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"Mi occupo di diritto ambientale da oltre trent’anni TuttoAmbiente è la guida più autorevole per la formazione e la consulenza ambientale Conta su di noi" Stefano Maglia
Con la sentenza 1 dicembre 1999, n. 13716 (ud. 15 ottobre 1999) la Corte di cassazione interviene, ancora una volta, sulla questione relativa alla disciplina degli interventi precari in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
Le conclusioni cui giungono i giudici appaiono pienamente condivisibili e la decisione contribuisce a fare chiarezza su un aspetto particolarmente delicato, con riferimento al quale le pronunce della Corte sono in numero assai limitato.
Va ricordato che la decisione riguarda una materia, quella della tutela del paesaggio, che è stata recentemente disciplinata dal D.L.vo 29 ottobre 1999 n. 490 (T.U. sui beni culturali ed ambientali) con il quale si è proceduto ad un intervento di riunione e coordinamento di tutte le disposizioni legislative vigenti in materia di beni culturali e ambientali e tra le quali sono comprese, ovvimente, anche le leggi 1497/39 e 431/85.
L`intervento operato con il D.L.vo 490, come ricorda la relazione, è in pratica consistito nel coordinamento sostanziale ed al riordino e semplificazione dei procedimenti amministrativi.
Per quanto attiene alla disciplina dei beni ambientali, la stessa è contenuta nel titolo secondo, articolato in tre capi, nel quale sono contenute una serie di norme che costituiscono il risultato dell`operazione di integrazione delle leggi in precedenza richiamate.
La violazione presa in esame dalla Corte, che qui interessa, è ora contemplata dall`art. 163 comma primo che sanziona penalmente “Chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, esegue lavori di qualsiasi genere sui beni ambientali”. Il secondo comma riguarda l`obbligo di rimessione in pristino già previsto dalla legge 431/85.
L`introduzione del testo unico ha dunque eliminato l`evidente indeterminatezza del precetto (cui, in verità, aveva posto rimedio la giurisprudenza) rinvenibile nell`art. 1 <MI>sexies della legge 431/85 chiarendo quali siano le condotte punibili ed indicando espressamente che le stesse coincidono non solo con l`esecuzione di interventi su aree protette in assenza della preventiva autorizzazione, ma anche nell`esecuzione di interventi in difformità dall`autorizzazione rilasciata.
La disposizione non distingue tra parziale o totale difformità come avviene invece per la disciplina urbanistica e deve pertanto ritenersi che sia idonea a configurare il reato in esame ogni difformità significativa dall`intervento autorizzato e tale da vanificare gli scopi di tutela e controllo che il legislatore ha assicurato agli organi competenti attraverso la preventiva verifica della consistenza delle opere da eseguire.
A fronte di tale rilevante innovazione resta tuttavia presente la evidente irrazionalità del sistema, riconosciuta anche dalla relazione ministeriale, consistente nella previsione di più gravi sanzioni per il reato di pericolo contemplato dalla disposizione in esame rispetto al reato di danno previsto dall`art. 734 c.p.
La decisione in rassegna risulta dunque senz`altro utile per l`interprete anche dopo l`intervento del legislatore che, come si è detto, appare contenuto entro i limiti sopra indicati.
Poiché, come si è detto, le decisioni in tema di interventi precari in zone vincolate sono in numero estremamente limitato, occorre prendere in esame preliminarmente la nozione di “opera precaria” risultante dalle elaborazioni della dottrina e della giurisprudenza.
La vigente normativa urbanistica non contempla infatti tale nozione che nasce dalla considerazione del fatto che la precarietà dell`intervento eseguito non determina una trasformazione irreversibile dell`assetto territoriale e, pertanto, non richiede il rilascio della concessione edilizia.
La Corte di cassazione ha in più occasioni indicato i limiti entro i quali deve essere effettuata l`individuazione della precarietà dell`intervento fornendo criteri interpretativi particolarmente rigorosi.
In particolare la Corte ha evidenziato che la verifica della natura precaria di un`opera va effettuata secondo un criterio obiettivo poiché l`intervento edilizio per essere qualificato come precario deve essere oggettivamente destinato ad un uso temporaneo e limitato.
Utilizzando tale criterio e pur tenendo in considerazione la natura dei materiali utilizzati e la limitata volumetria, si è esclusa la natura precaria di una baita nonché di costruzioni prive di fondazioni e munite di ruote.
