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"Mi occupo di diritto ambientale da oltre trent’anni TuttoAmbiente è la guida più autorevole per la formazione e la consulenza ambientale Conta su di noi" Stefano Maglia
Il D.L.vo n. 231/2001 originariamente non contemplava – fra i reati-presupposto passibili di dare origine alla responsabilità amministrativa dell’Ente – i reati ambientali.
La disciplina introdotta dal D.L.vo n. 231/2001 fu tuttavia integrata dal D.Lvo 7 luglio 2011, n. 121[1] (c.d. “231 ambiente”), che a far data dal 16 agosto 2011 inserì nel D.L.vo n. 231/2001 una serie di reati ambientali.
Nel 2009 infatti il Legislatore italiano, mediante l’art. 19 della Legge Comunitaria 2009 (L. 4 giugno 2010, n. 96[2]), delegò il Governo a recepire entro nove mesi le disposizioni della Direttiva 2008/99/CE[3], tramite l’adozione di uno o più Decreti Legislativi che avrebbero dovuto contenere i seguenti principi:
“a) introdurre tra i reati di cui alla sezione III del capo I del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e successive modificazioni, le fattispecie criminose indicate nelle direttive di cui al comma 1;
b) prevedere, nei confronti degli enti nell’interesse o a vantaggio dei quali è stato commesso uno dei reati di cui alla lettera a), adeguate e proporzionate sanzioni amministrative pecuniarie, di confisca, di pubblicazione della sentenza ed eventualmente anche interdittive”.
In particolare, l’art. 6 della Direttiva succitata prevede, in tema di “Responsabilità delle persone giuridiche”, che “Gli Stati membri provvedono affinché le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili dei reati di cui agli articoli 3 e 4 quando siano stati commessi a loro vantaggio da qualsiasi soggetto che detenga una posizione preminente in seno alla persona giuridica, individualmente o in quanto parte di un organo della persona giuridica … 2. Gli Stati membri provvedono altresì affinché le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili quando la carenza di sorveglianza o controllo da parte di un soggetto di cui al paragrafo 1 abbia reso possibile la commissione di un reato di cui agli articoli 3 e 4 a vantaggio della persona giuridica da parte di una persona soggetta alla sua autorità”.
L’art. 7 del medesimo provvedimento impone inoltre, agli Stati membri, di adottare “le misure necessarie affinché le persone giuridiche dichiarate responsabili di un reato ai sensi dell’articolo 6 siano passibili di sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive”.
Il riferimento era ad una vasta gamma di fattispecie di pericolo concreto e di danno, vuoi per le matrici ambientali, vuoi per la salute e integrità fisica delle persone, ma il “legislatore delegato” si è visto costretto a fare riferimento, per la responsabilità degli Enti, a fattispecie contravvenzionali e di pericolo astratto già presenti nel nostro ordinamento penale[4].
Si può pertanto ritenere – senza tema di smentite – che il D.L.vo n. 121/2011 discenda sostanzialmente da due Leggi Delega:
L. n. 300/2000 (v. par. 1), ancora non completamente attuata;
L. n. 96/2010, testé citata.
In realtà questo provvedimento soltanto nei primi due articoli attua, e non in modo soddisfacente, i principi di cui alle summenzionate deleghe: infatti, gli artt. 3 e 4 si occupano fondamentalmente e prevalentemente di gestione rifiuti e SISTRI.
Il testo di recepimento della Direttiva, pur rappresentando un passo avanti per la tutela penale dell’ambiente rispetto alla disciplina previgente italiana, presenta, in sé, un grande limite, ovvero quello di aver inserito esclusivamente (e non integralmente) nell’ordinamento italiano quelle disposizioni strettamente necessarie a dare attuazione alla Direttiva, senza però riordinare l’intera materia dei reati ambientali, come era lecito aspettarsi[5].
In effetti la stessa Relazione Illustrativa del D.L.vo n. 121/2011 lo chiarisce: “Considerati i limiti di pena contenuti all’art. 2 della Legge Comunitaria[6], che il Legislatore non ha inteso derogare con specifico riguardo alle direttive in esame, il recepimento delle stesse non può essere assicurato attraverso un completo ripensamento del sistema dei reati contro l’ambiente, mediante il loro inserimento sistematico all’interno del codice penale sostanziale e la previsione come delitti delle più gravi forme di aggressione; tale operazione potrà costituire oggetto di separato e successivo intervento normativo”.
