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La certificazione della qualità igienica degli alimenti: una nuova opportunità per le industrie alimentari
di Vito Rubino
Categoria: Alimenti
Con l’elaborazione della norma UNI 10854 relativa alla progettazione e realizzazione di un sistema di autocontrollo basato sul metodo haccp le industrie alimentari hanno acquisito un nuovo strumento per la promozione della propria immagine sul mercato, particolarmente importante in un periodo come questo dominato dalla diffidenza del consumatore disorientato dai molti e ben noti recenti scandali. Attraverso l’applicazione delle linee–guida tracciate dall’UNI le imprese alimentari possono ottenere una «certificazione» della igienicità del processo produttivo, strumento inedito e particolarmente importante nella prospettiva della evoluzione della legislazione comunitaria (e nazionale) sull’igiene degli alimenti attualmente in fase di discussione al Parlamento europeo [1] .
Per comprendere appieno la portata di questa innovazione occorre tracciare brevemente le linee di sviluppo del concetto di certificazione nel settore alimentare. Come è noto la «certificazione» è uno strumento volontario definito dalla norma EN 45000 come «l’atto mediante il quale una terza parte attesta con sufficiente livello di fiducia che un determinato prodotto, processo o servizio è conforme ad una data norma o regola tecnica». Le regole tecniche sono norme concordate a livello internazionale da organismi riconosciuti[2] mediante le quali vengono definite le caratteristiche di standardizzazione elaborate da un comitato tecnico costituito appositamente e supportato da comitati in ambito regionale (es. Europa) e nazionale (es. Italia). La situazione così descritta va rapportata all’ambito alimentare le cui peculiarità dettate dall’estrema varietà dei prodotti e dalla difficoltà di assoggettare ciascuno di essi a regole fisse (lo «standard» appunto)[3], hanno orientato gli imprenditori a partire dai primi anni ‘90, allorquando si è cominciato a parlare in modo diffuso di certificazioni nell’industria alimentare, a scegliere la «certificazione di sistema» secondo gli standard ISO in luogo di quella di prodotto[4] .
L’utilizzo dello strumento della normazione volontaria è stato fortemente incentivato dallo stesso Legislatore comunitario allorquando, a seguito della giurisprudenza «Cassis de Dijon» e dell’introduzione del principio del mutuo riconoscimento fra norme di Stati membri, prendendo atto delle oggettive difficoltà di creare un sistema completo di norme cogenti che disciplinassero ogni aspetto della produzione di ciascun singolo alimento (c.d. «leggi-ricetta che inseguivano il sogno di un «europrodotto) ha tracciato con la comunicazione della Commissione sulla legislazione comunitaria dei prodotti alimentari[5] e con la risoluzione del Consiglio relativa ad una nuova strategia in materia di armonizzazione tecnica e normalizzazione[6] una bipartizione netta fra gli aspetti fondamentali della salubrità – sicurezza, per loro natura destinati comunque ad essere oggetto di una attività normativa cogente il cui rispetto discende da una obbligatoria osservanza delle leggi inadatta a dare luogo da una «certificazione», e gli altri aspetti della qualità (composizione, caratteristiche fisiche ed organolettiche, modalità di lavorazione etc…) lasciati alla sfera di autonomia della normazione tecnica volontaria. Si comprende dunque per quale motivo l’igiene delle produzioni alimentari non sia stata oggetto in passato di una autonoma attività di certificazione[7]: vero è che, come l’UNI stessa ha fatto notare, non sono mancati casi di certificazione delle produzioni alimentari ai sensi del d.lgs 155/97, ma si è trattato di chiare distorsioni del concetto di «certificazione» che rientra in un esclusivo campo volontario e non può essere attuata sulla base di norme cogenti.
L’igiene degli alimenti è dunque rientrata sempre fra i fattori oggetto di valutazione nell’ambito della certificazione di sistema secondo le norme ISO 9000[8] in quella logica integrata che vede nella igienicità del processo produttivo il pre-requisito su cui costruire tutti gli altri aspetti della «qualità». La norma UNI 10854 si inserisce in questo contesto consentendo legittimamente la certificazione del solo aspetto igienico sulla base dell’assoggettamento volontario alle linee guida per l’implementazione di un sistema di autocontrollo aziendale basato sul metodo «haccp»[9].