In tale ultimo caso la Corte ha anche chiarito la differenza tra il concetto di precarietà e quello di amovibilità, ritenendo quest`ultimo non rilevante ai fini della sussistenza del reato urbanistico.
Sono stati inoltre ritenuti irrilevanti la possibilità di una successiva demolizione del manufatto e la temporaneità della destinazione dello stesso attribuita dall`esecutore.
I principi appena esposti sono stati poi ribaditi con riferimento ad interventi di maggiore consistenza quali, ad esempio, l`installazione di travi di ferro e pannelli in materiale sintetico stabilmente ancorati al suolo su un lastrico solare, con apertura di un varco d`accesso attraverso un muro perimetrale e la realizzazione di un capannone industriale di mille metri cubi utilizzando elementi prefabbricati.
Si è poi ritenuta necessaria la concessione edilizia per la realizzazione edificio di piccole dimensioni utilizzato come abitazione in quanto stabilmente incorporato al suolo e diretto a soddisfare esigenze permanenti.
La Corte ha infatti ritenuto sempre applicabili i principi in precedenza esposti a qualsiasi opera “nel suolo o sul suolo” indipendentemente dal mezzo tecnico utilizzato per assicurarne la stabilità e dalle caratteristiche costruttive. E così si è esclusa la precarietà di un pontone galleggiante destinato a servizi aeroportuali, mettendo in evidenza le differenze intercorrenti tra il concetto di stabilità e quello di inamovibilità della struttura, ovvero di perpetuità della funzione ad essa assegnata dal costruttore e si è evidenziato che la stabilità del manufatto va individuata nella destinazione dell`opera a soddisfare un bisogno non transitorio.
Ad analoghe conclusioni si è giunti con riferimento alla realizzazione di due container, tra loro collegati, di cui uno adibito a forno e l`altro ad officina ed alla costruzione di un manufatto prefabbricato.
Sono state inoltre chiarite le differenze intercorrenti tra “precarietà” e “stagionalità” intesa, quest`ultima, come l`utilizzo annualmente ricorrente di una struttura rilevando come tali caratteristiche non possano essere tra loro confuse.
Anche la giurisprudenza di merito si è in più occasioni adeguata all`indirizzo interpretativo fissato dalla Corte di cassazione.
Come si è visto le decisioni sopra richiamate hanno più volte preso in considerazione il problema della disciplina degli interventi precari con riferimento alla legge urbanistica, mentre le decisioni riguardanti opere eseguite in zona sottoposta a vincolo paesaggistico sono in numero assai limitato.
La scarsità delle pronunce giurisprudenziali non deve tuttavia distrarre l`attenzione dell`interprete dall`importanza del problema. Infatti, nella valutazione del concetto di precarietà dell`opera elaborato da dottrina e giurisprudenza va sempre tenuta presente la ragione per la quale l`intervento precario viene ritenuto non rilevante e cioè l`assenza di trasformazioni permanenti dell`assetto territoriale e tale verifica, tenuto conto del disposto e delle finalità delle leggi 1497/39 e 431/85, deve essere ancora più rigorosa per quanto riguarda gli interventi in zone vincolate.
Ciò posto si osserva che le prime considerazioni sull`argomento in questione sono state comunque espresse dalla giurisprudenza di merito.
In una non recente decisione il Pretore di Vibo Valentia riconosceva infatti l`alterazione delle bellezze naturali, conseguente all`installazione stagionale di opere, ritenute non precarie, che con la loro posizione occludevano parzialmente la visione panoramica dei luoghi.
Il problema era stato precedentemente affrontato dal Tribunale di Sulmona (ma prima dell`entrata in vigore della legge 431/85) e dal Pretore di Pizzo Calabro il quale escludeva la necessità dell`autorizzazione preventiva ex art. 7 legge 1497/39 con riferimento agli interventi di natura precaria stante la non configurabilità, nella fattispecie esaminata, di un`alterazione permanente dello stato dei luoghi.
Analoga attenzione al problema è stata prestata dalla giurisprudenza amministrativa.
Ancor prima dell`entrata in vigore della legge 431/85, la giurisprudenza amministrativa aveva infatti riconosciuto la necessità dell`autorizzazione per l`esecuzione di opere quali tende da sole in un centro storico, cartelli pubblicitari su strade, depositi di automobili destinate alla rottamazione. Con espresso riferimento alle opere precarie in genere si era poi pronunciato il Tar Sardegna.