Sempre secondo la Relazione illustrativa, invece, il D.L.vo n. 121/2011 “… opera in due distinte direzioni: da un lato implementa, ma sempre nell’ambito del sistema contravvenzionale, il livello di tutela penale delle condotte previste dalla Direttiva, prevedendole quali reati laddove non previsti; dall’altro prevede una compiuta disciplina della responsabilità delle persone giuridiche, oggi assente nei reati contro l’ambiente”.
In effetti, nella versione originaria del D.L.vo n. 231/2001, erano stati inclusi sia alcuni reati ambientali sia quelli in materia di violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro, poi espunti per le forti riserve mostrate (oggi come allora) dal mondo delle imprese.
La lettura del testo quindi consente di affermare che il legislatore non abbia introdotto fattispecie di pericolo concreto o di danno rilevante per le matrici ambientali o per la salute e integrità fisica delle persone, come invece richiesto dall’art. 3, lett. a) della Direttiva 2008/99/CE, così che la tutela penale contro gli inquinamenti è rimasta imperniata su reati di pericolo astratto contenuti nelle vigenti discipline di settore (acqua, rifiuti, aria), senza alcun riferimento a lesioni gravi o a danni significativi per l’ambiente.
Estremamente critica nei confronti di tale impostazione è stata la Corte di Cassazione, che nella propria Relazione n. III/09/2011 dell’agosto 2011 ha rilevato che “… il legislatore si è limitato esclusivamente ad inserire nel decreto legislativo soltanto quelle disposizioni strettamente necessarie a garantire l’adempimento agli obblighi comunitari scaturenti dalla direttiva 2008/99/CE, senza invece riordinare, come pure era lecito attendersi, l’intera materia dei reati ambientali. Il legislatore delegato, stante la limitazione derivante dall’entità della pene previste dall’art. 2 della legge delega n. 96/2010, ha preferito dunque rinviare ad un successivo intervento normativo sul codice penale, al fine di un più completo ripensamento del sistema dei reati ambientali che recepisca più compiutamente la direttiva prevedendo come delitti (anziché contravvenzioni) le fattispecie di illecito di maggiore gravità”.
Tuttavia, la recente L. 22 maggio 2015, n. 68[7] (v. cap. 6) ha apportato una serie di modifiche al D.L.vo n. 231/2001, che risultano di sicuro rilievo in quanto inseriscono nel codice penale alcuni nuovi reati ambientali (c.d. ecoreati), ed estendono – mediante alcune modifiche apportate al D.L.vo n. 231/2001 – il novero dei reati presupposto a tali nuove fattispecie (v. par. 3.1).
D’altra parte, occorre evidenziare che anche tale ultimo intervento operato dal legislatore italiano lascia comunque alcuni punti aperti, primo fra tutti il mantenimento nel D.L.vo n. 231/2001 di un numero elevato di reati meramente formali, principalmente contenuti nel D.L.vo n. 152/2006.
Infine, è opportuno segnalare che la disciplina contenuta nella “231 ambiente” potrebbe presentare alcuni punti di contatto con i diversi strumenti volontari costituiti dai Sistemi di Gestione Ambientale conformi allo Standard internazionale ISO 14001 o al Reg. (CE) n. 1221/2009[8] (EMAS)[9].
Senza alcuna pretesa di completezza sul punto, in questa sede ci si limita ad osservare che la documentazione prodotta conformemente al D.L.vo n. 231/2001 (il riferimento in particolare è al Modello di organizzazione e gestione) e quella elaborata in seno ai sistemi sopra richiamati hanno natura, caratteristiche e finalità diverse, tali da escludere che possano essere automaticamente sovrapposti; si pensi, ad esempio, al fatto che il campo di applicazione della responsabilità amministrativa dell’Ente per reati ambientali ex art. 25-undecies, D.L.vo n. 231/2001 non si estende a tutti gli aspetti ambientali che possono interessare l’organizzazione, ma solo a quelli previsti in modo specifico dalla norma di legge, diversamente da quanto avviene per i sistemi di gestione volontari conformi agli standard ISO 14001/EMAS.