Le linee guida indicate dall’UNI integrano il metodo haccp con i principi e le norme della serie ISO 9000 estendendo la sua applicabilità a tutte le fasi della produzione, compresa quella primaria[10]. Il sistema di autocontrollo previsto dalla norma UNI sarà dotato innanzitutto di alcuni prerequisiti fra cui particolarmente importanti risultano la divisione chiara delle responsabilità relative alle diverse attività dell’autocontrollo stesso nonché la disponibilità di conoscenze e risorse tecniche extra-aziendali e aziendali. Naturalmente per poter predisporre un sistema di autocontrollo efficace l’azienda dovrà preventivamente essere dotata di tutti i requisiti che la legge impone, a partire da quanto espressamente disposto dal d. lgs. 155/97. Una volta adeguati come descritto i pre-requisiti l’azienda alimentare può predisporre il sistema di autocontrollo secondo il metodo haccp come indicato dalla norma UNI. Tale sistema si compone come è noto di 7 principi fondamentali che la norma UNI raggruppa in 3 paragrafi: «analisi dei pericoli«, «individuazione dei sistemi di controllo» ed «elementi di gestione del sistema». L’analisi dei pericoli comprende il primo principio del metodo haccp (analisi dei potenziali rischi per gli alimenti) e prescrive l’effettuazione di una accurata valutazione dei rischi chimici, fisici e microbiologici legati tanto al prodotto quanto al processo produttivo mediante la predisposizione a tal fine di accurate descrizioni . La valutazione così effettuata dovrà fondarsi sui due parametri della gravità (possibili agenti contaminanti) e del rischio (probabilità di insorgenza del fenomeno). Il paragrafo 6 della norma UNI si occupa della individuazione dei sistemi di controllo e comprende i principi 2, 3 , 4 e 5 del metodo haccp che concernono rispettivamente l’individuazione dei «punti critici di controllo» (CCP) la definizione dei limiti di tolleranza nei CCP, la definizione del sistema di monitoraggio e la predisposizione delle azioni correttive in caso di superamento della soglia di rischio. L’attività di identificazione dei punti critici di controllo è fondamentale per il buon funzionamento del sistema e consiste nella identificazione in concreto lungo tutto il processo produttivo dei punti in cui i pericoli preventivamente determinati possono concretizzarsi secondo uno schema probabilistico. A tal fine la norma UNI detta alcuni principi base utili per una corretta attività di identificazione dei CCP suggerendo una attività di pianificazione il più ampia possibile mediante diagrammi ad albero o altro sistema. Una volta individuati i CCP si passa alla fase della gestione mediante un sistema documentato basato sui principi essenziali di gestione per la qualità (integrazione norme ISO). La gestione dei CCP porterà l’azienda alla definizione di una serie di parametri di controllo (limiti critici – principio 3 haccp) alla predisposizione di adeguati sistemi di monitoraggio (principio 4 haccp) e di azioni correttive da adottare in caso di superamento della «soglia di rischio» (principio 5 haccp). Di particolare importanza appare in questa fase la c.d. «gestione della non conformità» che prescrive l’individuazione chiara delle azioni da porre in essere quando si verifichi il superamento di un parametro. Il paragrafo 7 della norma UNI descrive gli elementi di gestione del sistema raggruppando le attività di documentazione delle procedure (principio 6 haccp) e di verifica periodica del sistema (principio 7 haccp) stabilendo in modo analitico quali procedure debbano essere definite per verificare che il sistema di autocontrollo venga attuato correttamente e che corrisponda sempre ai principi di adeguatezza ed efficacia propri dello «stato dell’arte».
La certificazione della qualità igienica che può discendere dalla corretta applicazione della norma UNI 10854 rappresenta per le industrie alimentari una nuova opportunità per offrire al consumatore la sicurezza sulla qualità dell’alimento prodotto, e vincere le diffidenze sempre più pronunciate negli ultimi tempi a causa dei molti recenti scandali. Tenuto conto del fatto che le operazioni descritte sono in gran parte già adottate dalle industrie alimentari per effetto delle norme di legge vigenti l’opportunità si presenta anche come facilmente accessibile ed economicamente remunerativa. Uno stimolo in più dunque verso quella evoluzione «qualitativa» che anche il Legislatore comunitario intende promuovere mediante i regolamenti di riforma della legislazione alimentare attualmente in discussione al Parlamento europeo.
