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Nell’ambito della disciplina della tutela al bene giuridico “aria” occorre richiamare due norme codicistiche che coesistono ed integrano la disciplina specifica di settore (principalmente contenuta nel D.Lgs. 152 del 2006), ossia l’art. 844 c.c. e l’art. 674 c.p.. Da un lato, l’art. 844 c.c. (“Immissioni”), in ambito civile, prevede che “Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi”; dall’altro, l’art. 674 c.p. (“Getto pericoloso di cose”), in materia penale, stabilisce che “Chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a duecentosei euro”. A tal proposito volgere l’attenzione ad una recente sentenza, la n. 36905 del 14 settembre 2015, emessa dalla Corte di Cassazione (Sez. III Pen.), può rappresentare lo spunto per analizzare l’orientamento della giurisprudenza in relazione all’applicabilità dei suddetti articoli in materia di emissioni odorigene, nel cui ambito non risulta possibile individuare idonei limiti tabellari. Nel caso di specie una società di produzione di compost di qualità provocava esalazioni maleodoranti atte a molestare gli abitanti delle zone limitrofe, motivo per cui il Tribunale in primo grado ha condannato il legale rappresentante della stessa per il reato di cui all’art. 674 c.p. Le considerazioni in diritto svolte dalla Cassazione consentono di rilevare una serie di aspetti interessanti in merito a parametri e criteri di valutazione delle emissioni odorigene; in particolare, secondo i giudici, “la contravvenzione di cui all’art. 674 c.p. è reato di pericolo, configurabile in presenza anche di “molestie olfattive” promananti da impianto munito di autorizzazione in quanto non esiste una normativa statale che prevede disposizioni specifiche e valori limite in materia di odori, con conseguente individuazione del criterio della “stretta tollerabilità” quale parametro di legalità dell’emissione, attesa l’inidoneità ad approntare una protezione adeguata all’ambiente ed alla salute umana di quello della “normale tollerabilità”. L’art. 844 c.c., il quale fa riferimento al parametro della “normale tollerabilità”, secondo la Suprema Corte (che richiama anche l’orientamento della Corte Costituzionale), “è norma destinata a risolvere il conflitto tra proprietari di fondi vicini per le influenze negative derivanti da attività svolte nei rispettivi fondi”. Da ciò deriva che il criterio della normale tollerabilità accolto dall’art. 844 c.c. non può essere utilizzato per giudicare in merito alle immissioni pregiudizievoli per la salute umana e per l’ambiente, potendosi riferire esclusivamente al diritto di proprietà. Il fatto che si tratti di un reato di pericolo concreto e che la valutazione della tollerabilità delle emissioni olfattive debba essere effettuata sulla base di un criterio differente, cioè quello della stretta tollerabilità, fa sì che il parere del giudice, in mancanza di adeguati strumenti di valutazione, possa basarsi sulle dichiarazioni dei testi, “soprattutto se si tratta di persone a diretta conoscenza dei fatti, come i vicini, o particolarmente qualificate, come gli agenti di polizia e gli organi di controllo della USL”. Tuttavia, è necessario che dette testimonianze si riferiscano soltanto a quanto percepito in modo oggettivo dai dichiaranti e che non si risolvano in valutazioni meramente soggettive o giudizi di natura tecnica. Rileva, inoltre, far notare, al di là dell’individuazione del parametro di riferimento e del valore delle dichiarazioni dei testi, che nelle considerazioni espresse dalla Cassazione nella sentenza n. 36905/2015, qui in esame, non rileva il fatto che l’impianto, nel caso di specie, fosse autorizzato e avesse rispettato i limiti di emissione causa di inquinamento atmosferico, poiché trattasi in particolare di molestie olfattive e dunque di fattispecie differente. Per quanto riguarda, in particolare, il parametro della stretta tollerabilità, si segnalano altre sentenze, recenti o più risalenti, che impiegano tale criterio al fine di valutare la molestia olfattiva.
