qualche pubblica amministrazione che si sia resa pioniera di una politica che valorizzi non solo la componente ambientale, ma anche quella sociale ed economica. L’art. 180-bis comma 1, infatti, prevede che le pubbliche amministrazioni promuovano “iniziative dirette a favorire il riutilizzo dei prodotti e la preparazione per il riutilizzo dei rifiuti”. Tali iniziative possono consistere nell’uso di strumenti economici, in misure logistiche, come la costituzione ed il sostegno di centri e reti accreditati di riparazione/riutilizzo, di misure educative, di promozione di accordi di programma etc.
L’ultima deliberazione in tal senso è stata adottata dal Friuli Venezia Giulia[6], la cui Giunta regionale ha approvato delle linee guida regionali per la realizzazione e la gestione dei cd centri di riuso. Nel fare ciò, come espressamente indicato nel provvedimento, il Friuli Venezia Giulia ha tenuto in considerazione altre esperienze precedenti concretizzatesi in alcune realtà regionali, come l’Abruzzo[7], le Marche[8] e la Lombardia[9], al fine di guidare i Comuni che abbiano intenzione di realizzare centri di riuso.
Numerosi sono, effettivamente, gli elementi comuni ai vari provvedimenti, a partire dalle premesse, le quali individuano le motivazioni che hanno indotto ciascuna Regione ad intraprendere simili iniziative. Emerge l’assoluta priorità della prevenzione, non solo in quanto principio dettato a livello europeo, ma in quanto “opportunità economica ed ambientale”, dunque la priorità della riduzione della produzione dei rifiuti, ancor prima del loro riciclaggio, recupero o smaltimento.
Dopo aver passato in rassegna le varie definizioni di riferimento, le Linee Guida del provvedimento friulano individuano obiettivi ed ambito di applicazione, caratteristiche e dotazioni tecniche del centro del riuso (ubicazione, dotazioni strutturali, attrezzature, dotazioni di servizio), tipologia dei beni usati e flusso degli stessi all’interno del centro di riuso. La gestione si compone di diverse fasi e di appositi Modelli che dovranno essere compilati secondo quanto stabilito. Prima dell’avvio dell’attività del centro di riuso, è necessario che venga effettuata iscrizione dello stesso nell’apposito Registro regionale istituito presso la Direzione centrale ambiente ed energia.
Uno degli aspetti più rilevanti della D.G.R. n. 1481/2015 del Friuli Venezia Giulia, che si rinviene anche negli ulteriori provvedimenti regionali, è la modalità di gestione di tali centri che, nel prevedere l’ottimizzazione del riuso dei beni, indicano la necessità di un coordinamento con le attività dei Centri di Raccolta dei rifiuti. Da un lato, infatti, dopo la valutazione del bene consegnato dal conferitore, è possibile che l’operatore non lo consideri idoneo al riuso e, di conseguenza, ritenga necessario destinarlo al centro di raccolta dei rifiuti. Dall’altro, è auspicabile una sensibilizzazione da parte degli operatori del centro di raccolta nei confronti dei conferitori di beni, affinché si valuti il riuso degli stessi prima che siano gestiti come rifiuti. L’integrazione tra le attività del centro di riuso e quelle del centro di raccolta consente, dunque, di sfruttare al massimo la possibilità di riutilizzo dei beni. A tal fine, il punto 7 del provvedimento prevede “aree di accesso comuni” e la possibilità di “adibire un’apposita area del centro di raccolta per la gestione dei beni usati[10], secondo determinate modalità.
In tal senso anche la Regione Lombardia, nell’individuare le modalità di valutazione della domanda ai fini del “Bando di sostegno regionale per l’assegnazione di contributi a enti pubblici per la realizzazione di “Centri di Riutilizzo” in attuazione del p.r.g.r. approvato con d.g.r. n. 1990 del 20 giugno 2014”, ha individuato tra i criteri socio-economici e gestionali l’ubicazione del centro di riuso e la sua distanza rispetto al centro di raccolta, nonché la possibilità di intercettare beni utilizzabili prima che vengano conferiti erroneamente nei centri di raccolta.
È evidente che il provvedimento del Friuli Venezia Giulia si pone in linea con l’orientamento europeo che ha come obiettivo prioritario la riduzione della produzione di rifiuti. In assenza di un provvedimento nazionale, è data la possibilità ai Comuni di essere guidati nella realizzazione e gestione dei centri di riuso, in attuazione del principio di prevenzione.
Tuttavia, rileva sottolineare che, ad oggi, in merito alla realizzazione di attività di preparazione per il riutilizzo, in particolare alla definizione di procedure autorizzative semplificate, ancora non emerge nessun riferimento normativo utile, ciò comportando una serie di problemi a livello pratico, il primo dei quali riguarda l’adeguatezza dell’autorizzazione. Se da un lato, infatti, come recita anche la DGR n. 1481 del Friuli Venezia Giulia, “le attività di riutilizzo, poiché consistono nel ritiro e nella ridistribuzione di beni usati non considerati rifiuti, non necessitano di autorizzazione ai sensi dell’articolo 208 del decreto legislativo 152/2006”, l’attività di preparazione per il riutilizzo, ritenuta concordemente dalla dottrina una forma di recupero, deve essere autorizzata riferendosi ad operazioni di controllo, pulizia, smontaggio e riparazione su prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti, affinché siano reimpiegabili in nuovi cicli di consumo.
Nonostante sia auspicabile la previsione di una forma più semplificata rispetto alle altre forme di recupero, poiché si è ancora in attesa dell’apposito DM, l’unica autorizzazione ammissibile è, nel frattempo, quella ordinaria[11].
L’ennesimo esempio di un principio giuridicamente valido che, tuttavia, non riesce ad essere attuato in maniera efficace a causa dell’inerzia del nostro legislatore, facendo sì che la priorità dell’attività di preparazione per il riutilizzo rischi di restare lettera morta.