Con la propria nota del 26 aprile 2011, peraltro, Confindustria ha ipotizzato che “In considerazione della complessità della disciplina ambientale e per evidenti esigenze di certezza degli operatori sarebbe auspicabile che il legislatore fornisse alle imprese criteri per l’implementazione dei modelli organizzativi esimenti, definendo eventualmente una serie di obiettivi e alcuni requisiti minimi da rispettare e sancendo la presunzione di idoneità dei modelli organizzativi definiti conformemente alla norma Uni En ISO 14001 ovvero al Regolamento EMAS, o modelli equivalenti”.
Ma questo non si è mai verificato.
Quindi: sistemi di gestione ambientale e implementazione “ambientale” del Modello di organizzazione e gestione non sono certo concetti analoghi o sovrapponibili.
Nei successivi paragrafi verranno illustrate le fattispecie di reati ambientali che determinano l’insorgere della responsabilità dell’Ente ai sensi del D.L.vo n. 231/2001, suddivise tra fattispecie disciplinate dal Codice Penale, fattispecie disciplinate dal D.L.vo n. 152/2006 e fattispecie disciplinate da altre normative nazionali speciali, cosi come richiamate dall’art. 25-undecies[10] del medesimo.
Alla fine del presente capitolo sono inoltre riportati un quadro sinottico riassuntivo delle varie ipotesi di reato-presupposto, con connesse sanzioni ed esempi pratici, ed un massimario di pronunce giurisprudenziali in tema di D.L.vo n. 231/2001.
Il testo di questo Commento è tratto dal volume Le responsabilità ambientali aziendali, a cura di Stefano Maglia e Giulia Guagnini TuttoAmbiente Edizioni, 2016.
[1] “Attuazione della direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente, nonché della direttiva 2009/123/CE che modifica la direttiva 2005/35/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 177 del 1 agosto 2011 ed in vigore dal 16 agosto 2011. [2] “Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2009”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 146 del 25 giugno 2010 – S.O. n. 138 ed in vigore dal 10 luglio 2010. [3] “Direttiva 2008/99/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008 , sulla tutela penale dell’ambiente”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. L328 del 6 dicembre 2008. [4] S. MAGLIA, “Il recepimento della Dir. 2008/99/CE e le modifiche al D.L.vo n. 231/2001”, in http://www.tuttoambiente.it. Per un approfondimento sul punto v. anche C. M. GRILLO, “Iter della direttiva 2008/99/ce e recepimento italiano. Un tormentato percorso per un risultato insoddisfacente”, in http://www.tuttoambiente.it. [5] Sulle novità attese in dottrina all’indomani delle Direttive citate v. M. BENOZZO, “La direttiva sulla tutela penale dell’ambiente tra intenzionalità, grave negligenza e responsabilità delle persone giuridiche”, in Dir. e giur. agr., alim. e dell’ambiente, 2009, n. 5, pag. 301; G.M. VAGLIASINDI, “La direttiva 2008/99 CE e il Trattato di Lisbona: verso un nuovo volto del diritto penale ambientale italiano”, Dir. comm. intern., 2010, pagg. 458 ss.; C. PAONESSA, “Gli obblighi di tutela penale”, Pisa, 2009, pagg. 232 e ss.; L. SIRACUSA, “L’attuazione della direttiva sulla tutela dell’ambiente tramite il diritto penale”, in www.penalecontemporaneo.it, è doveroso citare anche le “tesi della sufficienza”, quanto a struttura delle fattispecie, dell’esistente modello italiano di tutela penale dell’ambiente rispetto allo standard minimo preteso dalla direttiva 2008/99/CE: C. RUGA RIVA, “Diritto penale dell’ambiente”, Torino, 2011, pagg. 66 e ss. Nello stesso senso, sembra non ritenere necessaria, alla luce dell’art. 3, lett. a), Direttiva 2008/99/CE l’introduzione di reati di danno o pericolo concreto E. LO MONTE, “La direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente: una (a dir poco) problematica attuazione”, in Dir. e giur. agr., alim. e dell’ambiente, 2009, pag. 236. [6] L’art. 2, comma 1, lett. c) così recita: “Al di fuori dei casi previsti dalle norme penali vigenti, ove necessario per assicurare l’osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. Le sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell’ammenda fino a 150.000 euro e dell’arresto fino a tre anni, sono previste, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledono o espongono a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi sono previste: la pena dell’ammenda alternativa all’arresto per le infrazioni che espongono a pericolo o danneggiano l’interesse protetto; la pena dell’arresto congiunta a quella dell’ammenda per le infrazioni che recano un danno di particolare gravità. Nelle predette ipotesi, in luogo dell’arresto e dell’ammenda, possono