Cassazione Pen., Sez. III, n. 16670 del 4 maggio 2012 Nel caso di specie odori e fumi provenienti da un esercizio commerciale provocavano molestie ai vicini. La Corte ha ritenuto che non esistendo una normativa statale che prevede disposizioni specifiche e valori limite in materia di odori, il criterio individuabile, quale parametro di legalità dell’emissione, è quello della stretta tollerabilità, attesa l’inidoneità ad approntare una protezione adeguata all’ambiente e alla salute umana di quello della normale tollerabilità, previsto dall’art. 844 cod. civ.
Cassazione Pen., Sez. III, n. 2475 del 17 gennaio 2008 Il caso in esame riguardava stabilimenti alimentari e di lavorazione degli scarti animali che producevano inquinamento olfattivo. Anche qui la Corte ha stabilito che in assenza di una predeterminazione normativa, ove il giudice debba valutare la tollerabilità consentita delle emissioni prodotte sull’area esterna all’azienda e sulle persone che vi abitano o comunque vi operano, tale valutazione deve operarsi secondo criteri di stretta tollerabilità. In quest’ottica devono essere riguardate le c.d. “molestie olfattive”, dal momento che non sussiste una normativa statale che preveda disposizioni specifiche e valori-limite in materia di odori e tale materia è diversa da quella dell’inquinamento atmosferico.
Cassazione Pen., n. 19898 del 26 maggio 2005 Nello stesso senso si è espressa la Corte in un caso di smaltimento di rifiuti speciali mediante incenerimento senza autorizzazione che provocava una emissione di fumo acre e molesto.
Altre sentenze della Cassazione fanno, invece, riferimento al criterio della normale tollerabilità di cui all’art. 844 c.c.. Così, ad esempio, la sentenza n. 21138 del 16 maggio 2013, secondo la quale “in tema di getto pericoloso di cose, l’evento di molestia provocato dalle emissioni di gas, fumi o vapori è apprezzabile a prescindere dal superamento di eventuali limiti previsti dalla legge, essendo sufficiente il superamento del limite della normale tollerabilità ex art. 844 c.c. Laddove, quindi, non si tratti di attività industriali che trovino la loro regolamentazione in una specifica normativa di settore, per la configurabilità del reato non è necessario il superamento degli “standard” fissati dalla legge, essendo sufficiente che le emissioni siano idonee a superare la normale tollerabilità e quindi ad arrecare fastidio”. Si aggiunge, poi, che per accertare la normale tollerabilità il giudice può fondare il proprio convincimento su elementi probatori di diversa natura. Ancora, la sentenza n. 20748 del 14 maggio 2015 stabilisce che la molestia prescinde dal superamento di eventuali limiti previsti dalla legge, essendo sufflciente il superamento del limite della normale tollerabilità ex art. 844 c.c.; aggiunge, inoltre che mancando la possibilità di accertare obiettivamente, con adeguati strumenti, l’intensità delle emissioni, “il giudizio sull’esistenza e sulla non tollerabilità delle emissioni stesse ben può basarsi sulle dichiarazioni di testi, specie se a diretta conoscenza dei fatti, quando tali dichiarazioni non si risolvano nell’espressione di valutazioni meramente soggettive o in giudizi di natura tecnica ma consistano nel riferimento a quanto oggettivamente percepito dagli stessi dichiaranti”. Allo stesso modo la sentenza n. 37037 del 26 settembre 2013, relativa ad emissioni di effluenti gassosi da allevamento avicolo, nel ritenere configurabile l’art. 674 c.p. nel caso in cui tali immissioni provengano da un impianto , pur munito di autorizzazione per le emissioni in atmosfera e che rispetta i limiti di legge, ritiene sufficiente il superamento del limite della normale tollerabilità ex art. 844 c.c., quale criterio di legittimità delle emissioni stesse, ai sensi dello stesso art. 674 c.p..
