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Stefano Maglia

La disciplina del riutilizzo delle rocce da scavo nello stesso sito

di Stefano Maglia

Categoria: Rifiuti

Il riutilizzo dei materiali da scavo nello stesso sito è normato dall’art. 24 del D.P.R. 120/2017 che rimanda a sua volta all’art. 185, lett. c), del D.lgs. 152/2006, il quale prescrive che “non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del presente decreto […] il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato”.

 

D.P.R. 120/2017
Art. 24 (Utilizzo nel sito di produzione delle terre e rocce escluse dalla disciplina rifiuti)
  1. Ai fini dell’esclusione dall’ambito di applicazione della normativa sui rifiuti, le terre e rocce da scavo devono essere conformi ai requisiti di cui all’articolo 185, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e in particolare devono essere utilizzate nel sito di produzione.

Fermo restando quanto previsto dall’articolo 3, comma 2, del decreto-legge 25 gennaio 2012, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 28, la non contaminazione è verificata ai sensi dell’allegato 4 del presente regolamento.

  1. Ferma restando l’applicazione dell’articolo 11, comma 1, ai fini del presente articolo, le terre e rocce da scavo provenienti da affioramenti geologici naturali contenenti amianto in misura superiore al valore determinato ai sensi dell’articolo 4, comma 4, possono essere riutilizzate esclusivamente nel sito di produzione sotto diretto controllo delle autorità competenti. A tal fine il produttore ne dà immediata comunicazione all’Agenzia di protezione ambientale e all’Azienda sanitaria territorialmente competenti, presentando apposito progetto di riutilizzo. Gli organismi di controllo sopra individuati effettuano le necessarie verifiche e assicurano il rispetto delle condizioni di cui al primo periodo.
  2. Nel caso in cui la produzione di terre e rocce da scavo avvenga nell’ambito della realizzazione di opere o attività sottoposte a valutazione di impatto ambientale, la sussistenza delle condizioni e dei requisiti di cui all’articolo 185, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, è effettuata in via preliminare, in funzione del livello di progettazione e in fase di stesura dello studio di impatto ambientale (SIA), attraverso la presentazione di un «Piano preliminare di utilizzo in sito delle terre e rocce da scavo escluse dalla disciplina dei rifiuti» che contenga:
  3. a) descrizione dettagliata delle opere da realizzare, comprese le modalità di scavo;
  4. b) inquadramento ambientale del sito (geografico, geomorfologico, geologico, idrogeologico, destinazione d’uso delle aree attraversate, ricognizione dei siti a rischio potenziale di inquinamento);
  5. c) proposta del piano di caratterizzazione delle terre e rocce da scavo da eseguire nella fase di progettazione esecutiva o comunque prima dell’inizio dei lavori, che contenga almeno:
  6. numero e caratteristiche dei punti di indagine;
  7. numero e modalità dei campionamenti da effettuare;
  8. parametri da determinare;
  9. d) volumetrie previste delle terre e rocce da scavo;
  10. e) modalità e volumetrie previste delle terre e rocce da scavo da riutilizzare in sito.
  11. In fase di progettazione esecutiva o comunque prima dell’inizio dei lavori, in conformità alle previsioni del «Piano preliminare di utilizzo in sito delle terre e rocce da scavo escluse dalla disciplina dei rifiuti» di cui al comma 2, il proponente o l’esecutore:
  12. a) effettua il campionamento dei terreni, nell’area interessata dai lavori, per la loro caratterizzazione al fine di accertarne la non contaminazione ai fini dell’utilizzo allo stato naturale, in conformità con quanto pianificato in fase di autorizzazione;
  13. b) redige, accertata l’idoneità delle terre e rocce scavo all’utilizzo ai sensi e per gli effetti dell’articolo 185, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, un apposito progetto in cui sono definite:
  14. le volumetrie definitive di scavo delle terre e rocce;
  15. la quantità delle terre e rocce da riutilizzare;
  16. la collocazione e durata dei depositi delle terre e rocce da scavo;
  17. la collocazione definitiva delle terre e rocce da scavo.
  18. Gli esiti delle attività eseguite ai sensi del comma 3 sono trasmessi all’autorità competente e all’Agenzia di protezione ambientale territorialmente competente, prima dell’avvio dei lavori.
  19. Qualora in fase di progettazione esecutiva o comunque prima dell’inizio dei lavori non venga accertata l’idoneità del materiale scavato all’utilizzo ai sensi dell’articolo 185, comma 1, lettera c), le terre e rocce sono gestite come rifiuti ai sensi della Parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

 

 

L’art. 24 innanzi citato specifica, quindi, che al fine dell’operare dell’esclusione prevista dall’art. 185, comma 1, lett.c), D.L.vo 152/2006, è necessario che le terre e rocce (o, meglio, i materiali da scavo):

  • siano utilizzate nello stesso sito di produzione;
  • ai fini di costruzione allo stato naturale[1];
  • e che la non contaminazione debba essere verificata ai sensi dell’Allegato 4 del Regolamento.

Il riutilizzo delle terre e rocce da scavo è pertanto condizionato dalla sussistenza dei criteri stabiliti dall’art. 4 del D.P.R., ma dipende altresì, per l’utilizzo come non rifiuto nello stesso sito di produzione, dalla verifica di non contaminazione ex All. 4 DPR 120, richiesta dall’art. 24 a fronte del disposto di cui alla lett. c) dell’art. 185, comma 1, D.L.vo 152/2006[2].