A differenza della Cassazione e dei giudici di merito la giurisprudenza amministrativa ha però riconosciuto in più occasioni la validità del criterio soggettivo, attribuendo rilevanza anche alla destinazione assegnata all`intervento dal soggetto che lo realizza. Inoltre, come ricordato da CANOVA, sono considerati indici significativi, anche se non decisivi, della destinazione del manufatto la sua consistenza e le caratteristiche costruttive.
Venendo alla Corte di cassazione va segnalata una non condivisibile pronuncia – rimasta peraltro isolata – con la quale si è escluso che la realizzazione di manufatti prefabbricati, destinati ad alloggiare materiali ed operai impegnati in lavori di costruzione di una autostrada, possa comportare una trasformazione urbanistica del territorio e ciò nonostante l`installazione di tali opere, realizzate peraltro in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, fosse stata preceduta da una considerevole attività di sbancamento e livellamento del terreno con conseguente eliminazione della vegetazione ivi esistente.
Più recentemente la Corte ha chiarito, con riferimento agli interventi in zone sottoposte a vincolo paesaggistico, entro quali limiti deve individuarsi la precarietà di un`opera.
La vicenda riguardava una struttura teatrale all`aperto “composta da un palcoscenico sorretto da 4 cassoni in c.a. collegati tra loro da un cordolo perimetrale in c.a. e da una platea per posti a sedere montata su traverse ed altre strutture in c.a., il tutto sorretto da tubazioni innocenti e traverse in legno”.
Tale opera, inoltre, risultava indicata come “temporanea” da diverse autorità ed era destinata ad essere smontata ad ogni fine stagione per un periodo massimo fissato in 15 anni.
La richiamata decisione chiarisce quali siano i criteri per l`individuazione del concetto di precarietà e richiama una serie di precedenti pronunce dove tale precarietà era stata esclusa per interventi meno rilevanti.
Dunque la Corte in tale occasione ribadiva ancora una volta che “la nozione restrittiva di manufatto precario si riverbera sui suoi requisiti, sicché la temporaneità non può essere desunta dalla subiettiva destinazione dell`opera data dal costruttore o dall`installatore, ma deve ricollegarsi ad un uso realmente precario o temporaneo, per fini specifici e cronologicamente delimitabili, risultanti dai più svariati elementi”.
Si accoglieva dunque una nozione di opera precaria “basata sul criterio c.d. funzionale, onde le opere devono essere realizzate per far fronte ad esigenze tipicamente transitorie e destinate ad essere rimosse in breve termine, anche se il criterio strutturale, basato sulle caratteristiche dei materiali, sulla loro consistenza e tipologia, sull`essere il manufatto stabilmente infisso al suolo e di notevoli dimensioni, costituisce un indice di assenza di precarietà”.
La decisione in epigrafe si pone dunque a completamento del percorso interpretativo, ormai ben definito, sviluppato dalla Corte di cassazione con riferimento alla rilevanza degli interventi c.d. precari in zona vincolata.
Nel caso preso in esame dai giudici di legittimità l`intervento eseguito (realizzazione di una pista ed esecuzione di sbarramenti con conseguente prosciugamento di un tratto di fiume) risultava effettivamente destinato ad un uso temporaneo ma la Cassazione ha riconosciuto la correttezza delle conclusioni cui erano giunti i giudici di primo grado e d`appello che avevano ritenuto necessario il rilascio della preventiva autorizzazione anche per l`intervento de quo in considerazione del fatto che lo stesso avrebbe comunque inciso, anche se in via temporanea, sull`originario assetto del territorio.
Così facendo la Corte ha evidenziato come un danno al paesaggio possa derivare anche dall`esecuzione di opere destinate a permanere per un periodo di tempo determinato e come sia in ogni caso necessaria la preventiva valutazione degli organi preposti alla tutela del vincolo non soltanto per la necessaria verifica della effettiva sussistenza del requisito di precarietà, ma anche per l`accertamento dell`adozione delle dovute cautele tanto nella fase di esecuzione che in quella di rimozione.
La decisione conferma dunque la necessità di un effettivo rigore nella valutazione degli interventi da eseguire in zona vincolata e fornisce ancora una volta, qualora ve ne fosse ancora bisogno, indicazioni sulle ragioni per le quali detti interventi necessitano di un`attenzione particolare per il loro considerevole impatto su territori che il legislatore ha ritenuto meritevoli di particolare tutela.
