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La classificazione dei rifiuti in base alle linee Guida SNPA......quanto vale un “ecc…”!?

di Roger Neri

Categoria: Rifiuti

Abbiamo a suo tempo già visto (cfr. Rivista Tutto Ambiente n.15 del 14/04/2022), come in ragione dell’art. 184, comma 5, del D.Lgs. n. 152 del 2006, come modificato dal D.Lgs. n. 116 del 3 settembre 2020, le Linee guida redatte dal Sistema nazionale per la protezione e la ricerca ambientale (SNPA), per la corretta attribuzione ad opera del produttore dei codici dei rifiuti e delle caratteristiche di pericolo dei medesimi, siano assunte a riferimento obbligato per il processo di classificazione e caratterizzazione dei rifiuti, in forza del DM n. 47 del 09 agosto 2021 che, nell’unico articolo, approva “le Linee guida sulla classificazione dei rifiuti di cui alla delibera del Consiglio del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente del 18 maggio 2021, n.105, così come integrate dal sotto-paragrafo denominato “3.5.9 – Rifiuti prodotti dal trattamento meccanico/meccanico-biologico dei rifiuti urbani indifferenziati”, da introdurre al Capitolo 3 delle stesse, che, allegate al presente provvedimento, ne costituiscono parte integrante e sostanziale”.

 

Ricordavamo quindi come, a parere di chi scrive, queste Linee guida siano lo strumento obbligatorio con cui il produttore del rifiuto debba prodigarsi al fine di arrivare alla corretta attribuzione del codice EER e della conseguente sua “caratterizzazione”, con gli strumenti ivi richiamati, relazione tecnica e giudizio di classificazione in primis.

 

Nell’approfondire i contenuti di tale strumento evidenziavamo come le LG si sforzassero in particolare di rappresentare come il capitolo 17 fosse da utilizzare esclusivamente per le attività di costruzione e demolizione (cfr. punto 3.5.4, LG SNPA) “I codici del capitolo 17, tuttavia, si riferiscono espressamente ai rifiuti derivanti dalle operazioni di costruzione e demolizione quali, a titolo puramente esemplificativo, quelle svolte presso cantieri edili, nell’ambito delle attività di ristrutturazione, nella costruzione e manutenzione di infrastrutture, ecc.”, sottolineando che “Queste non sono da confondersi con le attività di demolizione dei veicoli fuori uso o di smantellamento di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche o con attività di fabbricazione/produzione di prodotti, ecc. I codici del capitolo 17 non vanno quindi utilizzati per classificare rifiuti costituiti dai medesimi materiali ma provenienti da altri settori”.

 

 

Pareva chiaro quindi il perimetro di applicabilità che, per come rappresentato, sembrava escludere espressamente i rifiuti per attività non rientranti nelle attività, in senso stretto, di costruzione e demolizione, per come comunemente s’intendono. Tant’è che sommessamente rappresentavamo come, a nostro avviso, diverse attività quali quelle legate alle manutenzioni, di fatto, potessero viceversa essere comunque ricondotte ad operazioni di costruzione e demolizione, seppur non di tipo edile o simil tale.

 

Oramai, tuttavia, il dado era tratto e frotte di consulenti ed auditor a supportare le aziende segnalando che i codici 17, usati fino a quel momento, valgono solo per le attività di costruzione e demolizione, in senso stretto (edile?!) e non per ogni tipo di demolizione e costruzione.

 

Ci siamo sbagliati!

 

Non abbiamo dato il giusto peso a due passaggi sibillini delle indicazioni fornite dalle LG, che, ad avviso di chi scrive, pagano lo scotto di essere state redatte, appunto, con i criteri tipici delle Linee Guida e non delle norme a valore cogente, quali ora sono in forza del citato DM 47/2021. Ed i passaggi da considerare erano: “a titolo puramente esemplificativo” ed “ecc” .

 

Ed ecco che forti di un puntuale parere rilasciato in merito da ISPRA, siamo a darvi conto di come vanno operativamente declinati i passaggi poc’anzi richiamati.

 

Innanzi tutto, ci viene evidenziato come, “nell’ambito del paragrafo 3.5.4 delle linee guida, le attività menzionate come possibili fonti dei rifiuti ascrivibili al capitolo 17 rappresentano solo esempi, come appare evidente dal fatto che le stesse sono seguite dalla dicitura “ecc.”, da cui si deduce che anche attività di altro tipo possono rientrare nella casistica indicata.” Benissimo, fin quando si tratta di una LG, ma quando ci viene detto che questo strumento è cogente, forse varrebbe la pena rivederlo prima di assumerlo al rango di norma di riferimento, e valutarne i passaggi applicativi per garantire l’uniformità e l’inequivocabilità dell’informazione. Comunque sia, apprendiamo che il perimetro di generazione dei rifiuti del capito 17 non è da limitare alle attività di costruzione e demolizione edile/infrastrutturale, ma questo può ricomprendere altre attività.

