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"Mi occupo di diritto ambientale da oltre trent’anni TuttoAmbiente è la guida più autorevole per la formazione e la consulenza ambientale Conta su di noi" Stefano Maglia
A differenza della figura dell’intermediario della gestione dei rifiuti, quella dell’intermediario del sottoprodotto non è normata. Essa è semplicemente sfiorata in un paio di disposizioni ministeriali, ma non si rinviene una vera e propria disciplina dedicata a questo soggetto.
Come già anticipato poco sopra, il D.L.vo 152/06 non ne fa cenno (e nemmeno la Dir. 98/08) e pertanto l’unico provvedimento ad occuparsene è il D.M. 264/16 (e di conseguenza la Circ. Min. 7619/17) nei seguenti articoli:
5, c. 4: “ai fini di cui al comma 3, costituisce elemento di prova l’esistenza di rapporti o impegni contrattuali tra il produttore del residuo, eventuali intermediari e gli utilizzatori, dai quali si evincano le informazioni relative alle caratteristiche tecniche dei sottoprodotti, alle relative modalità di utilizzo e alle condizioni della cessione che devono risultare vantaggiose e assicurare la produzione di una utilità economica o di altro tipo”;
8, c. 4: “la responsabilità del produttore o del cessionario in relazione alla gestione del sottoprodotto è limitata alle fasi precedenti alla consegna dello stesso all’utilizzatore o a un intermediario” ;
Scheda tecnica e dichiarazione di conformità: “la scheda tecnica e la dichiarazione di conformità di cui agli articoli 5 e 7 del presente decreto devono contenere le seguenti informazioni: … Riferimenti di eventuali intermediari”.
Ora, pur non esistendo un’esplicita definizione normativa di questa figura, si ritiene ragionevole considerare l’intermediario del sottoprodotto quale mero partner aziendale terzo esterno, al pari di un procacciatore d’affari, che mette in relazione il produttore (venditore) e l’utilizzatore (acquirente), senza un formale rapporto di dipendenza o rappresentanza con le parti coinvolte.
In altre parole, questo soggetto rivestirebbe il ruolo di un referente aziendale esterno che, non acquisendo (cautelativamente) la detenzione del sottoprodotto, realizzerebbe solo l’incontro tra produttori e destinatari idonei a ricevere il materiale ed a perfezionare così il contratto.
È vero che sia l’art. 8 del D.M. 264/16, sia la Circ. n. 7619/17 parrebbero ipotizzare anche questa opzione, ma è da ritenersi assolutamente da evitare in quanto contraria alla legge ed alla interpretazione della giurisprudenza.
L’intermediario dei sottoprodotti, in alcuni casi, potrebbe diventare il primo interlocutore per realizzare accordi commerciali continuativi, contribuendo sotto il profilo probatorio a dimostrare l’esistenza di contratti commerciali, nonché di un mercato per quel residuo.
Con riferimento al ricorso all’intermediario, che è uno degli aspetti più delicati di quest’analisi, occorre sottolineare quanto segue:
nonostante sia coinvolta la figura dell’intermediario, si raccomanda di sottoscrivere appositi contratti e di valutare l’opportunità di allegare anche una scheda tecnica (ex D.M. 264/16): ciò a sostegno – soprattutto – del requisito della certezza dell’utilizzo;
si riporta, per completezza, l’attenzione su una criticità che concerne l’intermediario del sottoprodotto, citato agli artt. 5 e 8 del D.M. 264/16: si tratta di una figura nuova, non normata, la cui presenza solleva perplessità (come qualificarlo? È un soggetto che ha la detenzione o no del sottoprodotto? Come può finire la responsabilità del produttore con la consegna del sottoprodotto all’intermediario? Come si concilia questa previsione con l’utilizzo diretto – “utilizzato direttamente” -, previsto dal requisito normativo?).
Dal momento che il Decreto sembrerebbe ammettere la consegna del sottoprodotto all’intermediario (ma non la Dir. 2008/98 né il D.L.vo 152/06), non si può non riconoscere l’utilità di questa figura che mette in contatto chi produce il sottoprodotto con chi lo utilizza. Tuttavia, a che risulti, solo in un caso la giurisprudenza si è pronunciata al riguardo: la Corte di Cassazione Penale, sez. VII, con l’ordinanza n. 50628 del 16 dicembre 2019 ha affermato che se è vero che l’esistenza di rapporti contrattuali tra il produttore del residuo ed “eventuali” intermediari ed “utilizzatori” rilevano in termini di prova sulla certezza dell’utilizzo, il mero richiamo all’esistenza di tali rapporti non può però essere sufficiente a soddisfare le verifiche richieste, necessitando che dalla documentazione citata possano con certezza evincersi le caratteristiche tecniche dei prodotti, l’esistenza di condizioni che giustifichino la vantaggiosità della cessione, e via dicendo. Tale dimostrazione specifica richiede anche l’osservanza dell’art. 6 del D.M. 264/16 per quanto attiene alla “normale pratica industriale” cui fa riferimento l’art. 184 bis lett. c) che contempla specifiche verifiche sui requisiti dei prodotti e sull’impatto ambientale derivante dai processi di trasformazione;
– da ultimo, si sottolinea l’onere della prova della sussistenza delle condizioni in capo a colui che voglia utilizzare il sottoprodotto. In particolare, come evidenziato anche dalla giurisprudenza più volte citata, è consigliabile – cautelativamente – predisporre “una precisa documentazione di natura tecnica, che verta sulle caratteristiche del ciclo di produzione, sul successivo reimpiego ed eventuali successivi trattamenti, sulla presenza di caratteristiche idonee a soddisfare tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e l’assenza di impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana” (Cass. Pen. Sez. III n. 38590 del 7 agosto 2017).