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Interventi precari e vincolo paesaggistico
di Luca Ramacci
Con la sentenza 1 dicembre 1999, n. 13716 (ud. 15 ottobre 1999) la Corte di cassazione interviene, ancora una volta, sulla questione relativa alla disciplina degli interventi precari in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
Le conclusioni cui giungono i giudici appaiono pienamente condivisibili e la decisione contribuisce a fare chiarezza su un aspetto particolarmente delicato, con riferimento al quale le pronunce della Corte sono in numero assai limitato.
Va ricordato che la decisione riguarda una materia, quella della tutela del paesaggio, che è stata recentemente disciplinata dal D.L.vo 29 ottobre 1999 n. 490 (T.U. sui beni culturali ed ambientali) con il quale si è proceduto ad un intervento di riunione e coordinamento di tutte le disposizioni legislative vigenti in materia di beni culturali e ambientali e tra le quali sono comprese, ovvimente, anche le leggi 1497/39 e 431/85.
L`intervento operato con il D.L.vo 490, come ricorda la relazione, è in pratica consistito nel coordinamento sostanziale ed al riordino e semplificazione dei procedimenti amministrativi.
Per quanto attiene alla disciplina dei beni ambientali, la stessa è contenuta nel titolo secondo, articolato in tre capi, nel quale sono contenute una serie di norme che costituiscono il risultato dell`operazione di integrazione delle leggi in precedenza richiamate.
La violazione presa in esame dalla Corte, che qui interessa, è ora contemplata dall`art. 163 comma primo che sanziona penalmente “Chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, esegue lavori di qualsiasi genere sui beni ambientali”. Il secondo comma riguarda l`obbligo di rimessione in pristino già previsto dalla legge 431/85.
L`introduzione del testo unico ha dunque eliminato l`evidente indeterminatezza del precetto (cui, in verità, aveva posto rimedio la giurisprudenza) rinvenibile nell`art. 1 <MI>sexies della legge 431/85 chiarendo quali siano le condotte punibili ed indicando espressamente che le stesse coincidono non solo con l`esecuzione di interventi su aree protette in assenza della preventiva autorizzazione, ma anche nell`esecuzione di interventi in difformità dall`autorizzazione rilasciata.
La disposizione non distingue tra parziale o totale difformità come avviene invece per la disciplina urbanistica e deve pertanto ritenersi che sia idonea a configurare il reato in esame ogni difformità significativa dall`intervento autorizzato e tale da vanificare gli scopi di tutela e controllo che il legislatore ha assicurato agli organi competenti attraverso la preventiva verifica della consistenza delle opere da eseguire.
A fronte di tale rilevante innovazione resta tuttavia presente la evidente irrazionalità del sistema, riconosciuta anche dalla relazione ministeriale, consistente nella previsione di più gravi sanzioni per il reato di pericolo contemplato dalla disposizione in esame rispetto al reato di danno previsto dall`art. 734 c.p.
La decisione in rassegna risulta dunque senz`altro utile per l`interprete anche dopo l`intervento del legislatore che, come si è detto, appare contenuto entro i limiti sopra indicati.
Poiché, come si è detto, le decisioni in tema di interventi precari in zone vincolate sono in numero estremamente limitato, occorre prendere in esame preliminarmente la nozione di “opera precaria” risultante dalle elaborazioni della dottrina e della giurisprudenza.
La vigente normativa urbanistica non contempla infatti tale nozione che nasce dalla considerazione del fatto che la precarietà dell`intervento eseguito non determina una trasformazione irreversibile dell`assetto territoriale e, pertanto, non richiede il rilascio della concessione edilizia.
La Corte di cassazione ha in più occasioni indicato i limiti entro i quali deve essere effettuata l`individuazione della precarietà dell`intervento fornendo criteri interpretativi particolarmente rigorosi.
In particolare la Corte ha evidenziato che la verifica della natura precaria di un`opera va effettuata secondo un criterio obiettivo poiché l`intervento edilizio per essere qualificato come precario deve essere oggettivamente destinato ad un uso temporaneo e limitato.
Utilizzando tale criterio e pur tenendo in considerazione la natura dei materiali utilizzati e la limitata volumetria, si è esclusa la natura precaria di una baita nonché di costruzioni prive di fondazioni e munite di ruote.