 

“Su tale aspetto può essere, in particolar modo, utile fare riferimento alla classificazione ISTAT delle attività economiche in base alla quale le costruzioni sono inserite nella sezione F (ATECO 2007). Tale classificazione indica, in primo luogo, che l’attività in oggetto risulta chiaramente codificata e ben differenziabile da altre attività. Va però rilevato che una medesima impresa può operare in più settori ed essere quindi identificata da un’attività economica prevalente e da altre attività economiche. In tale ambito si ritiene che la codifica da utilizzare ai fini della classificazione dei rifiuti deve essere correlata alla specifica attività in atto al momento della produzione degli stessi“ .

 

Questo suggerimento appare come una assoluta novità (si tenga in giusta considerazione, tuttavia, il passaggio “può essere utile”), prevedendo una variabile nel processo di classificazione dei rifiuti, ossia il confronto con i codici ATECO al fine di affinare la ricerca del corretto capitolo EER in correlazione all’attività eseguita al momento puntuale in cui vi è la generazione del rifiuto. Da come ci viene presentata, però, presuppone che l’impresa che effettua l’attività debba essere iscritta, anche non come principale, con il codice ATECO 2007, sezione F; ciò pare quindi escludere le aziende, ad esempio, metalmeccaniche che generano il rifiuto da attività di demolizione “manutentiva” con proprie risorse, non avendo queste, nella maggioranza dei casi, nel proprio carnet di codici ATECO, la sezione F…..e quindi si tornerebbe punto a capo!

 

Ma la porta interpretativo-estensiva, resta aperta quando lSPRA rinforza il concetto asserendo che “in ogni caso, analizzando la sezione F dei codici ATECO si può chiaramente rilevare che le attività associate alle costruzioni non si limitano a quelle riportate, a titolo di esempio, nel paragrafo 3.5.4 delle linee guida SNPA, nel quale, proprio per tener conto di tale aspetto, è espressamente riportata la dicitura “ecc.”. Ad esempio, il settore in oggetto ricomprende, tra le altre, le attività di installazione di impianti elettrici, idraulici ed altri lavori di installazione (scale mobili, isolamento termico, antivibrazioni, ecc.), nonché le attività di posa in opera di infissi, pareti mobili e simili, il completamento e la finitura di edifici, la realizzazione di coperture, ecc. Ne consegue che la demolizione di infrastrutture metalliche, quali ad esempio le scaffalature, i nastri trasportatori, i carter, le porte metalliche, ecc. può essere fatta rientrare all’interno della sezione F della classificazione ATECO e, nel contempo, i relativi rifiuti, nel capitolo 17 dell’elenco europeo.” Mutatis mutandis, quel “in ogni caso”, significa che comunque, anche qualora le attività siano svolte in proprio, se queste rientrino nelle descrizioni della sezione F, possono far ricondurre i rifiuti generati al capitolo 17?

 

Il passaggio non è così chiaro come era, probabilmente, nelle intenzioni dell’estensore. A parere di chi scrive, quello che vale è l’attività di demolizione, da cui derivano quindi i relativi rifiuti, nel senso ampio del termine, per come illustratoci da ISPRA, e non il codice ATECO posseduto dall’impresa, quando il processo di generazione del rifiuto non è direttamente riconducibile ad uno dei capitoli del catalogo EER.

 

Ciò che è certo, è che questo strumento operativo, che doveva assicurare uniformità interpretativa, (ricordiamo l’obbligazione dettata dall’art 184, d.lgs. 152/06, “La corretta attribuzione dei Codici dei rifiuti e delle caratteristiche di pericolo dei rifiuti è effettuata dal produttore sulla base delle Linee guida redatte, entro il 31 dicembre 2020, dal Sistema nazionale per la protezione e la ricerca ambientale ed approvate con decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano”), sarà sicuramente oggetto di ulteriori futuri approfondimenti, in ragione dei diversi “a titolo esemplificativo”, “esempio indicativo e non esaustivo”, “ecc”, e simili, che sottendono una serie di variabili che possono entrare in gioco e che certamente non concorrono a fare chiarezza; anzi, lasciano, purtroppo, ancora il campo a chi tra le pieghe delle norme adotta atteggiamenti “ecofurbi”/”ecoscorretti”.

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