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La consulenza qualificata in materia di sicurezza ed ambiente: brevi note sulle responsabilità penali del RSPP

di Roberta Nunin

Categoria: Responsabilità ambientali

1. Premessa. – In un contesto normativo sempre più complesso, nel quale il tema della gestione organizzativa della sicurezza sul lavoro è venuto ormai da tempo ad intrecciarsi con la prospettiva più ampia e comprensiva della gestione integrata dei rischi aziendali, la figura del Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) – disegnata dal legislatore italiano a far tempo dal 1994 (d.lgs. n. 626/94) in ossequio agli obblighi di attuazione della direttiva comunitaria n. 391 del 1989 – mantiene la sua rilevante centralità, quale consulente particolarmente qualificato ed interlocutore principale del datore di lavoro nella costruzione ed implementazione dei sistemi aziendali di Health & Safety Management.
Con il decreto legislativo n. 81 del 2008, intervenuto ad aggiornare e riformare la materia della prevenzione nei luoghi di lavoro, in un’ottica non solo attenta all’esperienza applicativa della legislazione degli anni Novanta (con le non poche criticità emerse e solo in parte negli anni successivi progressivamente corrette), ma anche sensibile ai ‘nuovi’ profili di rischio emergenti (in particolare in relazione ai c.d. rischi di matrice psicosociale), il legislatore ha ulteriormente dettagliato il profilo della figura in questione, oggi definita dall’art. 2, lett. f) del citato decreto come la persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all’art. 32 del d. lgs. n. 81/08 «designata dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare il servizio di prevenzione e protezione dai rischi»[1].
Il profilo professionale che emerge dalla normativa è tale da richiedere indubbiamente un mix di competenze che nel tempo è diventato sempre più sofisticato ed articolato, a fronte di organizzazioni sempre più complesse e della crescente propensione delle imprese di maggiori dimensioni a dotarsi di modelli organizzativi e gestionali sempre più avanzati, anche in chiave di limitazione della responsabilità penale del datore e delle diverse figure aziendali, a partire dai dirigenti, coinvolte nel funzionamento e nell’implementazione del “sistema sicurezza”.
Al RSPP si chiede dunque oggi di avere una robusta competenza di carattere giuridico (essendo chiamato ad assistere il datore di lavoro nell’applicazione di una normativa di notevole complessità, fonte di non poche responsabilità civili, penali ed amministrative), accompagnata dalle necessarie competenze tecniche (che richiedono uno sforzo di aggiornamento continuo), gestionali (che impongono un’attenzione adeguata per i profili di carattere organizzativo delle imprese) e, sempre di più, anche relazionali (con la connessa capacità di individuare tempestivamente le nuove dimensioni di rischio – in passato assai trascurate – quali sono, appunto, quelle di carattere psicosociale di cui si è già detto). Proprio per tali articolate competenze professionali non è inusuale che a tali figure consulenziali il datore si rivolga con frequenza sempre maggiore chiedendo supporto anche per le ‘parallele’ ed egualmente complesse tematiche che attengono alla sicurezza ambientale, con un’occasione indubbia di crescita professionale per gli interessati, ma anche con un carico crescente di responsabilità da gestire con attenzione.
Ci limiteremo qui, per ragioni di competenza e di spazio, solo ad alcune brevi considerazioni sulle responsabilità penali del RSPP in relazione ai temi specifici della sicurezza del lavoro, consapevoli peraltro che diversi degli indirizzi interpretativi che emergono dalla giurisprudenza di cui si dirà tra breve trovano delle evidenti rispondenze anche nella diversa, ma in un certo senso parallela, materia legata alle responsabilità ambientali dell’impresa: “recondite armonie”, queste, che sicuramente contribuiscono oggi a delineare in modo sempre più preciso l’elevata professionalità e la necessità di aggiornamento continuo e puntuale richieste a questa cruciale figura di consulente del datore di lavoro nei sistemi aziendali di Health, Safety and Environment Management.