In tale ultimo caso la Corte ha anche chiarito la differenza tra il concetto di precarietà e quello di amovibilità, ritenendo quest`ultimo non rilevante ai fini della sussistenza del reato urbanistico.
Sono stati inoltre ritenuti irrilevanti la possibilità di una successiva demolizione del manufatto e la temporaneità della destinazione dello stesso attribuita dall`esecutore.
I principi appena esposti sono stati poi ribaditi con riferimento ad interventi di maggiore consistenza quali, ad esempio, l`installazione di travi di ferro e pannelli in materiale sintetico stabilmente ancorati al suolo su un lastrico solare, con apertura di un varco d`accesso attraverso un muro perimetrale e la realizzazione di un capannone industriale di mille metri cubi utilizzando elementi prefabbricati.
Si è poi ritenuta necessaria la concessione edilizia per la realizzazione edificio di piccole dimensioni utilizzato come abitazione in quanto stabilmente incorporato al suolo e diretto a soddisfare esigenze permanenti.
La Corte ha infatti ritenuto sempre applicabili i principi in precedenza esposti a qualsiasi opera “nel suolo o sul suolo” indipendentemente dal mezzo tecnico utilizzato per assicurarne la stabilità e dalle caratteristiche costruttive. E così si è esclusa la precarietà di un pontone galleggiante destinato a servizi aeroportuali, mettendo in evidenza le differenze intercorrenti tra il concetto di stabilità e quello di inamovibilità della struttura, ovvero di perpetuità della funzione ad essa assegnata dal costruttore e si è evidenziato che la stabilità del manufatto va individuata nella destinazione dell`opera a soddisfare un bisogno non transitorio.
Ad analoghe conclusioni si è giunti con riferimento alla realizzazione di due container, tra loro collegati, di cui uno adibito a forno e l`altro ad officina ed alla costruzione di un manufatto prefabbricato.
Sono state inoltre chiarite le differenze intercorrenti tra “precarietà” e “stagionalità” intesa, quest`ultima, come l`utilizzo annualmente ricorrente di una struttura rilevando come tali caratteristiche non possano essere tra loro confuse.
Anche la giurisprudenza di merito si è in più occasioni adeguata all`indirizzo interpretativo fissato dalla Corte di cassazione.
Come si è visto le decisioni sopra richiamate hanno più volte preso in considerazione il problema della disciplina degli interventi precari con riferimento alla legge urbanistica, mentre le decisioni riguardanti opere eseguite in zona sottoposta a vincolo paesaggistico sono in numero assai limitato.
La scarsità delle pronunce giurisprudenziali non deve tuttavia distrarre l`attenzione dell`interprete dall`importanza del problema. Infatti, nella valutazione del concetto di precarietà dell`opera elaborato da dottrina e giurisprudenza va sempre tenuta presente la ragione per la quale l`intervento precario viene ritenuto non rilevante e cioè l`assenza di trasformazioni permanenti dell`assetto territoriale e tale verifica, tenuto conto del disposto e delle finalità delle leggi 1497/39 e 431/85, deve essere ancora più rigorosa per quanto riguarda gli interventi in zone vincolate.
Ciò posto si osserva che le prime considerazioni sull`argomento in questione sono state comunque espresse dalla giurisprudenza di merito.
In una non recente decisione il Pretore di Vibo Valentia riconosceva infatti l`alterazione delle bellezze naturali, conseguente all`installazione stagionale di opere, ritenute non precarie, che con la loro posizione occludevano parzialmente la visione panoramica dei luoghi.
Il problema era stato precedentemente affrontato dal Tribunale di Sulmona (ma prima dell`entrata in vigore della legge 431/85) e dal Pretore di Pizzo Calabro il quale escludeva la necessità dell`autorizzazione preventiva ex art. 7 legge 1497/39 con riferimento agli interventi di natura precaria stante la non configurabilità, nella fattispecie esaminata, di un`alterazione permanente dello stato dei luoghi.
Analoga attenzione al problema è stata prestata dalla giurisprudenza amministrativa.
Ancor prima dell`entrata in vigore della legge 431/85, la giurisprudenza amministrativa aveva infatti riconosciuto la necessità dell`autorizzazione per l`esecuzione di opere quali tende da sole in un centro storico, cartelli pubblicitari su strade, depositi di automobili destinate alla rottamazione. Con espresso riferimento alle opere precarie in genere si era poi pronunciato il Tar Sardegna.