essere previste anche le sanzioni alternative di cui agli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, e la relativa competenza del giudice di pace. La sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro è prevista per le infrazioni che ledono o espongono a pericolo interessi diversi da quelli indicati nei periodi precedenti. Nell’ambito dei limiti minimi e massimi previsti, le sanzioni indicate nella presente lettera sono determinate nella loro entità, tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell’interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che l’infrazione può recare al colpevole ovvero alla persona o all’ente nel cui interesse egli agisce. Entro i limiti di pena indicati nella presente lettera sono previste sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi. Nelle materie di cui all’articolo 117, quarto comma, della Costituzione, le sanzioni amministrative sono determinate dalle Regioni”. [7] “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 122 del 28 maggio 2015 ed in vigore dal 29 maggio 2015. [8] “Regolamento (CE) n. 1221/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009 , sull’adesione volontaria delle organizzazioni a un sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS), che abroga il regolamento (CE) n. 761/2001 e le decisioni della Commissione 2001/681/CE e 2006/193/CE”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea n. L342 del 22 dicembre 2009. [9] Per un approfondimento sul punto v. anche A. SILLANI, “231 AMBIENTE: quale valore ai SGA?”, in http://www.tuttoambiente.it. [10] “1. In relazione alla commissione dei reati previsti dal codice penale, si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie: a) per la violazione dell’articolo 452-bis, la sanzione pecuniaria da duecentocinquanta a seicento quote; b) per la violazione dell’articolo 452-quater, la sanzione pecuniaria da quattrocento a ottocento quote;
c) per la violazione dell’articolo 452-quinquies, la sanzione pecuniaria da duecento a cinquecento quote;
d) per i delitti associativi aggravati ai sensi dell’articolo 452-octies, la sanzione pecuniaria da trecento a mille quote;
e) per il delitto di traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività ai sensi dell’articolo 452-sexies, la sanzione pecuniaria da duecentocinquanta a seicento quote;
f) per la violazione dell’articolo 727-bis, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;
g) per la violazione dell’articolo 733-bis, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote. 1-bis. Nei casi di condanna per i delitti indicati al comma 1, lettere a) e b), del presente articolo, si applicano, oltre alle sanzioni pecuniarie ivi previste, le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, per un periodo non superiore a un anno per il delitto di cui alla citata lettera a).
In relazione alla commissione dei reati previsti dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
a) per i reati di cui all’articolo 137:
1) per la violazione dei commi 3, 5, primo periodo, e 13, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote; 2) per la violazione dei commi 2, 5, secondo periodo, e 11, la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote.
b) per i reati di cui all’articolo 256: 1) per la violazione dei commi 1, lettera a), e 6, primo periodo, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote; 2) per la violazione dei commi 1, lettera b), 3, primo periodo, e 5, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote; 3) per la violazione del comma 3, secondo periodo, la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote;
c) per i reati di cui all’articolo 257: 1) per la violazione del comma 1, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote; 2) per la violazione del comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
d) per la violazione dell’articolo 258, comma 4, secondo periodo, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
e) per la violazione dell’articolo 259, comma 1, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
f) per il delitto di cui all’articolo 260, la sanzione pecuniaria da trecento a cinquecento quote, nel caso previsto dal comma 1 e da quattrocento a ottocento quote nel caso previsto dal comma 2;
g) per la violazione dell’articolo 260-bis, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote nel caso previsto dai commi 6, 7, secondo e terzo periodo, e 8, primo periodo, e la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote nel caso previsto dal comma 8, secondo periodo;
h) per la violazione dell’articolo 279, comma 5, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote.