——————————————————————————–
[1] Le proposte di riforma in materia sono state avanzate dalla Commissione europea a seguito del Libro bianco del 2000 (COM (2000) 719 def.) e mirano a dare coerenza organica al settore riordinando le disposizioni esistenti e introducendo principi nuovi quali la «rintracciabilità di filiera obbligatoria», il principio di precauzione, l’estensione degli obblighi di sicurezza anche alla produzione primaria secondo la logica «dalla fattoria alla tavola».
[2] Si veda ad esempio l’allegato I alla direttiva 83/189/CEE pubblicata in GUCE L 109 del 26.04.1983.
[3] Non è un caso infatti che delle oltre 100 norme UNI dedicate al settore alimentare solo una «sparuta pattuglia» offra disciplinari di produzione di specifici prodotti. Fra queste ricordiamo le norme relative ai salumi (UNI 10267/96 per il salame «Felino», 10268/96 per il salame «Milano») e ai formaggi (UNI 10537/95 per la mozzarella tradizionale, 10710/98 per il mascarpone, UNI EN ISO 1854/99 per il formaggio da siero UNI ISO 5534/94 per il formaggio fuso). Un discorso a parte andrebbe fatto per il «marchio collettivo» sviluppatosi quale strumento di promozione commerciale per garantire le caratteristiche di un determinato prodotto con funzioni per certi aspetti simili alla certificazione. Il marchio collettivo, disciplinato dal Cod. Civ. attesta infatti che le aziende, legalmente associate ad Enti con finalità di garanzia circa l’origine, la natura o la qualità di un determinato prodotto, si sono impegnate ad assoggettare il proprio processo produttivo alle prescrizioni statutarie ed ai controlli dell’ente titolare.
[4] La spinta decisiva in questo senso è giunta proprio dal Legislatore comunitario laddove nell’art. 6 della dir. 93/43 raccomandava agli Stati membri di incentivare le imprese alimentari ad adottare le norme europee della serie EN 29000 onde attuare le norme generali di igiene e corretta prassi operativa.
[5] COM (85) 603 def.
[6] Risoluzione del Consiglio 7 Maggio 1985 in GUCE C 136 del 04.06.1985.
[7] Per completezza va tuttavia segnalato che sono esistite ed esistono forme di “validazione di conformità” a protocolli e standard definiti in altre sedi, quali il SAGI (Sistema Aziendale di Garanzia di Igiene nell’industria agroalimentare)
[8] ISO = International Organization for Standardization, costituita a Londra nel 1947, cui aderiscono gli enti normatori nazionali di un centinaio di Paesi, fra i quali l’UNI per l’Italia.
[9] haccp = Hazard Analysis and Critical Control Points, metodo basato su un approccio sistematico e scientifico alle problematichedella igienicità delle produzioni alimentari, internazionalmente riconosciuto e raccomandato dal Codex Alimentarius. Nacque negli stati Uniti ad opera della soc. Pillsbury che chiamata dalla Nasa ad individuare un sistema in grado di garantire l’assoluta salubrità degli alimenti destinati all’alimentazione nello spazio senza sottoporre tutte le derrate ad analisi sistematiche identifico nei 7 principi di prevenzione e gestione del rischio la soluzione più efficace per garantire l’assoluta igienicità dei processi produttivi e con essi dei prodotti finiti. Il metodo haccp, presentato nel 1971 alla Conferenza Nazionale per la protezione degli alimenti negli Stati Uniti venne due anni dopo adottato dalla FDA (Food and Drug Administration) come standard per gli alimenti inscatolati e successivamente dal Codex Alimentarius per tutti gli alimenti. Il metodo haccp si fonda su una corretta attività di prevenzione dei rischi mediante l’individuazione a priori dei possibili pericoli connessi alla produzione di determinati alimenti (contaminazioni microbiologiche, chimiche, fisiche, deterioramento etc…) e l’adozione di opportuni correttivi che consentao di evitare la concretizzazione di tali pericoli. Attraverso il monitoraggio continuo di “punti critici” del processo produttivo l’haccp offre idonee garanzie di salubrità del prodotto finito.
[10] In questo la norma UNI anticipa l’evoluzione prospettata dalla Commissione europea con le porposte di riforma della legislazione comunitaria sull’igiene delle produzioni alimentari. Nel regolemento attualmente in discussione presso il Parlamento europeo è prevista l’estensione del principio di corretta prassi operativa a salvaguardia dell’igiene delle produzioni primarie che tuttavia non prevede l’applicazione obbligatoria del sistema haccp.