Rileva, quindi, sia la nozione di “suolo” inteso come terre e rocce da scavo ma di cui fanno parte anche le matrici materiali di riporto di cui all’art. 3, comma 1, D.L. 2/2012[3], sia la definizione di “non contaminato” che ha fatto sorgere non poche perplessità.

Chi deve effettuare il controllo? Con quali strumenti? Si deve procedere con il campionamento per tutti i tipi di cantieri? Sono previste sanzioni?

Fino all’entrata in vigore del D.P.R. una risposta era stata fornita solo dalla giurisprudenza.

In particolare, la Corte di Cassazione Penale, Sezione III, con Sentenza del 1 ottobre 2008 n. 37280[4], in tema di gestione di rifiuti aveva chiarito che l’esclusione dall’applicazione della relativa disciplina alle terre e rocce da scavo dipendeva dalla capacità di dimostrazione del riutilizzo ambientalmente compatibile da parte dell’imputato, mentre spettava al pubblico ministero fornire la prova circa l’esclusione della deroga, ovvero dell’esistenza di una concentrazione di inquinanti superiore ai massimi consentiti. In un’ottica di forte semplificazione, quindi, sul privato avrebbe gravato esclusivamente l’onere della responsabilità e non quello della prova.

Oggi, l’art. 24 del nuovo D.P.R. fornisce interpretazione autentica del disposto innanzi richiamato e ai fini dell’esclusione dall’ambito di applicazione della normativa sui rifiuti, dispone che si debba procedere a verificare la non contaminazione delle terre e rocce escavate conducendo il campionamento sulla base di quanto indicato dall’Allegato 4.

L’analisi va condotta sul sito considerato nel suo complesso, con un’unica deroga relativa alle sostanze da ricercare nel caso in cui in sede progettuale sia prevista una produzione di materiale da scavo compresa tra i 6.000 e i 150.000 metri cubi. In tal caso la caratterizzazione potrà avvenire selezionando solo parte delle sostanze da verificare purché esse consentano di definire in modo esaustivo le concentrazioni presenti nel suolo. I risultati delle analisi devono essere conformi alle Concentrazioni Soglia di Contaminazione di cui alle colonne A e B, Tabella 1, Allegato 5, al Titolo V, della Parte IV, del D.L.vo 152/2016 con riferimento alla specifica destinazione d’uso urbanistica, o ai valori di fondo naturali.

Tali nuove prescrizioni sembrano appesantire la prassi precedente, che concedeva una certa discrezionalità di procedura, richiedendo la verifica di non contaminazione su tutti i cantieri e prescindendo dalla loro dimensione. Gli adempimenti richiesti, inoltre, restano confinati nella forma di una auto-dichiarazione e l’intervento preventivo dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e dell’ISPRA è richiesto solo qualora, per consentire le operazioni di scavo, sia previsto l’utilizzo di additivi che contengono sostanze inquinanti non comprese tra quelle direttamente prese in considerazione dalla norma[5].

Dubbi circa la natura della verifica, considerato che la disciplina precedente la identificava direttamente come “auto-certificazione”, sono riscontrabili nelle Frequently Asked Questions (FAQ)[6] delle Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente (ARPA). Si veda, ad esempio, ARPA Veneto che tra i documenti da fornire alle Autorità Competenti cita espressamente la “dichiarazione di non contaminazione (autocertificazione)”. Sulla stessa scia, per esempio, ARPA Piemonte specifica che la dichiarazione non costituisce una richiesta di autorizzazione, bensì una attestazione del rispetto delle condizioni previste dalla norma sotto la responsabilità del dichiarante.

 

Per completezza di esposizione non si possono non segnalare le specifiche Linee guida SNPA (n. 22/2019) sull’applicazione della disciplina per l’utilizzo delle terre e rocce da scavo, le quali, al Cap.5, confermano tutto quanto precedentemente esposto, in particolare il fatto che “la norma non prevede la trasmissione ad alcuna autorità/ente della verifica della non contaminazione avvenuta ai sensi dell’Allegato 4”, ma “sarà comunque necessario da parte del produttore dimostrare il possesso dei requisiti e la conservazione di tale verifica per l’eventuale esibizione in caso di richiesta da parte degli organi di controllo”.

 

In conclusione, a fronte della dimostrazione del rispetto di tutte le condizioni di cui all’art. 185, lett. c, come delineate dal DPR 120/2017, questo materiale non è da considerarsi un rifiuto e non necessita di alcuna preventiva autorizzazione in merito.

 

Piacenza, 04-03-2022

 

 

[1] Il requisito dell’impiego “allo stato naturale” esclude l’adozione di trattamenti preventivi (impiego c.d. “tal quale”).

[2] S. MAGLIA e L.COLLINA, Terre e rocce da scavo, TuttoAmbiente Edizioni.

[3] Costituite da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito, e utilizzate per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri.

[4] Si vedano altresì:

  • III n. 5178 del 4 febbraio 2015;
  • III n. 40252 del 7 ottobre 2015.

[5] S.SUARDI, Terre e rocce da scavo nello stesso sito: ora verifica di non contaminazione obbligatoria?, in www.tuttoambiente.it.

[6] L.MAESTRI, DPR 120/2017 sulle terre e rocce da scavo: linee guida regionali a confronto, in www.tuttoambiente.it.

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