In relazione alla commissione dei reati previsti dalla legge 7 febbraio 1992, n. 150, si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
a) per la violazione degli articoli 1, comma 1, 2, commi 1 e 2, e 6, comma 4, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;
b) per la violazione dell’articolo 1, comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
c) per i reati del codice penale richiamati dall’articolo 3-bis, comma 1, della medesima legge n. 150 del 1992, rispettivamente: 1) la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo ad un anno di reclusione; 2) la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo a due anni di reclusione; 3) la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo a tre anni di reclusione; 4) la sanzione pecuniaria da trecento a cinquecento quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena superiore nel massimo a tre anni di reclusione.
In relazione alla commissione dei reati previsti dall’articolo 3, comma 6, della legge 28 dicembre 1993, n. 549, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote.
In relazione alla commissione dei reati previsti dal decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 202, si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
a) per il reato di cui all’articolo 9, comma 1, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;
b) per i reati di cui agli articoli 8, comma 1, e 9, comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
c) per il reato di cui all’articolo 8, comma 2, la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote.
Le sanzioni previste dal comma 2, lettera b), sono ridotte della metà nel caso di commissione del reato previsto dall’articolo 256, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
Nei casi di condanna per i delitti indicati al comma 2, lettere a), n. 2), b), n. 3), e f), e al comma 5, lettere b) e c), si applicano le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, per una durata non superiore a sei mesi.
Se l’ente o una sua unità organizzativa vengono stabilmente utilizzati allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati di cui all’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e all’articolo 8 del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 202, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’art. 16, comma 3, del decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231.”.
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La "231 Ambiente": il D.L.vo n. 231/2001
di Stefano Maglia, Giulia Guagnini
Il D.L.vo n. 231/2001 originariamente non contemplava – fra i reati-presupposto passibili di dare origine alla responsabilità amministrativa dell’Ente – i reati ambientali.
La disciplina introdotta dal D.L.vo n. 231/2001 fu tuttavia integrata dal D.Lvo 7 luglio 2011, n. 121[1] (c.d. “231 ambiente”), che a far data dal 16 agosto 2011 inserì nel D.L.vo n. 231/2001 una serie di reati ambientali.
Nel 2009 infatti il Legislatore italiano, mediante l’art. 19 della Legge Comunitaria 2009 (L. 4 giugno 2010, n. 96[2]), delegò il Governo a recepire entro nove mesi le disposizioni della Direttiva 2008/99/CE[3], tramite l’adozione di uno o più Decreti Legislativi che avrebbero dovuto contenere i seguenti principi:
“a) introdurre tra i reati di cui alla sezione III del capo I del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e successive modificazioni, le fattispecie criminose indicate nelle direttive di cui al comma 1;
b) prevedere, nei confronti degli enti nell’interesse o a vantaggio dei quali è stato commesso uno dei reati di cui alla lettera a), adeguate e proporzionate sanzioni amministrative pecuniarie, di confisca, di pubblicazione della sentenza ed eventualmente anche interdittive”.
In particolare, l’art. 6 della Direttiva succitata prevede, in tema di “Responsabilità delle persone giuridiche”, che “Gli Stati membri provvedono affinché le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili dei reati di cui agli articoli 3 e 4 quando siano stati commessi a loro vantaggio da qualsiasi soggetto che detenga una posizione preminente in seno alla persona giuridica, individualmente o in quanto parte di un organo della persona giuridica … 2. Gli Stati membri provvedono altresì affinché le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili quando la carenza di sorveglianza o controllo da parte di un soggetto di cui al paragrafo 1 abbia reso possibile la commissione di un reato di cui agli articoli 3 e 4 a vantaggio della persona giuridica da parte di una persona soggetta alla sua autorità”.
L’art. 7 del medesimo provvedimento impone inoltre, agli Stati membri, di adottare “le misure necessarie affinché le persone giuridiche dichiarate responsabili di un reato ai sensi dell’articolo 6 siano passibili di sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive”.
Il riferimento era ad una vasta gamma di fattispecie di pericolo concreto e di danno, vuoi per le matrici ambientali, vuoi per la salute e integrità fisica delle persone, ma il “legislatore delegato” si è visto costretto a fare riferimento, per la responsabilità degli Enti, a fattispecie contravvenzionali e di pericolo astratto già presenti nel nostro ordinamento penale[4].