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La certificazione della qualità igienica degli alimenti: una nuova opportunità per le industrie alimentari
di Vito Rubino
Con l’elaborazione della norma UNI 10854 relativa alla progettazione e realizzazione di un sistema di autocontrollo basato sul metodo haccp le industrie alimentari hanno acquisito un nuovo strumento per la promozione della propria immagine sul mercato, particolarmente importante in un periodo come questo dominato dalla diffidenza del consumatore disorientato dai molti e ben noti recenti scandali. Attraverso l’applicazione delle linee–guida tracciate dall’UNI le imprese alimentari possono ottenere una «certificazione» della igienicità del processo produttivo, strumento inedito e particolarmente importante nella prospettiva della evoluzione della legislazione comunitaria (e nazionale) sull’igiene degli alimenti attualmente in fase di discussione al Parlamento europeo [1] .
Per comprendere appieno la portata di questa innovazione occorre tracciare brevemente le linee di sviluppo del concetto di certificazione nel settore alimentare. Come è noto la «certificazione» è uno strumento volontario definito dalla norma EN 45000 come «l’atto mediante il quale una terza parte attesta con sufficiente livello di fiducia che un determinato prodotto, processo o servizio è conforme ad una data norma o regola tecnica». Le regole tecniche sono norme concordate a livello internazionale da organismi riconosciuti[2] mediante le quali vengono definite le caratteristiche di standardizzazione elaborate da un comitato tecnico costituito appositamente e supportato da comitati in ambito regionale (es. Europa) e nazionale (es. Italia). La situazione così descritta va rapportata all’ambito alimentare le cui peculiarità dettate dall’estrema varietà dei prodotti e dalla difficoltà di assoggettare ciascuno di essi a regole fisse (lo «standard» appunto)[3], hanno orientato gli imprenditori a partire dai primi anni ‘90, allorquando si è cominciato a parlare in modo diffuso di certificazioni nell’industria alimentare, a scegliere la «certificazione di sistema» secondo gli standard ISO in luogo di quella di prodotto[4] .
L’utilizzo dello strumento della normazione volontaria è stato fortemente incentivato dallo stesso Legislatore comunitario allorquando, a seguito della giurisprudenza «Cassis de Dijon» e dell’introduzione del principio del mutuo riconoscimento fra norme di Stati membri, prendendo atto delle oggettive difficoltà di creare un sistema completo di norme cogenti che disciplinassero ogni aspetto della produzione di ciascun singolo alimento (c.d. «leggi-ricetta che inseguivano il sogno di un «europrodotto) ha tracciato con la comunicazione della Commissione sulla legislazione comunitaria dei prodotti alimentari[5] e con la risoluzione del Consiglio relativa ad una nuova strategia in materia di armonizzazione tecnica e normalizzazione[6] una bipartizione netta fra gli aspetti fondamentali della salubrità – sicurezza, per loro natura destinati comunque ad essere oggetto di una attività normativa cogente il cui rispetto discende da una obbligatoria osservanza delle leggi inadatta a dare luogo da una «certificazione», e gli altri aspetti della qualità (composizione, caratteristiche fisiche ed organolettiche, modalità di lavorazione etc…) lasciati alla sfera di autonomia della normazione tecnica volontaria. Si comprende dunque per quale motivo l’igiene delle produzioni alimentari non sia stata oggetto in passato di una autonoma attività di certificazione[7]: vero è che, come l’UNI stessa ha fatto notare, non sono mancati casi di certificazione delle produzioni alimentari ai sensi del d.lgs 155/97, ma si è trattato di chiare distorsioni del concetto di «certificazione» che rientra in un esclusivo campo volontario e non può essere attuata sulla base di norme cogenti.
L’igiene degli alimenti è dunque rientrata sempre fra i fattori oggetto di valutazione nell’ambito della certificazione di sistema secondo le norme ISO 9000[8] in quella logica integrata che vede nella igienicità del processo produttivo il pre-requisito su cui costruire tutti gli altri aspetti della «qualità». La norma UNI 10854 si inserisce in questo contesto consentendo legittimamente la certificazione del solo aspetto igienico sulla base dell’assoggettamento volontario alle linee guida per l’implementazione di un sistema di autocontrollo aziendale basato sul metodo «haccp»[9].
