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L’interpretazione delle norme in materia di rifiuti non può mai limitarsi all’aspetto formalistico

di Massimo Medugno

Categoria: Rifiuti

L’interpretazione delle norme in materia di rifiuti non può mai limitarsi all’aspetto formalistico ma deve, comunque, privilegiare la soluzione più cautelativa per la salute e per l’ambiente in tutti i casi in cui da un processo di produzione venga generato un “materiale” di cui il detentore vuole disfarsi.

E un’affermazione che si legge spesso nelle cronache e nei commenti.
Alla quale, magari, si aggiunge che nel caso di un fango esso rimane comunque un rifiuto ….anche se viene inviato in un impianto per trattamento e depurazione.

Ciononostante che l’art. 127 comma 1 del D.Lgs. n. 152/06 preveda che i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue siano sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e comunque solo alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione.
Insomma, la sensazione è che la nozione di rifiuto – ad esempio, nel caso dei fanghi – venga applicata prescindendo dalla realtà, dai processi…e dalle norme.

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In questo modo “tradendo” la “ratio” stessa della nozione di rifiuto.
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Ed è proprio così che si perviene ad una interpretazione formalistica della nozione di rifiuto. Proprio invocando la soluzione più cautelativa si applica una nozione formalistica che prescinde dal processo produttivo e dalla nozione di “disfarsi” in concreto.
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Il tema della qualificazione dei fanghi è argomento ampiamente dibattuto nella dottrina e nella giurisprudenza.

Ad esempio, secondo la giurisprudenza i fanghi derivanti dal lavaggio di inerti provenienti da cava non rientrano nel campo di applicazione della disciplina sui rifiuti solo quando rimangono all’interno del ciclo produttivo dell’estrazione e della connessa pulitura, mentre quando si dia luogo ad una loro successiva e diversa attività di lavorazione devono considerarsi rifiuti sottoposti alla disciplina generale circa il loro smaltimento, ammasso, deposito e discarica (Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 7042 del 14 febbraio 2019). Insomma tali fanghi vengono raccolti e riutilizzati attraverso la re-immissione diretta nel ciclo produttivo. La pratica appena descritta è ampiamente in uso in molte attività produttive e costituisce parte integrante del processo produttivo nel suo complesso.

Un concetto che può essere esteso anche nelle acque reflue industriali. Il decreto legislativo 152 del 2006 identifica all’art. 74 lett. h) acque reflue industriali: qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento;

Nel caso in cui si sia in grado di reimpiegare le acque al termine del trattamento primario o secondario non si è quindi nella condizione di un’acqua reflua in quanto l’azienda ha come interesse primario riutilizzare tali acque e scaricarne solo l’eccedenza. Se quindi l’impianto di depurazione è destinato a trattare un’acqua reflua, nelle aziende che sono in grado di riutilizzare tali acque, sebbene la tecnologia impiantistica sia la medesima, la finalità non è quella di trattare un’acqua reflue ma un’acqua di processo. Tali impianti sono pertanto integrati nel processo produttivo, come anche indicato negli schemi di processo rappresentati nelle Best Available Techniques.

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Eppure proprio la giurisprudenza comunitaria, spesso invocata per un’applicazione restrittiva e cautelativa della nozione di rifiuto, ci fornisce un’ottima guida proprio in tema di fanghi.

Si tratta della Corte di Giustizia (Seconda Sezione) 14 ottobre 2020 (causa C 629/19). Una sentenza non recente, ma che val la pena di rileggere.

La Corte di Giustizia si occupa di un caso in cui il calore prodotto durante l’incenerimento dei fanghi di depurazione sia riutilizzato in un processo di fabbricazione di carta e di pasta di legno e che lo stesso presenti un vantaggio significativo per l’ambiente a causa dell’utilizzo di materiali di recupero per preservare le risorse naturali e per consentire l’attuazione di un’economia circolare.

Secondo il giudice occorre verificare le condizioni per non applicare la nozione di rifiuto.

Qualora, sul fondamento di siffatta analisi, il giudice del rinvio dovesse constatare che le condizioni fossero soddisfatte prima dell’incenerimento dei fanghi di depurazione, occorrerebbe concludere che questi ultimi non costituiscono rifiuti.

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