A differenza della Cassazione e dei giudici di merito la giurisprudenza amministrativa ha però riconosciuto in più occasioni la validità del criterio soggettivo, attribuendo rilevanza anche alla destinazione assegnata all`intervento dal soggetto che lo realizza. Inoltre, come ricordato da CANOVA, sono considerati indici significativi, anche se non decisivi, della destinazione del manufatto la sua consistenza e le caratteristiche costruttive.
Venendo alla Corte di cassazione va segnalata una non condivisibile pronuncia – rimasta peraltro isolata – con la quale si è escluso che la realizzazione di manufatti prefabbricati, destinati ad alloggiare materiali ed operai impegnati in lavori di costruzione di una autostrada, possa comportare una trasformazione urbanistica del territorio e ciò nonostante l`installazione di tali opere, realizzate peraltro in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, fosse stata preceduta da una considerevole attività di sbancamento e livellamento del terreno con conseguente eliminazione della vegetazione ivi esistente.
Più recentemente la Corte ha chiarito, con riferimento agli interventi in zone sottoposte a vincolo paesaggistico, entro quali limiti deve individuarsi la precarietà di un`opera.
La vicenda riguardava una struttura teatrale all`aperto “composta da un palcoscenico sorretto da 4 cassoni in c.a. collegati tra loro da un cordolo perimetrale in c.a. e da una platea per posti a sedere montata su traverse ed altre strutture in c.a., il tutto sorretto da tubazioni innocenti e traverse in legno”.
Tale opera, inoltre, risultava indicata come “temporanea” da diverse autorità ed era destinata ad essere smontata ad ogni fine stagione per un periodo massimo fissato in 15 anni.
La richiamata decisione chiarisce quali siano i criteri per l`individuazione del concetto di precarietà e richiama una serie di precedenti pronunce dove tale precarietà era stata esclusa per interventi meno rilevanti.
Dunque la Corte in tale occasione ribadiva ancora una volta che “la nozione restrittiva di manufatto precario si riverbera sui suoi requisiti, sicché la temporaneità non può essere desunta dalla subiettiva destinazione dell`opera data dal costruttore o dall`installatore, ma deve ricollegarsi ad un uso realmente precario o temporaneo, per fini specifici e cronologicamente delimitabili, risultanti dai più svariati elementi”.
Si accoglieva dunque una nozione di opera precaria “basata sul criterio c.d. funzionale, onde le opere devono essere realizzate per far fronte ad esigenze tipicamente transitorie e destinate ad essere rimosse in breve termine, anche se il criterio strutturale, basato sulle caratteristiche dei materiali, sulla loro consistenza e tipologia, sull`essere il manufatto stabilmente infisso al suolo e di notevoli dimensioni, costituisce un indice di assenza di precarietà”.
La decisione in epigrafe si pone dunque a completamento del percorso interpretativo, ormai ben definito, sviluppato dalla Corte di cassazione con riferimento alla rilevanza degli interventi c.d. precari in zona vincolata.
Nel caso preso in esame dai giudici di legittimità l`intervento eseguito (realizzazione di una pista ed esecuzione di sbarramenti con conseguente prosciugamento di un tratto di fiume) risultava effettivamente destinato ad un uso temporaneo ma la Cassazione ha riconosciuto la correttezza delle conclusioni cui erano giunti i giudici di primo grado e d`appello che avevano ritenuto necessario il rilascio della preventiva autorizzazione anche per l`intervento de quo in considerazione del fatto che lo stesso avrebbe comunque inciso, anche se in via temporanea, sull`originario assetto del territorio.
Così facendo la Corte ha evidenziato come un danno al paesaggio possa derivare anche dall`esecuzione di opere destinate a permanere per un periodo di tempo determinato e come sia in ogni caso necessaria la preventiva valutazione degli organi preposti alla tutela del vincolo non soltanto per la necessaria verifica della effettiva sussistenza del requisito di precarietà, ma anche per l`accertamento dell`adozione delle dovute cautele tanto nella fase di esecuzione che in quella di rimozione.
La decisione conferma dunque la necessità di un effettivo rigore nella valutazione degli interventi da eseguire in zona vincolata e fornisce ancora una volta, qualora ve ne fosse ancora bisogno, indicazioni sulle ragioni per le quali detti interventi necessitano di un`attenzione particolare per il loro considerevole impatto su territori che il legislatore ha ritenuto meritevoli di particolare tutela.
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