Le linee guida indicate dall’UNI integrano il metodo haccp con i principi e le norme della serie ISO 9000 estendendo la sua applicabilità a tutte le fasi della produzione, compresa quella primaria[10]. Il sistema di autocontrollo previsto dalla norma UNI sarà dotato innanzitutto di alcuni prerequisiti fra cui particolarmente importanti risultano la divisione chiara delle responsabilità relative alle diverse attività dell’autocontrollo stesso nonché la disponibilità di conoscenze e risorse tecniche extra-aziendali e aziendali. Naturalmente per poter predisporre un sistema di autocontrollo efficace l’azienda dovrà preventivamente essere dotata di tutti i requisiti che la legge impone, a partire da quanto espressamente disposto dal d. lgs. 155/97. Una volta adeguati come descritto i pre-requisiti l’azienda alimentare può predisporre il sistema di autocontrollo secondo il metodo haccp come indicato dalla norma UNI. Tale sistema si compone come è noto di 7 principi fondamentali che la norma UNI raggruppa in 3 paragrafi: «analisi dei pericoli«, «individuazione dei sistemi di controllo» ed «elementi di gestione del sistema». L’analisi dei pericoli comprende il primo principio del metodo haccp (analisi dei potenziali rischi per gli alimenti) e prescrive l’effettuazione di una accurata valutazione dei rischi chimici, fisici e microbiologici legati tanto al prodotto quanto al processo produttivo mediante la predisposizione a tal fine di accurate descrizioni . La valutazione così effettuata dovrà fondarsi sui due parametri della gravità (possibili agenti contaminanti) e del rischio (probabilità di insorgenza del fenomeno). Il paragrafo 6 della norma UNI si occupa della individuazione dei sistemi di controllo e comprende i principi 2, 3 , 4 e 5 del metodo haccp che concernono rispettivamente l’individuazione dei «punti critici di controllo» (CCP) la definizione dei limiti di tolleranza nei CCP, la definizione del sistema di monitoraggio e la predisposizione delle azioni correttive in caso di superamento della soglia di rischio. L’attività di identificazione dei punti critici di controllo è fondamentale per il buon funzionamento del sistema e consiste nella identificazione in concreto lungo tutto il processo produttivo dei punti in cui i pericoli preventivamente determinati possono concretizzarsi secondo uno schema probabilistico. A tal fine la norma UNI detta alcuni principi base utili per una corretta attività di identificazione dei CCP suggerendo una attività di pianificazione il più ampia possibile mediante diagrammi ad albero o altro sistema. Una volta individuati i CCP si passa alla fase della gestione mediante un sistema documentato basato sui principi essenziali di gestione per la qualità (integrazione norme ISO). La gestione dei CCP porterà l’azienda alla definizione di una serie di parametri di controllo (limiti critici – principio 3 haccp) alla predisposizione di adeguati sistemi di monitoraggio (principio 4 haccp) e di azioni correttive da adottare in caso di superamento della «soglia di rischio» (principio 5 haccp). Di particolare importanza appare in questa fase la c.d. «gestione della non conformità» che prescrive l’individuazione chiara delle azioni da porre in essere quando si verifichi il superamento di un parametro. Il paragrafo 7 della norma UNI descrive gli elementi di gestione del sistema raggruppando le attività di documentazione delle procedure (principio 6 haccp) e di verifica periodica del sistema (principio 7 haccp) stabilendo in modo analitico quali procedure debbano essere definite per verificare che il sistema di autocontrollo venga attuato correttamente e che corrisponda sempre ai principi di adeguatezza ed efficacia propri dello «stato dell’arte».
La certificazione della qualità igienica che può discendere dalla corretta applicazione della norma UNI 10854 rappresenta per le industrie alimentari una nuova opportunità per offrire al consumatore la sicurezza sulla qualità dell’alimento prodotto, e vincere le diffidenze sempre più pronunciate negli ultimi tempi a causa dei molti recenti scandali. Tenuto conto del fatto che le operazioni descritte sono in gran parte già adottate dalle industrie alimentari per effetto delle norme di legge vigenti l’opportunità si presenta anche come facilmente accessibile ed economicamente remunerativa. Uno stimolo in più dunque verso quella evoluzione «qualitativa» che anche il Legislatore comunitario intende promuovere mediante i regolamenti di riforma della legislazione alimentare attualmente in discussione al Parlamento europeo.