Si consiglia ancora, pertanto, la predisposizione di un vero e proprio dossier tecnico, da inviare in copia agli Enti competenti (o almeno segnalarne l’esistenza via PEC) affinché abbiano preventiva contezza della gestione degli scarti e da esibire in caso di verifica da parte degli organi di controllo, e che permetta loro di comprendere agevolmente il flusso di gestione dei sottoprodotti. Sarebbe utile che anche l’intermediario ne conservasse copia.
Ovviamente si tratta di consigli di carattere cautelativo, ma che riteniamo essenziali in una materia delicata e rischiosa come questa, ove è assai labile il confine “rifiuto – non rifiuto” anche e specialmente per non rischiare le pesanti sanzioni che incombono su chi – semplicemente – non riesce a dimostrare con “certezza” la legittimità del proprio operato.
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Intermediario del sottoprodotto, quali criticità?
di Stefano Maglia, Miriam Viviana Balossi
*Tratto dal libro “Sottoprodotti e circular economy”, II edizione
A differenza della figura dell’intermediario della gestione dei rifiuti, quella dell’intermediario del sottoprodotto non è normata. Essa è semplicemente sfiorata in un paio di disposizioni ministeriali, ma non si rinviene una vera e propria disciplina dedicata a questo soggetto.
Come già anticipato poco sopra, il D.L.vo 152/06 non ne fa cenno (e nemmeno la Dir. 98/08) e pertanto l’unico provvedimento ad occuparsene è il D.M. 264/16 (e di conseguenza la Circ. Min. 7619/17) nei seguenti articoli:
Ora, pur non esistendo un’esplicita definizione normativa di questa figura, si ritiene ragionevole considerare l’intermediario del sottoprodotto quale mero partner aziendale terzo esterno, al pari di un procacciatore d’affari, che mette in relazione il produttore (venditore) e l’utilizzatore (acquirente), senza un formale rapporto di dipendenza o rappresentanza con le parti coinvolte.
In altre parole, questo soggetto rivestirebbe il ruolo di un referente aziendale esterno che, non acquisendo (cautelativamente) la detenzione del sottoprodotto, realizzerebbe solo l’incontro tra produttori e destinatari idonei a ricevere il materiale ed a perfezionare così il contratto.
È vero che sia l’art. 8 del D.M. 264/16, sia la Circ. n. 7619/17 parrebbero ipotizzare anche questa opzione, ma è da ritenersi assolutamente da evitare in quanto contraria alla legge ed alla interpretazione della giurisprudenza.
L’intermediario dei sottoprodotti, in alcuni casi, potrebbe diventare il primo interlocutore per realizzare accordi commerciali continuativi, contribuendo sotto il profilo probatorio a dimostrare l’esistenza di contratti commerciali, nonché di un mercato per quel residuo.
Con riferimento al ricorso all’intermediario, che è uno degli aspetti più delicati di quest’analisi, occorre sottolineare quanto segue:
Dal momento che il Decreto sembrerebbe ammettere la consegna del sottoprodotto all’intermediario (ma non la Dir. 2008/98 né il D.L.vo 152/06), non si può non riconoscere l’utilità di questa figura che mette in contatto chi produce il sottoprodotto con chi lo utilizza. Tuttavia, a che risulti, solo in un caso la giurisprudenza si è pronunciata al riguardo: la Corte di Cassazione Penale, sez. VII, con l’ordinanza n. 50628 del 16 dicembre 2019 ha affermato che se è vero che l’esistenza di rapporti contrattuali tra il produttore del residuo ed “eventuali” intermediari ed “utilizzatori” rilevano in termini di prova sulla certezza dell’utilizzo, il mero richiamo all’esistenza di tali rapporti non può però essere sufficiente a soddisfare le verifiche richieste, necessitando che dalla documentazione citata possano con certezza evincersi le caratteristiche tecniche dei prodotti, l’esistenza di condizioni che giustifichino la vantaggiosità della cessione, e via dicendo. Tale dimostrazione specifica richiede anche l’osservanza dell’art. 6 del D.M. 264/16 per quanto attiene alla “normale pratica industriale” cui fa riferimento l’art. 184 bis lett. c) che contempla specifiche verifiche sui requisiti dei prodotti e sull’impatto ambientale derivante dai processi di trasformazione;
– da ultimo, si sottolinea l’onere della prova della sussistenza delle condizioni in capo a colui che voglia utilizzare il sottoprodotto. In particolare, come evidenziato anche dalla giurisprudenza più volte citata, è consigliabile – cautelativamente – predisporre “una precisa documentazione di natura tecnica, che verta sulle caratteristiche del ciclo di produzione, sul successivo reimpiego ed eventuali successivi trattamenti, sulla presenza di caratteristiche idonee a soddisfare tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e l’assenza di impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana” (Cass. Pen. Sez. III n. 38590 del 7 agosto 2017).
Si consiglia ancora, pertanto, la predisposizione di un vero e proprio dossier tecnico, da inviare in copia agli Enti competenti (o almeno segnalarne l’esistenza via PEC) affinché abbiano preventiva contezza della gestione degli scarti e da esibire in caso di verifica da parte degli organi di controllo, e che permetta loro di comprendere agevolmente il flusso di gestione dei sottoprodotti. Sarebbe utile che anche l’intermediario ne conservasse copia.
Ovviamente si tratta di consigli di carattere cautelativo, ma che riteniamo essenziali in una materia delicata e rischiosa come questa, ove è assai labile il confine “rifiuto – non rifiuto” anche e specialmente per non rischiare le pesanti sanzioni che incombono su chi – semplicemente – non riesce a dimostrare con “certezza” la legittimità del proprio operato.
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