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Stefano Maglia

La Corte di Cassazione in materia di EoW conferma l’applicazione dei decreti ministeriali esistenti

di Stefano Maglia, Giulia Guagnini

Categoria: Rifiuti

Con la sentenza n. 16423 del 15 aprile 2014, la Corte di Cassazione penale si è espressa in merito al concetto di End of Waste (in breve EoW).
Tale pronuncia prende le mosse da un caso di illecito recupero e trasporto di rifiuti, sanzionato ai sensi dell’art. 256, comma 1, lett. a), D.L.vo n. 152/2006. Nello specifico, l’imputato (che aveva effettuato un trasporto di materiale ferroso e non ferroso, classificandolo come rifiuto speciale non pericoloso e senza fornire alcuna prova in ordine alla diversa destinazione del materiale) ha proposto ricorso per Cassazione contestando l’erronea attribuzione della qualifica di “rifiuto” alla merce trasportata, la quale, a suo avviso, la stessa avrebbe dovuto essere qualificata quale “materia prima secondaria” ai sensi dell’art. 184-ter, D.L.vo n. 152/2006.
A fronte di tali deduzioni, la S.C. preliminarmente osserva che la fine della vita di un rifiuto è un tema che nel nostro Paese è stato a lungo identificato con una precisa categoria di prodotti: le materie prime secondarie (c.d. MPS). Alla luce della riforma operata nel 2010 tramite il D.L.vo 3 dicembre 2010, n. 205[1], ora tale concetto deve ritenersi sostanzialmente sostituito con quello di End of Waste (EOW). Infatti, prima della riforma, il D.L.vo 152/2006 contemplava all’art. 181-bis le MPS, espressamente escluse dal regime dei rifiuti, sia che si trattasse di quelle derivanti da attività di recupero individuate dagli appositi decreti (D.M. 5 febbraio 1998[2]; D.M. 12 giugno 2002, n. 161[3]; D.M. 17 novembre 2005, n. 269[4]), sia che si trattasse di quelle individuate tramite procedure autorizzative ordinarie (art. 9-bis lett. a) e b) della L. 30 dicembre 2008, n. 210[5]). A seguito della novella, con l’introduzione dell’art. 184-ter (“Cessazione della qualifica di rifiuto”) è stato sostituito il precedente art. 181-bis, e sono state individuate le condizioni alle quali un rifiuto cessa di essere tale.
In particolare, l’art. 184-ter dispone che un rifiuto cessa di essere tale quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni:
a) la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici;
b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;
c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;
d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.

Il comma 2 del medesimo articolo precisa che i summenzionati criteri sono adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero, in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell’ambiente. Il successivo comma 3 dispone che “Nelle more dell’adozione di uno o più decreti di cui al comma 2, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui ai decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio in data 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269 e l’art. 9-bis, lett. a) e b), del decreto-legge 6 novembre 2008, n. 172, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2008, n. 210”.
A tal proposito, la S.C., nella motivazione della sentenza in esame, rileva come “In parziale attuazione della norma [l’art. 184-ter, comma 2, D.L.vo n. 152/2006] è stato emesso il Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), ai sensi dell’art. 184-ter, comma 2 … Per le altre tipologie di rifiuto restano in vigore, e continuano ad applicarsi, i precedenti decreti ministeriali sopra citati”.
Si tratta di una statuizione importante, in quanto conferma che nelle more dell’adozione di tali decreti ministeriali – ovvero ancora oggi – continuano ad applicarsi le disposizioni di cui ai decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio datati 5 febbraio 1998 (per i rifiuti non pericolosi), 12 giugno 2002, n. 161 (per i rifiuti pericolosi) e 17 novembre 2005, n. 269 (per i rifiuti pericolosi provenienti dalle navi).
Da ciò consegue che l’attività di recupero dei rifiuti risulta, oggi, oltre che definita dall’art. 183, comma 1, lett. t) del D.L.vo n. 152/2006 ed articolata nelle operazioni elencate dall’Allegato C alla parte IV del medesimo decreto, altresì disciplinata dal D.M. 5 febbraio 1998 per quanto riguarda i rifiuti non pericolosi.
Il recupero, prosegue la S.C., costituisce quindi “una fase della gestione del rifiuto, che deve in ogni caso essere posta in essere da soggetto a ciò autorizzato (artt. 208, 214 e 216, D.L.vo n. 152/2006)”. La circostanza che l’operazione di recupero possa consistere, ai sensi dell’art. 184-ter, comma 2, D.L.vo n. 152/2006, nel semplice controllo dei rifiuti per verificare se gli stessi soddisfino i criteri elaborati conformemente alle condizioni indicate al comma 1 (v. supra) non vale ad escludere che si tratti comunque di un’operazione di recupero che, in quanto tale, deve essere effettuata da un soggetto autorizzato.
Nel caso di specie, i giudici hanno confermato la condanna disposta dal Tribunale del riesame, in quanto non è risultato che il materiale trasportato dal ricorrente fosse stato sottoposto a preventiva operazione di recupero, tantomeno da soggetto a ciò autorizzato, e pertanto non aveva mai cessato la sua qualifica di rifiuto (art. 184-ter, ultimo comma), rendendo quindi penalmente rilevante la condotta del trasporto senza autorizzazione.

 



[1]Disposizioni di attuazione della Direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 288 del 10 dicembre 2010, Suppl. Ordinario n. 269, ed entrato in vigore il 25 dicembre 2010.

[2]Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 16 aprile 1998, n. 88, S.O., e in vigore dal 17 aprile 1998.

[3]Regolamento attuativo degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, relativo all’individuazione dei rifiuti pericolosi che è possibile ammettere alle procedure semplificate”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 177 del 30 luglio 2002 e in vigore dal 14 agosto 2002.

[4]Regolamento attuativo degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, relativo all’individuazione dei rifiuti pericolosi provenienti dalle navi, che è possibile ammettere alle procedure semplificate”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2005 e in vigore dal 13 gennaio 2006.

[5]Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 novembre 2008, n. 172, recante misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania, nonche’ misure urgenti di tutela ambientale”, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 2 del 3 gennaio 2009 ed in vigore dal 4 gennaio 2009.

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