Si può pertanto ritenere – senza tema di smentite – che il D.L.vo n. 121/2011 discenda sostanzialmente da due Leggi Delega:
In realtà questo provvedimento soltanto nei primi due articoli attua, e non in modo soddisfacente, i principi di cui alle summenzionate deleghe: infatti, gli artt. 3 e 4 si occupano fondamentalmente e prevalentemente di gestione rifiuti e SISTRI.
Il testo di recepimento della Direttiva, pur rappresentando un passo avanti per la tutela penale dell’ambiente rispetto alla disciplina previgente italiana, presenta, in sé, un grande limite, ovvero quello di aver inserito esclusivamente (e non integralmente) nell’ordinamento italiano quelle disposizioni strettamente necessarie a dare attuazione alla Direttiva, senza però riordinare l’intera materia dei reati ambientali, come era lecito aspettarsi[5].
In effetti la stessa Relazione Illustrativa del D.L.vo n. 121/2011 lo chiarisce: “Considerati i limiti di pena contenuti all’art. 2 della Legge Comunitaria[6], che il Legislatore non ha inteso derogare con specifico riguardo alle direttive in esame, il recepimento delle stesse non può essere assicurato attraverso un completo ripensamento del sistema dei reati contro l’ambiente, mediante il loro inserimento sistematico all’interno del codice penale sostanziale e la previsione come delitti delle più gravi forme di aggressione; tale operazione potrà costituire oggetto di separato e successivo intervento normativo”.
Sempre secondo la Relazione illustrativa, invece, il D.L.vo n. 121/2011 “… opera in due distinte direzioni: da un lato implementa, ma sempre nell’ambito del sistema contravvenzionale, il livello di tutela penale delle condotte previste dalla Direttiva, prevedendole quali reati laddove non previsti; dall’altro prevede una compiuta disciplina della responsabilità delle persone giuridiche, oggi assente nei reati contro l’ambiente”.
In effetti, nella versione originaria del D.L.vo n. 231/2001, erano stati inclusi sia alcuni reati ambientali sia quelli in materia di violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro, poi espunti per le forti riserve mostrate (oggi come allora) dal mondo delle imprese.
La lettura del testo quindi consente di affermare che il legislatore non abbia introdotto fattispecie di pericolo concreto o di danno rilevante per le matrici ambientali o per la salute e integrità fisica delle persone, come invece richiesto dall’art. 3, lett. a) della Direttiva 2008/99/CE, così che la tutela penale contro gli inquinamenti è rimasta imperniata su reati di pericolo astratto contenuti nelle vigenti discipline di settore (acqua, rifiuti, aria), senza alcun riferimento a lesioni gravi o a danni significativi per l’ambiente.
Estremamente critica nei confronti di tale impostazione è stata la Corte di Cassazione, che nella propria Relazione n. III/09/2011 dell’agosto 2011 ha rilevato che “… il legislatore si è limitato esclusivamente ad inserire nel decreto legislativo soltanto quelle disposizioni strettamente necessarie a garantire l’adempimento agli obblighi comunitari scaturenti dalla direttiva 2008/99/CE, senza invece riordinare, come pure era lecito attendersi, l’intera materia dei reati ambientali. Il legislatore delegato, stante la limitazione derivante dall’entità della pene previste dall’art. 2 della legge delega n. 96/2010, ha preferito dunque rinviare ad un successivo intervento normativo sul codice penale, al fine di un più completo ripensamento del sistema dei reati ambientali che recepisca più compiutamente la direttiva prevedendo come delitti (anziché contravvenzioni) le fattispecie di illecito di maggiore gravità”.
Tuttavia, la recente L. 22 maggio 2015, n. 68[7] (v. cap. 6) ha apportato una serie di modifiche al D.L.vo n. 231/2001, che risultano di sicuro rilievo in quanto inseriscono nel codice penale alcuni nuovi reati ambientali (c.d. ecoreati), ed estendono – mediante alcune modifiche apportate al D.L.vo n. 231/2001 – il novero dei reati presupposto a tali nuove fattispecie (v. par. 3.1).
D’altra parte, occorre evidenziare che anche tale ultimo intervento operato dal legislatore italiano lascia comunque alcuni punti aperti, primo fra tutti il mantenimento nel D.L.vo n. 231/2001 di un numero elevato di reati meramente formali, principalmente contenuti nel D.L.vo n. 152/2006.