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Il punto sulle emissioni odorigene
di Silvia Bettineschi
Nell’ambito della disciplina della tutela al bene giuridico “aria” occorre richiamare due norme codicistiche che coesistono ed integrano la disciplina specifica di settore (principalmente contenuta nel D.Lgs. 152 del 2006), ossia l’art. 844 c.c. e l’art. 674 c.p..
Da un lato, l’art. 844 c.c. (“Immissioni”), in ambito civile, prevede che “Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi”; dall’altro, l’art. 674 c.p. (“Getto pericoloso di cose”), in materia penale, stabilisce che “Chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a duecentosei euro”.
A tal proposito volgere l’attenzione ad una recente sentenza, la n. 36905 del 14 settembre 2015, emessa dalla Corte di Cassazione (Sez. III Pen.), può rappresentare lo spunto per analizzare l’orientamento della giurisprudenza in relazione all’applicabilità dei suddetti articoli in materia di emissioni odorigene, nel cui ambito non risulta possibile individuare idonei limiti tabellari.
Nel caso di specie una società di produzione di compost di qualità provocava esalazioni maleodoranti atte a molestare gli abitanti delle zone limitrofe, motivo per cui il Tribunale in primo grado ha condannato il legale rappresentante della stessa per il reato di cui all’art. 674 c.p. Le considerazioni in diritto svolte dalla Cassazione consentono di rilevare una serie di aspetti interessanti in merito a parametri e criteri di valutazione delle emissioni odorigene; in particolare, secondo i giudici, “la contravvenzione di cui all’art. 674 c.p. è reato di pericolo, configurabile in presenza anche di “molestie olfattive” promananti da impianto munito di autorizzazione in quanto non esiste una normativa statale che prevede disposizioni specifiche e valori limite in materia di odori, con conseguente individuazione del criterio della “stretta tollerabilità” quale parametro di legalità dell’emissione, attesa l’inidoneità ad approntare una protezione adeguata all’ambiente ed alla salute umana di quello della “normale tollerabilità”.
L’art. 844 c.c., il quale fa riferimento al parametro della “normale tollerabilità”, secondo la Suprema Corte (che richiama anche l’orientamento della Corte Costituzionale), “è norma destinata a risolvere il conflitto tra proprietari di fondi vicini per le influenze negative derivanti da attività svolte nei rispettivi fondi”. Da ciò deriva che il criterio della normale tollerabilità accolto dall’art. 844 c.c. non può essere utilizzato per giudicare in merito alle immissioni pregiudizievoli per la salute umana e per l’ambiente, potendosi riferire esclusivamente al diritto di proprietà.
Il fatto che si tratti di un reato di pericolo concreto e che la valutazione della tollerabilità delle emissioni olfattive debba essere effettuata sulla base di un criterio differente, cioè quello della stretta tollerabilità, fa sì che il parere del giudice, in mancanza di adeguati strumenti di valutazione, possa basarsi sulle dichiarazioni dei testi, “soprattutto se si tratta di persone a diretta conoscenza dei fatti, come i vicini, o particolarmente qualificate, come gli agenti di polizia e gli organi di controllo della USL”. Tuttavia, è necessario che dette testimonianze si riferiscano soltanto a quanto percepito in modo oggettivo dai dichiaranti e che non si risolvano in valutazioni meramente soggettive o giudizi di natura tecnica.
Rileva, inoltre, far notare, al di là dell’individuazione del parametro di riferimento e del valore delle dichiarazioni dei testi, che nelle considerazioni espresse dalla Cassazione nella sentenza n. 36905/2015, qui in esame, non rileva il fatto che l’impianto, nel caso di specie, fosse autorizzato e avesse rispettato i limiti di emissione causa di inquinamento atmosferico, poiché trattasi in particolare di molestie olfattive e dunque di fattispecie differente.