2. Le responsabilità penali del RSPP: un rapido sguardo alla giurisprudenza recente. – È ormai circostanza ben nota che la mancanza nel Testo Unico del 2008 di sanzioni penali dirette per il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione non si traduce affatto in una sorta di impunità assoluta od irresponsabilità penale, laddove – come anche la dottrina giuslavoristica da subito hanno evidenziato – «di fronte ad infortuni o tecnopatie (…) l’omesso assolvimento, o l’assolvimento inadeguato, di un compito risulti causalmente rilevante nella produzione dell’evento lesivo, ovvero quando quest’ultimo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che il soggetto in questione avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, così da consentire l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione»[2]. In quest’ottica, secondo le regole generali, il RSPP può essere chiamato a rispondere dell’infortunio verificatosi relazione ad una propria omissione, in ragione dell’inosservanza colposa dei compiti di prevenzione che ad esso la legge attribuisce[3].
Se, dunque, è indubbio che al RSPP la normativa di tutela attribuisce un ruolo di mero consulente, sia pure particolarmente qualificato, e dunque in quanto tale privo della capacità di operare direttamente – in via correttiva, modificativa, ecc. – e senza mediazioni sulla struttura e sull’organizzazione aziendale, è peraltro più volte stato chiarito dalla giurisprudenza (e ribadito anche in dottrina) che l’inottemperanza dello stesso alle funzioni ad esso affidate – sub specie, ad esempio, di individuazione e/o segnalazione mancata od erronea dei diversi fattori di rischio o mancata elaborazione delle procedure di sicurezza necessarie – possa evidentemente integrare una omissione «”sensibile”, ossia rilevante per radicare la responsabilità tutte le volte in cui un sinistro sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa ignorata o male considerata dal responsabile del servizio»[4]: in tali situazioni, infatti, la giurisprudenza ha già più volte statuito che è possibile presumere che proprio alla segnalazione avrebbe fatto seguito l’adozione da parte datoriale delle iniziative necessarie ed idonee a neutralizzare la situazione in questione[5]. Come infatti anche di recente chiaramente ribadito dalla Suprema Corte, «l’omissione colposa al potere-dovere di segnalazione in capo al RSPP, impedendo l’attivazione da parte dei soggetti muniti delle necessarie possibilità di intervento, finirebbe con il costituire (con)causa dell’evento dannoso verificatosi in ragione della mancata rimozione delle condizioni di rischio: con la conseguenza, quindi, che, qualora il RSPP, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo così il datore di lavoro ad omettere l’adozione di una doverosa misura prevenzionale, ben può e deve essere chiamato a rispondere insieme a questi (ex art. 41, c.p., comma 1) dell’evento dannoso derivatone»[6]. Anche la figura del RSPP, di conseguenza, seguendo tale indirizzo giurisprudenziale oramai consolidato, assume sul piano sostanziale un ruolo di “garante” della sicurezza, in quanto «pur svolgendo all’interno della struttura aziendale un ruolo non operativo ma di consulenza, ha l’obbligo giuridico di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino in conseguenza della violazione dei suoi doveri.»[7]
Laddove, di conseguenza, il RSPP abbia puntualmente ed ampiamente relazionato il datore di lavoro sui rischi, abbia dato le indicazioni tecniche necessarie a rimuoverli e/o contenerli, secondo le indicazioni di legge, ed abbia dunque sostanzialmente svolto diligentemente le proprie funzioni di consulente – «una delicata funzione di supporto informativo, valutativo e programmatico ma priva di autonomia decisionale», come ben sintetizzato anche di recente dalla giurisprudenza[8] – nulla allo stesso in sede penale può essere imputato.