Infine, è opportuno segnalare che la disciplina contenuta nella “231 ambiente” potrebbe presentare alcuni punti di contatto con i diversi strumenti volontari costituiti dai Sistemi di Gestione Ambientale conformi allo Standard internazionale ISO 14001 o al Reg. (CE) n. 1221/2009[8] (EMAS)[9].
Senza alcuna pretesa di completezza sul punto, in questa sede ci si limita ad osservare che la documentazione prodotta conformemente al D.L.vo n. 231/2001 (il riferimento in particolare è al Modello di organizzazione e gestione) e quella elaborata in seno ai sistemi sopra richiamati hanno natura, caratteristiche e finalità diverse, tali da escludere che possano essere automaticamente sovrapposti; si pensi, ad esempio, al fatto che il campo di applicazione della responsabilità amministrativa dell’Ente per reati ambientali ex art. 25-undecies, D.L.vo n. 231/2001 non si estende a tutti gli aspetti ambientali che possono interessare l’organizzazione, ma solo a quelli previsti in modo specifico dalla norma di legge, diversamente da quanto avviene per i sistemi di gestione volontari conformi agli standard ISO 14001/EMAS.
Con la propria nota del 26 aprile 2011, peraltro, Confindustria ha ipotizzato che “In considerazione della complessità della disciplina ambientale e per evidenti esigenze di certezza degli operatori sarebbe auspicabile che il legislatore fornisse alle imprese criteri per l’implementazione dei modelli organizzativi esimenti, definendo eventualmente una serie di obiettivi e alcuni requisiti minimi da rispettare e sancendo la presunzione di idoneità dei modelli organizzativi definiti conformemente alla norma Uni En ISO 14001 ovvero al Regolamento EMAS, o modelli equivalenti”.
Ma questo non si è mai verificato.
Quindi: sistemi di gestione ambientale e implementazione “ambientale” del Modello di organizzazione e gestione non sono certo concetti analoghi o sovrapponibili.
Nei successivi paragrafi verranno illustrate le fattispecie di reati ambientali che determinano l’insorgere della responsabilità dell’Ente ai sensi del D.L.vo n. 231/2001, suddivise tra fattispecie disciplinate dal Codice Penale, fattispecie disciplinate dal D.L.vo n. 152/2006 e fattispecie disciplinate da altre normative nazionali speciali, cosi come richiamate dall’art. 25-undecies[10] del medesimo.
Alla fine del presente capitolo sono inoltre riportati un quadro sinottico riassuntivo delle varie ipotesi di reato-presupposto, con connesse sanzioni ed esempi pratici, ed un massimario di pronunce giurisprudenziali in tema di D.L.vo n. 231/2001.
Il testo di questo Commento è tratto dal volume Le responsabilità ambientali aziendali, a cura di Stefano Maglia e Giulia Guagnini TuttoAmbiente Edizioni, 2016.
[1] “Attuazione della direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente, nonché della direttiva 2009/123/CE che modifica la direttiva 2005/35/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 177 del 1 agosto 2011 ed in vigore dal 16 agosto 2011.
[2] “Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2009”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 146 del 25 giugno 2010 – S.O. n. 138 ed in vigore dal 10 luglio 2010.
[3] “Direttiva 2008/99/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008 , sulla tutela penale dell’ambiente”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. L328 del 6 dicembre 2008.
[4] S. MAGLIA, “Il recepimento della Dir. 2008/99/CE e le modifiche al D.L.vo n. 231/2001”, in http://www.tuttoambiente.it. Per un approfondimento sul punto v. anche C. M. GRILLO, “Iter della direttiva 2008/99/ce e recepimento italiano. Un tormentato percorso per un risultato insoddisfacente”, in http://www.tuttoambiente.it.