 

[1]Direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. L312 del 22 novembre 2008.
[2] Si veda a tal proposito “Diritto e Gestione dell’ambiente. Quadro internazionale, comunitario e nazionale”, II edizione, 2013 di Amedeo Postiglione e Stefano Maglia, pp. 179 ss. e “La gestione dei rifiuti dalla A alla Z – 420 problemi, 420 soluzioni”, IV edizione, 2015, di Stefano Maglia, pp. 146 ss.
[3]Disposizioni di attuazione della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 288 del 10 dicembre 2010 , S.O. n. 269, ed in vigore dal 25 dicembre 2010.
[4]Norme in materia ambientale”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14 aprile 2006, S.O. n. 96, ed in vigore dal 29 aprile 2006.
[5] Si veda a tal proposito anche il commento “Che differenza c’è tra “riutilizzo” e “preparazione al riutilizzo”?” di Stefano Maglia, pubblicato in data 15 febbraio 2013 sul sito: www.tuttoambiente.it.
[6] Deliberazione della Giunta regionale 22 luglio 2015, n. 1481, “Approvazione delle linee guida regionali per la realizzazione e la gestione dei centri di riuso”, pubblicata sul BUR n. 31 del 5 agosto 2015.
[7] Si veda a tal proposito la Deliberazione della Giunta regionale n. 66 del 13 febbraio 2012, “Linee guida per la realizzazione dei Centri del Riuso” – pubblicata sul BUR n. 19 Speciale del 9 marzo 12.
[8] Si veda a tal proposito la Deliberazione della Giunta regionale n. 1793 del 12 dicembre 2010, “Prime linee di indirizzo regionali concernenti i Centri del riuso”.
[9] Si veda a tal proposito la Deliberazione della Giunta Regionale n. X/2792 del 5 dicembre 2015, Bando di sostegno regionale per l’assegnazione di contributi a enti pubblici per la realizzazione di “Centri del Riutilizzo” in attuazione del p.r.g.r. approvato con d.g.r. n. 1990 del 20 giugno 2014”, pubblicata sul BUR n. 50 del 10 dicembre 2014.
[10] In tal senso anche la DGR n. 66 del 13 febbraio 2012 della Regione Abruzzo e la DGR n. 1793 del 13 dicembre 2010 della Regione Marche: “In coordinamento con le attività del Centro di Raccolta, è possibile intervenire anche nei confronti del conferitore, dirottando al Centro di Riuso quei beni, non ancora consegnati in qualità di rifiuti, per i quali siano a prima vista evidenziabili le condizioni necessarie al riuso”.
[11] Si veda a tal proposito anche il commento “La preparazione per il riutilizzo è attività che necessita di autorizzazione?” di Stefano Maglia pubblicato in data 15 febbraio 2013 sul sito: www.tuttoambiente.it : “Come ulteriore operazione di recupero, la preparazione per il riutilizzo deve essere oggetto di autorizzazione, non certo nei termini di una delle dodici operazioni di recupero di cui all’Allegato C del D.L.vo 152/06 bensì come R13, poiché chi effettua le operazioni sui prodotti o componenti di prodotti divenuti rifiuti avrà, per lo meno, la preliminare necessità di gestirli in “messa in riserva”, per poi svolgervi le operazioni descritte dalla norma (ma senza alcun altro pretrattamento). A tal punto si sottolinea che non si è nemmeno d’accordo con chi vorrebbe inquadrare tale operazione in quella di cui all’R12, ipotizzando almeno la “separazione” quale operazione rientrante in tale tipologia. In realtà l’R12 rimanderebbe comunque necessariamente ad una delle operazioni tra quelle da R1 a R11 e pertanto non si capirebbe proprio né l’utilità né il favor. La realtà è che si tratti di un’operazione di trattamento generico, non rientrante tra quelle specifiche degli allegati B e C (v. quesito n. 343), che deve essere esplicitata con chiarezza in fase di autorizzazione, e con riferimento alla quale le pubbliche amministrazioni devono agire con la massima disponibilità”.

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