Peraltro, nell’ottica delle possibili responsabilità penali, è necessario in questa sede ricordare che, secondo un filone interpretativo e giurisprudenziale, può esservi anche di più.
Infatti – in particolare già dopo i correttivi apportati alla definizione di tale figura consulenziale ed ai requisiti di professionalità alla stessa richiesti nella vigenza delle norme precedenti al 2008, a seguito dell’adozione nel 2003 del d. lgs. n. 195 – secondo un’opinione proprio l’individuazione da parte del legislatore di una “precisa” qualifica professionale potrebbe avere delle concrete ripercussioni in chiave di “colpa professionale”, consentendo in parallelo di valorizzare il legittimo affidamento del datore di lavoro il quale – laddove l’errore di valutazione del RSPP non fosse dal datore stesso rilevabile, in assenza di competenze adeguate a tal fine – quest’ultimo potrebbe al limite anche andare esente da responsabilità, laddove nella sua condotta non possa essere concretamente rilevabile alcun ulteriore profilo di colpa[9]. In quest’ottica, come in dottrina non si è mancato di sottolineare, diventano davvero cruciali le informazioni trasmesse dal datore al Servizio di prevenzione e protezione, potendo queste indubbiamente integrare proprio un rilevantissimo parametro di valutazione dell’adeguatezza (o meno) dei comportamenti adottati dal Responsabile nello svolgimento della propria attività di supporto e consulenza al datore di lavoro nella valutazione, programmazione e realizzazione degli interventi in chiave prevenzionistica [10].
Come dunque osservato condivisibilmente in dottrina, l’RSPP si trova a rivestire, anche nel nuovo assetto normativo disegnato dal legislatore del 2008, un ruolo centrale e prioritario di coordinamento, che sembra pensato «proprio per raccogliere e coordinare le istanze e le proposizioni del servizio, così da fungere da interlocutore immediato e diretto del datore e degli altri soggetti operanti sui luoghi di lavoro»[11]. Ruolo, dunque, che, proprio perché di cooperazione e coordinamento, parte della dottrina non vorrebbe vedere gravato da altre e diverse responsabilità, attraverso il conferimento, come non di rado accadde, di incarichi operativi. Infatti, non possono trascurarsi le indicazioni giurisprudenziali che rilevano come, laddove al RSPP siano conferite specifiche deleghe “operative” in materia di sicurezza, il delegato in questo caso viene ad assumere «gli stessi oneri del datore di lavoro e, quindi, le stesse, eventuali, responsabilità»[12]. Proprio alla luce di un tale possibile appesantimento del carico di responsabilità per questa figura, in dottrina – pur in assenza di un espresso divieto ad opera del legislatore – si dubita comunque della concreta ammissibilità di una delega di tale tipo, la quale tra l’altro mal si concilierebbe con la funzione di consulente propria del RSPP laddove, di fatto, lo stesso dovesse anche essere chiamato a rivestire, in seconda battuta, il ruolo di “attuatore” delle misure di prevenzione previamente, nell’esercizio di tale ruolo consulenziale, identificate[13].
Resta poi naturalmente aperto il campo delle parallele responsabilità che potrebbero emergere per il consulente in sede civile, che non affrontiamo in questa sede, limitandoci a sottolineare come in quest’area non ci si discosti peraltro dalle ordinarie norme in materia di risarcimento del danno, nelle sue varie componenti, con un rilievo particolare che potrebbe assumere – in caso di sanzioni comminate al datore di lavoro a seguito di un esercizio carente/negligente dell’attività di consulenza ad opera del RSPP – anche il profilo del possibile danno arrecato all’immagine esterna dell’azienda presso la clientela ed i diversi stakeholders.