Per quanto riguarda, in particolare, il parametro della stretta tollerabilità, si segnalano altre sentenze, recenti o più risalenti, che impiegano tale criterio al fine di valutare la molestia olfattiva.
Nel caso di specie odori e fumi provenienti da un esercizio commerciale provocavano molestie ai vicini. La Corte ha ritenuto che non esistendo una normativa statale che prevede disposizioni specifiche e valori limite in materia di odori, il criterio individuabile, quale parametro di legalità dell’emissione, è quello della stretta tollerabilità, attesa l’inidoneità ad approntare una protezione adeguata all’ambiente e alla salute umana di quello della normale tollerabilità, previsto dall’art. 844 cod. civ.
Il caso in esame riguardava stabilimenti alimentari e di lavorazione degli scarti animali che producevano inquinamento olfattivo. Anche qui la Corte ha stabilito che in assenza di una predeterminazione normativa, ove il giudice debba valutare la tollerabilità consentita delle emissioni prodotte sull’area esterna all’azienda e sulle persone che vi abitano o comunque vi operano, tale valutazione deve operarsi secondo criteri di stretta tollerabilità. In quest’ottica devono essere riguardate le c.d. “molestie olfattive”, dal momento che non sussiste una normativa statale che preveda disposizioni specifiche e valori-limite in materia di odori e tale materia è diversa da quella dell’inquinamento atmosferico.
Nello stesso senso si è espressa la Corte in un caso di smaltimento di rifiuti speciali mediante incenerimento senza autorizzazione che provocava una emissione di fumo acre e molesto.
Altre sentenze della Cassazione fanno, invece, riferimento al criterio della normale tollerabilità di cui all’art. 844 c.c.. Così, ad esempio, la sentenza n. 21138 del 16 maggio 2013, secondo la quale “in tema di getto pericoloso di cose, l’evento di molestia provocato dalle emissioni di gas, fumi o vapori è apprezzabile a prescindere dal superamento di eventuali limiti previsti dalla legge, essendo sufficiente il superamento del limite della normale tollerabilità ex art. 844 c.c. Laddove, quindi, non si tratti di attività industriali che trovino la loro regolamentazione in una specifica normativa di settore, per la configurabilità del reato non è necessario il superamento degli “standard” fissati dalla legge, essendo sufficiente che le emissioni siano idonee a superare la normale tollerabilità e quindi ad arrecare fastidio”. Si aggiunge, poi, che per accertare la normale tollerabilità il giudice può fondare il proprio convincimento su elementi probatori di diversa natura.
Ancora, la sentenza n. 20748 del 14 maggio 2015 stabilisce che la molestia prescinde dal superamento di eventuali limiti previsti dalla legge, essendo sufflciente il superamento del limite della normale tollerabilità ex art. 844 c.c.; aggiunge, inoltre che mancando la possibilità di accertare obiettivamente, con adeguati strumenti, l’intensità delle emissioni, “il giudizio sull’esistenza e sulla non tollerabilità delle emissioni stesse ben può basarsi sulle dichiarazioni di testi, specie se a diretta conoscenza dei fatti, quando tali dichiarazioni non si risolvano nell’espressione di valutazioni meramente soggettive o in giudizi di natura tecnica ma consistano nel riferimento a quanto oggettivamente percepito dagli stessi dichiaranti”. Allo stesso modo la sentenza n. 37037 del 26 settembre 2013, relativa ad emissioni di effluenti gassosi da allevamento avicolo, nel ritenere configurabile l’art. 674 c.p. nel caso in cui tali immissioni provengano da un impianto , pur munito di autorizzazione per le emissioni in atmosfera e che rispetta i limiti di legge, ritiene sufficiente il superamento del limite della normale tollerabilità ex art. 844 c.c., quale criterio di legittimità delle emissioni stesse, ai sensi dello stesso art. 674 c.p..
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