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[1] Le proposte di riforma in materia sono state avanzate dalla Commissione europea a seguito del Libro bianco del 2000 (COM (2000) 719 def.) e mirano a dare coerenza organica al settore riordinando le disposizioni esistenti e introducendo principi nuovi quali la «rintracciabilità di filiera obbligatoria», il principio di precauzione, l’estensione degli obblighi di sicurezza anche alla produzione primaria secondo la logica «dalla fattoria alla tavola».
[2] Si veda ad esempio l’allegato I alla direttiva 83/189/CEE pubblicata in GUCE L 109 del 26.04.1983.
[3] Non è un caso infatti che delle oltre 100 norme UNI dedicate al settore alimentare solo una «sparuta pattuglia» offra disciplinari di produzione di specifici prodotti. Fra queste ricordiamo le norme relative ai salumi (UNI 10267/96 per il salame «Felino», 10268/96 per il salame «Milano») e ai formaggi (UNI 10537/95 per la mozzarella tradizionale, 10710/98 per il mascarpone, UNI EN ISO 1854/99 per il formaggio da siero UNI ISO 5534/94 per il formaggio fuso). Un discorso a parte andrebbe fatto per il «marchio collettivo» sviluppatosi quale strumento di promozione commerciale per garantire le caratteristiche di un determinato prodotto con funzioni per certi aspetti simili alla certificazione. Il marchio collettivo, disciplinato dal Cod. Civ. attesta infatti che le aziende, legalmente associate ad Enti con finalità di garanzia circa l’origine, la natura o la qualità di un determinato prodotto, si sono impegnate ad assoggettare il proprio processo produttivo alle prescrizioni statutarie ed ai controlli dell’ente titolare.
[4] La spinta decisiva in questo senso è giunta proprio dal Legislatore comunitario laddove nell’art. 6 della dir. 93/43 raccomandava agli Stati membri di incentivare le imprese alimentari ad adottare le norme europee della serie EN 29000 onde attuare le norme generali di igiene e corretta prassi operativa.
[5] COM (85) 603 def.
[6] Risoluzione del Consiglio 7 Maggio 1985 in GUCE C 136 del 04.06.1985.
[7] Per completezza va tuttavia segnalato che sono esistite ed esistono forme di “validazione di conformità” a protocolli e standard definiti in altre sedi, quali il SAGI (Sistema Aziendale di Garanzia di Igiene nell’industria agroalimentare)
[8] ISO = International Organization for Standardization, costituita a Londra nel 1947, cui aderiscono gli enti normatori nazionali di un centinaio di Paesi, fra i quali l’UNI per l’Italia.
[9] haccp = Hazard Analysis and Critical Control Points, metodo basato su un approccio sistematico e scientifico alle problematichedella igienicità delle produzioni alimentari, internazionalmente riconosciuto e raccomandato dal Codex Alimentarius. Nacque negli stati Uniti ad opera della soc. Pillsbury che chiamata dalla Nasa ad individuare un sistema in grado di garantire l’assoluta salubrità degli alimenti destinati all’alimentazione nello spazio senza sottoporre tutte le derrate ad analisi sistematiche identifico nei 7 principi di prevenzione e gestione del rischio la soluzione più efficace per garantire l’assoluta igienicità dei processi produttivi e con essi dei prodotti finiti. Il metodo haccp, presentato nel 1971 alla Conferenza Nazionale per la protezione degli alimenti negli Stati Uniti venne due anni dopo adottato dalla FDA (Food and Drug Administration) come standard per gli alimenti inscatolati e successivamente dal Codex Alimentarius per tutti gli alimenti. Il metodo haccp si fonda su una corretta attività di prevenzione dei rischi mediante l’individuazione a priori dei possibili pericoli connessi alla produzione di determinati alimenti (contaminazioni microbiologiche, chimiche, fisiche, deterioramento etc…) e l’adozione di opportuni correttivi che consentao di evitare la concretizzazione di tali pericoli. Attraverso il monitoraggio continuo di “punti critici” del processo produttivo l’haccp offre idonee garanzie di salubrità del prodotto finito.
[10] In questo la norma UNI anticipa l’evoluzione prospettata dalla Commissione europea con le porposte di riforma della legislazione comunitaria sull’igiene delle produzioni alimentari. Nel regolemento attualmente in discussione presso il Parlamento europeo è prevista l’estensione del principio di corretta prassi operativa a salvaguardia dell’igiene delle produzioni primarie che tuttavia non prevede l’applicazione obbligatoria del sistema haccp.
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