 

[1] Sulla figura del RSPP nella prospettiva della prevenzione di tipo organizzativo fatta propria dal d. lgs. n. 81/2008 v. di recente Lazzari, L’organizzazione del sistema aziendale di prevenzione: soggetti ed obblighi tecnici, in Working Papers di Olympus, 2014, n. 30, http://olympus.unirb.it, in part. p. 18 ss.; Albi, Sub. Art. 31-34 D. Lgs. n. 81/2008, in Grandi, Pera (a cura di), Commentario breve alle leggi sul lavoro, Padova, 2009, p. 2820 ss.; inoltre in dottrina, per un quadro sistematico dei contenuti della riforma del 2008, v. Montuschi (diretto da), La nuova sicurezza sul lavoro, Bologna, 2010; Pascucci, La nuova disciplina della sicurezza sul lavoro del 2008/2009: una rapsodia di novità e conferme, in Working Papers di Olympus, 2011, n. 1 http://olympus.unirb.it; F. Carinci, Gragnoli (a cura di), Codice commentato della sicurezza sul lavoro, Torino, 2010; L. Zoppoli, Pascucci, Natullo (a cura di), Le nuove regole per la salute e la sicurezza dei lavoratori, Milano, 2010; Galantino (a cura di), Il Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, Torino, 2009; Tiraboschi, Fantini (a cura di), Il Testo Unico della salute e sicurezza sul lavoro dopo il correttivo (d. lgs. n. 106/2009), Milano, 2009; G. Santoro Passarelli (a cura di), La nuova sicurezza in azienda. Commentario al Titolo I del D. Lgs. n. 81/2008, Milano, 2008.

[2] Così Lazzari, L’organizzazione, cit., p. 18. In giurisprudenza v., dopo la riforma, Cass. pen. 26 aprile 2010, n. 16134, in http://olympus.uniurb.it (dove anche v. diversi riferimenti all’analogo indirizzo giurisprudenziale sviluppatosi nella vigenza del precedente d. lgs. n. 626/94).

[3] V. in questo senso Cass. pen, 20 agosto 2010, n. 32195; Cass. pen, 11 marzo 2013, n. 11492.

[4] Lazzari, L’organizzazione, cit., p. 19; negli stessi termini da ultimo Cass. pen. Sez. IV, 10 febbraio 2015, n. 5983, in ISL, 2015, n. 5, p. 274.

[5] V., in questo senso, Cass. pen. 4 maggio 2012, n. 16892; Cass. pen. 5 maggio 2011, n. 17443; Cass. pen. 27 dicembre 2010, n. 45359; vedile tutte in http://olympus.uniurb.it. In dottrina sul punto, per ulteriori riferimenti giurisprudenziali, v. anche Guariniello, Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza, Milano, 2015 (VIIª ed.).

[6] Cass. pen. Sez. IV, 10 febbraio 2015, n. 5983, cit.

[7] V. di recente Cass. pen. Sez. IV, 29 maggio 2014, n. 22233, in ISL, 2014, n. 8-9, p. 425.

[8] Nel senso indicato v. da ultimo la densa Cass. pen. Sez. IV, 21 gennaio 2016, n. 2536, Bearzi et al., commentata in ISL, 2016, n. 3, p. 165 ss., relativa alla drammatica vicenda del crollo, a seguito di una violenta scossa sismica, dell’edificio che ospitava un convitto nazionale all’Aquila, che a suo tempo aveva causato la morte di alcuni studenti ed il ferimento di altri.

[9] In questo senso v., tra le altre, Cass. pen. 20 giugno 2008, n. 25288, che ha ritenuto ascrivibile al RSPP un titolo di colpa professionale «che può assumere anche un carattere addirittura esclusivo». Sul punto v. anche Cass. pen. 19 settembre 2013, n. 38643; cass. pen. 27 gennaio 2011, n. 2814, tutte in http://olympus.uniurb.it.

[10] V. Lazzari, L’organizzazione, p. 20.

[11] Lazzari, op. ult. cit., p. 21.

[12] V. in questo senso già Cass. pen. 20 aprile 2005, n. 11351.

[13] V. sul punto Pascucci (con la collaborazione di Angelini e Lazzari), 3 agosto 2007-3 agosto 2009. Due anni di attività legislativa per la salute e la sicurezza dei lavoratori, Quaderni Olympus, n. 3, Fano, 2011, p. 195 ss.; Lazzari, L’organizzazione, p. 23.


(Tratto da “Le responsabilità ambientali aziendali. Guida pratica per prevenire rischi e sanzioni” di S. Maglia e G. Guagnini, Tuttoambiente Ed.)

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