[5] Sulle novità attese in dottrina all’indomani delle Direttive citate v. M. BENOZZO, “La direttiva sulla tutela penale dell’ambiente tra intenzionalità, grave negligenza e responsabilità delle persone giuridiche”, in Dir. e giur. agr., alim. e dell’ambiente, 2009, n. 5, pag. 301; G.M. VAGLIASINDI, “La direttiva 2008/99 CE e il Trattato di Lisbona: verso un nuovo volto del diritto penale ambientale italiano”, Dir. comm. intern., 2010, pagg. 458 ss.; C. PAONESSA, “Gli obblighi di tutela penale”, Pisa, 2009, pagg. 232 e ss.; L. SIRACUSA, “L’attuazione della direttiva sulla tutela dell’ambiente tramite il diritto penale”, in www.penalecontemporaneo.it, è doveroso citare anche le “tesi della sufficienza”, quanto a struttura delle fattispecie, dell’esistente modello italiano di tutela penale dell’ambiente rispetto allo standard minimo preteso dalla direttiva 2008/99/CE: C. RUGA RIVA, “Diritto penale dell’ambiente”, Torino, 2011, pagg. 66 e ss. Nello stesso senso, sembra non ritenere necessaria, alla luce dell’art. 3, lett. a), Direttiva 2008/99/CE l’introduzione di reati di danno o pericolo concreto E. LO MONTE, “La direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente: una (a dir poco) problematica attuazione”, in Dir. e giur. agr., alim. e dell’ambiente, 2009, pag. 236.
[6] L’art. 2, comma 1, lett. c) così recita: “Al di fuori dei casi previsti dalle norme penali vigenti, ove necessario per assicurare l’osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. Le sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell’ammenda fino a 150.000 euro e dell’arresto fino a tre anni, sono previste, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledono o espongono a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi sono previste: la pena dell’ammenda alternativa all’arresto per le infrazioni che espongono a pericolo o danneggiano l’interesse protetto; la pena dell’arresto congiunta a quella dell’ammenda per le infrazioni che recano un danno di particolare gravità. Nelle predette ipotesi, in luogo dell’arresto e dell’ammenda, possono essere previste anche le sanzioni alternative di cui agli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, e la relativa competenza del giudice di pace. La sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro è prevista per le infrazioni che ledono o espongono a pericolo interessi diversi da quelli indicati nei periodi precedenti. Nell’ambito dei limiti minimi e massimi previsti, le sanzioni indicate nella presente lettera sono determinate nella loro entità, tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell’interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che l’infrazione può recare al colpevole ovvero alla persona o all’ente nel cui interesse egli agisce. Entro i limiti di pena indicati nella presente lettera sono previste sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi. Nelle materie di cui all’articolo 117, quarto comma, della Costituzione, le sanzioni amministrative sono determinate dalle Regioni”.
[7] “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 122 del 28 maggio 2015 ed in vigore dal 29 maggio 2015.
[8] “Regolamento (CE) n. 1221/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009 , sull’adesione volontaria delle organizzazioni a un sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS), che abroga il regolamento (CE) n. 761/2001 e le decisioni della Commissione 2001/681/CE e 2006/193/CE”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea n. L342 del 22 dicembre 2009.
[9] Per un approfondimento sul punto v. anche A. SILLANI, “231 AMBIENTE: quale valore ai SGA?”, in http://www.tuttoambiente.it.
[10] “1. In relazione alla commissione dei reati previsti dal codice penale, si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
a) per la violazione dell’articolo 452-bis, la sanzione pecuniaria da duecentocinquanta a seicento quote;
b) per la violazione dell’articolo 452-quater, la sanzione pecuniaria da quattrocento a ottocento quote;
1-bis. Nei casi di condanna per i delitti indicati al comma 1, lettere a) e b), del presente articolo, si applicano, oltre alle sanzioni pecuniarie ivi previste, le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, per un periodo non superiore a un anno per il delitto di cui alla citata lettera a).
2) per la violazione dei commi 2, 5, secondo periodo, e 11, la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote.
1) per la violazione dei commi 1, lettera a), e 6, primo periodo, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;
2) per la violazione dei commi 1, lettera b), 3, primo periodo, e 5, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
3) per la violazione del comma 3, secondo periodo, la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote;
1) per la violazione del comma 1, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;
2) per la violazione del comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
1) la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo ad un anno di reclusione;
2) la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo a due anni di reclusione;
3) la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo a tre anni di reclusione;
4) la sanzione pecuniaria da trecento a cinquecento quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena superiore nel massimo a tre anni di reclusione.
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